LA CORTE DI APPELLO Sul reclamo di G. C. per il minore C. A. avverso il provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni Genova del 17 aprile 2000, ha pronunciato la seguente ordinanza. Con reclamo depositato in data 5 maggio 2000, G. C. impugnava il provvedimento del tribunale per i minorenni di Genova 20 - 21 aprile 2000, che respingeva la richiesta di affidamento del figlio A., confermandolo al padre, con facolta' della madre di incontrarlo ogni quindici giorni, eventualmente anche con il fratello a lei affidato. Il primo giudice fondava la sua decisione sulla relazione del servizio sociale, ove si precisava, a differenza di quanto affermato dalla madre, che il minore si trovava bene con il padre, era ben inserito a scuola, si presentava curato e pulito, veniva accompagnato regolarmente agli incontri con lo psicologo. Eccepiva la reclamante la incostituzionalita' degli artt. 333 - 336 c.c., in relazione all'art. 111 della Costituzione novellato, osservando che il tribunale minorile aveva fondato il suo provvedimento esclusivamente sulla relazione presentata dal servizio, non portata a conoscenza delle parti, nell'ambito di una procedura che "tollera" la presenza del difensore, ma non la ritiene necessaria; nel merito affermava che comunque il provvedimento appariva infondato, non essendosi tra l'altro tenuto in alcun conto le preoccupazioni della madre, circa lo stato psico-fisico del figlio e ne chiedeva la totale riforma. Nonostante regolare notifica, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., non si costituiva C.F., padre del minore. All'odierna udienza sulle conclusioni della G. che si riportava al reclamo e del P.G. che chiedeva svolgersi attivita' istruttoria, e in particolare disporsi una consulenza tecnica, la Corte riservava la decisione. L'art. 111 Cost., come novellato dall'art. 1, legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, stabilisce che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge e che ogni processo si svolge sul contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita' davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Nella specie, due genitori non uniti in matrimonio contendono sull'affidamento di un figlio. La procedura e' quella disciplinata dall'art. 336 c.c. che prevede il ricorso di uno dei genitori, dei parenti, o del pubblico ministero, il provvedimento del tribunale "in camera di consiglio" sentito il pubblico ministero, e l'audizione del genitore, se il provvedimento e' richiesto contro di lui. Il riferimento alla "camera di consiglio" richiama necessariamente tale tipo di procedura disciplinata dagli artt. 737 ss. c.p.c.: i provvedimenti prendono forma di decreto motivato; il presidente nomina tra i componenti del collegio un relatore che riferisce in camera di consiglio; il giudice puo' assumere informazioni; e' ammesso reclamo alla Corte di appello, che pure pronuncia in camera di consiglio. Va ancora considerato, anche se di natura prevalentemente sostanziale, l'art. 317-bis c.c. per cui, se i genitori non uniti in matrimonio, non convivono, l'esercizio della potesta' spetta al genitore con cui il figlio convive o, in mancanza, al primo che ha effettuato il riconoscimento; ma il giudice, nell'esclusivo interesse del figlio, a mezzo del procedimento di cui agli artt. 336 c.c. e 737 ss. c.p.c., che si e' indicato, "puo' disporre diversamente" e puo' escludere entrambi i genitori dall'esercizio della potesta', nominando un tutore. L'obiezione che si potrebbe sollevare rispetto alla proposta questione di legittimita' costituzionale e' la seguente: il "giusto processo" di cui all'art. 111 novellato, dovrebbe, in ambito civile, operare soltanto per la giurisdizione contenziosa, di conflitto e non per i provvedimenti di volontaria giurisdizione, regolati appunto, dagli artt. 737 ss. c.c., ma l'obiezione non ha pregio. L'art. 742-bis c.p.c. precisa che le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, contenute nel titolo relativo ai procedimenti in materia di famiglia e stato delle persone, si applicano appunto "a tutti i procedimenti in camera di consiglio" ancorche' non riguardanti tali materie, ma la norma non fa alcun riferimento alla volontaria giurisdizione cui invece si riferiva esplicitamente il codice di rito previgente regolando i procedimenti camerali. Cio' evidentemente dovrebbe significare che gli artt. 737 ss. c.p.c. disciplinano (o possono disciplinare) pure procedimenti estranei alla volontaria giurisdizione. Non e' questa certo la sede per affrontare, seppure sommariamente, le problematiche relative a natura, caratteri, limiti della volontaria giurisdizione (che taluno, com'e' noto, considera al di fuori della giurisdizione contenziosa). Basti osservare che, nel suo ambito, non sussiste conflitto, perche' vi e' una sola parte, o magari piu' parti che perseguono il medesimo scopo: funzione del giudice e' allora quella di un controllo, stante l'interesse generale in materia (ad es. in presenza di soggetti incapaci), volta alla rimozione di un ostacolo, al soddisfacimento di uno scopo perseguito da una o piu' parti. Tipiche, in tal senso, le autorizzazioni del giudice tutelare ex art. 320 c.c. Certo la previsione dell'art. 111 della Costituzione e' estranea a tali procedure. Differente natura rivestono i procedimenti ex art. 333 e 330 c.c.