ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli articoli 4, comma
1,  lettere  a), b), c), d), f); 7, comma 1, lettera b); commi 5 e 8;
10  e  11  del  d.lgs.  23 dicembre  1997,  n. 469 (Conferimento alle
regioni  e  agli  enti  locali  di  funzioni  e compiti in materia di
mercato  del  lavoro),  promosso con ricorso della Regione Lombardia,
notificato  il  7 febbraio  1998,  depositato  in  cancelleria  il 13
successivo ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi 1998.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  16 gennaio  2001  il  giudice
relatore Carlo Mezzanotte;
    Uditi  l'avvocato  Beniamino  Caravita  di Toritto per la Regione
Lombardia  e  l'avvocato  dello  Stato  Ignazio  F.  Caramazza per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto


    1.  -  Con  ricorso notificato il 7 febbraio 1998 e depositato il
13 febbraio  1998,  la  Regione  Lombardia  ha  proposto questione di
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento agli articoli 76, 115,
117,  118, 119, 123 e 128 della Costituzione, degli articoli 4, comma
1,  lettere  a), b), c), d), f); 7, comma 1, lettera b), commi 5 e 8;
10  e  11,  del  d.lgs.  23 dicembre  1997  n. 469 (Conferimento alle
regioni  e  agli  enti  locali  di  funzioni  e compiti in materia di
mercato del lavoro).
    L'art. 4,   comma  1,  attribuisce  alle  regioni  la  disciplina
legislativa  dell'organizzazione  amministrativa e delle modalita' di
esercizio  delle  funzioni  e  dei  compiti  conferiti, e definisce i
principi  e  criteri direttivi ai quali il legislatore regionale deve
attenersi.  La ricorrente lamenta che tale disposizione, nell'imporre
alla  Regione  la  costituzione di strutture operanti nel campo delle
politiche   del   lavoro,   detti   prescrizioni   cosi'   analitiche
dell'organizzazione  e  delle modalita' di esercizio delle funzioni e
dei  compiti conferiti da comprimere incostituzionalmente l'autonomia
regionale. Sono oggetto di censura, in particolare, la lettera b), la
quale  impone  che all'interno della commissione regionale tripartita
che la legge regionale dovra' istituire sia assicurata la presenza di
un  rappresentante  regionale  delle  parti  sociali  competente  per
materia  e  del  consigliere di parita' nominato ai sensi della legge
10 aprile  1991,  n. 125  (Azioni positive per la realizzazione della
parita'  uomo-donna  nel  lavoro);  la lettera c), che indica - quali
membri  dell'organismo  istituzionale finalizzato a rendere effettiva
l'integrazione  tra  i servizi all'impiego, le politiche del lavoro e
le   politiche  formative  -  i  rappresentanti  istituzionali  della
Regione, delle province e degli altri enti locali; la lettera d), che
attribuisce   personalita'   giuridica  e  autonomia  patrimoniale  e
contabile  alla  struttura  organizzativa  di assistenza tecnica e di
monitoraggio  sulle  politiche  attive  del  lavoro. A giudizio della
ricorrente   la   definizione,   con   il   d.lgs.  impugnato,  della
articolazione  organizzativa  delle  competenze  trasferite  e  della
stessa  natura  giuridica  delle strutture delle quali si impone alla
Regione   la  costituzione,  darebbe  luogo  ad  una  violazione  del
principio  di  autonomia  organizzativa  delle regioni radicato negli
artt. 115 e 123 della Costituzione.
    L'art. 4, comma 1, lettera a), stabilisce che la legge regionale,
nel  disciplinare  l'organizzazione  amministrativa e le modalita' di
esercizio  delle  funzioni  e  dei compiti conferiti, deve attribuire
alle  Province  le funzioni ed i compiti relativi al collocamento. La
ricorrente  ritiene  che  tale  disposizione  determini una eccessiva
rigidita'  nel subconferimento di funzioni e compiti agli enti locali
al quale la Regione deve procedere e percio' ne denuncia il contrasto
con  gli artt. 115, 118, commi 2 e 3, e 128 della Costituzione, oltre
che  con  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  in  tema  di  delega
legislativa a carattere devolutivo.
    L'art. 4,  comma  1,  lettera  f),  prevede  che la distribuzione
territoriale dei centri per l'impiego debba compiersi "sulla base dei
bacini provinciali con utenza non inferiore a 100.000 abitanti, fatte
salve  motivate esigenze socio geografiche". La rigida individuazione
delle   dimensioni   ottimali   dei   bacini  di  utenza  per  ambito
provinciale,  secondo  la  ricorrente,  sarebbe  tale  da  privare la
Regione  di  qualunque  potesta'  di programmazione sul territorio ed
integrerebbe  una  violazione  della propria autonomia organizzativa,
con  lesione  degli  artt. 115  e 123 della Costituzione. La medesima
disposizione sarebbe viziata, inoltre, per eccesso di delega, per non
avere osservato la previsione dell'art. 4, comma 3, lettera b), della
legge  15 marzo 1997, n. 59 (delega al Governo per il conferimento di
funzioni  e  compiti  alle regioni e agli enti locali, per la riforma
della    pubblica    amministrazione   e   per   la   semplificazione
amministrativa). Questa disposizione impone al Governo di rispettare,
nell'attivita'  di  conferimento,  il  "principio di completezza, con
l'attribuzione  alle regioni (...) delle funzioni di programmazione",
tra  le  quali, assume la ricorrente, rientrerebbe la possibilita' di
fissare i bacini di utenza.
