ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionalita' dell'art. 299, primo e
secondo  comma,  del  codice civile, promosso con ordinanza emessa il
16 maggio 2000 dalla Corte di appello di Palermo sul ricorso proposto
da S. L., iscritta al n. 472 del registro ordinanze 2000 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 38, 1a serie speciale,
dell'anno 2000.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7 marzo 2001 il giudice
relatore Fernando Santosuosso.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Corte  di  appello  di  Palermo,  adi'ta  in  sede  di
impugnazione  del  decreto  col  quale  il Tribunale di quella citta'
aveva  respinto  la richiesta di L. S. di poter aggiungere al cognome
acquisito  con l'adozione il proprio cognome originario, ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  del  primo e del secondo
comma  dell'art. 299  codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3 e
30 della Costituzione.
    Premette  in  punto  di fatto il giudice a quo che il ricorrente,
nato nel 1945 e coniugato, e' stato adottato da A. S. con decreto del
4 giugno  1999;  a  seguito  di cio', egli ha chiesto al Tribunale di
poter  conservare il proprio cognome anteponendolo a quello adottivo,
domanda   respinta   perche',  trattandosi  di  figlio  naturale  non
riconosciuto  dai  propri  genitori,  l'art. 299  cod.  civ.  prevede
espressamente che, in tale caso, l'adottato assuma come unico cognome
quello dell'adottante.
    Cio' posto la Corte rimettente osserva che la norma impugnata non
e'  suscettibile  di ricevere un'interpretazione adeguatrice, perche'
il  testo  della  stessa  esprime,  oggettivamente, un dato lessicale
indiscutibile.  Ne  consegue,  percio', la necessita' di sollevare la
questione   di   legittimita'  costituzionale  dei  primi  due  commi
dell'art. 299  cod.  civ; questione che e' rilevante, perche' dal suo
accoglimento   deriverebbe   il   buon   esito  del  gravame,  e  non
manifestamente  infondata  in  riferimento  agli  invocati parametri.
Rileva  in  proposito  il  giudice a quo che il nome ha, nell'attuale
ordinamento,  un valore fondamentale di identificazione della persona
umana,  al  punto da qualificarsi come un diritto della personalita'.
Tale   diritto   si  collega  a  quello,  piu'  ampio,  all'identita'
personale,  quale  si  e'  andato  progressivamente  maturando  nella
giurisprudenza   e   nella   coscienza   sociale.   Anche   la  Corte
costituzionale,  con  la sentenza n. 13 del 1994, ha riconosciuto che
il  diritto  all'identita'  personale  rientra  nella tutela prevista
dall'art. 2  della Costituzione, contribuendo a formare il patrimonio
inviolabile della persona umana.
    La norma impugnata, introdotta nel suo testo attuale dall'art. 61
della   legge  4 maggio  1983,  n. 184  (Disciplina  dell'adozione  e
dell'affidamento  dei  minori), ha ribaltato il principio previgente,
stabilendo  che  nell'adozione di maggiorenni l'adottato anteponga il
cognome  adottivo  a  quello  originario. Ove, pero', egli sia figlio
naturale  non  riconosciuto,  l'acquisto  del  nuovo  cognome implica
automaticamente  la  perdita di quello originario. Tale principio, se
trova   in   linea   di   massima   una  giustificazione  nell'antico
convincimento  di  tutelare  il figlio nascondendo un cognome imposto
dall'ufficiale  di  stato civile (e, percio', rivelatore dell'origine
illegittima),  appare,  invece,  palesemente irrazionale nell'ipotesi
dell'adozione di un maggiorenne. Quest'ultimo, infatti, essendo ormai
una persona adulta, ha una posizione familiare e sociale da tutelare,
rispetto   alla   quale   il   cognome  originario,  benche'  imposto
dall'ufficiale  di  stato  civile,  e'  ormai un segno distintivo che
costituisce  parte integrante dell'identita' personale, avendolo egli
anche  trasmesso  ai  propri  figli;  la sua eliminazione, quindi, si
risolve   in  un'oggettiva  lesione  della  predetta  identita',  con
conseguente violazione dell'art. 2 della Carta fondamentale.
    Al giudice a quo, inoltre, la norma appare anche in conflitto con
gli  artt. 3  e 30 Cost., perche' il figlio naturale non riconosciuto
ha  lo  stesso  diritto  del  figlio legittimo di tutelare il proprio
cognome,  mentre  la  norma  impugnata  determina  "un'ingiustificata
disparita'   di   trattamento  tra  figli  non  riconosciuti  (e  non
riconoscibili) e figli legittimi".

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  di appello di Palermo dubita della legittimita'
costituzionale  del  primo  e  del secondo comma dell'art. 299 codice
civile,  nella  parte  in  cui  prevedono che l'adottato anteponga il
cognome  adottivo  a quello originario e che, qualora il medesimo sia
figlio  naturale  non  riconosciuto  dai propri genitori, egli assuma
solo   il   cognome   dell'adottante,   perdendo,   percio',   quello
originariamente imposto dall'ufficiale di stato civile.
