IL TRIBUNALE

    Riunito  in Camera di consiglio, sciogliendo la riserva di cui al
separato  verbale  in  atti,  ha pronunciato la seguente ordinanza in
merito   all'atto  di  appello  proposto  nell'interesse  di  Mangano
Francesco  Paolo  natoil 7 marzo 1960, imputato per il delitto di cui
all'articolo  110,  comma  9,  TULPS,  avverso  l'ordinanza del 27/30
ottobre con la quale il giudice delle indagini preliminari di Palermo
respingeva  l'istanza  di  restituzione di alcuni beni (video-giochi)
sottoposti a sequestro probatorio, avanzata dalla difesa;
    Letti gli atti e udito il difensore;

                            O s s e r v a

    1.  -  La  difesa  di  Mangano  Francesco  Paolo, imputato per il
delitto  di  cui  all'articolo  110, comma 9, TULPS, deducendo che il
g.i.p.  aveva  gia'  provveduto  all'emissione  del decreto penale di
condanna,   chiedeva   al   g.i.p.  procedente  la  restituzione  dei
video-giochi  sottoposti  a  sequestro  probatorio  nella  fase delle
indagini  preliminari  (il sequestro operato d'iniziativa ex art. 354
c.p.p.  era  stato  convalidato  con  decreto  del  p.m.  ex art. 355
c.p.p.).
    Il  g.i.p. competente a pronunciarsi sull'istanza di restituzione
in  quanto era gia' stata richiesta l'emissione del decreto penale di
condanna   ed  aveva  la  disponibilita'  del  fascicolo,  respingeva
l'istanza   di   restituzione  considerando  che  "...  per  esigenze
probatorie  e'  necessario  che  gli  apparecchi  de quo rimangono in
vincoli  fino alla definizione del procedimento, apparecchi per altro
assoggettabili a confisca ...".
    Il  difensore  dell'imputato  avverso il provvedimento di rigetto
dell'istanza  di  restituzione  proponeva  appello al tribunale della
liberta'.
    2.  -  Rileva il tribunale che, mentre avverso i provvedimenti di
rigetto  della  richiesta  di  revoca  del  sequestro  preventivo  il
legislatore,   ha   previsto   la   possibilita',  con  la  procedura
contemplata  dall'articolo  310 c.p.p., di adire, ex articolo 322-bis
c.p.p.,  in  veste  di  giudice  di  appello  il c.d. tribunale della
liberta'   (ovviamente   da  identificarsi  non  come  il  "tribunale
distrettuale" di cui al comma 7 dell'articolo 309 c.p.p., bensi' come
il  "tribunale  provinciale"  di cui al comma 1-bis dell'art. 322-bis
c.p.p.)  e,  quindi,  ai  sensi  dell'articolo  325 c.p.p., anche per
saltum,  di  proporre  ricorso  per  cassazione,  analoga  facolta' e
procedura  di  impugnazione  non e' prevista in caso di rigetto della
richiesta di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio.
    Nonostante   l'identita'   degli  effetti,  la  privazione  della
disponibilita',  e  spesso  la  spoliazione,  di un bene al detentore
dello  stesso,  la  diversa  natura e funzione delle due tipologie di
sequestro,  probatorio  e  preventivo,  giustificano la diversita' di
disciplina  prevista  dal legislatore (che, tra l'altro, non riguarda
solo il profilo delle impugnazioni).
    Il  sequestro  preventivo,  appartenente  al  genus  delle misure
cautelari  di  cui  al libro IV e alla species delle misure cautelari
reali  di  cui  al  titolo  II  del  libro IV del codice di procedura
penale,   conosce   una   estensione   integrale   del  regime  delle
impugnazioni  cautelari,  essendo prevista la possibilita' di gravame
al  tribunale della liberta', inteso come "tribunale provinciale", e,
quindi,  del  ricorso  per  cassazione,  sia  avverso i provvedimenti
genetici  (di  adozione  o di rigetto della richiesta di adozione del
decreto   di  sequestro  preventivo),  sia  avverso  i  provvedimenti
successivi  (di  rigetto  della  richiesta  di revoca o di revoca del
sequestro preventivo).
