IL TRIBUNALE

    Nella   causa   iscritta  al  n.r.o.  3699/98,  letti  gli  atti,
sciogliendo  la riserva che precede, vista la sentenza non definitiva
emessa in pari data, ha pronunziato la seguente ordinanza:

                              F a t t o

    Con   citazione   regolarmente   notificata  Di  Palma  Salvatore
conveniva  in giudizio la Banca di Roma, S.p.a., Gruppo Bancaroma, in
persona  del  legale  rappresentante pro tempore, Gentile Salvatore e
Cino  Giovanni,  per  sentire  accolta  la  propria opposizione ad un
decreto  ingiuntivo  emesso  dall'allora pretore di Napoli in data 22
settembre  1998  con  il  quale  gli  era  stato  ingiunto, nella sua
qualita' di fideiussore il pagamento della somma di L. 22.204.951, di
cui   19.421.333   per  esposizione  su  contratto  di  finanziamento
n. 4701/96008814  e  il  residuo per saldo passivo del conto corrente
n. 65042835, oltre interessi di mora al 12% annuo;
    L'opponente  contestava  oltre  la regolarita' della costituzione
dello stesso quale fideiussore, la limitazione della garanzia al solo
contratto  di  finanziamento  e  l'usurarieta'  dei  tassi  applicati
invocando l'applicazione dell'art. 1815, comma 2, c.c.
    Tanto premesso in fatto, preliminarmente osserva:
        1.   dalla   documentazione   in  atti  prodotta  emerge  che
effettivamente  il  Di  Palma  potra'  essere  considerato costituito
fideiussore  unicamente  in relazione al contratto di finanziamento e
non con riguardo al contratto di conto corrente;
        2.  ad avviso del giudicante il tasso cui far riferimento per
valutare  la  dedotta  usurarieta'  degli interressi applicati non e'
quello  indicato dall'opponente - che concerne si' i mutui, ma quelli
assistiti  da  garanzia reale - bensi' il tasso concernente i crediti
personali e altri finanziamenti, alle famiglie effettuati da banche -
di  cui  ai  vari  d.m.  che  si sono susseguiti ai sensi della legge
n. 108/1996, nel rilavare i tassi effettivi globali medi, sia perche'
il  mutuo  non  appare assistito da alcuna garanzia reale sia perche'
esplicitamente   e'  fatto  riferimento  nel  contratto  ad  esigenze
familiari;
        3.  il  tasso di interessi applicato nel contratto di mutuo -
tale  dovendosi  qualificare il contratto nascente dalla richiesta di
concessione  di  specialcredito del 26 ottobre 1996 a firma anche del
Di  Palma  -  e' del 18,75% annuo - e ha comportato la determinazione
per  la restituzione dell'importo di 25.000.000 di 60 rate mensili di
L. 645.080, dal 30 novembre 1996 al 31 ottobre 2001 secondo lo schema
depositato  dalla Banca di Roma - mentre il tasso di mora pattuito e'
del 21,75%;
        4.  i  predetti  tassi al momento della stipula del contratto
non  potevano  ritenersi  usurari  ai  sensi  dell'art. 3 della legge
n. 108/1996  - che dettava i criteri da utilizzare temporaneamente, e
in attesa della prima rilevazione trimestrale dei tassi globali medi,
per   individuare  gli  estremi  dell'usurarieta'  -  in  quanto  non
sproporzionati rispetto alla prestazione offerta;
        5.   a   seguito   del  variare  dei  tassi  globali  medi  e
precisamente  a  seguito della rilevazione del trimestre 1o gennaio -
31 marzo 1999 il tasso relativo agli interessi corrispettivi di mutuo
applicato dalla Banca di Roma (18,75%) e' divenuto usurario in quanto
il  tasso  globale  medio relativo alla categoria crediti personali e
altri  finanziamenti  alle  famiglie  effettuati  da  banche e' stato
rilavato  come 11,68% e pertanto il tasso soglia calcolato aumentando
della  meta'  il  tasso  medio e' divenuto del 17,52% e tale tasso e'
tuttora da considerarsi usurario alla luce della rilevazione del d.m.
