ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del
codice   di   procedura  penale,  promossi,  nell'ambito  di  diversi
procedimenti  penali,  dal tribunale di Verona, sezione distaccata di
Soave, con ordinanze emesse il 21 e il 14 gennaio, il 18 febbraio, il
24  e  il  3 marzo  e  il 16 giugno 2000, iscritte rispettivamente ai
nn. 186,  187,  188,  376,  377  e  565 del registro ordinanze 2000 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 18, 27 e 42,
1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7 marzo 2001 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che con sei ordinanze (r.o. nn. 186, 187, 188, 376, 377
e  565 del 2000) di contenuto analogo il tribunale di Verona, sezione
distaccata  di  Soave,  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24
(parametro  evocato nelle sole ordinanze iscritte ai numeri 376 e 377
del  r.o.  del  2000),  25  e  97  della  Costituzione,  questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 34,  comma  2,  del codice di
procedura  penale,  come  integrato  dalla  sentenza n. 186 del 1992,
nella  parte  in  cui  prevede  l'incompatibilita'  alla  funzione di
giudizio del giudice che negli atti preliminari al dibattimento abbia
respinto  la  richiesta  di  applicazione  della  pena  concordata ex
art. 444 cod. proc. pen;
        che  in  tutti  i  procedimenti  a  quibus  il  rimettente ha
rigettato  per diversi motivi la richiesta di applicazione della pena
formulata  dall'imputato,  con  il  consenso  del pubblico ministero,
prima del compimento delle formalita' di apertura del dibattimento, e
ritiene  quindi  di  trovarsi,  per effetto della sentenza n. 186 del
1992,  in una situazione di incompatibilita' a giudicare gli imputati
nel  merito dell'imputazione loro contestata, con conseguente obbligo
di  astensione  ai sensi dell'art. 36, comma 1, lettera g) cod. proc.
pen;
        che ad avviso del giudice a quo la previsione di tale ipotesi
di  incompatibilita'  si  pone  in  contrasto  con  la  piu'  recente
giurisprudenza  costituzionale  e,  in  particolare,  con l'ordinanza
n. 232  del  1999,  che - nel dichiarare manifestamente infondata una
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod.
proc.  pen.,  nella  parte  in  cui non prevede l'incompatibilita' ad
emettere  sentenza  del giudice che abbia rigettato, nella fase degli
atti  preliminari al dibattimento, istanza di oblazione - ha ribadito
il  principio  generale  secondo cui "l'imparzialita' del giudice non
puo'  ritenersi intaccata da una valutazione anche di merito compiuta
all'interno della medesima fase del procedimento";
        che,  a giudizio del rimettente, tali affermazioni sono state
ribadite  dalla  successiva  ordinanza  n. 443  del  1999,  avente ad
oggetto  una  questione di legittimita' costituzionale concernente la
mancata  previsione  dell'incompatibilita'  del  giudice  che  si sia
pronunciato,  negli  atti  preliminari  al  dibattimento,  su  misure
cautelari personali nei confronti dell'imputato;
        che  in  tale  occasione  la  Corte ebbe a riaffermare che la
incompatibilita'  conseguente al compimento di atti tipici della fase
unitaria  di  cui il giudice e' investito "finirebbe con l'attribuire
alle parti la potesta' di determinare l'incompatibilita' nel corso di
un  giudizio  nel  quale  il  giudice e' investito, sicche' lo stesso
giudice verrebbe spogliato di tale giudizio in ragione del compimento
di  un  atto  processuale cui e' tenuto a seguito dell'istanza di una
parte;  esito, questo, non solo irragionevole, ma in contrasto con il
principio  del  giudice  naturale  precostituito per legge, dal quale
l'imputato verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto";
        che,  sulla  base  delle medesime argomentazioni, e ritenendo
che  le  modifiche  recate  dal decreto legislativo 19 febbraio 1998,
n. 51  (Norme  in  materia  di istituzione del giudice unico di primo
grado),  non  abbiano  apportato  elementi  di  novita' rispetto alle
valutazioni  gia'  espresse da questa Corte, il giudice a quo solleva
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod.