    Il  sequestro  probatorio  costituisce  un mezzo di ricerca della
prova,  e  solo  avverso  il  provvedimento  impositivo  del  vincolo
probatorio  -  sia che trattasi del decreto di sequestro adottato dal
p.m. (art. 253 c.p.p.), sia che trattasi del decreto di convalida del
p.m.  (art. 355  c.p.p.)  del  sequestro  operato  d'iniziativa dalla
polizia  giudiziaria  (art. 354  c.p.p.) - e' prevista dagli articoli
257 e 355, comma 3, del codice di rito la facolta' della parte incisa
dal  provvedimento  di  sequestro  probatorio  di chiedere il riesame
innanzi al tribunale della liberta' a norma dell'articolo 324 c.p.p.,
ovvero  la medesima procedura contemplata per il riesame delle misure
cautelari reali (sequestro preventivo e sequestro conservativo).
    La   competenza  del  tribunale  della  liberta'  in  materia  di
sequestro   probatorio   deve   quindi   limitarsi   al  riesame  del
provvedimento  genetico  impositivo del vincolo reale, dopo di che il
principio  di  tassativita'  delle  impugnazioni  fissato dal comma 1
dell'articolo  568  c.p.p., inibisce di configurare ulteriori casi di
impugnazione non previsti dalla legge.
    Dopo   l'adozione  del  provvedimento  genetico  applicativo  del
vincolo  reale  probatorio  -  sia  esso imposto, con il procedimento
bifasico   o  a  formazione  progressiva  contemplato  dal  combinato
disposto   dagli   articoli  354  e  355  c.p.p.  (sequestro  operato
d'iniziativa  dalla  polizia giudiziaria e convalida del sequestro da
parte  del  pubblico ministero), o con decreto del pubblico ministero
adottato  ai  sensi dell'articolo 253 c.p.p, - le vicende inerenti la
restituzione   delle   cose  sequestrate  sono  state  considerate  e
disciplinate dal legislatore all'articolo 263 c.p.p., la cui rubrica,
per  l'appunto, e' stata intitolata "Procedimento per la restituzione
delle  cose  sequestrate".  Ad  avviso  del  collegio  la  lettura  e
l'interpretazione  corrente  dell'articolo  263  c.p.p. e delle norme
collegate  al  contenuto  dello stesso, consentono di individuare dei
punti  fermi  e,  conseguentemente,  di  poter  affermare  che  sulla
richiesta di restituzione delle cose sequestrate:
        nella  fase  delle indagini preliminari provvede, con decreto
motivato, il pubblico ministero, e contro il provvedimento di rigetto
o  di restituzione, l'interessato puo' proporre opposizione al g.i.p.
che  decide  con  le  forme  del  procedimento  camerale  contemplato
dall'articolo 127 c.p.p.;
        dopo  la  chiusura  delle  indagini  preliminari  e  fino  al
passaggio in giudicato della sentenza provvede il giudice che procede
con  ordinanza  disposta  de  plano  o,  qualora  le  cose sono state
sequestrate  presso  un  terzo, emessa dopo l'audizione, in camera di
consiglio  con  le forme dell'articolo 127 c.p.p., del soggetto terzo
non richiedente la restituzione;
        dopo  il  passaggio in giudicato della sentenza, al sensi del
combinato disposto dagli articoli 676 e 667 comma 4, c.p.p., provvede
il  giudice  dell'esecuzione  con  ordinanza  emessa de plano ("senza
formalita'"),  avverso  la quale (oltre che il pubblico ministero) il
difensore  e  l'interessato  possono proporre opposizione allo stesso
giudice  dell'esecuzione  che,  in  tal caso, dopo aver instaurato la
procedura camerale prevista dai commi 3 e 4 dell'articolo 666 c.p.p.,
provvede con ordinanza ricorribile per cassazione, come stabilito dal
comma 6 del medesimo articolo 666.
    2.1 - Orbene    nella   fattispecie   in   esame   il   difensore
dell'imputato ha impugnato innanzi al tribunale della liberta', adito
come  giudice  di  appello,  l'ordinanza  di  rigetto dell'istanza di
restituzione di un bene sottoposto a sequestro probatorio emessa dopo
la  chiusura delle indagini preliminari e prima che il decreto penale
di  condanna  sia divenuto definitivo (dagli atti non risulta che sia
stato  emesso,  e  comunque,  in  ogni  caso,  non  risultano  ancora
effettuate   le   notifiche   ai   soggetti  legittimati  a  proporre
opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p).
    Come   si   e'   accennato,  nessuna  norma  prevede  il  rimedio
dell'appello  al  tribunale  della  liberta' avverso il provvedimento
rigetto  dell'istanza  di restituzione di beni sottoposti a sequestro
probatorio   e  deve  ritenersi  pacifica  l'incompetenza  di  questo
collegio.
