IL TRIBUNALE Riunito in Camera di consiglio, sciogliendo la riserva di cui al separato verbale in atti, ha pronunciato la seguente ordinanza in merito all'atto di appello proposto nell'interesse di Mangano Francesco Paolo natoil 7 marzo 1960, imputato per il delitto di cui all'articolo 110, comma 9, TULPS, avverso l'ordinanza del 27/30 ottobre con la quale il giudice delle indagini preliminari di Palermo respingeva l'istanza di restituzione di alcuni beni (video-giochi) sottoposti a sequestro probatorio, avanzata dalla difesa; Letti gli atti e udito il difensore; O s s e r v a 1. - La difesa di Mangano Francesco Paolo, imputato per il delitto di cui all'articolo 110, comma 9, TULPS, deducendo che il g.i.p. aveva gia' provveduto all'emissione del decreto penale di condanna, chiedeva al g.i.p. procedente la restituzione dei video-giochi sottoposti a sequestro probatorio nella fase delle indagini preliminari (il sequestro operato d'iniziativa ex art. 354 c.p.p. era stato convalidato con decreto del p.m. ex art. 355 c.p.p.). Il g.i.p. competente a pronunciarsi sull'istanza di restituzione in quanto era gia' stata richiesta l'emissione del decreto penale di condanna ed aveva la disponibilita' del fascicolo, respingeva l'istanza di restituzione considerando che "... per esigenze probatorie e' necessario che gli apparecchi de quo rimangono in vincoli fino alla definizione del procedimento, apparecchi per altro assoggettabili a confisca ...". Il difensore dell'imputato avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione proponeva appello al tribunale della liberta'. 2. - Rileva il tribunale che, mentre avverso i provvedimenti di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo il legislatore, ha previsto la possibilita', con la procedura contemplata dall'articolo 310 c.p.p., di adire, ex articolo 322-bis c.p.p., in veste di giudice di appello il c.d. tribunale della liberta' (ovviamente da identificarsi non come il "tribunale distrettuale" di cui al comma 7 dell'articolo 309 c.p.p., bensi' come il "tribunale provinciale" di cui al comma 1-bis dell'art. 322-bis c.p.p.) e, quindi, ai sensi dell'articolo 325 c.p.p., anche per saltum, di proporre ricorso per cassazione, analoga facolta' e procedura di impugnazione non e' prevista in caso di rigetto della richiesta di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio. Nonostante l'identita' degli effetti, la privazione della disponibilita', e spesso la spoliazione, di un bene al detentore dello stesso, la diversa natura e funzione delle due tipologie di sequestro, probatorio e preventivo, giustificano la diversita' di disciplina prevista dal legislatore (che, tra l'altro, non riguarda solo il profilo delle impugnazioni). Il sequestro preventivo, appartenente al genus delle misure cautelari di cui al libro IV e alla species delle misure cautelari reali di cui al titolo II del libro IV del codice di procedura penale, conosce una estensione integrale del regime delle impugnazioni cautelari, essendo prevista la possibilita' di gravame al tribunale della liberta', inteso come "tribunale provinciale", e, quindi, del ricorso per cassazione, sia avverso i provvedimenti genetici (di adozione o di rigetto della richiesta di adozione del decreto di sequestro preventivo), sia avverso i provvedimenti successivi (di rigetto della richiesta di revoca o di revoca del sequestro preventivo). Il sequestro probatorio costituisce un mezzo di ricerca della prova, e solo avverso il provvedimento impositivo del vincolo probatorio - sia che trattasi del decreto di sequestro adottato dal p.m. (art. 253 c.p.p.), sia che trattasi del decreto di convalida del p.m. (art. 355 c.p.p.) del sequestro operato d'iniziativa dalla polizia giudiziaria (art. 354 c.p.p.) - e' prevista dagli articoli 257 e 355, comma 3, del codice di rito la facolta' della parte incisa dal provvedimento di sequestro probatorio di chiedere il riesame innanzi al tribunale della liberta' a norma dell'articolo 324 c.p.p., ovvero la medesima procedura contemplata per il riesame delle misure cautelari reali (sequestro preventivo e sequestro conservativo). La competenza del tribunale della liberta' in materia di sequestro probatorio deve quindi limitarsi al riesame del provvedimento genetico impositivo del vincolo reale, dopo di che il principio di tassativita' delle impugnazioni fissato dal comma 1 dell'articolo 568 c.p.p., inibisce di configurare ulteriori casi di impugnazione