( di limitazione e decadenza della potesta'). Si e' talora sostenuto che anch'essi, non comportando la presenza di parti in conflitto, rientrerebbero nell'ambito della volontaria giurisdizione e l'intervento del giudice costituirebbe una forma di controllo del comportamento del genitore, nell'interesse preminente del minore. In realta' cosi' argomentando si confondono piani essenzialmente diversi. E' vero che l'interesse (anzi il diritto) del minore appare preminente su ogni altra posizione. E' la stessa Costituzione, in tal senso, a pronunciarsi: da un lato vi e' il diritto del minore allo sviluppo compiuto ed armonico della personalita', ad essere educato, mantenuto, istruito, secondo il combinato disposto degli artt. 2, 3, 30 Cost., dall'altro il diritto (che e' anche dovere) del genitore ad educare, mantenere ed istruire il figlio. E tuttavia in caso di "incapacita'" del genitore, tale diritto cede di fronte all'esigenza che siano comunque assolti i suoi compiti nei confronti del figlio. Le conseguenze potranno essere, tra l'altro la limitazione della potesta' (art. 333 c.c.), o, nei casi piu' gravi, la decadenza (art. 330 c.c.). Ma si dovrebbe per questo argomentare che il conflitto si risolva sempre e comunque a favore del figlio minore, che il giudice non e' terzo ne' imparziale e che si e' quindi fuori della previsione dell'art. 111 Cost.? Il rapporto processuale e' ben differente, dovendosi guardare ai soggetti della procedura: un genitore, un parente, il pubblico ministero nell'interesse del minore (il quale, com'e' noto, non e' parte nel procedimento) chiedono la limitazione o la decadenza della potesta' dell'altro genitore. Quest'ultimo ha certamente diritto a difendersi e a dimostrare che non c'e' comportamento pregiudizievole, abuso dei poteri o violazione di obblighi, e, piu' in generale, che egli e' pienamente capace di educare, mantenere, istruire il figlio. Di fronte a queste diverse prospettazioni, il giudice, che pur deve perseguire l'interesse del minore, ed e' investito in tal senso, di notevoli poteri anche officiosi, appare necessariamente (e processualmente) terzo ed imparziale. Dunque dovrebbe estendersi alla procedura ex art. 336 c.c. (in relazione degli artt. 333 e 330 c.c.) la previsione dell'art. 111 Cost. Ma, nel caso in esame, il modello procedurale e' ancora diverso: non si tratta di "incapacita'" di uno o di entrambi i genitori, ma di soggetti che contendono tra loro sull'affidamento del figlio, vantando, ciascuno di essi, una maggiore idoneita', non molto diversamente da quanto accade per i genitori uniti in matrimonio, in sede di separazione o divorzio, in caso di contrasto sull'affidamento dei figli. Ancor piu' palese appare l'esigenza che il giudice sia terzo ed imparziale, rispetto alle prospettazioni offerte da ciascun genitore. E invece il giudice minorile, talora confondendo appunto piano sostanziale e processuale, si e' trasformato in procuratore e "difensore" dei diritti del minore, riducendo drasticamente le garanzie difensive delle parti in conflitto. In taluni casi, il giudice minorile viene spinto a piegare il modello processuale a quella tensione finalistica che lo fa non tanto arbitro di conflitto tra diritti contrapposti, ma investito di un ruolo di governo di interessi sostanziali comunque sottratti all'autonomia privata. E si puo' aggiungere sul punto che a fronte della latitudine della norma sostanziale che individua come regola di giudizio l'apprezzamento dell'interesse del minore, e della sua lesione, il principio di legalita' deve essere reso particolarmente intenso, se si vuole mantenere il carattere giurisdizionale del procedimento, attraverso la garanzia del rito. La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 15 luglio 2000 (Scozzari e Giunta - Italia) ha in sostanza affermato la natura del diritto dei genitori a mantenere, istruire ed educare i figli, come diritto fondamentale (tale riconosciuto anche dall'art. 30 della nostra Carta