L'Assemblea regionale siciliana, nella seduta del 20 aprile 2001, ha approvato il disegno di legge n. 1075, 775, 832, 1038, 1054, 1055, 1087, 1097, 1131 dal titolo "integrazioni e modifiche alla legge regionale 1o settembre 1997 n. 33, concernente "Norme per la protezione, la tutela e l'incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale e in materia di lavori socialmente utili", pervenuto a questo commissariato dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello statuto speciale, il successivo 23 aprile 2001. Il provvedimento legislativo teste' approvato, da un canto apporta le dovute modifiche alla legge regionale n. 33 del 1997 a seguito della sentenza n. 4/2000 di codesta Corte che ne ha dichiarato l'illegittimita' in alcune sue parti e, dall'altro, introduce alcuni correttivi alla vigente normativa nella materia col dichiarato intento di renderla ancora piu' aderente ai principi della legge quadro nazionale n. 157/1992 ai fini della tutela del patrimonio faunistico. Alcune norme introdotte, tuttavia, si discostano dai principi generali posti dalla cennata legge n. 157/1992 o esulano dalla competenza riconosciuta al legislatore regionale o ancora costituiscono palese violazione di precetti costituzionali e si ritiene pertanto che debbano essere sottoposte al vaglio di codesta Ecc.ma Corte. L'art. 4, comma 1 alla lettera a) prevede la sostituzione della lettera n) del comma 2 dell'art. 8 della legge regionale n. 33/1997 con un nuovo dettato che da' facolta' alle ripartizioni faunistico-venatorie d'individuare le zone del demanio forestale ove consentire la caccia, sentita l'Azienda delle foreste demaniali, il cui parere favorevole s'intenderebbe acquisito per silenzio assenso, trascorsi trenta giorni dalla comunicazione. La formulazione dell'articolo che si intende modificare prevedeva al contrario che il provvedimento dovesse essere adottato d'intesa con l'azienda in questione, organo tecnico di gestione delle foreste demaniali e cio' al fine di corrispondere alle disposizioni dell'art. 21, comma 1 lettera c) della legge n. 157/1992 che vieta la caccia nelle foreste demaniali ad eccezione di quelle che, sentito il parere dell'istituto nazionale per la fauna selvatica, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione e alla sosta della fauna selvatica. Orbene, il ridurre il ruolo dell'Azienda delle foreste demaniali nella valutazione delle aree dove non e' pregiudizievole l'esercizio venatorio a mero silenzio-assenso, peraltro in assenza di un espresso richiamo all'obbligatorio parere dell'I.N.F.S., si ritiene non garantisca il patrimonio faunistico la cui tutela costituisce un preciso obbligo posto dalla legge nazionale (art. 1) ed e' affermato da costante giurisprudenza di codesta Corte anche nei confronti delle regioni a statuto speciale (C.C. n. 35/1995). Le disposizioni dell'art. 11, comma 1 lettera c) e lettera e) laddove prevedono, rispettivamente, che qualora una provincia abbia una superficie destinata a protezione della fauna selvatica superiore al 25% del territorio agro-silvo-pastorale, l'ambito territoriale di caccia possa coincidere con la porzione del territorio in cui e' possibile esercitare l'attivita' venatoria e che le isole Eolie, Pelagie, Egadi, Pantelleria e Ustica facciano parte di uno degli A.T.C. della provincia di appartenenza, si pongono in contrasto con quanto stabilito dall'art. 14 della legge n. 157/1992. La cennata disposizione statale prevede infatti la ripartizione del territorio agro-silvo-pastorale in ambiti territoriali di caccia omogenei e delimitati da confini naturali e cio' al fine, come acclarato da codesta Corte nella sentenza n. 4/2000 "di pervenire ad una piu' equilibrata distribuzione dei cacciatori sul territorio", attraverso la piu' ridotta dimensione degli ambiti stessi, e "di conferire specifico rilievo