non previsti dalla legge. Dopo l'adozione del provvedimento genetico applicativo del vincolo reale probatorio - sia esso imposto, con il procedimento bifasico o a formazione progressiva contemplato dal combinato disposto dagli articoli 354 e 355 c.p.p. (sequestro operato d'iniziativa dalla polizia giudiziaria e convalida del sequestro da parte del pubblico ministero), o con decreto del pubblico ministero adottato ai sensi dell'articolo 253 c.p.p, - le vicende inerenti la restituzione delle cose sequestrate sono state considerate e disciplinate dal legislatore all'articolo 263 c.p.p., la cui rubrica, per l'appunto, e' stata intitolata "Procedimento per la restituzione delle cose sequestrate". Ad avviso del collegio la lettura e l'interpretazione corrente dell'articolo 263 c.p.p. e delle norme collegate al contenuto dello stesso, consentono di individuare dei punti fermi e, conseguentemente, di poter affermare che sulla richiesta di restituzione delle cose sequestrate: nella fase delle indagini preliminari provvede, con decreto motivato, il pubblico ministero, e contro il provvedimento di rigetto o di restituzione, l'interessato puo' proporre opposizione al g.i.p. che decide con le forme del procedimento camerale contemplato dall'articolo 127 c.p.p.; dopo la chiusura delle indagini preliminari e fino al passaggio in giudicato della sentenza provvede il giudice che procede con ordinanza disposta de plano o, qualora le cose sono state sequestrate presso un terzo, emessa dopo l'audizione, in camera di consiglio con le forme dell'articolo 127 c.p.p., del soggetto terzo non richiedente la restituzione; dopo il passaggio in giudicato della sentenza, al sensi del combinato disposto dagli articoli 676 e 667 comma 4, c.p.p., provvede il giudice dell'esecuzione con ordinanza emessa de plano ("senza formalita'"), avverso la quale (oltre che il pubblico ministero) il difensore e l'interessato possono proporre opposizione allo stesso giudice dell'esecuzione che, in tal caso, dopo aver instaurato la procedura camerale prevista dai commi 3 e 4 dell'articolo 666 c.p.p., provvede con ordinanza ricorribile per cassazione, come stabilito dal comma 6 del medesimo articolo 666. 2.1 - Orbene nella fattispecie in esame il difensore dell'imputato ha impugnato innanzi al tribunale della liberta', adito come giudice di appello, l'ordinanza di rigetto dell'istanza di restituzione di un bene sottoposto a sequestro probatorio emessa dopo la chiusura delle indagini preliminari e prima che il decreto penale di condanna sia divenuto definitivo (dagli atti non risulta che sia stato emesso, e comunque, in ogni caso, non risultano ancora effettuate le notifiche ai soggetti legittimati a proporre opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p). Come si e' accennato, nessuna norma prevede il rimedio dell'appello al tribunale della liberta' avverso il provvedimento rigetto dell'istanza di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio e deve ritenersi pacifica l'incompetenza di questo collegio. Nella prassi giudiziaria non e' infrequente, tuttavia, che il provvedimento di rigetto dell'istanza restituzione di un bene sottoposto a sequestro probatorio sia stato impugnato innanzi al tribunale della liberta', tant'e' che sul punto si rinvengono varie pronunce della suprema Corte. L'esame della giurisprudenza di legittimita' consente di distinguere le ipotesi afferenti al rigetto dell'istanza di dissequestro nella fase delle indagini preliminari, da quelle in cui detta fase era stata superata, come nella fattispecie concreta in esame ove e' pendente il procedimento per decreto disciplinato dagli artt. 459 e ss.c.p.p. Nel caso in cui veniva impugnato innanzi al tribunale della liberta' (spesso indicato anche come tribunale del riesame) il provvedimento di rigetto del g.i.p. adito come giudice dell'opposizione ai sensi dell'articolo 263, comma 5, c.p.p., la suprema Corte, ribadendo sempre e comunque l'incompetenza del tribunale della liberta' per il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione, ha ritenuto che avverso il provvedimento adottato dal g.i.p. come giudice dell'opposizione l'unico rimedio fosse il ricorso per cassazione, ai sensi del comma 7 dell'articolo 127 c.p.p. per vizi di carattere procedurale inerenti il mancato rispetto delle forme ed il principio del contraddittorio, stabiliti a pena di nullita' dal comma 5 del medesimo articolo 127. (Cfr. in C.E.D: sez. III nr. 