costituzionale); ma trattandosi di diritto, destinato a cedere, sul piano sostanziale, di fronte alla "incapacita' dei genitori" (art. 30, secondo comma, Cost.), la sua natura di diritto fondamentale, e comunque di diritto soggettivo pieno, deve esprimersi compiutamente nell'essere le ragioni dell'affievolimento del diritto, accertate in un procedimento giudiziale che abbia, quanto meno, la prescrizione legislativa dei poteri processuali delle parti e del giudice (e consenta un controllo pieno delle parti sulla legalita' degli atti del procedimento). Dunque, per quanto si e' detto, a maggior ragione anche nella specie, e' pienamente operante la previsione del "giusto processo". E' consapevole questo giudice che talora la Corte costituzionale ha ritenuto che la procedura camerale ex art. 737 c.p.c. non violi il diritto alla difesa, che comunque potrebbe essere assicurato, nonostante la sua lacunosa disciplina (ad es. con riferimento all'art. 10, legge n. 184 del 1983 e alla fase anteriore alla dichiarazione di adottabilita', Corte costituzionale n. 351 del 1989; con riferimento all'art. 9, legge divorzio, Corte costituzionale n. 202 del 1975). Ma qui non tanto al diritto alla difesa si fa riferimento quanto, come si diceva all'esigenza del giusto processo "regolato dalla legge", nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti ad un giudice terzo ed imparziale. E' indubbio che la procedura in esame sia assai lontana dalla previsione costituzionale: laddove, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione le parti dovrebbero essere titolari di precise facolta' e poteri processuali e lo svolgimento del processo medesimo dovrebbe essere sempre controllabile sulla base di precise indicazioni normative e non rimesso alla discrezionalita' del giudice, cui le parti non debbono soggiacere, la procedura in esame(ex art. 737 ss. c.p.c. e 336 c.c.) e' sommaria e semplificata, non regolata dalla legge nelle forme, nei tempi cosi' come nelle modalita' di svolgimento, ma al contrario dalla pura discrezionalita' del giudice; nella fase istruttoria e decisoria, gli unici tratti regolati essendo la proposizione della domanda con ricorso, la nomina di un relatore, l'assunzione di informazioni (non necessariamente nel contraddittorio delle parti), la decisione con decreto motivato reclamabile davanti alla Corte d'appello, ma sempre modificabile e revocabile. Nella specie, poi, dovendo il giudice, pronunciarsi sull'affidamento dei figli, ai sensi dell'art. 317-bis c.c. la discrezionalita' si spinge fino ai contenuti stessi della decisione: infatti il giudice puo' affidare il minore ad uno dei genitori o comunque, valutato l'interesse del minore stesso, escludere entrambi dall'esercizio della potesta' e nominare un tutore ( al contrario nell'ipotesi di genitori uniti in matrimonio, l'affidamento del figlio ad un terzo sarebbe giustificato solo in presenza di gravi motivi, ex art. 155 c.c.). Del resto, occorre aggiungere che il procedimento si esaurisca nella descrizione contenuta all'art. 738. Anche l'attuazione di un embrionale contraddittorio, le cui forme, modi, tempi non sono disciplinati dalla legge, avviene con la mera convocazione dell'interessato, non essendo comunque prevista la necessita' di un difensore tecnico; e non essendo frequentemente avvertita la rilevanza stessa dell'atto processuale, e dei possibili effetti del procedimento stesso. Ne' varrebbe obiettare che il rito camerale, contrassegnato dalla estrema semplificazione della forma (art. 738), e da una disciplina che prescinde dalla previa determinazione dei poteri processuali spettanti alle parti interessate e' diventata tuttavia nel "diritto vivente" ( v. Cass. SS.UU. 21/1/1988 n. 424) un "contenitore neutro", che, adattandosi alla peculiarita' delle varie situazioni (e, dunque, nel processo minorile, alla preminente finalita' di tutela dell'interesse meta-individuale del minore) vede il giudice adottare le misure nel rispetto delle garanzie delle parti, del diritto alla difesa ed alla prova, alla natura non autoritaria del procedimento. Senonche', da un lato il deficit di garanzie legali del processo camerale si e', in concreto, tradotto nella adozione di prassi assai diversificate, talora distorte (come nel caso della segregazione delle relazioni dei servizi sociali, anche quando sono utilizzate come fonte di convincimento, o con la predeterminazione, di fatto, della soluzione definitiva, attuata con l'ampia e incontrollata estensione dell'area dei provvedimenti urgenti, emessi ex officio ed inaudita altera parte, e con la dilatazione discrezionale, nel tempo, di provvedimenti confermativi); e