anche alla dimensione della comunita' locale in chiave di gestione, responsabilita' e controllo del corretto svolgimento dell'attivita' venatoria" con il richiamo ai confini naturali. Dette finalita' non verrebbero assicurate dalla censurata disposizione che in un caso addirittura non tiene in alcuna considerazione i confini naturali e nell'altro consente la istituzione di A.T.C. di vaste dimensioni sol perche' una limitata percentuale del territorio e' gia' destinata a protezione della fauna selvatica. I contrasto con i principi posti con l'art. 14 della legge n. 157/1992 per consentire una gestione programmata della caccia che non depauperi la fauna selvatica, patrimonio pubblico indisponibile, e' altresi' la disposizione della lettera f) del medesimo art. 1, comma 1 laddove consente l'iscrizione anche in soprannumero, negli ambiti territoriali di caccia, del cacciatore che abbia conseguito la licenza nel corso della stagione venatoria. Il legislatore regionale opera invero un ribaltamento degli interessi ritenendo prioritario, in violazione degli art. 3 e 97 della Costituzione, quello del cacciatore neofita anziche' quello della tutela del patrimonio faunistico che puo' essere assicurato esclusivamente da una oculata e programmata attivita' venatoria assentita secondo determinati preventivi parametri e rapporti. L'articolo 17 che testualmente reca "Modifiche alle disposizioni sulle zone di addestramento, allenamento e gare per cani" nell'inserire al comma 6 dell'art. 41 della legge regionale 1o settembre 1997, n. 33, dopo le parole "Nelle zone B", "e nelle aziende agro-venatorie" si pone in contrasto con l'art. 10 lettera e) e con l'art. 16, commi 1 2 e 4 della legge n. 157/1992. Dal combinato disposto dell'art. 41 della legge regionale n. 33/1997 e del comma in questione, verrebbero consentite infatti anche nelle aziende agro-venatorie le gare e gli allenamenti di caccia alternativi e l'addestramento di cani con l'impiego e l'abbattimento di specie animali prodotte in allevamento durante l'intero anno solare. Tale previsione configura una palese violazione dei principi generali posti dal legislatore nazionale, secondo cui le attivita' cinofilo-venatorie possono svolgersi esclusivamente in aree specificamente destinate all'addestramento e alle gare di cani individuate in sede di pianificazione e soltanto durante il periodo di apertura della caccia, a tutela della fauna. Peraltro, il travalicare tale limitazione temporale prescritta anche per l'abbattimento di fauna prodotta in allevamento, attivita' ritenuta da codesta Corte con sentenza n. 578/1990 qualificabile come venatoria, rende lecito un comportamento sanzionato penalmente e costituisce palese interferenza in materia penale da parte del legislatore siciliano. Del pari costituisce interferenza nel sistema sanzionatorio penale la norma contenuta nell'art. 20, nella parte in cui prevede che possono essere individuate quali zone contigue alle aree naturali protette, secondo le finalita' dell'art. 32 della legge n. 394/1991, anche porzioni delle zone D dei parchi, rendendo cosi' praticabile e lecita la caccia in tali aree. Tale previsione che cosi' consentirebbe di esercitare l'attivita' venatoria in territori ricadenti all'interno dei parchi, attivita' espressamente vietata ai sensi dell'art. 30 comma 1 lettera a) della legge n. 394/1991, interferisce come sopra detto palesemente nella materia penale attraverso la violazione degli art. 30 comma 1 lettera d) legge n. 157/1992 e dell'art. 30, comma 1 legge n. 394/1991. L'art. 21 configura infine un'evidente violazione del regime delle competenze previsto dagli artt. 14, 17 e 36 dello statuto speciale laddove introduce una implicita modifica alla disciplina dell'imposta di bollo contenuta nel d.P.R. n. 642 del 26 ottobre 1972, tributo di esclusiva spettanza dello Stato.