414/1992, Accinni G; sez. III nr. 3143/1993, De Nictolis; sez. I nr. 4468/1994, Turchetta; sez. VI nr. 521/1995 Hochstalff; sez. V nr. 18/1996, Telleri); in taluni casi e' stato affermato che il tribunale della liberta' adito erroneamente doveva riqualificare l'impugnazione, ai sensi del comma 5 dell'articolo 568 c.p.p., e trasmetterla al giudice competente, per l'appunto la Corte di cassazione (cfr. sez. VI 521/1995 Hochstalff, cit.). Nell'ipotesi, analoga alla fattispecie in esame, in cui l'istanza di dissequestro veniva respinta dal giudice dopo la chiusura delle indagini preliminari, la suprema Corte, pur ribadendo pacificamente l'incompetenza del tribunale della liberta' adito dal destinatario del provvedimento di rigetto, ha espresso due orientamenti diversi. Secondo un orientamento piu' datato, gia' adottato dalla quinta sezione e seguito dalla sezione sesta della Corte di cassazione, "Avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione delle cose sequestrate emesso dal giudice nel corso del giudizio di cognizione ai sensi dell'art. 263 n. 1 cod. proc. pen., e' possibile esperire l'opposizione prevista per gli incidenti di esecuzione dall'art. 667 n. 4, cui fa rinvio l'art. 676 cod. proc. pen. Tale mezzo di impugnazione deve infatti essere esteso in via analogica poiche' l'esigenza di tutela sostanziale dei diritti degli interessati deve essere salvaguardato, anche in assenza di una esplicita previsione del legislatore, con la possibilita' di proporre successivamente opposizione davanti allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento "de plano" (Cosi' da ultimo sez. VI, nr. 20296/1995, Mancini, rv 202975; analogamente, cfr. sez. V, nr. 3018/1993, Bartke, rv 195238, in C.E.D). In entrambi i casi i giudici di legittimita' procedendo alla riqualificazione dell'impugnazione, ai sensi del comma 4 dell'articolo 568 c.p.p., hanno trasmesso gli atti al collegio di cognizione affinche' si pronunciasse in opposizione, sulla richiesta di restituzione, come giudice dell'esecuzione. Di contrario avviso la giurisprudenza piu' recente della sezione seconda della suprema Corte, secondo cui "Avverso la decisione del giudice del dibattimento che rigetta l'istanza di restituzione delle cose sequestrate e' ammessa esclusivamente l'impugnazione insieme della sentenza; non puo' infatti ipotizzarsi ne' la ricorribilita' per cassazione di tale provvedimenti in applicazione della disciplina del procedimento camerale prevista dall'art. 127 cod. proc. pen, in quanto l'art. 263 cod. proc. pen., che regola la speciale procedura per la restituzione delle cose sequestrate, rinvia alle forme previste dal predetto art. 127 soltanto con riferimento alla fase delle indagini preliminari e non del giudizio, ove e' gia' instaurato un pieno contraddittorio; ne' l'esperibilita' dell'incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 666, terzo comma, cod. proc. pen., poiche' il medesimo art. 263 cod. proc. pen. contempla tale procedura soltanto nell'ipotesi di "sentenza non piu' soggetta ad impugnazione" (cfr. sez. II, nr. 605, Di Rosa, rv 204263, in C.E.D). 2.2 - Ritiene il collegio di non poter condividere l'orientamento che facendo ricorso all'analogia reinveste il giudice di cognizione come giudice di esecuzione. Detta soluzione, individuata dai giudici di legittimita' per conciliare la carenza legislativa di un mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di dissequestro da parte del giudice di cognizione con la "... esigenza di tutela sostanziale dei diritti degli interessati ..." (v. pag. 3 motivazione della sentenza sez. VI, nr. 20296/1995, Mancini, sopra cit.), non appare in sintonia con l'ordine normativo vigente. Infatti: in un sistema processuale improntato al principio di tassativita' dei provvedimenti soggetti a gravame, all'interpretazione analogica non puo' affidarsi un'efficacia "creativa" di un grado di impugnazione non previsto dal legislatore; il procedimento di esecuzione presuppone il passaggio in giudicato della sentenza e tale presupposto e' incompatibile con il procedimento di cognizione; il giudizio di opposizione del procedimento di esecuzione disciplinato dal combinato disposto dagli articoli 667, comma 4, e 666 c.p.p., prevede una procedura camerale a partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero (comma 4 dell'articolo 666 c.p.p.) e con potesta' istruttorie del giudice (comma 5 dell'articolo 666 c.p.p.) molto piu' incisiva e pregnante