proc.   pen.,   come   integrato  dalla  sentenza  n. 186  del  1992,
assumendone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost;
        che,   ad   avviso   del   rimettente,  la  previsione  della
incompatibilita'  al  giudizio  del giudice che abbia rigettato negli
atti  preliminari  al  dibattimento  la richiesta di pena patteggiata
determina  una  irragionevole  disparita'  di  trattamento rispetto a
situazioni  analoghe  in  cui  la causa di incompatibilita' non opera
(come  quella  - oggetto dell'ordinanza n. 232 del 1999 - del giudice
che negli atti preliminari al dibattimento abbia rigettato istanza di
oblazione),  e  nello  stesso tempo irragionevolmente assoggetta alla
medesima    disciplina   situazioni   processuali   non   comparabili
processualmente,  "prevedendo  l'incompatibilita' al giudizio sia del
giudice  che  abbia  legittimamente  espresso  valutazioni  di merito
nell'ambito  della  medesima fase processuale, sia del giudice che le
abbia espresse nell'ambito di fase processuale diversa";
        che  la disciplina censurata violerebbe inoltre i principi di
buona   amministrazione   (art. 97  Cost.)  e  del  giudice  naturale
precostituito   per  legge,  realizzando  per  un  verso  "un'assurda
frammentazione  del  procedimento"  e  per  l'altro consentendo "alle
parti,  mediante  studiata proposizione di istanze ex art. 444 c.p.p.
inaccoglibili,   di   "sbarazzarsi"   del   loro   giudice  naturale,
costringendolo all'astensione";
        che l'art. 24 della Costituzione sarebbe violato in quanto il
diritto di difesa della parte civile viene leso dall'allungamento dei
tempi  necessari  alla definizione del procedimento, "su cui vanno ad
incidere  quelli  della procedura di astensione ed individuazione del
nuovo giudice";
        che  nei  giudizi  promossi  con  le  ordinanze  iscritte  ai
nn. 376, 377 e 565 del r.o. del 2000 e' intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
inammissibile o comunque infondata;
        che,  a  giudizio dell'Avvocatura, con l'ordinanza n. 232 del
1999  la Corte si sarebbe limitata "a dare atto della "maturazione" e
del   consolidamento   di   un  indirizzo  che  vuole  "sterilizzato"
l'istituto  delle  incompatibilita' all'interno della stessa fase del
giudizio,   salva,  eventualmente,  l'applicabilita'  dei  meccanismi
dell'astensione e della ricusazione";
        che  il  criterio affermato consente di valutare le questioni
di  legittimita' costituzionale che venissero sollevate nei confronti
dell'art. 34,  comma  2, cod. proc. pen., ma non potrebbe "consentire
di  revocare in dubbio la permanente validita' degli effetti prodotti
da  altre  e  precedenti  pronunce  della Corte" che debbono rimanere
ferme  a  prescindere  dai  "mutati itinerari argomentativi [...], in
certa  misura  "fisiologici  nel  cammino  di  consolidamento  di  un
indirizzo giurisprudenziale".
    Considerato  che, stante la sostanziale identita' delle questioni
di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dalle  sei  ordinanze di
rimessione  emesse  in distinti procedimenti dal tribunale di Verona,
deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che  il  giudice  rimettente,  pur  sollevando formalmente la
questione   nei  confronti  dell'art. 34,  comma  2,  del  codice  di
procedura  penale  nella  parte  in  cui, a seguito dell'integrazione
disposta  dalla  sentenza n. 186 del 1992, prevede l'incompatibilita'
alla  funzione  di giudizio del giudice che negli atti preliminari al
dibattimento  abbia  respinto la richiesta di applicazione della pena
concordata  a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., in realta' censura
una precedente decisione di accoglimento della Corte;
        che   tale  sindacato  non  e'  ammissibile  ai  sensi  degli
artt. 136,   primo   comma,   e  137,  terzo  comma,  Cost.,  nonche'
dell'art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, i quali,
nello  stabilire  che  contro le decisioni della Corte costituzionale
non  e'  consentita  alcuna impugnazione, precludono in modo assoluto
qualsiasi   tipo  di  domanda  diretta  a  contrastare,  annullare  o
riformare  tali  decisioni  (v.  ordinanze  n. 461 del 1999, n. 7 del
1991,  nn. 203,  93  e 27 del 1990, nonche' sentenza n. 29 del 1998 e
ordinanza n. 220 del 1998);
        che    pertanto   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.