    La  Regione  Lombardia censura inoltre l'art. 7 del d.lgs. n. 469
del  1997,  denunciandone  il  contrasto con gli artt. 117, 118 e 119
della   Costituzione,  in  quanto  esso  introdurrebbe  modalita'  di
trasferimento  del  personale  assolutamente generiche. La ricorrente
lamenta  che  tale  articolo, al comma 1, lettera b), nel disporre in
ordine al trasferimento del personale effettivo appartenente ai ruoli
del   Ministero  del  lavoro  e  della  previdenza  sociale,  Settore
politiche  del  lavoro,  quale risultante al 30 giugno 1997, fissa il
criterio del trasferimento in un mero dato percentuale (la misura del
70%), senza definire altri criteri di ordine qualitativo. In tal modo
la  disposizione  censurata, quantificando a priori le percentuali di
personale   da   trasferire,   senza  considerare  le  diversita'  di
qualifiche  e di specializzazione del personale medesimo, mostrerebbe
"di   non   aver  tenuto  alcun  conto  delle  funzioni  in  concreto
trasferite"   e  di  non  avere  adeguatamente  considerato  l'intima
connessione  esistente  fra  il  conferimento  delle  funzioni  e  il
trasferimento   del  personale.  Egualmente  censurabile  sarebbe,  a
giudizio  della Regione ricorrente, il combinato disposto dei commi 5
e  8  del  medesimo  art. 7.  Il comma 5 stabilisce che "al personale
trasferito  e'  comunque  garantito  il  mantenimento della posizione
retributiva  gia'  maturata";  il comma 8, nel valutare le risorse da
trasferire,  le  fissa "nel limite massimo delle spese effettivamente
sostenute  dal  Ministero  del  lavoro  e  della  previdenza  sociale
nell'esercizio   finanziario  1997,  per  le  funzioni  e  i  compiti
conferiti".  Secondo la Regione Lombardia, tale meccanismo di computo
non terrebbe conto delle maggiori spese derivanti dal mantenimento al
personale  trasferito  della  posizione retributiva maturata all'atto
del  trasferimento  e  tale maggiore  spesa resterebbe a carico della
Regione, con violazione dell'art. 119 della Costituzione.
    La  Regione  dubita,  infine,  della  legittimita' costituzionale
degli  artt. 10  e 11, in riferimento all'art. 76 della Costituzione,
in  relazione  all'art. 3, comma 1, lettera g), della legge n. 59 del
1997.  L'art. 10 stabilisce che l'attivita' di mediazione tra domanda
ed  offerta  di  lavoro  possa  essere  svolta  da  imprese, societa'
cooperative  con  capitale  versato  non inferiore a 200 milioni e da
enti  non  commerciali  con  patrimonio  non inferiore a 200 milioni,
richiedendo  all'uopo  una  apposita autorizzazione del Ministero del
lavoro  e  della  previdenza  sociale e disciplinando in dettaglio la
procedura per il rilascio dell'autorizzazione, i requisiti soggettivi
e  oggettivi  necessari  e i principi ai quali le imprese autorizzate
dovranno   attenersi  nell'esercizio  di  tale  attivita'.  L'art. 11
disciplina  il Sistema informativo lavoro (S.I.L.), uno strumento per
l'esercizio  di  funzioni  di  indirizzo  politico-amministrativo con
caratteristiche  unitarie  a livello nazionale, al quale il Ministero
del  lavoro  e  della previdenza sociale, le Regioni, gli enti locali
nonche'  i soggetti autorizzati alla mediazione tra domanda e offerta
di lavoro hanno l'obbligo di connettersi. Entrambi gli articoli teste
menzionati  fanno  espresso  rinvio  all'art. 3, comma 1, lettera g),
della  legge  n. 59  del  1997,  il  quale  prevede che con i decreti
delegati possano essere "individuate le modalita' e le condizioni per
il  conferimento  a  idonee  strutture  organizzative  di  funzioni e
compiti che non richiedano, per la loro natura, l'esercizio esclusivo
da parte delle regioni e degli enti locali".
    La  Regione  ricorrente  osserva  che, in seguito al conferimento
operato  dagli  artt. 1  e  2  del d.lgs. n. 469 del 1997, la maggior
parte  delle  funzioni  e dei compiti relativi al collocamento e alle
politiche   attive   del   lavoro  sarebbero  state  trasferite  alla
competenza  regionale  e  sostiene  che  gli impugnati artt. 10 e 11,
attribuendo  al  Ministero  del  lavoro e della previdenza sociale la
quasi  totalita'  delle  competenze  sia  in  materia di attivita' di
mediazione tra domanda e offerta di lavoro, sia in materia di sistema
informativo   lavoro,   invertirebbero   l'ordine   delle  competenze
desumibile dal d.lgs. e risulterebbero inoltre viziati per eccesso di
delega,   in   quanto  pretenderebbero  di  ricavare  dalla  generica
formulazione  di  cui  all'art. 3, comma 1, lettera g), sopra citata,
una  autorizzazione  generale  alla  riforma  sostanziale del settore
della  mediazione  tra  domanda  e offerta di lavoro, privando in tal
modo  il parlamento di ogni possibilita' di interlocuzione su temi di
tale spessore socio-economico.

    2.  -  Si e' costituita la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata   e   difesa   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato inammissibile o comunque
infondato.