21 settembre 2000 (tasso globale medio 11,10 tasso soglia 16,85);
        6.  quanto alla pattuizione del tasso di mora - a prescindere
dalla   valutazione   effettuata   dalla   Corte  costituzionale  con
l'ordinanza n. 236 del 22 giugno 2000 in ordine all'inesistenza di un
diritto  vivente conforme relativo all'applicabilita' dell'art. 1815,
comma  2,  anche  agli  interessi  di  mora,  e  a  prescindere dalle
considerazioni  che  invece  hanno  portato  la Corte di cassazione a
pronunziarsi  per  tale  applicabilita'  (cfr. Cass. 17 novembre 2000
n. 14899  e  Cass. 22 aprile 2000 n. 5286) - nel presente giudizio va
considerato  che  la  banca  ha  pattuito  tassi  originariamente non
usurari  -  poi  divenuti  tali - e ha richiesto l'applicazione di un
tasso moratorio diverso (12%) e inferiore al tasso soglia di usura;
    Alla  luce  delle  predette  considerazioni  in  fatto  e diritto
reputa,  questo  giudicante di dover sollevare d'ufficio la questione
di  costituzionalita'  dell'art. 1815,  comma 2, c.c. come modificato
dalla legge n. 108/1996, nei termini di cui in seguito.
    La  predetta questione di costituzionalita' dell'art. 1815, comma
2,  c.c.,  e'  ad  avviso  di questo giudicante rilevante ai fini del
presente   giudizio   in   quanto   dalla   pronunzia   della   Corte
costituzionale  dipende,  per  le  ragioni  e  nei  limiti  di cui in
premessa,  la possibilita' di riconoscere o meno alla parte che aveva
ottenuto  il  decreto ingiuntivo gli interessi corrispettivi al tasso
pattuito  del  18,75%  annuo,  divenuto, obiettivamente nel corso del
rapporto, superiore al tasso soglia.
    L'art. 1815,  comma  2,  prevede  che se sono convenuti interessi
usurari la clausola e' nulla e non sono dovuti interessi.
    Ai sensi dell'art. 644 c.p. l'interesse e' usurario quando supera
il  limite  stabilito  dalla  legge ovvero quando, pur senza superare
tale  limite, e' sproporzionato rispetto alla controprestazione avuto
riguardo  alle  condizioni  indicate  dallo stesso art. 644, comma 3,
c.p.  Il  limite  oltre il quale gli interessi sono sempre usurari e'
stabilito  ai  sensi  dell'art. 2  della legge n. 108/1996 in base al
tasso  soglia,  calcolato  aumentando  della meta' il tasso effettivo
globale  medio,  su base annua, rilevato trimestralmente con d.m. per
ciascuna categoria di operazioni finanziarie.
    La  stessa  norma  sanziona  penalmente  non  soltanto chi "si fa
promettere"  ma  anche chi "si fa dare" interessi usurari, collegando
sotto  il  profilo  penalistico l'usurarieta' non soltanto al momento
genetico,  ma anche a quello attuativo della percezione, di guisa che
colui il quale si faccia dare interessi, divenuti usurari per effetto
del  sopravvenuto  superamento  dei  limiti  stabiliti  dalla  legge,
risponde ugualmente del reato di usura.
    Alla  luce  della lettura combinata con il disposto dell'art. 644
c.p., il secondo comma dell'art. 1815 c.c., puo' essere interpretato,
ad  avviso  di  questo  giudice, unicamente nel senso che la sanzione
civile  della non debenza di alcun interesse opera non soltanto nelle
ipotesi  in  cui  al momento della pattuizione degli interessi questi
siano  convenuti  ad un tasso usurario, ma anche in quelle in cui gli
stessi  superino  il  tasso  soglia  per effetto di una variazione in
diminuzione  del  predetto  tasso,  sopravvenuta  ad  una pattuizione
originariamente  legittima  -  e  quindi tanto ai contratti stipulati
prima  dell'entrata in vigore della legge n. 108/1996 per i quali non
esisteva  alcun tasso soglia quanto a quelli stipulati, come nel caso
di  specie,  successivamente  con tasso d'interesse divenuto usurario
soltanto a seguito della diminuzione del tasso soglia.
