ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 291 del codice
civile,  promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 2000 dal tribunale
di  Torino  sul  ricorso  proposto  da  Vittorio  Grimaldi  ed altre,
iscritta  al  n. 622  del  registro ordinanze 2000 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 45,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 21 febbraio 2001 il giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto  che  con l'ordinanza in epigrafe il tribunale di Torino
ha   proposto,  in  riferimento  agli  artt. 2,  3,  30  e  31  della
Costituzione,    la    questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 291  del  codice civile, nella parte in cui - disciplinando
le  condizioni  per  l'adozione  di  persone  maggiori  di eta' - non
consente  al  giudice  competente,  in  presenza di validi motivi e/o
circostanze  eccezionali, di ridurre l'intervallo di diciotto anni di
eta'  che  deve intercorrere fra adottanti e adottando, pur quando la
differenza di eta' rimanga in concreto ricompresa in quella di solito
intercorrente fra genitori e figli;
        che  l'ordinanza e' stata emessa nel corso di un procedimento
promosso  da  una  coppia  di  coniugi che - avendo gia' adottato una
minorenne  ai  sensi  della  legge  4 maggio  1983, n. 184, ed avendo
altresi'  ottenuto  l'affiliazione  del  fratello naturale di costei,
ormai   maggiorenne   -  intendevano  adottarlo,  secondo  il  regime
dell'adozione ordinaria;
        che  il  giudice  rimettente  - rilevato che all'accoglimento
della  domanda  di  adozione  ostava la mancanza di una differenza di
eta'  fra  adottanti  e  adottando  di  almeno  diciotto  anni, quale
prevista    dall'art. 291   del   codice   civile   -   ha   ritenuto
l'irragionevolezza  dell'inderogabilita'  di tale limite, dettato dal
principio  dell'imitatio naturae ove, come nella specie, ne derivi il
sacrificio    di    diritti    inviolabili    della   persona   umana
costituzionalmente   garantiti,   con  conseguente  violazione  degli
indicati articoli della Costituzione;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
sostenendo   l'inammissibilita'   e   comunque  l'infondatezza  della
questione.
    Considerato  che  la  Corte  ha  gia'  dichiarato  non fondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 291 del codice
civile, nella parte relativa ai limiti di eta' in tema di adozione di
maggiorenni,  proposta  sotto  il profilo dell'asserita irragionevole
disparita'  di trattamento rispetto ai corrispondenti limiti previsti
per  l'adozione  dei  minori dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, ed ha
ritenuto  a  tal  fine  determinante  la  differenza di struttura, di
funzione  e di effetti tra i due tipi di adozione (sentenze n. 89 del
1993 e n. 500 del 2000);
        che  l'incomparabilita' tra siffatti due tipi e' riconosciuta
dallo  stesso  giudice rimettente, il quale pone infatti la questione
in  termini  diversi, in particolare rilevando: a) che l'adozione dei
maggiorenni  si  e'  rivelata  idonea  a  soddisfare  nuove  esigenze
socialmente  apprezzabili e meritevoli di tutela, come quella di dare
veste  giuridica  al  rapporto personale e affettivo; b) che a questa
esigenza  si  ricollega l'aspirazione alla costituzione di un "legame
giuridico  familiare";  c)  che  nella specie i coniugi istanti - che
hanno accolto due figli nati dagli stessi genitori naturali, adottato
la  sorella  minorenne  ai  sensi  della  legge  n. 184  del  1983 ed
affiliato  il fratello maggiorenne - mirano, con l'adozione ordinaria
di  quest'ultimo, all'instaurazione dello stato giuridico di fratelli
tra  il  maggiorenne  adottando (gia' affiliato) e la minorenne (gia'
adottata    con    adozione    legittimante);   d)   che   l'assoluta
inderogabilita'   della   differenza  di  almeno  diciotto  anni  fra
adottanti  e  adottato  maggiore  di  eta',  "quando sussistano gravi
motivi  e  circostanze  eccezionali concernenti i diritti inviolabili
della  persona  umana  attinenti  alla  sua identita' personale ed al
riconoscimento  giuridico  dei  legami familiari naturali (di sangue)
esistenti  nella  realta'"  viola  gli  artt. 2,  3,  30  e  31 della
Costituzione;
        che  la  questione di legittimita' costituzionale deve essere
quindi   esaminata   sotto   il  solo  profilo  dell'irragionevolezza
intrinseca  della  norma  impugnata,  rimanendo estraneo al tema ogni
profilo   concernente   la  possibilita'  di  estendere  all'adozione
ordinaria aspetti della disciplina dell'adozione legittimante assunta
come tertium comparationis;
        che  la  tesi  dell'irragionevolezza  intrinseca  poggia  sul
presupposto   interpretativo   secondo   cui   l'adozione   ordinaria
consentirebbe  la  costituzione di un "legame giuridico familiare" in
particolare fra il maggiorenne adottato ed i figli degli adottanti;
        che  tale  presupposto - peraltro affermato apoditticamente -
e' palesemente erroneo, perche' l'art. 300, secondo comma, del codice
civile  afferma,  in  senso  esattamente  contrario,  che  l'adozione
(ordinaria)  "non induce alcun rapporto civile [...] tra l'adottato e
i  parenti  dell'adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge"
(delle  quali  comunque  il  giudice rimettente non parla), e - sotto
altro  aspetto  -  l'art. 567,  secondo  comma,  dello  stesso codice
precisa  che  "i  figli  adottivi  sono estranei alla successione dei
parenti dell'adottante";
        che    l'erroneita'    del    presupposto   su   cui   riposa
l'interpretazione  data  alla  norma impugnata dal giudice rimettente
inficia  radicalmente  le  valutazioni da lui svolte circa i rapporti
fra  la  disciplina  dell'adozione  dei maggiorenni posta dalla norma
stessa   ed   i   parametri   costituzionali  ritenuti  violati,  con
conseguente  manifesta  infondatezza  della questione di legittimita'
costituzionale.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.