    Quanto  al primo motivo di censura, relativo all'art. 4, comma 1,
lettere  b),  c)  e  d),  del  decreto  impugnato, la difesa erariale
ricorda  la  sentenza  n. 177  del 1988, con la quale questa Corte ha
affermato che non si realizza una violazione dell'autonomia regionale
costituzionalmente  garantita  per  il  solo  fatto che nelle materie
attribuite  alla  competenza  della Regione sia intervenuta una legge
statale  contenente  disposizioni  di  dettaglio,  tanto  piu' ove si
consideri   che   la   materia  del  mercato  del  lavoro,  ai  sensi
dell'art. 117   della   Costituzione,   non  rientra  tra  quelle  di
competenza   regionale.   Secondo   l'Avvocatura   dello   Stato   le
prescrizioni di natura organizzativa relative alla costituzione degli
organi  previsti  nel  citato  art.  4,  che  la  ricorrente  ritiene
comprimano  illegittimamente  la  propria  autonomia, risponderebbero
all'esigenza  di  assicurare  una  disciplina omogenea sul territorio
attraverso   strutture  volte  al  soddisfacimento  di  un  interesse
primario  costituzionalmente garantito, qual e' il diritto al lavoro.
Non  sarebbe  possibile  -  a  giudizio dell'Avvocatura - invocare in
contrario  la  giurisprudenza di questa Corte che vieta allo Stato di
ripartire le funzioni regionali fra gli organi interni della Regione,
perche'  tale giurisprudenza farebbe riferimento agli organi previsti
dall'art. 121  della  Costituzione  e comunque gia' istituiti, mentre
nella   specie   si   sarebbe   in   presenza   di  organi  regionali
"soprannumerari",    la    cui   istituzione   sarebbe   coessenziale
all'identificazione stessa della funzione.
    La  difesa  erariale contesta anche il secondo motivo di censura,
che  ha  ad oggetto l'art. 4, comma 1, lettera a), del decreto n. 469
del  1997,  nella  parte  in cui impone alle Regioni di esercitare le
funzioni   relative   al   collocamento,   oggetto  di  conferimento,
esclusivamente  mediante  delega  alle province. L'Avvocatura osserva
che,  se  e'  possibile  in  generale  allo  Stato,  con disposizioni
legislative,  "ritagliare"  le  funzioni  amministrative di interesse
locale  e  attribuirle  alle  province,  ai  comuni e agli altri enti
locali,  anche  quando le funzioni riguardino le competenze riservate
dall'art. 117  alle  Regioni,  a piu' forte ragione, nella disciplina
del  collocamento, che non rientra tra le materie riservate, dovrebbe
riconoscersi  al  legislatore  statale  la potesta' di individuare le
province  quale  soggetto destinatario delle relative funzioni, senza
violare  con  cio'  alcun  principio  costituzionale. Tale intervento
risulterebbe  anzi  coerente con il principio di sussidiarieta' e con
la  giurisprudenza  costituzionale,  secondo la quale una delega puo'
ritenersi  devolutiva  o  traslativa  solo  se le competenze delegate
costituiscono  un'integrazione  necessaria  di funzioni proprie delle
regioni, cio' che non si darebbe nella specie.
    In  ordine  all'impugnazione dell'art. 4, comma 1, lettera f), la
difesa  erariale  rileva  che  l'individuazione  delle province e dei
centri  per  l'impiego  con  utenza  non inferiore a 100.000 abitanti
quali  soggetti  destinatari  delle competenze gestionali relative al
collocamento  rispecchierebbe  il  vigente  assetto  organizzativo  e
sarebbe   finalizzata  alla  realizzazione  di  una  efficiente  rete
organizzativa  di servizi per l'impiego, cosi' da apparire funzionale
ad un interesse nazionale.
    L'Avvocatura dello Stato ritiene infondata anche la censura mossa
all'art. 7,  comma  1,  lettera  b),  ed  osserva innanzitutto che la
disposizione  impugnata  prevede  una  procedura  concertativa con le
organizzazioni    sindacali   per   individuare   le   modalita'   di
trasferimento  del  personale,  e che comunque la concreta attuazione
delle  previsioni  del d.lgs. impugnato e' stata demandata ad un atto
secondario  che,  previa  consultazione  e  parere  della  conferenza
Stato-regioni ed autonomie locali, ha puntualmente individuato i beni
e  le  risorse  finanziarie, umane e strumentali da conferire. Quanto
poi   alla  censura  relativa  alla  mancata  copertura  degli  oneri
finanziari  da  parte  del medesimo art. 7, commi 5 e 8, l'Avvocatura
rileva che il limite massimo delle spese effettivamente sostenute dal
Ministero  del  lavoro  e  della  previdenza  sociale  nell'esercizio
finanziario 1997 e' indicato con riferimento alle "funzioni e compiti
conferiti"  e  non  anche  al  trattamento  retributivo  inerente  il
trasferimento  del  personale,  il  cui onere potra' essere calcolato
solo  quando  materialmente  si  procedera' al trasferimento, tenendo
conto della posizione retributiva maturata.
    In ordine alla impugnazione degli artt. 10 e 11, che disciplinano
l'esercizio   dell'attivita'  di  mediazione  privata  e  il  sistema
informativo  di  monitoraggio  del  mercato  del lavoro, l'Avvocatura
dello  Stato,  pur  riconoscendo  che le insufficienze del sistema di
collocamento  attuale  hanno  reso  necessario  il  conferimento alle
regioni  di  tale  materia,  afferma  che l'esigenza di mantenere una
disciplina  uniforme  in  tale ambito deriverebbe dalla necessita' di
dettare  alcune  disposizioni  di  garanzia  per i lavoratori, che li
proteggano  contro  eventuali abusi ai loro danni, e dal fatto che e'
stata  conservata  allo  Stato  la competenza in tema di attivita' di
vigilanza e di applicazione delle relative sanzioni.
