ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale del decreto legislativo
11 febbraio  1998,  n. 32  recante  "Razionalizzazione del sistema di
distribuzione  dei  carburanti,  a  norma  dell'articolo  4, comma 4,
lettera  c),  della legge 15 marzo 1997, n. 59", promosso con ricorso
della  Regione  Lombardia, notificato il 3 aprile 1998, depositato in
Cancelleria il 9 successivo ed iscritto al n. 23 del registro ricorsi
1998.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  16 gennaio  2001  il  giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Uditi  l'avvocato  Giuseppe F. Ferrari per la Regione Lombardia e
l'Avvocato  dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio
dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Regione  Lombardia, con ricorso notificato il 3 aprile
1998  e  depositato  il  9 aprile  1998,  ha  sollevato  questione di
legittimita' costituzionale del decreto legislativo 11 febbraio 1998,
n. 32 (Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti,
a  norma  dell'articolo  4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo
1997,  n. 59),  in  riferimento  agli artt. 3, 5, 41, 42, 76, 77, 97,
115, 117 e 118 della Costituzione.
    1.1.  -  Secondo la ricorrente, il decreto legislativo impugnato,
nel  suo  intero  testo,  contrasta  con  gli  artt. 76  e  77  della
Costituzione,  in  quanto  l'art. 4, comma 4, lettera c), della legge
delega n. 59 del 1997 non menziona espressamente la distribuzione dei
carburanti,  riferendosi  genericamente  alla razionalizzazione della
rete   commerciale,   e   prevede   principi   e   criteri  direttivi
generalissimi, che, in quanto valevoli per tutte le deleghe conferite
dalla medesima legge, confermano la disattenzione del legislatore per
le specifiche problematiche del settore in questione.
    1.2.  - Tali carenze, ad avviso della ricorrente, risultano ancor
piu'  gravi  in quanto le singole disposizioni del decreto impugnato,
in  contrasto  con  gli  obiettivi  della  legge  delega, e quindi in
violazione  degli artt. 76, 5, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione,
non  operano  alcun  trasferimento  di  funzioni alle regioni, in una
materia  gia'  oggetto  di  delega  a  norma  dell'art. 52 del d.P.R.
24 luglio  1977,  n. 616,  ma  dettano  una  disciplina minuziosa che
imputa  attribuzioni direttamente ai comuni, consentendo alle regioni
di  emanare esclusivamente "norme di indirizzo programmatico", la cui
funzione ed il cui contenuto risultano peraltro indeterminati.
    In   particolare,  l'art. 1,  comma  1,  sopprime  il  regime  di
concessione  previsto  dal  decreto-legge  26 ottobre  1970,  n. 745,
sostituendolo con un regime autorizzatorio, disciplinato dal comma 2,
il  quale  subordina  il  rilascio  dell'autorizzazione  da parte del
sindaco  ad  un  accertamento di conformita' a parametri puntualmente
individuati  dalla  normativa statale, in violazione del principio di
cooperazione  tra Stato, regioni ed enti locali, nonche' dei principi
di  determinatezza,  responsabilita', unicita' e buon andamento della
pubblica  amministrazione.  Gli  artt. 1,  comma 5, e 3, comma 2, non
attribuiscono  alle  regioni il potere di revoca delle autorizzazioni
relative  agli  impianti  esistenti al momento dell'entrata in vigore
della  nuova  disciplina, in violazione dei principi di completezza e
buon andamento della pubblica amministrazione.
    L'art. 1,  commi  6,  7  e  10  e  l'art. 10, commi 1, 2 e 3, che
disciplinano  i  contratti  per  l'affidamento  della  gestione degli
impianti,  aggravano  l'esclusione  delle  regioni  dal controllo del
settore,   dettando   una  disciplina  transitoria  avente  efficacia
dichiaratamente    retroattiva.   L'art. 2,   in   violazione   anche
dell'art. 3  della  Costituzione,  attribuisce competenze soltanto ai
comuni,  ignorando  le  regioni,  che  vengono  incluse  soltanto  in
eventuali  accordi  di  programma, possibili anche in assenza di tale
disposizione.
    L'art. 3,  commi  1,  2, 3, 4, 7, 8, 9 e 10, detta una disciplina
che  frammenta  le  competenze  tra  i  soggetti  pubblici  senza  un
apparente  disegno  sottostante,  attribuendo  la maggior parte delle
funzioni  ai  comuni,  in  violazione  anche  dell'art. 14,  comma 1,
lettera   f),   della  legge  delega;  esso,  inoltre,  incide  sulla
consistenza  della rete distributiva delle singole regioni, con grave
pregiudizio della loro potesta' programmatoria, e sottrae alle stesse
ogni  competenza  in  materia  di  nuovi  impianti nei porti marini e
lacuali.
    L'art. 4  conferisce  al  Ministro  dell'industria  una  potesta'
regolamentare non prevista dalla legge delega, anche in contrasto con
l'art. 17,  comma  1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400.