dall'altro, l'indeterminazione di regole non poste dalla legge, ma dedotte in via di interpretazione adeguatrice all'art. 24 Cost., lascia aperta la via a prassi applicative difformi per ogni giudice (o ufficio giudiziario), non consente di sanzionare con la rimessione al primo giudice la violazione, in primo grado, di regole di garanzia per la difesa, ne' di stabilire con certezza gli effetti della nullita' di singoli atti. Nel novellato quadro costituzionale, "giusto processo" non puo' essere che quello "regolato dalla legge": e quindi non si puo' non dubitare della legittimita' costituzionale processuale di una scelta normativa che affida la tutela dei diritti, in un settore fondamentale dell'ordinamento, ad un modello processuale nel quale la decisione sui diritti e' emessa a seguito di un processo le cui cadenze sono affidate esclusivamente ai poteri del giudice, tenuto bensi' a garantire i fondamentali diritti processuali delle parti, ma secondo modalita' non predeterminate, e rimesse al suo apprezzamento. La previsione costituzionale di una riserva di legge, in un contesto tanto delicato e rilevante, implica la necessita' che sia il legislatore a disciplinare le regole del procedimento. Appare dunque ammissibile la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 336 c.c., 737, 738 e 739 c.p.c. (in caso di conflitto tra genitori non uniti in matrimonio sull'affidamento di figli o piu' in generale, in ipotesi di limitazione della potesta' dei genitori) in relazione all'art. 111 della Costituzione novellato. Quanto alla rilevanza della questione, la Corte potrebbe limitarsi a precisare che, nella specie, va per l'appunto applicata la procedura di cui agli artt. 336 c.c. e 737 c.p.c. caratterizzata, come si e' sopra precisato, della piu' ampia discrezionalita' del giudice in ordine alle forme, termini, modalita'. Certo egli potrebbe fare buono o cattivo uso di tale discrezionalita' (ma qual e' il "buon uso" in mancanza di regole predeterminate?). Ma ritiene questa Corte di fornire indicazioni piu' specifiche e precise con riferimento al caso concreto. Il primo giudice ha fondato il provvedimento esclusivamente sulla relazione del servizio sociale: le parti non erano state informate della richiesta al servizio, e la relazione non e' stata portata a loro conoscenza com'e' prassi consolidata presso alcuni tribunali minorili, e sottratta quindi ad ogni rilievo e contestazione. Non si puo' certo sostenere che la "segretazione" dei documenti e delle relazioni sia "giustificata" dalla procedura ex art. 737 ss. c.p.c. Erra sicuramente il giudice, al riguardo, poiche' viola l'art. 76 disp. att. c.c., che consente il rilascio di copie di tutti gli atti contenuti nel fascicolo d'ufficio, senza esclusioni (Cass. n. 4643 del 1994). E tuttavia in un procedimento, regolato nei tempi e modalita' dalla legge, potrebbe essere ad esempio previsto uno scambio di memorie prima della decisione, che avrebbe potuto indirizzare il primo giudice ad un ripensamento e magari allo svolgimento di ulteriore attivita' istruttoria. Certo in questo grado, le parti, e in particolare la reclamante hanno potuto esaminare ogni documento in atti, ma in tutta la fase precedente non hanno potuto adeguatamente svolgere la loro difesa. E tuttavia non si potrebbe superare il vizio di una prima fase in cui non si e' compiutamente realizzato il principio del contraddittorio (anche perche' questa Corte non potrebbe per questo annullare la decisione e rimettere le parti stesse davanti al primo giudice), e comunque l'ampia discrezionalita' e l'assenza di regolamentazione caratterizza pure questo grado. Certo questa Corte e' ben consapevole che il procedimento ordinario contenzioso, con i suoi formalismi e le sue lungaggini (anche dopo la riforma del 1990) non sarebbe adatto a regolare controversie come la presente (ma a ben vedere, neppure quelle di separazione e divorzio, almeno per la parte relativa ai minori) e che de jure condendo il legislatore potrebbe opportunamente coniugare l'esigenza di regole precise e determinate con quella di agilita' e snellezza, assolutamente funzionale ad una efficace tutela, anche processuale, del minore. E' pure consapevole che una eventuale dichiarazione di illegittimita' della norma da parte della Corte costituzionale produrrebbe un sicuro vuoto normativo: ritiene peraltro che non possa non essere rimessa all'apprezzamento del giudice della legge la permanenza nell'ordinamento di una procedura che si pone in contrasto con i novellati principi costituzionali, e segnatamente con l'art. 111 Cost. Va pertanto sospeso il presente procedimento, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.