    Infine,  per quanto concerne le censure mosse alla disciplina del
S.I.L.,  la difesa erariale contesta l'assunto regionale per il quale
il   ruolo  della  Regione  sarebbe  in  tale  settore  assolutamente
marginale,   notando  in  contrario  come,  pur  restando  il  S.I.L.
nell'ambito di competenza del Ministero del lavoro e della previdenza
sociale,  l'impugnato  art. 11  prevede un ampio coinvolgimento delle
regioni  con l'attribuzione alle stesse delle attivita' di conduzione
e  manutenzione  degli  impianti  nonche'  dello sviluppo autonomo di
parti del sistema informativo.

    4.  -  Nella  memoria  depositata in prossimita' dell'udienza, la
Regione   Lombardia   rileva  preliminarmente  che,  nelle  more  del
giudizio,  sono  sopravvenute l'approvazione della legge regionale di
puntuale  individuazione  delle  funzioni  trasferite o delegate agli
enti  locali e di quelle mantenute in capo alla Regione stessa (legge
regionale  15 gennaio  1999,  n. 1,  recante "politiche regionali del
lavoro   e  dei  servizi  per  l'impiego")  e  l'adozione  di  alcuni
provvedimenti  di  attuazione  del  d.lgs.,  nonche' alcune modifiche
della disciplina dallo stesso introdotta, cosi' da rendere necessario
un riesame delle censure a suo tempo mosse al d.lgs. n. 469 del 1997.
    La  Regione  ritiene  che  l'attuazione  data  alle  disposizioni
impugnate con la legge regionale n. 1 del 1999 non abbia fatto venire
meno  l'interesse  al  ricorso,  assumendo  di  aver  proceduto  alla
approvazione  della  legge  per  evitare  che  la  ripartizione delle
funzioni  fosse  imposta  dal  legislatore statale nell'esercizio dei
poteri  sostitutivi  previsti dall'art. 4, comma 5, della legge n. 59
del 1997.
    Passando  all'esame  delle singole censure, la ricorrente insiste
nel  denunciare  il  carattere eccessivamente dettagliato e analitico
dei "criteri e principi" dettati dall'art. 4, comma 1, lettere b), c)
e  d), e nega qualunque pregio al rilievo dell'Avvocatura dello Stato
secondo   il  quale  si  sarebbe  in  presenza  di  organi  regionali
soprannumerari,   la   cui   istituzione   sarebbe  coessenziale  con
l'identificazione stessa della funzione, notando in contrario come il
trasferimento   delle   funzioni   amministrative  dovrebbe  comunque
lasciare alla Regione la possibilita' di formulare, con propria legge
e secondo le proprie esigenze, l'organizzazione regionale in materia,
risultandone altrimenti lesa l'autonomia costituzionalmente garantita
alla Regione.
    Quanto  all'impugnazione  dell'art. 4,  comma  1, lettera a), che
conferisce  alle  province  le  funzioni  ed  i compiti in materia di
collocamento,  la Regione rileva che l'orientamento accolto da questa
Corte  con  la  sentenza  n. 408  del 1998, ove si e' statuito che la
scelta  dei  modelli di riparto di funzioni rientra nell'ambito delle
legittime  scelte  di  politica istituzionale, impedisce di insistere
nelle  censure  mosse  a tale disposizione nell'atto introduttivo del
giudizio.
    Quanto  infine  alla questione proposta in riferimento all'art. 7
del  d.lgs.  n. 469 del 1997, la Regione Lombardia ritiene che, anche
in  seguito  alle  modifiche  che  il  d.l.  1o luglio  1999,  n. 214
(disposizioni  urgenti  per disciplinare la soppressione degli uffici
periferici  del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e per
incentivare   il  ricorso  all'apprendistato),  convertito  in  legge
dall'art. 1  della legge 2 agosto 1999, n. 263 (conversione in legge,
con   modificazioni,   del   d.l.  1o luglio  1999,  n. 214,  recante
"disposizioni  urgenti  per disciplinare la soppressione degli uffici
periferici  del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e per
incentivare  il  ricorso  all'apprendistato".  Modifiche  alla  legge
17 maggio 1999, n. 144), ha apportato al comma 8 dello stesso art. 7,
il   parametro  indicato  per  la  individuazione  delle  risorse  da
trasferire  non  sia cambiato e quindi possano essere confermate, nei
confronti  del  combinato disposto dei citati commi 5 e 8, le censure
gia' mosse nell'atto introduttivo del presente giudizio.

    5.  -  Alla udienza pubblica del 16 gennaio 2001 la ricorrente ha
insistito nel negare che la circostanza che la legge regionale si sia
conformata alle disposizioni impugnate debba essere interpretata come
rinuncia  alle  censure  gia'  mosse  nei  confronti delle stesse nel
ricorso  introduttivo,  osservando come permanga in capo alla Regione
l'interesse alla rimozione dell'atto impugnato, onde poter esercitare
nuovamente la propria potesta' legislativa in materia.