L'art. 6  istituisce  un fondo per la razionalizzazione della rete di
distribuzione, la cui gestione e' interamente sottratta all'autonomia
regionale. L'art. 7 spoglia sostanzialmente le regioni della potesta'
normativa  nella materia della determinazione dell'orario di servizio
dei  distributori,  ad  esse  gia'  attribuita dall'art. 54, comma 1,
lettera  d), del d.P.R. n. 616 del 1977. L'art. 10, infine, detta una
disciplina  dei contratti per l'utilizzazione dei serbatoi di GPL che
viola anche gli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, in quanto incide
irragionevolmente  sulla  liberta'  dell'iniziativa economica e sulla
proprieta' privata, stabilendo autoritativamente il prezzo di vendita
di un bene di uso privato.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura  dello  Stato, che ha
chiesto dichiararsi l'inammissibilita' o l'infondatezza del ricorso.
    3.  - In prossimita' dell'udienza pubblica, la difesa erariale ha
depositato  una  memoria,  nella  quale  insiste per il rigetto della
domanda,  osservando  che  il  decreto  impugnato,  in quanto volto a
rendere  piu'  razionale,  trasparente  e  concorrenziale il comparto
della  distribuzione  dei  carburanti,  rientra negli obiettivi della
legge  n. 59  del  1997,  ed  e'  conforme  ai principi ed ai criteri
direttivi  enunciati  dall'art. 4,  comma  4,  lettera  c).  Esso non
esclude  totalmente  le  regioni dalla disciplina del settore, ma, in
applicazione del principio di sussidiarieta', attribuisce alle stesse
funzioni  propulsive  e  di  programmazione dell'attivita' svolta dai
comuni,  mediante  il  riconoscimento  del potere di emanare norme di
indirizzo programmatico.
    Quanto  alle  censure  sollevate  dalla ricorrente in ordine alle
singole   disposizioni,   la  difesa  dello  Stato  sostiene  che  la
sostituzione   del   regime  concessorio  con  quello  autorizzatorio
risponde  ad  esigenze di semplificazione apprezzabili nell'ambito di
una   piena   discrezionalita'  legislativa;  l'attribuzione  di  una
competenza  specifica  ai comuni e la riserva alle regioni di compiti
di  controllo e coordinamento sono invece volte a realizzare una piu'
razionale  allocazione  delle  funzioni amministrative; la disciplina
dei  contratti  di  affidamento della gestione esula dalla competenza
regionale,   mentre   la  potesta'  normativa  ministeriale  prevista
dall'art. 4   riguarda  modalita'  meramente  attuative  del  decreto
impugnato,  e  comunque  non esclude una potesta' regolamentare delle
regioni,  che,  anzi,  e'  stata  fatta espressamente salva; il fondo
previsto  dall'art. 6  costituisce un supporto alla razionalizzazione
del  settore,  la  cui  gestione  puo'  aver luogo soltanto a livello
nazionale,  per  un'equa distribuzione; l'art. 7, infine, lascia ampi
margini  di  scelta  alle  regioni,  tenendo fermi solo alcuni limiti
preesistenti.
    4.  - Anche la Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella
quale  insiste  per  l'accoglimento del ricorso, ribadendo le proprie
censure  e  sostenendo  in particolare che, in presenza di una delega
ampia  e  generica come quella di cui all'art. 4, comma 4, lettera c)
della  legge  n. 59  del 1997, il Governo avrebbe dovuto attenersi ad
un'interpretazione  massimamente restrittiva del potere conferitogli,
astenendosi   da   scelte   sostanzialmente  innovative  del  sistema
previgente.

                       Considerato in diritto

    1.  - La questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla
Regione  Lombardia  con il ricorso indicato in epigrafe ha ad oggetto
il decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32 (Razionalizzazione del
sistema  di  distribuzione dei carburanti, a norma dell'art. 4, comma
4,  lettera c) della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale disciplina
l'installazione  e  l'esercizio  degli  impianti di distribuzione dei
carburanti   e   la   ripartizione  delle  competenze  relative  alla
razionalizzazione  della  rete  di distribuzione, regolando inoltre i
contratti   per  l'affidamento  della  gestione  dei  distributori  e
l'utilizzazione dei serbatoi di GPL.