    Sul  punto va anzi precisato che recentemente proprio la Corte di
cassazione  (cfr.  Cass.  17 novembre 2000 n. 14899 e Cass. 22 aprile
2000  n. 5286)  ha  fatto  perno  principalmente  sulla  dazione  per
individuare  il  momento  determinante  ai fini della configurabiita'
dell'usura, svalutando il momento della stipulazione.
    Questo  giudicante  non  condivide  quello che sembrerebbe essere
l'avviso  della  Corte di cassazione, ovverosia che anche se pattuito
ab  origine  un  interesse usurario l'unico momento rilevante ai fini
della  qualificazione  come usurario dell'interesse sarebbe la datio.
Ad avviso dello scrivente, piuttosto, il momento della datio dovrebbe
rilevare  per  il  caso  di  pattuizione  originariamente lecita o di
assenza  di  pattuizione,  non  potendo invece incidere, nel senso di
escluderla, sull'illiceita' di una pattuizione di un tasso ab origine
superiore al tasso soglia. La convinzione di questo giudice sul punto
si  fonda  sul  dato  letterale  dell'art. 1815, comma 2, c.c. che si
riferisce  unicamente  alla  convenzione di tassi usurari, e che alla
luce  dei  profili  penalistici  sopra evidenziati puo' e deve essere
interpretato  in  maniera  da  ricomprendere anche l'ipotesi di datio
illecita  che  faccia  seguito ad una convenzione lecita, ma non puo'
essere  travolto  fino  ad  escludere  ogni  rilevanza all'illiceita'
originaria  della  pattuizione  seppur  non  seguita da una effettiva
datio.
    Pur  con la predetta precisazione non puo' pero' non riconoscersi
che  la  Corte  di  cassazione  con  il  proprio  autorevole  avallo,
guardando alla datio quale momento qualificante per la determinazione
dell'usurarieta'     ha     confermato    quale    diritto    vivente
l'interpretazione  dell'art.  1815,  comma  2,  c.c.,  nella  lettura
prospettata  da  questo  giudicante, ovvero come applicabile non solo
per l'ipotesi di stipulazione di un tasso originariamente usurario ma
anche  all'ipotesi  di  sopravvenienza  dell'usurarieta'  (sul  punto
esplicitamente  Cass.  n. 5286/2000  seppure  in  un obiter dictum fa
riferimento  all'applicabilita'  dell'art. 1815, comma 2, all'ipotesi
di   contratto   di   mutuo   stipulato   anteriormente   alla  legge
n. 108/1996).
    La  norma,  pero',  nell'unica  interpretazione che ad avviso del
giudicante appare giuridicamente possibile, sembra porsi in contrasto
con gli articoli 24, 3 e 47 della Costituzione.
    Il principio del "dovuto processo legale", di cui l'art. 24 della
Costituzione  e'  una delle espressioni normative, infatti, impone al
legislatore, libero nella scelta di riconoscere e modellare sul piano
sostanziale  una  posizione  di  vantaggio (nel rispetto, ovviamente,
delle  altre  norme  costituzionali),  il dovere di riconoscere, alla
posizione   creata,   un   procedimento   che   sia   adeguato   alle
caratteristiche concrete della stessa e che le permetta di esplicarsi
sul piano processuale entro gli stessi limiti in cui le e' consentito
svilupparsi su quello sostanziale.
    In   questa  prospettiva  il  legislatore  dopo  aver  scelto  di
riconoscere  al  creditore  il  diritto di richiedere interessi ad un
tasso  convenzionale,  legittimo  al  momento  della  pattuizione, e'
tenuto,   ai  sensi  dell'art. 24  Cost.,  ad  assicurare  sul  piano
processuale  la  adeguata  realizzazione  di  quel  diritto.  Appare,
pertanto,  in contrasto con l'art. 24 della Costituzione l'art. 1815,
comma  2,  c.c.  nella  parte  in cui, sanzionando con la non debenza
degli  interessi 1'usurarieta' sopravvenuta degli stessi, per effetto
di  un  decreto  ministeriale,  limita  la facolta' di esplicare, sul
piano  processuale,  la  posizione  attribuita al creditore sul piano
sostanziale,  dal  momento  che quest'ultimo azionando in giudizio il
proprio  diritto,  legittimamente  sorto,  si  vede sanzionato con la
negazione della possibilita' di pretendere qualsiasi interesse.