    Nella  prassi  giudiziaria  non  e' infrequente, tuttavia, che il
provvedimento   di  rigetto  dell'istanza  restituzione  di  un  bene
sottoposto  a  sequestro  probatorio  sia  stato impugnato innanzi al
tribunale  della  liberta', tant'e' che sul punto si rinvengono varie
pronunce della suprema Corte.
    L'esame   della   giurisprudenza   di  legittimita'  consente  di
distinguere   le   ipotesi   afferenti  al  rigetto  dell'istanza  di
dissequestro  nella fase delle indagini preliminari, da quelle in cui
detta  fase  era  stata  superata, come nella fattispecie concreta in
esame  ove e' pendente il procedimento per decreto disciplinato dagli
artt. 459 e ss.c.p.p.
    Nel  caso  in  cui  veniva  impugnato  innanzi al tribunale della
liberta'  (spesso  indicato  anche  come  tribunale  del  riesame) il
provvedimento    di   rigetto   del   g.i.p.   adito   come   giudice
dell'opposizione  ai  sensi  dell'articolo  263,  comma 5, c.p.p., la
suprema   Corte,  ribadendo  sempre  e  comunque  l'incompetenza  del
tribunale  della  liberta' per il principio di tassativita' dei mezzi
di  impugnazione,  ha  ritenuto che avverso il provvedimento adottato
dal  g.i.p.  come  giudice  dell'opposizione l'unico rimedio fosse il
ricorso per cassazione, ai sensi del comma 7 dell'articolo 127 c.p.p.
per  vizi di carattere procedurale inerenti il mancato rispetto delle
forme  ed  il  principio  del  contraddittorio,  stabiliti  a pena di
nullita'  dal comma 5 del medesimo articolo 127. (Cfr. in C.E.D: sez.
III  nr.  414/1992,  Accinni  G; sez. III nr. 3143/1993, De Nictolis;
sez.  I  nr.  4468/1994,  Turchetta; sez. VI nr. 521/1995 Hochstalff;
sez.  V  nr. 18/1996, Telleri); in taluni casi e' stato affermato che
il  tribunale  della liberta' adito erroneamente doveva riqualificare
l'impugnazione,  ai  sensi  del  comma  5 dell'articolo 568 c.p.p., e
trasmetterla  al  giudice  competente,  per  l'appunto  la  Corte  di
cassazione (cfr. sez. VI 521/1995 Hochstalff, cit.).
    Nell'ipotesi, analoga alla fattispecie in esame, in cui l'istanza
di  dissequestro  veniva  respinta dal giudice dopo la chiusura delle
indagini  preliminari,  la suprema Corte, pur ribadendo pacificamente
l'incompetenza  del  tribunale  della liberta' adito dal destinatario
del provvedimento di rigetto, ha espresso due orientamenti diversi.
    Secondo  un  orientamento piu' datato, gia' adottato dalla quinta
sezione  e  seguito  dalla  sezione  sesta della Corte di cassazione,
"Avverso  il  provvedimento  di  rigetto dell'istanza di restituzione
delle  cose  sequestrate emesso dal giudice nel corso del giudizio di
cognizione  ai sensi dell'art. 263 n. 1 cod. proc. pen., e' possibile
esperire  l'opposizione  prevista  per  gli  incidenti  di esecuzione
dall'art. 667  n. 4,  cui  fa  rinvio l'art. 676 cod. proc. pen. Tale
mezzo  di  impugnazione  deve  infatti essere esteso in via analogica
poiche'   l'esigenza   di   tutela   sostanziale  dei  diritti  degli
interessati  deve  essere  salvaguardato,  anche  in  assenza  di una
esplicita previsione del legislatore, con la possibilita' di proporre
successivamente opposizione davanti allo stesso giudice che ha emesso
il provvedimento "de plano" (Cosi' da ultimo sez. VI, nr. 20296/1995,
Mancini, rv 202975; analogamente, cfr. sez. V, nr. 3018/1993, Bartke,
rv 195238, in C.E.D).
    In  entrambi  i  casi  i  giudici di legittimita' procedendo alla
riqualificazione    dell'impugnazione,   ai   sensi   del   comma   4
dell'articolo  568  c.p.p.,  hanno  trasmesso gli atti al collegio di
cognizione  affinche' si pronunciasse in opposizione, sulla richiesta
di restituzione, come giudice dell'esecuzione.