    La   difesa  della  Regione  Lombardia  ha  depositato  pure  una
rettifica  della  impugnazione,  con  la quale comunica che la giunta
regionale  ha  rinunciato  a censurare gli artt. 10 e 11, oggetto del
ricorso,  poiche'  tali  disposizioni  sarebbero  state introdotte in
adempimento della decisione della Corte di giustizia dell'11 dicembre
1997, sicche' l'eventuale accoglimento della questione proposta ed il
conseguente  annullamento  delle citate disposizioni potrebbe esporre
l'Italia  ad  una condanna in sede comunitaria, eventualita', questa,
che la Regione ricorrente desidera evitare in radice rinunciando alla
impugnazione.
    La  Regione  ha  inoltre  dichiarato di non voler insistere nella
censura rivolta all'art. 7, nel combinato disposto dei commi 5 e 8, e
di  accedere  alla  interpretazione prospettata dall'Avvocatura dello
Stato  per  la  quale le disposizioni censurate farebbero riferimento
alle  risorse da trasferire per le funzioni ed i compiti conferiti, e
non  anche  al  trattamento retributivo inerente al trasferimento del
personale, oggetto di una separata attribuzione di risorse.

                       Considerato in diritto


    1.  -  In  seguito  alla  rinuncia all'impugnazione relativa agli
artt.  10  e  11, il ricorso della Regione Lombardia investe solo gli
art.  4, comma 1, lettere a), b), c), d), f); 7, comma 1, lettera b);
7,  commi  5  e  8, del d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469 (conferimento
alle  regioni  e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di
mercato  di lavoro), di cui si denuncia il contrasto con gli articoli
76, 115, 117, 118, 119, 123 e 128 della Costituzione.

    2.  -  Preliminare  allo  scrutinio del merito e' la questione se
l'attuazione  del  d.lgs.  n. 469  del  1997  ad  opera  della  legge
regionale  15 gennaio  1999,  n. 1,  abbia  fatto  venire  meno nella
Regione Lombardia l'interesse a ricorrere.
    Per  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  nei giudizi di
legittimita'  costituzionale instaurati in via principale non possono
avere  rilievo istituti come quelli dell'inammissibilita' del ricorso
per  acquiescenza  o  per il carattere confermativo del provvedimento
impugnato (sentenze n. 382 del 1999, n. 224 del 1994, n. 49 del 1987,
n. 36 del 1982, n. 50 del 1959 e n. 44 del 1957).
    Quando dunque, nell'esercizio della propria potesta' legislativa,
la  ricorrente  attui  o  si  conformi  alle  disposizioni oggetto di
impugnativa  nel  ricorso  in  via  principale,  non  puo' senz'altro
ritenersi  cessata  la  materia  del  contendere,  dovendo  piuttosto
verificarsi,  ai  fini della permanenza dell'interesse al ricorso, se
dalla   eventuale   dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'atto    impugnato   consegua   la   reintegrazione   dell'ordine
costituzionale delle competenze asseritamente violato.
    Nella  specie,  pur  avendo dato attuazione, con legge, al d.lgs.
oggetto di impugnativa, la Regione Lombardia conserva un interesse al
ricorso, anche se non per il fatto dedotto dalla difesa regionale che
tale   legge   sarebbe   stata  approvata  per  evitare  l'intervento
sostitutivo  statale  previsto  dall'art. 4,  comma 5, della legge di
delega  n. 59 del 1997. L'intervento sostitutivo, disposto con d.lgs.
6 ottobre 1998, n. 379, precede infatti la legge regionale attuativa.
E'   invece  risolutivo  il  rilievo  che  permane  nella  ricorrente
l'interesse  ad  una  declaratoria  di illegittimita' costituzionale,
che,   rimuovendo   la  disposizione  di  fonte  statale  compressiva
dell'autonomia  regionale,  reintegri  la  Regione nella sua potesta'
legislativa  e  consenta ad essa di esercitarla, eventualmente, anche
per modificare la legge regionale gia' approvata.

    3.  -  Nel  merito,  la  prima questione concerne l'art. 4, primo
comma,  lettere  b),  c) e d), del quale si denuncia il contrasto con
gli  artt. 115  e  123  della Costituzione e con i principi affermati
dalla  Corte  costituzionale  in  materia  di autonomia organizzativa
delle regioni.
    Le  tre  menzionate  disposizioni,  che danno corpo ad alcuni dei
principi ai quali il d.lgs. n. 469 vincola l'esercizio della potesta'
legislativa   della   Regione,  demandano  alla  legge  regionale  la
costituzione  di  strutture  operanti  nel  campo delle politiche del
lavoro.
    L'art. 4, comma 1, lettera b), definisce la commissione regionale
permanente  tripartita  quale  sede  concertativa  di  progettazione,
proposta, valutazione e verifica rispetto alle linee programmatiche e
alle  politiche  del  lavoro di competenza regionale e dispone che la
composizione   di   tale  organo  debba  prevedere  la  presenza  del
rappresentante  istituzionale  della  Regione nell'organismo indicato
nella  successiva  lettera  c)  del  medesimo  articolo,  delle parti
sociali,  sulla  base  della rappresentativita' determinata secondo i
criteri previsti dall'ordinamento, rispettando la pariteticita' delle
posizioni  delle  parti  sociali  stesse, e infine del consigliere di
parita' nominato ai sensi della l. 10 aprile 1991, n. 125.
    L'art. 4,  comma  1,  lettera  c), prevede che la legge regionale
debba  costituire  un organismo "finalizzato a rendere effettiva, sul
territorio,  l'integrazione  fra  i servizi all'impiego, le politiche
attive   del   lavoro   e   le   politiche   formative,  composto  da
rappresentanti  istituzionali  della  regione, delle province e degli
enti locali".