rispetto al procedimento in camera di consiglio di cui all'articolo 127 c.p.p. e che regola il giudizio di opposizione davanti al g.i.p. nell'ipotesi di rigetto dell'istanza di restituzione nella fase delle indagini preliminari (comma 5 dell'articolo 263 c.p.p.); sicche' l'interpretazione analogica avallata dall'orientamento della Suprema Corte in esame per colmare il vuoto di tutela individuato dagli stessi giudici di legittimita' finisce per creare una tutela rafforzata nella fase del giudizio di cognizione sicuramente sbilanciata rispetto al sistema di tutela massima prevista dal legislatore avverso il diniego dell'istanza di restituzione nella fase delle indagini preliminari con l'opposizione al g.i.p. disciplinata dalla procedura camerale dell'articolo 127 c.p.p. che non prevede, ne' la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore (richiesta, invece, dal comma 4 dell'articolo 666 c.p.p.), ne' alcuna facolta' istruttoria del giudice (diversamente da quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 666 c.p.p.). Ritiene, quindi il collegio, che le superiori considerazioni non consentono di aderire all'orientamento della Suprema Corte che per far fronte ad un oggettivo vuoto di tutela, estendendo oltremodo l'interpretazione analogica, ha creato una possibilita' di impugnazione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione da parte del giudice di cognizione non contemplata dal legislatore, tra l'altro, attingendo alla procedura di opposizione riservata al giudizio di esecuzione e ben distante, sia sotto il profilo della disciplina sostanziale, sia da un punto di vista sistematico, dal giudizio di opposizione previsto dal comma 5 dell'articolo 263 c.p.p., sia pure solo avverso il decreto di rigetto del pubblico ministero adito come organo di prima istanza nella fase delle indagini preliminari. 2.3 - L'orientamento piu' rigoroso adottato dalla sesta sezione (v. sopra sub 2.1.), appare piu' aderente sia alla lettera dell'articolo 263 c.p.p., sia al fondamentale principio di tassativita' delle impugnazioni previsto dal comma 1 dell'articolo 568 c.p.p., e a sua volta espressione del principio di certezza della situazioni e dei rapporti giuridici immanente all'intero ordinamento giuridico. L'adesione a detto orientamento comporterebbe nella fattispecie in esame, che questo collegio, prendendo atto della carenza di legittimazione al gravame non previsto dalla legge, dichiari l'inammissibilita' dell'appello - ex articolo 591, comma 1, lettera a) c.p.p. - proposto avverso l'ordinanza di rigetto emessa dal g.i.p. innanzi al quale pende il procedimento per decreto ai sensi degli articoli 459 e ss. c.p.p. e adito dalla difesa per pronunciarsi sulla richiesta di restituzione dei beni sequestrati (ex artt. 354 e 355 c.p.p.) all'imputato nella fase delle indagini preliminari. Tra l'altro, poiche' l'ordinanza del g.i.p. e' stata adottata de plano - essendo prevista la procedura camerale di cui all'articolo 127 c.p.p. solo quando vi e' un rapporto di alterita' tra richiedente la restituzione e soggetto al quale le cose sono state sequestrate (art. 263, comma 2, c.p.p.) - non sarebbe neanche possibile riqualificare l'impugnazione come ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 127, comma 7, c.p.p. e, quindi, trasmettere, ai sensi del comma 5 dell'articolo 568 c.p.p., il gravame alla Corte di cassazione competente. 3. - Un provvedimento di declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione, allo stato unica soluzione aderente al sistema normativo vigente, striderebbe oltremodo con la "... esigenza di tutela sostanziale dei diritti degli interessati", gia' individuata dagli stessi giudici di legittimita' (v. supra sub 2.2.). Avuto riguardo all'indagine normativa e giurisprudenziale sino ad ora espletata, ritiene, pertanto il collegio che ricorrono gli stessi presupposti che hanno recentemente indotto questo collegio a sollevare (ord. 202/00 Seq del 14/20 novembre 2000, imputato Luca' Gaetano) di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 263 c.p.p. per violazione degli articoli 3 e 24 della Carta costituzionale. 