    Tale situazione crea, inoltre, un'irragionevole ed ingiustificata
disparita'  di trattamento tra operatori che pur legittimamente hanno
concesso   finanziamenti  a  tassi  di  interesse  non  geneticamente
usurari,  soltanto  in funzione del dato accidentale della variazione
in  diminuzione del tasso soglia, non prevedibile sia nel quantum che
nell'an,  posto  che il predetto tasso puo' anche variare in aumento,
circostanza  che  nel corso del susseguirsi di d.m. di rilevazione si
e' concretamente verificata.
    Sotto   tale   profilo,   inoltre,  si  crea  una  ingiustificata
disparita' anche tra posizioni creditorie e debitorie - tanto piu' se
si  considera  che  non  sempre  e  non  necessariamente nei rapporti
economici il debitore e' il soggetto economicamente piu' debole - nel
momento  in  cui a seguito di una variazione in diminuzione del tasso
soglia  al  di  sotto  degli  interessi convenzionali il creditore si
trova  esposto  alla  sanzione  della non debenza di alcun interesse,
senza  che  un  successivo  aumento della soglia di usurarieta' al di
sopra  del tasso pattuito convenzionalmente possa incidere nuovamente
sul rapporto.
    La  norma,  inoltre,  si  pone  in  contrasto con l'art. 47 della
Costituzione,  non  incoraggiando il risparmio in tutte le sue forme,
in  quanto  rischia  di spingere gli operatori da un lato a concedere
crediti  con  maggiore  ritrosia,  alla  luce  del rischio di vedersi
sanzionati  indipendentemente  da  un  loro  colpevole comportamento,
dall'altro  -  dal  momento  che  gli  stessi operatori finanziari in
virtu'  del  meccanismo  previsto  dalla legge n. 108/1996 possono di
fatto  incidere  sulla  determinazione del tasso soglia - a mantenere
tale  tasso  costantemente  piu' alto di quanto imporrebbe la realta'
dei mercati.
    Ne',    del    resto,    per    ovviare   a   tali   profili   di
incostituzionalita',  potrebbe  interpretarsi  l'art. 1815  c.c.  nel
senso  di  un'automatica  riconduzione  dei tassi divenuti usurari al
tasso  massimo  consentito,  ovvero  al tasso legale, come pure parte
della giurisprudenza di merito ha proposto.
    L'eterointegrazione  imperativa  della  volonta' contrattualmente
espressa  dalle  parti  ai  sensi  dell'art. 1339  c.c.  e',  invero,
impedita  dal  collegamento  che  lo  stesso  art. 1815 c.c. pone tra
nullita'  della clausola con la quale sono pattuiti interessi usurari
e  la  sanzione  di non debenza di alcun interesse. Per effetto della
variazione del tasso soglia, invero, l'originaria pattuizione diviene
-  prospettandosi  nel  nostro  ordinamento  la figura della nullita'
sopravvenuta  -  nulla.  In tal caso intervenendo l'art. 1815 c.c. ad
imporre  la  sostituzione  della  clausola  nulla con la sanzione che
esclude   l'applicabilita'   di  qualsivoglia  interesse,  non  viene
lasciato  alcuno  spazio al giudice di merito per sostituire al tasso
divenuto  usurario  il  tasso  massimo  consentito,  ovvero  il tasso
legale.
    Se  poi  si  volesse  sostenere  che  la clausola originariamente
valida  non  diviene  nulla  - escludendosi l'istituto della nullita'
sopravvenuta  -  in  quanto  si  sarebbe  soltanto  in presenza di un
comportamento  illecito  della  parte  la  quale  pretende  interessi
divenuti  usurari,  non  troverebbe  ugualmente spazio l'integrazione
della  volonta'  delle  parti ai sensi dell'art. 1339 c.c., in quanto
tale   norma   presuppone,  necessariamente,  una  nullita'  parziale
delcontratto.