    Il  giudice  a  quo  ritiene che tale previsione sia lesiva degli
artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, innanzitutto perche', trattandosi
di adottato maggiorenne, il cognome originario ha ormai acquisito per
lui  il  carattere  di  segno  distintivo  dell'identita'  personale,
avendolo  l'interessato  trasmesso  ai  propri figli ed essendo egli,
comunque,  identificato  in tal modo nel contesto familiare e sociale
di  appartenenza;  ed in secondo luogo perche' il figlio naturale non
riconosciuto ha lo stesso diritto del figlio legittimo di tutelare il
proprio    cognome,    mentre    la    norma    impugnata   determina
"un'ingiustificata   disparita'   di   trattamento   tra   figli  non
riconosciuti (e non riconoscibili) e figli legittimi".
    La   prospettazione  dell'ordinanza  investe,  seguendo  l'ordine
logico,  preliminarmente  il secondo comma della norma impugnata, che
non   permette  all'adottato  di  mantenere  il  proprio  cognome  e,
subordinatamente  all'accoglimento,  anche il primo comma, poiche' il
giudice   rimettente   pare   richiedere  alla  Corte  una  pronuncia
manipolativa che, invertendo la regola vigente, consenta all'adottato
di anteporre il cognome originario rispetto a quello adottivo.
    2. - La questione principale e' fondata.
    Il   secondo   comma   dell'art. 299   cod.  civ.,  nel  regolare
l'assunzione del cognome in caso di adozione di maggiorenne che abbia
la  qualita' di figlio naturale, prevede, nel suo primo periodo, che,
qualora  si  tratti  di  figlio naturale non riconosciuto, l'adottato
assuma  solo il cognome dell'adottante. La ratio di tale norma, sulla
quale  non ha inciso la sostituzione operata dall'art. 61 della legge
4 maggio   1983,   n. 184,   risiede   -  come  rileva  la  relazione
ministeriale  -  nella  ritenuta  opportunita'  di  far scomparire il
cognome imposto dall'ufficiale di stato civile ai sensi dell'art. 71,
ultimo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238.
    Tale scelta, peraltro, risulta in contrasto con l'invocato art. 2
della  Costituzione,  dovendosi  ormai ritenere principio consolidato
nella  giurisprudenza  di  questa  Corte quello per cui il diritto al
nome  -  inteso  come  primo  e  piu'  immediato segno distintivo che
caratterizza  l'identita'  personale  -  costituisce  uno dei diritti
inviolabili  protetti dalla menzionata norma costituzionale (sentenze
n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994).
    Nel caso in esame, non solo l'interessato ha utilizzato da sempre
quel  cognome,  trasmettendolo  anche  ai propri figli, ma tale segno
distintivo si e' radicato nel contesto sociale in cui egli si trova a
vivere, sicche' precludere all'adottato la possibilita' di mantenerlo
si  risolve  in  un'ingiusta  privazione  di  un  elemento  della sua
personalita', tradizionalmente definito come il diritto "ad essere se
stessi".  Ed e' innegabile, d'altra parte, che l'antico sfavore verso
i   figli   nati  fuori  del  matrimonio  e'  superato  dalla  nostra
Costituzione oltre che dalla coscienza sociale. Per queste ragioni il
fatto che l'adottato acquisisca uno status del quale era privo non e'
motivo   sufficiente  per  negare  la  violazione  dell'art. 2  della
Costituzione.
    Non puo' essere dimenticato, d'altronde, che la norma in esame e'
anche  del tutto irrazionale alla luce della riforma dell'adozione di
cui alla menzionata legge n. 184 del 1983. Con questa legge, infatti,
si  e'  compiuta  una netta distinzione fra l'adozione di minori, sia
essa  legittimante  o  meno,  e  quella  di maggiorenni, regolata dal
codice  civile.  Se  la  ratio  della  prima  e',  almeno in linea di
massima,  quella  di  fornire al minore una famiglia che sia idonea a
consentire  nel  modo  migliore  il  suo  sviluppo  -  il  che spiega
l'assunzione, da parte dell'adottato, del solo cognome dell'adottante
e  la  cessazione di ogni rapporto con la famiglia d'origine (art. 27
della  legge  n. 184  del  1983),  salvo  la  c.d.  adozione  in casi
particolari  -  l'obiettivo  della  seconda  evidentemente  non e' il
medesimo,  poiche'  tale adozione (art. 300 cod. civ.) non crea alcun
vincolo  di  parentela  tra  l'adottato e la famiglia dell'adottante,
tanto  che  il  primo  conserva  tutti  i propri precedenti rapporti,
specie quelli con la famiglia di origine (v. sentenze n. 500 del 2000
e n. 240 del 1998 ed ordinanza n. 82 del 2001).
    La   scomparsa   del   cognome   originario,   dunque,  nel  caso
del maggiorenne  appare  anche  priva  di  razionale giustificazione,
sicche' risulta violato l'art. 3 della Costituzione.
    3.  -  L'ordinanza di rimessione, come si e' accennato, prospetta
un'ulteriore   contrarieta'  agli  invocati  parametri  della  regola
prevista  dal primo comma dell'art. 299 cod. civ., in base alla quale
il cognome dell'adottante deve essere anteposto al proprio.
    Alla  luce delle considerazioni svolte, la precedenza del cognome
dell'adottante non appare irrazionale, cosi' come non puo' costituire
violazione  del  diritto  all'identita'  personale  il  fatto  che il
cognome  adottivo  preceda  o  segua quello originario. La lesione di
tale   identita'   e'   ravvisabile   nella  soppressione  del  segno
distintivo,   non  certo  nella  sua  collocazione  dopo  il  cognome
dell'adottante.
    Ne consegue l'infondatezza di questa seconda questione.