    L'art. 4,  comma  1,  lettera  d),  vincola  la legge regionale a
disporre  l'affidamento  delle  funzioni  di  assistenza tecnica e di
monitoraggio,  nelle materie delle politiche attive del lavoro, ad un
ente  regionale,  dotato  di  personalita'  giuridica,  con autonomia
patrimoniale  e contabile, e affida ad esso il compito di collaborare
al  raggiungimento  della  integrazione tra servizi per l'impiego, le
politiche  attive del lavoro e le politiche formative e di garantire,
tra l'altro, il collegamento con il sistema informativo del lavoro di
cui all'art. 11.
    La  Regione  ricorrente  assume  che  tali previsioni dettino una
disciplina  cosi'  analitica dell'organizzazione e delle modalita' di
esercizio   delle  funzioni  e  dei  compiti  ad  essa  conferiti  da
comprimere  oltre  il limite costituzionalmente consentito la propria
autonomia organizzativa.
    3.1. - La questione e' fondata.
    Decisiva,   per   l'inquadramento   sistematico  delle  censurate
disposizioni,  e'  la  formulazione  del primo comma dell'art. 4, la'
dove si prevede che l'organizzazione amministrativa e le modalita' di
esercizio  delle funzioni e dei compiti conferiti ai sensi del citato
decreto  n. 469  sono disciplinate con legge regionale "anche al fine
di   assicurare  l'integrazione  tra  i  servizi  per  l'impiego,  le
politiche  attive  del  lavoro  e  le  politiche  formative". Da tale
formulazione  si  evince  che una delle finalita' del conferimento di
funzioni  e  compiti  disposto  dal  d.lgs.  censurato  e'  quella di
superare  la  dissociazione  che  si  e' registrata in passato tra le
funzioni  relative  al  collocamento  -  di  spettanza statale - e le
funzioni  in materia di formazione lavoro - di competenza regionale -
e  di  accrescere  cosi'  l'efficienza  del  mercato del lavoro. Tale
obiettivo,  enunciato  in  via  generale nell'incipit dell'art. 4, e'
ribadito  in  ciascuna  delle  disposizioni  impugnate. E' nuovamente
esplicitato  nella  lettera  b),  che indica la commissione regionale
permanente  tripartita  "quale  sede  concertativa  di progettazione,
proposta, valutazione e verifica rispetto alle linee programmatiche e
alle politiche del lavoro di competenza regionale"; nella lettera c),
che pone all'organismo istituzionale, del quale prevede la creazione,
l'obiettivo di "rendere effettiva, sul territorio, l'integrazione tra
i  servizi all'impiego, le politiche attive del lavoro e le politiche
formative";  nella  lettera d), con la quale si dispone l'affidamento
delle funzioni di assistenza tecnica nel campo delle politiche attive
del   lavoro  ad  una  struttura  regionale  "avente  il  compito  di
collaborare  al  raggiungimento dell'integrazione di cui al comma 1",
vale  a  dire  alla  integrazione  tra  i  servizi  per l'impiego, le
politiche attive del lavoro e le politiche formative.
    Il  legislatore statale affida dunque alla legislazione regionale
il  compito  di  favorire  l'integrazione tra funzioni delegate dallo
Stato  (quelle  relative  al collocamento e alle politiche attive del
lavoro)  e  attribuzioni costituzionalmente spettanti alle regioni ex
art. 117,  primo comma, della Costituzione, quali sono le funzioni ed
i  compiti  in  materia  di  formazione  professionale.  La direzione
finalistica   in  tal  modo  impressa  all'esercizio  della  potesta'
legislativa  regionale,  con il coinvolgimento di competenze proprie,
postula  che  sia  conservata  alle  regioni  quella discrezionalita'
organizzativa  che  deve  essere ad esse riconosciuta nelle materie e
per le funzioni di cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione.
Non puo' essere infatti consentito, in tali materie, ridurre l'ambito
della  scelta  politica del legislatore regionale ad una attivita' di
pura esecuzione di una disciplina statale di dettaglio.
    La  ripartizione delle funzioni tra i vari organi delle regioni e
delle province autonome, come ripetutamente affermato da questa Corte
(sentenze  n. 461  del 1995, n. 356 del 1994, n. 355 del 1993, n. 461
del  1992 e n. 407 del 1989), rientra nella sfera dell'organizzazione
interna, riservata agli statuti e alle leggi regionali e provinciali,
sicche'  non  spetta  alla  fonte  statale determinare anche, con una
disposizione  di  dettaglio, l'organo della Regione o della provincia
autonoma  al quale le funzioni conferite devono essere affidate. E se
questo   principio   deve   trovare   applicazione   in  una  materia
costituzionalmente  riservata  alla  Regione  ai sensi dell'art. 117,
primo  comma,  della  Costituzione,  esso non puo' non valere quando,
come   nella  specie,  il  conferimento  coinvolga  insieme  funzioni
delegate  e  funzioni  proprie  e sia effettuato in vista della piena
integrazione  di  entrambe. In questi casi, ferma la possibilita' per
lo  Stato  di  delineare il modello organizzativo con disposizioni di
principio, deve residuare alla Regione uno spazio di libera scelta in
ordine  alla  disciplina  dell'organizzazione,  che  non  puo' essere
compresso senza pregiudicarne lo Statuto costituzionale di autonomia.