3.1 - Invero, mentre se il pubblico ministero respinge la richiesta di restituzione, ai sensi del comma 5 dell'articolo 263 c.p.p., i soggetti interessati possono immediatamente adire il g.i.p., ai medesimi soggetti il legislatore nell'architettura dell'articolo 263 c.p.p. non ha assicurato alcun tempestivo rimedio di merito avverso l'ordinanza di rigetto disposta dal giudice adito dalla richiesta di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio avanzata dopo la chiusura delle indagini preliminari e prima del passaggio in giudicato della sentenza, o, comunque, come nel caso di specie, prima che venga emesso o, comunque, diventi definitivo il decreto penale di condanna. Ritiene questo collegio che l'interesse alla restituzione del bene sequestrato da parte degli interessati (siano essi l'indagato/imputato, la persona offesa dal reato e/o l'avente diritto alla restituzione) e', e rimane ontologicamente identico, per cui il mero passaggio dalla fase delle indagini preliminari alla fase del giudizio o, come nel caso di specie, al procedimento speciale contemplato dagli articoli 459 e ss. c.p.p., costituendo un evento fisiologico al "divenire" dell'iter procedimentale, non giustifica minimamente una diversita' di trattamento tra le diverse fasi del procedimento. Non si rinviene alcuna ragione che possa giustificare una tutela minor, nella fase di cognizione e durante l'espletamento dei procedimenti speciali contemplati nel libro VI del codice di rito, dell'aspirazione a rientrare nella disponibilita' del bene sottoposto a vincolo reale probatorio, rispetto alla doppia e immediata tutela di merito assicurata nella fase delle indagini preliminari con il giudizio di opposizione. Ne', d'altro canto, la diversita' di tutela appare trovare alcuna logica giustificazione nel mutamento dello status all'interno del procedimento, da soggetto sottoposto ad indagini ad imputato. In sostanza nell'articolo 263 c.p.p. si rinviene una ingiustificata disparita' di trattamento tra il soggetto che chiede la restituzione nella fase delle indagini preliminari e dopo il passaggio in giudicato della sentenza, al quale - sia pur, come si e' detto sub 2.2, con le diverse procedure camerali previste nell'un caso dall'articolo 127 c.p.p. e nell'altro dall'articolo 666 c.p.p. - e' assicurato un tempestivo giudizio di opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione, ed il soggetto che vede respinta l'istanza di restituzione dopo la chiusura delle indagini preliminari al quale non e' consentito di proporre alcuna tempestiva opposizione. La lacuna legislativa in esame oltre che comportare una disparita' di trattamento contrastante con il principio di ragionevolezza espresso dall'articolo 3 della Costituzione, a parere del collegio, si risolve anche in una violazione del diritto di difesa contemplato dall'articolo 24 della Costituzione, non potendo l'imputato dopo la chiusura delle indagini preliminari difendere la propria istanza di restituzione mediante adeguata e tempestiva facolta' di gravame, assicuratagli, invece, come piu' volte si e' detto, sia nella fase delle indagini, sia dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Ritiene, quindi, il collegio che "Il procedimento per la restituzione ..." disciplinato dall'articolo 263 c.p.p., sarebbe apparso, oltre che piu' equilibrato da un punto di vista sistematico, in piena armonia con i parametri costituzionali previsti dagli articoli 3 e 24 della Costituzione, qualora il legislatore al comma 5 o in altra disposizione dell'articolo 263 c.p.p. avesse previsto in caso di rigetto dell'istanza di restituzione da parte del giudice di cognizione la facolta' di proporre opposizione innanzi al medesimo giudice a norma dell'articolo 127 c.p.p. (si e' gia' detto, sub 2.2., come il contraddittorio camerale rafforzato previsto dall'articolo 666 c.p.p., creerebbe nella fase di cognizione una tutela sbilanciata rispetto a quella prevista nella fase delle indagini preliminari). Tra l'altro l'opposizione al medesimo giudice non si risolverebbe in un rimedio defatigatorio o superfluo. Invero, sia in dottrina che in giurisprudenza si e' affermata la natura devolutiva dell'opposizione, per cui dopo il rigetto della prima istanza, il giudice di cognizione si pronuncerebbe su specifiche doglianze degli interessati e non solo su una mera riproposizione della richiesta gia' respinta. 4. - La questione di legittimita' costituzionale appare rilevante poiche' qualora venisse accolta, l'impugnazione della difesa proposta a questo collegio, anziche' dichiararsi meramente inammissibile, potrebbe essere riqualificata e trasmessa, ai sensi del comma 5 dell'articolo 568 c.p.p., al giudice procedente, per il giudizio di opposizione da esperire a norma dell'articolo 127 c.p.p.