    Di  contrario avviso la giurisprudenza piu' recente della sezione
seconda  della  suprema  Corte, secondo cui "Avverso la decisione del
giudice  del dibattimento che rigetta l'istanza di restituzione delle
cose  sequestrate  e'  ammessa  esclusivamente l'impugnazione insieme
della  sentenza;  non  puo' infatti ipotizzarsi ne' la ricorribilita'
per cassazione di tale provvedimenti in applicazione della disciplina
del  procedimento  camerale prevista dall'art. 127 cod. proc. pen, in
quanto  l'art. 263  cod. proc. pen., che regola la speciale procedura
per  la  restituzione  delle  cose  sequestrate,  rinvia  alle  forme
previste  dal  predetto  art. 127  soltanto con riferimento alla fase
delle indagini preliminari e non del giudizio, ove e' gia' instaurato
un  pieno  contraddittorio;  ne'  l'esperibilita'  dell'incidente  di
esecuzione  ai  sensi  dell'art. 666,  terzo  comma, cod. proc. pen.,
poiche' il medesimo art. 263 cod. proc. pen. contempla tale procedura
soltanto nell'ipotesi di "sentenza non piu' soggetta ad impugnazione"
(cfr. sez. II, nr. 605, Di Rosa, rv 204263, in C.E.D).
    2.2 - Ritiene il collegio di non poter condividere l'orientamento
che  facendo  ricorso all'analogia reinveste il giudice di cognizione
come giudice di esecuzione.
    Detta  soluzione,  individuata  dai  giudici  di legittimita' per
conciliare la carenza legislativa di un mezzo di impugnazione avverso
il provvedimento di rigetto dell'istanza di dissequestro da parte del
giudice  di cognizione con la "... esigenza di tutela sostanziale dei
diritti  degli interessati ..." (v. pag. 3 motivazione della sentenza
sez. VI, nr. 20296/1995, Mancini, sopra cit.), non appare in sintonia
con l'ordine normativo vigente. Infatti:
        in   un   sistema  processuale  improntato  al  principio  di
tassativita'     dei     provvedimenti     soggetti     a    gravame,
all'interpretazione   analogica   non   puo'  affidarsi  un'efficacia
"creativa" di un grado di impugnazione non previsto dal legislatore;
        il  procedimento  di  esecuzione  presuppone  il passaggio in
giudicato  della  sentenza e tale presupposto e' incompatibile con il
procedimento di cognizione;
        il  giudizio  di  opposizione  del procedimento di esecuzione
disciplinato  dal  combinato  disposto dagli articoli 667, comma 4, e
666   c.p.p.,   prevede   una  procedura  camerale  a  partecipazione
necessaria   del   difensore   e  del  pubblico  ministero  (comma  4
dell'articolo  666  c.p.p.)  e  con  potesta' istruttorie del giudice
(comma  5  dell'articolo  666 c.p.p.) molto piu' incisiva e pregnante
rispetto  al  procedimento in camera di consiglio di cui all'articolo
127  c.p.p. e che regola il giudizio di opposizione davanti al g.i.p.
nell'ipotesi di rigetto dell'istanza di restituzione nella fase delle
indagini  preliminari  (comma  5  dell'articolo  263 c.p.p.); sicche'
l'interpretazione  analogica avallata dall'orientamento della Suprema
Corte  in  esame  per  colmare  il  vuoto di tutela individuato dagli
stessi   giudici  di  legittimita'  finisce  per  creare  una  tutela
rafforzata   nella   fase  del  giudizio  di  cognizione  sicuramente
sbilanciata  rispetto  al  sistema  di  tutela  massima  prevista dal
legislatore  avverso  il  diniego  dell'istanza di restituzione nella
fase   delle   indagini   preliminari  con  l'opposizione  al  g.i.p.
disciplinata  dalla  procedura  camerale dell'articolo 127 c.p.p. che
non  prevede, ne' la partecipazione necessaria del pubblico ministero
e  del  difensore  (richiesta,  invece, dal comma 4 dell'articolo 666
c.p.p.), ne' alcuna facolta' istruttoria del giudice (diversamente da
quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 666 c.p.p.).