    Ed  e'  proprio  la  compressione  di  tale  spazio  che vizia le
disposizioni  dell'art. 4,  comma  1,  lettere b), c) e d). La prima,
nell'imporre   alla   Regione  la  costituzione  di  una  commissione
permanente tripartita, definisce puntualmente la composizione di tale
organo,   prevedendo   la   obbligatoria   presenza   in   esso   del
rappresentante  regionale  competente per materia di cui alla lettera
c),   delle   parti  sociali,  sulla  base  della  rappresentativita'
determinata  secondo  i  criteri  previsti  dall'ordinamento,  e  del
consigliere di parita' nominato ai sensi della legge n. 125 del 1991,
e  sottrae  in  tal  modo  alla  Regione  ogni potesta' organizzativa
diversa dalla mera attuazione. La seconda, senza limitarsi a disporre
la  costituzione di un organismo istituzionale per l'integrazione fra
le  politiche  del  lavoro  e  le  politiche  formative, prescrive di
designare  quali  componenti  i  rappresentanti  istituzionali  della
Regione,  delle  province  e  degli altri enti locali; la lettera d),
infine,  stabilisce  direttamente,  anziche'  rimetterli  alla  legge
regionale,  la natura giuridica ed il regime patrimoniale e contabile
della struttura cui saranno affidate funzioni di assistenza tecnica e
monitoraggio nelle politiche attive del lavoro.
    In conclusione, le disposizioni dell'art. 4, comma 1, lettere b),
c)  e  d), vulnerano l'autonomia organizzativa delle regioni oltre il
limite  costituzionalmente  consentito  e  devono  essere  dichiarate
costituzionalmente illegittime.

    4. - Altra questione e' relativa all'art. 4, comma 1, lettera a),
del quale si denuncia il contrasto con gli artt. 115, 118 e 128 della
Costituzione.  La  disposizione  censurata stabilisce, in una materia
estranea  all'art. 117, primo comma, della Costituzione, che la legge
regionale,  nel  disciplinare  l'organizzazione  amministrativa  e le
modalita'  di  esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti, deve
attribuire  alle  province  le  funzioni  ed  i  compiti  relativi al
collocamento.
    4.1. - La questione non e' fondata.
    Questa Corte ha gia' rilevato che, in relazione alle modalita' ed
ai  criteri di conferimento delle funzioni ad opera della legge n. 59
del  1997, alla legge statale non e' inibito determinare direttamente
le  competenze amministrative degli enti locali onde garantirle anche
nei  confronti  del legislatore regionale (sentenza n. 408 del 1998).
Gia'  nel  ricorso  non  venivano  addotti  argomenti  che  potessero
fondatamente  indurre  a  ritenere  che, in una materia estranea alle
funzioni  proprie  della  Regione,  la  disposizione censurata avesse
violato l'autonomia regionale nell'imporre alla Regione di attribuire
alle  province le funzioni amministrative in materia di collocamento.
In  sede  di  discussione  orale,  la  stessa  difesa  della  Regione
Lombardia  ha  preso  atto  del chiaro orientamento gia' espresso sul
punto da questa Corte.

    5.  -  Una terza questione investe l'art. 4, comma 1, lettera f),
il  quale stabilisce che la distribuzione territoriale dei centri per
l'impiego  debba  compiersi  "sulla  base  dei bacini provinciali con
utenza  non  inferiore  a  100.000  abitanti,  fatte  salve  motivate
esigenze  socio  geografiche".  La  Regione  Lombardia ne contesta la
legittimita'   per   contrasto   con  gli  artt. 76  [in  riferimento
all'art. 4,  comma  3, lettera b), della legge n. 59 del 1997], 115 e
123 della Costituzione e con la giurisprudenza costituzionale in tema
di   autonomia  organizzativa  regionale,  assumendo  che  la  rigida
individuazione  delle  dimensioni  ottimali  dei bacini di utenza per
ambito  provinciale  sia  tale  da  privare  la  Regione di qualunque
potesta' di programmazione sul territorio, cosi' da ledere la propria
autonomia organizzativa.
    5.1. - La questione non e' fondata.
    La   disciplina   impugnata   indica   semplicemente   un  limite
demografico  non irragionevole per assicurare una buona funzionalita'
alle  strutture e per realizzare una efficiente rete organizzativa di
servizi  per  l'impiego.  Essa  peraltro non esclude affatto, ma anzi
espressamente  prevede,  che  la  Regione,  nell'esercizio  della sua
potesta'  programmatoria,  possa  superare  tale limite, individuando
bacini  differenziati  anche  con  popolazione  inferiore  ai 100.000
abitanti,  "per  motivate  esigenze  socio  geografiche".  Proprio la
previsione,   nella   disposizione   impugnata,  di  questa  generale
possibilita'  di  derogare  al criterio demografico sopra menzionato,
lascia   alla   Regione   uno  spazio  di  scelta  e  di  valutazione
discrezionale   nel   quale  puo'  certamente  esprimersi  e  trovare
appagamento la propria potesta' di programmazione sul territorio.

    6.  -  Una  ulteriore  censura  ha  ad oggetto l'art. 7, comma 1,
lettera  b),  il  quale,  nel  demandare a decreti del Presidente del
Consiglio  dei  ministri, adottati ai sensi dell'art. 7, commi 1 e 2,
della legge n. 59 del 1997, l'individuazione in via generale dei beni
e  delle  risorse  finanziarie,  umane  e  strumentali da trasferire,
indica  nella  percentuale  del  70%  la misura del trasferimento del
personale  effettivo appartenente ai ruoli del Ministero del lavoro e
della previdenza sociale settore politiche del lavoro e delle sezioni
circoscrizionali  per l'impiego e per il collocamento in agricoltura.