    L'eterointegrazione  imperativa  della  volonta' contrattualmente
espressa  dalle  parti  in  una clausola originariamente valida - che
pure    ricondunebbe    l'art. 1815,    comma    2,   nell'alveo   di
costituzionalita',   in   quanto   determinerebbe  il  riallineamento
progressivo di tutti i tassi creditori al di sotto dei limiti massimi
consentiti,  senza  creare  disparita'  di  trattamento - non appare,
dunque,  a  questo  giudicante  sorretta  da  alcun  dato  testuale e
potrebbe legittimamente operare nell'ordinamento giuridico soltanto a
seguito di intervento adeguatore del giudicedelle leggi.
    Questione   di   costituzionalita'   proposta  in  via  meramente
subordinata.
    Non  ritiene  questo  giudice  che ad impedire la declaratoria di
incostituzionalita'  possa  richiamarsi  una  diversa lettura, che si
pretenderebbe   costituzionalmente   corretta,  dell'art. 1815  c.c.,
interpretato   nel   senso   che  lo  stesso  sanzionerebbe  la  sola
pattuizione  con  la  quale  sono  convenuti  interessi  usurari, con
conseguente applicabilita' alle sole ipotesi in cui, al momento della
pattuizione  degli  interessi,  questi  siano  convenuti  ad un tasso
usurario  e  non  anche  a quelle in cui gli stessi superino il tasso
soglia  per  effetto  di  una  variazione in diminuzione del predetto
tasso, sopravvenuta ad una pattuizione originariamente legittima.
    Premesso  che  per  le  ragioni  in  precedenza  esposte,  per il
necessario   collegamento   con  l'art. 644  c.p.,  e  per  i  citati
interventi   sul   punto   della   Corte   di  cassazione,  una  tale
interpretazione  dell'art. 1815  c.c.  non  e',  ad  avviso di questo
giudicante,  praticabile,  anche  tale  interpretazione  non sarebbe,
comunque,   scevra   da  dubbi  di  costituzionalita',  in  relazione
all'art. 3 della Costituzione.
    Ove si volesse tentare una siffatta lettura della norma, infatti,
la   stessa   finirebbe  col  sottoporre  irragionevolmente  analoghe
situazioni  ad  una disciplina civilistica differenziata, giacche' da
un  lato  non  considererebbe  come usurari interessi che per effetto
dell'abbassamento   del  tasso  soglia  vengono  a  superare,  in  un
determinato  momento  storico,  i  limiti  di usurarieta', dall'altro
considererebbe  usurari  interessi che superano, nello stesso momento
storico  e  nell'identica misura, il tasso soglia, e cio' soltanto in
considerazione del diverso dato temporale della loro insorgenza.
    Del  resto,  poiche'  come  si  e'  gia'  visto,  l'art. 644 c.p.
sanziona  penalmente non soltanto chi "si fa promettere" ma anche chi
"si   fa   dare"  interessi  usurari,  collegando  sotto  il  profilo
penalistico l'usurarieta' non soltanto al momento genetico ma anche a
quello  attuativo  della  percezione,  colui il quale si facesse dare
interessi  divenuti usurari, per effetto del sopravvenuto superamento
dei  limiti  stabiliti dalla legge, risponderebbe del reato di usura,
ma  potrebbe, secondo tale prospettiva, legittimamente pretendere sul
piano civilistico gli interessi come originariamente pattuiti.
    Neanche  in quest'ottica interpretativa, poi, potrebbe sostenersi
che  nel  caso  di  sopravvenuta usurarieta' degli interessi, pur non
applicandosi  la  sanzione  della non debenza di alcun interesse, gli
stessi andrebbero autoritativamente ricondotti al tasso legale ovvero
a quello massimo consentito (c.d. tasso soglia).
    La premessa da cui muove l'interpretazione, che non si condivide,
dell'art. 1815  c.c.,  infatti  sarebbe  che la clausola con la quale
sono  stati  convenuti  interessi,  divenuti soltanto successivamente
usurari,  non  sia  nulla;  ma se la clausola contrattuale e' valida,
gia'  si  e'  detto  come non potrebbe essere la stessa sostituita ai
sensi  dell'art. 1339 c.c., che presuppone l'invalidita' parziale del
contratto.
    Tanto  premesso, va disposta la sospensione del presente giudizio
e  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  per la
decisone    sulla    questione    pregiudiziale    di    legittimita'
costituzionale,  siccome  rilevante  e  non manifestamente infondata.
Alla  cancelleria  vanno  affidati  gli adempimenti di competenza, ai
sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.