    Ritiene,  quindi il collegio, che le superiori considerazioni non
consentono  di  aderire  all'orientamento della Suprema Corte che per
far  fronte  ad  un  oggettivo  vuoto di tutela, estendendo oltremodo
l'interpretazione   analogica,   ha   creato   una   possibilita'  di
impugnazione  avverso  il  provvedimento  di  rigetto dell'istanza di
restituzione  da  parte del giudice di cognizione non contemplata dal
legislatore,  tra  l'altro,  attingendo alla procedura di opposizione
riservata  al  giudizio  di  esecuzione  e ben distante, sia sotto il
profilo  della  disciplina  sostanziale,  sia  da  un  punto di vista
sistematico,  dal  giudizio  di  opposizione  previsto  dal  comma  5
dell'articolo 263 c.p.p., sia pure solo avverso il decreto di rigetto
del  pubblico ministero adito come organo di prima istanza nella fase
delle indagini preliminari.
    2.3  -  L'orientamento piu' rigoroso adottato dalla sesta sezione
(v.   sopra   sub  2.1.),  appare  piu'  aderente  sia  alla  lettera
dell'articolo   263   c.p.p.,   sia   al  fondamentale  principio  di
tassativita'  delle  impugnazioni  previsto dal comma 1 dell'articolo
568 c.p.p., e a sua volta espressione del principio di certezza della
situazioni  e dei rapporti giuridici immanente all'intero ordinamento
giuridico.
    L'adesione  a  detto orientamento comporterebbe nella fattispecie
in  esame,  che  questo  collegio,  prendendo  atto  della carenza di
legittimazione   al   gravame  non  previsto  dalla  legge,  dichiari
l'inammissibilita'  dell'appello  - ex articolo 591, comma 1, lettera
a) c.p.p. - proposto avverso l'ordinanza di rigetto emessa dal g.i.p.
innanzi  al  quale  pende  il procedimento per decreto ai sensi degli
articoli 459 e ss. c.p.p. e adito dalla difesa per pronunciarsi sulla
richiesta  di  restituzione  dei beni sequestrati (ex artt. 354 e 355
c.p.p.) all'imputato nella fase delle indagini preliminari.
    Tra  l'altro, poiche' l'ordinanza del g.i.p. e' stata adottata de
plano  -  essendo  prevista la procedura camerale di cui all'articolo
127 c.p.p. solo quando vi e' un rapporto di alterita' tra richiedente
la  restituzione  e  soggetto al quale le cose sono state sequestrate
(art. 263,   comma   2,  c.p.p.)  -  non  sarebbe  neanche  possibile
riqualificare  l'impugnazione  come  ricorso  per cassazione ai sensi
dell'articolo  127,  comma 7, c.p.p. e, quindi, trasmettere, ai sensi
del  comma  5  dell'articolo  568  c.p.p.,  il  gravame alla Corte di
cassazione competente.
    3.   -  Un  provvedimento  di  declaratoria  di  inammissibilita'
dell'impugnazione,  allo  stato  unica  soluzione aderente al sistema
normativo  vigente,  striderebbe  oltremodo  con  la "... esigenza di
tutela  sostanziale  dei diritti degli interessati", gia' individuata
dagli stessi giudici di legittimita' (v. supra sub 2.2.).
    Avuto riguardo all'indagine normativa e giurisprudenziale sino ad
ora espletata, ritiene, pertanto il collegio che ricorrono gli stessi
presupposti   che   hanno  recentemente  indotto  questo  collegio  a
sollevare  (ord.  202/00  Seq del 14/20 novembre 2000, imputato Luca'
Gaetano)  di  ufficio  la  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'articolo  263  c.p.p. per violazione degli articoli 3 e 24 della
Carta costituzionale.
    3.1  -  Invero,  mentre  se  il  pubblico  ministero  respinge la
richiesta  di  restituzione,  ai  sensi del comma 5 dell'articolo 263
c.p.p.,  i  soggetti  interessati  possono  immediatamente  adire  il
g.i.p.,   ai   medesimi  soggetti  il  legislatore  nell'architettura
dell'articolo  263  c.p.p. non ha assicurato alcun tempestivo rimedio
di  merito  avverso l'ordinanza di rigetto disposta dal giudice adito
dalla  richiesta  di  restituzione  di  beni  sottoposti  a sequestro
probatorio  avanzata  dopo  la  chiusura delle indagini preliminari e
prima  del  passaggio  in giudicato della sentenza, o, comunque, come
nel  caso  di  specie,  prima  che  venga emesso o, comunque, diventi
definitivo il decreto penale di condanna.