La  Regione  ne  denuncia  il  contrasto con gli artt. 117, 118 e 119
della  Costizione,  lamentando  che  la  indicazione  di un mero dato
percentuale quale criterio di trasferimento del personale, in assenza
di  altri  criteri di ordine qualitativo, romperebbe il collegamento,
costituzionalmente   necessario,  fra  trasferimento  di  funzioni  e
trasferimento di personale, ledendo l'autonomia regionale.
    6.1. - La questione non e' fondata.
    Il  d.lgs.  n. 469 del 1997 rinvia, per la propria attuazione, ad
un  atto  secondario,  un  decreto  del  Presidente del Consiglio dei
ministri,  al quale e' affidato il compito di procedere concretamente
alla  "puntuale  individuazione dei beni e delle risorse finanziarie,
umane e strumentali da conferire". Nel momento in cui l'art. 7, comma
1, lettera b), ha definito i criteri del trasferimento del personale,
la determinazione non poteva che essere di ordine quantitativo e cio'
per due concorrenti ragioni. In primo luogo, perche' lo stesso art. 7
demanda   ad   un   confronto  con  le  organizzazioni  sindacali  la
definizione   delle   modalita'   di   trasferimento  del  personale,
limitandosi   ad   indicare   il   tetto  quantitativo,  stimato  non
irragionevolmente   sulla   base  della  consistenza  delle  funzioni
residuate   allo   Stato,   che   la  procedura  concertativa  dovra'
rispettare. In secondo luogo, perche' la composizione qualitativa del
contingente  di personale da trasferire, come risulta dal comma 2 del
medesimo   art. 7,   non   e'   liberamente  determinabile  da  parte
dell'amministrazione,  ma  viene  a  dipendere  in larga misura dalla
scelta   di  terzi:  il  citato  comma 2,  nel  fissare  nel  30%  la
percentuale  di  personale  che  rimane  nei  ruoli del Ministero del
lavoro  e  della  previdenza  sociale,  dispone  infatti  che "a tale
contingente   si  accede  mediante  richiesta  degli  interessati  da
avanzare  entro  trenta  giorni  dalla  emanazione  del provvedimento
contenente  le  tabelle  di  equiparazione  tra  il personale statale
trasferito e quello in servizio presso le regioni e gli enti locali".
Prima  della  formazione  della  lista di cui al comma 2, non sarebbe
stato  dunque  possibile individuare il personale da trasferire sulla
base  di  criteri  di  natura  qualitativa,  cio'  che spiega perche'
l'art. 7 impugnato abbia dovuto limitarsi alla indicazione di un mero
dato numerico.

    7.  - Il medesimo art. 7, nel combinato disposto dei commi 5 e 8,
e'  oggetto di un'ulteriore censura. La Regione Lombardia ne denuncia
il  contrasto  con  gli  artt. 117,  118  e  119  della Costituzione,
assumendo  che  il  trasferimento  delle  risorse per le funzioni e i
compiti  conferiti,  disposto  dal  comma  8, avverrebbe senza tenere
conto  delle maggiori  spese derivanti dal comma 5, che garantisce al
personale trasferito il mantenimento della posizione retributiva gia'
maturata.
    7.1. - La questione non e' fondata.
    La disposizione denunciata deve essere interpretata nel senso che
essa  fa  riferimento  alle  risorse da destinare alle Regioni per le
funzioni  ed  i compiti conferiti, non anche per il trasferimento del
personale,  il  cui  trattamento  retributivo,  con i relativi oneri,
dovra'  essere  separatamente  quantificato  nel  momento  in  cui si
procedera'   materialmente  al  trasferimento,  tenendo  conto  della
posizione  retributiva  nel  frattempo  maturata  dal  personale. Una
siffatta  interpretazione,  che  l'Avvocatura  ha  accreditato  e  la
Regione  Lombardia  ha  mostrato di voler condividere, trova conferma
nel  decreto  del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1999
(individuazione  delle  risorse  in  materia di mercato del lavoro da
trasferire  alla  regione Lombardia). In particolare i commi 2, 3 e 4
dell'art. 5  di  tale  decreto demandano ad un successivo decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  da emanarsi entro novanta
giorni,   la   individuazione   e   il  trasferimento  delle  risorse
finanziarie   relative   al  personale  che  transita  dalla  Regione
Lombardia  alle  province  (art. 5, comma 2); di quelle relative alle
unita'  di  personale cessate dal servizio tra il 30 giugno 1997 e la
data di effettivo trasferimento (art. 5, comma 3); di quelle relative
alle   spese   globalmente  sostenute  per  l'agenzia  per  l'impiego
nell'esercizio  finanziario  1997  come  indicato  nella  tabella "G"
(art. 5, comma 4). E' omesso, pero', ogni rinvio all'art. 7, comma 8,
che  invece  risulta  richiamato dal primo comma dello stesso art. 5,
con  il  quale  si procede al trasferimento delle risorse finanziarie
"relative   alle   spese   di  funzionamento  riguardanti  i  compiti
conferiti".  Ne  resta  comprovato  che le risorse cui fa riferimento
l'art. 7,  comma  8,  oggetto  di censura, non riguardano le spese di
personale.