ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promossi, con ordinanze emesse il 1o e il 2 giugno 2000, il 20 giugno 2000 (n. 2 ordinanze) e il 20 luglio 2000, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, iscritte rispettivamente ai nn. 550, 551, 552, 553 e 638 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, 1a serie speciale, n. 41 e n. 45 dell'anno 2000. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il giudice relatore Massimo Vari. Ritenuto che, con cinque ordinanze di analogo tenore, emesse in data 1o giugno, 2 giugno, 20 giugno (n. 2 ordinanze) e 20 luglio del 2000, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 97 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), che punisce lo straniero il quale, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno; che il rimettente - richiamando, in via generale, l'importanza che i principi della ragionevolezza e della proporzionalita' rivestono per l'opera del legislatore - e' dell'avviso che la disposizione censurata si ponga in contrasto con l'art. 27 della Costituzione, sotto l'aspetto dell'effettivita' della pena, trattandosi di "una norma del tutto inutile, che da un lato non sortisce alcun effetto deterrente, dall'altro puo' persino comportare un vantaggio per la sua inosservanza"; che, a questo proposito, il giudice a quo osserva che "tutti coloro che vengono fermati perche' ritenuti cittadini extracomunitari e che sono sprovvisti di documenti forniscono delle generalita' la cui autenticita' non e' possibile comprovare in alcun modo" e, inoltre, si definiscono senza fissa dimora, con la conseguenza che "proprio perche' irreperibili e comunque non identificabili non vengono assoggettati alla sanzione loro inflitta, che, dunque, rimane una mera statuizione cartacea"; che, in particolare, cio' si verifica in quanto, per il reato in questione, viene quasi sempre inflitta, a mezzo di decreto penale, la pena pecuniaria, secondo una scelta "pressoche' obbligata", dal momento che si tratta di soggetti incensurati "e il fatto non si appalesa di gravita' tale da richiedere una condanna che apparirebbe prima facie sproporzionata"; che, in tal modo, a causa della non esecuzione e della successiva prescrizione della pena, si vanifica il lavoro compiuto dalle forze dell'ordine, dai magistrati e dal personale amministrativo, risultando violato, in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, il principio del buon andamento, che va assicurato dal legislatore attraverso l'emanazione di "norme ragionevoli"; che, a giudizio del rimettente, anche la pena detentiva, in ragione della sua esiguita', oltre che della possibilita' che si proceda alla sospensione dell'esecuzione, nonche' alla concessione del beneficio della sospensione condizionale, rende del tutto inefficace la sanzione; che il giudice a quo, - nel rilevare che la legge in cui e' contenuta la disposizione denunciata non sanziona penalmente l'introduzione clandestina e, inoltre, "ha decriminalizzato la condotta dello straniero che si trattenga in Italia sprovvisto del permesso di soggiorno", prevedendo, altresi', che l'espulsione sia possibile solo quando venga "accertata la identita' dello straniero o, comunque, quest'ultimo sia munito di documenti di viaggio" - sostiene che, in ragione di cio', si determinerebbe: a) "una manifesta disparita' di trattamento (con violazione dell'art. 3 della Costituzione), giacche' non costituiscono reato le condotte preliminari e piu' gravi" rispetto a quella sanzionata dalla disposizione censurata; b) un'ulteriore lesione dell'art. 27 della Costituzione, in quanto lo straniero non avrebbe alcuna convenienza ad esibire il passaporto o altro documento di identita', con la conseguenza che risulterebbe favorita l'inosservanza del precetto posto dalla disposizione denunciata; che, in quattro dei giudizi in questione (e precisamente in quelli relativi alle ordinanze iscritte ai nn. 550, 551, 552 e 553 del registro ordinanze del 2000), e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la inammissibilita' o l'infondatezza della questione, evidenziando che il rimettente ha inteso sindacare la discrezionalita' politica del legislatore e che, in ogni caso, la denuncia riguarda una difficolta' di esecuzione della pena prevista per il reato in oggetto e non la norma incriminatrice. Considerato che la configurazione delle fattispecie criminose e la valutazione delle conseguenze penali appartengono alla politica legislativa e, quindi, all'incensurabile discrezionalita' del legislatore, con l'unico limite della manifesta irragionevolezza (ordinanze n. 207 del 1999, n. 297 del 1998, n. 456 del 1997 e n. 313 del 1995); che, nella fattispecie, le censure svolte dal rimettente appaiono risolversi in una critica alla complessiva disciplina della materia, con valutazioni che investono il piano delle scelte politiche del legislatore e che sono volte a segnalare, in particolare, difficolta' di esecuzione della pena inflitta, ma non sono tali da evidenziare, con riferimento alla disposizione denunciata, ne' una irragionevolezza della scelta operata dal legislatore, ne', in particolare, la violazione dei parametri invocati a sostegno della dedotta questione; che, alla luce di quanto sopra, la questione deve reputarsi manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.