    Ritiene  questo  collegio  che  l'interesse alla restituzione del
bene   sequestrato   da   parte   degli   interessati   (siano   essi
l'indagato/imputato, la persona offesa dal reato e/o l'avente diritto
alla  restituzione) e', e rimane ontologicamente identico, per cui il
mero  passaggio  dalla  fase delle indagini preliminari alla fase del
giudizio  o,  come  nel  caso  di  specie,  al  procedimento speciale
contemplato  dagli  articoli  459 e ss. c.p.p., costituendo un evento
fisiologico  al  "divenire"  dell'iter procedimentale, non giustifica
minimamente  una  diversita'  di  trattamento tra le diverse fasi del
procedimento.  Non  si rinviene alcuna ragione che possa giustificare
una  tutela  minor, nella fase di cognizione e durante l'espletamento
dei  procedimenti  speciali  contemplati  nel  libro VI del codice di
rito,  dell'aspirazione  a  rientrare  nella  disponibilita' del bene
sottoposto  a  vincolo  reale  probatorio,  rispetto  alla  doppia  e
immediata  tutela  di  merito  assicurata  nella  fase delle indagini
preliminari con il giudizio di opposizione.
    Ne', d'altro canto, la diversita' di tutela appare trovare alcuna
logica  giustificazione  nel  mutamento  dello status all'interno del
procedimento, da soggetto sottoposto ad indagini ad imputato.
    In   sostanza   nell'articolo   263   c.p.p.   si   rinviene  una
ingiustificata  disparita'  di trattamento tra il soggetto che chiede
la  restituzione  nella  fase  delle  indagini  preliminari e dopo il
passaggio in giudicato della sentenza, al quale - sia pur, come si e'
detto  sub  2.2,  con  le diverse procedure camerali previste nell'un
caso dall'articolo 127 c.p.p. e nell'altro dall'articolo 666 c.p.p. -
e'  assicurato  un  tempestivo  giudizio  di  opposizione  avverso il
provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione, ed il soggetto
che  vede  respinta  l'istanza di restituzione dopo la chiusura delle
indagini  preliminari  al  quale non e' consentito di proporre alcuna
tempestiva opposizione.
    La   lacuna   legislativa  in  esame  oltre  che  comportare  una
disparita'   di   trattamento   contrastante   con  il  principio  di
ragionevolezza  espresso dall'articolo 3 della Costituzione, a parere
del  collegio,  si  risolve  anche  in  una violazione del diritto di
difesa  contemplato  dall'articolo 24 della Costituzione, non potendo
l'imputato  dopo  la chiusura delle indagini preliminari difendere la
propria  istanza  di  restituzione  mediante  adeguata  e  tempestiva
facolta'  di  gravame,  assicuratagli,  invece, come piu' volte si e'
detto,  sia  nella  fase  delle  indagini,  sia  dopo il passaggio in
giudicato della sentenza.
    Ritiene,   quindi,  il  collegio  che  "Il  procedimento  per  la
restituzione  ..."  disciplinato  dall'articolo  263  c.p.p., sarebbe
apparso, oltre che piu' equilibrato da un punto di vista sistematico,
in  piena  armonia  con  i  parametri  costituzionali  previsti dagli
articoli 3 e 24 della Costituzione, qualora il legislatore al comma 5
o  in  altra disposizione dell'articolo 263 c.p.p. avesse previsto in
caso  di rigetto dell'istanza di restituzione da parte del giudice di
cognizione  la  facolta'  di proporre opposizione innanzi al medesimo
giudice a norma dell'articolo 127 c.p.p. (si e' gia' detto, sub 2.2.,
come  il  contraddittorio  camerale rafforzato previsto dall'articolo
666 c.p.p., creerebbe nella fase di cognizione una tutela sbilanciata
rispetto a quella prevista nella fase delle indagini preliminari).
    Tra l'altro l'opposizione al medesimo giudice non si risolverebbe
in un rimedio defatigatorio o superfluo.
    Invero,  sia in dottrina che in giurisprudenza si e' affermata la
natura  devolutiva  dell'opposizione,  per  cui dopo il rigetto della
prima   istanza,   il  giudice  di  cognizione  si  pronuncerebbe  su
specifiche  doglianze  degli  interessati  e  non  solo  su  una mera
riproposizione della richiesta gia' respinta.
    4. - La questione di legittimita' costituzionale appare rilevante
poiche' qualora venisse accolta, l'impugnazione della difesa proposta
a  questo  collegio,  anziche'  dichiararsi  meramente inammissibile,
potrebbe  essere  riqualificata  e  trasmessa,  ai  sensi del comma 5
dell'articolo  568  c.p.p., al giudice procedente, per il giudizio di
opposizione da esperire a norma dell'articolo 127 c.p.p.