    Il  decreto viene censurato, innanzi tutto, nell'intero testo per
violazione  degli  artt. 76  e  77  della  Costituzione, in quanto la
relativa  delega  sarebbe  priva  di oggetto definito e di principi e
criteri  direttivi  specificamente  riferibili alle funzioni inerenti
alla  distribuzione  dei  carburanti. La ricorrente deduce inoltre la
violazione  degli  artt. 5, 76, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione
ad opera di singole disposizioni, e cioe' l'art. 1, commi 1, 2, 5, 6,
7 e 10; l'art. 2; l'art. 3, commi 1, 2, 3, 4, 7, 8, 9 e 10; l'art. 4;
l'art. 6;  l'art. 7  e  l'art. 10,  commi  1,  2  e  3, in quanto, in
contrasto  con la legge delega, attribuirebbero direttamente funzioni
ai  comuni,  consentendo  alle  regioni soltanto di emanare "norme di
indirizzo programmatico". Secondo la Regione ricorrente sussisterebbe
infine anche la violazione degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione,
sotto  il  profilo  della  irragionevolezza  e  della  ingiustificata
limitazione  dell'iniziativa  economica  e  della proprieta' privata,
relativamente a specifici contenuti della disciplina impugnata.
    2. - La questione non e' fondata.
    Le  disposizioni  del  decreto  legislativo  n. 32  del  1998  si
inseriscono  in  un complesso quadro normativo in continua evoluzione
anche  successivamente  alla  proposizione  del ricorso in oggetto. A
partire,  infatti,  dal regio decreto-legge 21 novembre 1933, n. 1741
convertito  nella  legge  8 febbraio  1934,  n. 367  e  dal  relativo
regolamento di esecuzione approvato con regio decreto 20 luglio 1934,
n. 1303,  una serie di atti legislativi ha regolato l'installazione e
la   gestione   degli   impianti  di  distribuzione  dei  carburanti.
Nell'ambito  di  tali atti va specialmente ricordato il decreto-legge
26 ottobre  1970,  n. 745,  convertito  con modificazioni nella legge
18 dicembre  1970, n. 1034, il cui art. 16, in particolare, dopo aver
definito   l'attivita'   in  questione  come  pubblico  servizio,  ne
subordinava  l'esercizio al rilascio di apposita concessione da parte
del prefetto territorialmente competente, attribuendo al Ministro per
l'industria  il  compito  di  determinare  annualmente,  per ciascuna
provincia,  criteri  e  numero  massimo  per  il rilascio delle nuove
concessioni,  sulla  base di indirizzi del Comitato interministeriale
per  la  programmazione  economica  (CIPE)  e sentito il parere delle
regioni.   La   stessa  disposizione,  tra  l'altro,  subordinava  ad
autorizzazione  amministrativa  il  trasferimento della concessione e
della  proprieta' degli impianti, cosi' come il loro trasferimento da
una localita' all'altra.
    Con  il  d.P.R.  24 luglio 1977, n. 616 si e' attuata una diversa
disciplina  delle  predette  competenze,  in quanto l'esercizio delle
funzioni relative ai distributori di carburante e' stato delegato, in
base  all'art. 52,  primo  comma, lettera a), alle regioni nel quadro
degli indirizzi determinati dal Governo, mentre l'art. 54, lettera f)
ha  attribuito  ai  comuni  tra  l'altro  la  potesta' autorizzatoria
relativa  all'installazione  ed  all'esercizio  dei  distributori nel
territorio  comunale,  nonche'  quella relativa alla fissazione degli
orari  di  esercizio  degli  impianti,  in  base  a  criteri generali
stabiliti dalle regioni (lettera d).
    Successivamente  alla  disciplina  che  ha  fissato  il  predetto
riparto di competenze e' intervenuto il decreto legislativo n. 32 del
1998,  contro il quale e' stato appunto proposto il ricorso regionale
in  esame,  ma  va rilevato che dopo la proposizione del ricorso sono
entrati  in  vigore  il  decreto  legislativo n. 112 del 1998, il cui
art. 41,  comma 2, lettera d), ha disposto che sono "trasferite" alle
regioni  le  competenze  "gia' delegate" ai sensi dell'art. 52, primo
comma,  del  d.P.R.  n. 616  del 1977, nonche' il decreto legislativo
8 settembre 1999, n. 346 ed il decreto-legge 29 ottobre 1999, n. 383,
convertito nella legge 22 dicembre 1999, n. 496, che hanno introdotto
modifiche ed integrazioni all'impugnato decreto n. 32 del 1998.
    2.1.  -  In  via preliminare va esaminato quale rilievo abbia, ai
fini  del  presente giudizio, la indicata normativa sopravvenuta alla
proposizione  del  ricorso  e  soprattutto  la  sostituzione, operata
dall'art. 41,  comma  2,  lettera d) del decreto n. 112 del 1998, del
regime  del  "trasferimento" rispetto alla preesistente "delega" alle
regioni  delle  competenze  gia'  previste  dal citato art. 52, primo
comma,  lettera  a) del d.P.R. n. 616 del 1977. A questo proposito va
osservato che la predetta sostituzione normativa, intervenuta dopo la
presentazione  del  ricorso,  non ha efficacia retroattiva e non puo'
comunque   considerarsi,   non   riguardando  direttamente  le  norme
impugnate  nel  presente  giudizio,  satisfattiva della pretesa della
ricorrente.  Tanto  che la stessa Regione Lombardia, nelle sue difese
scritte  ed  orali  successive  alla  proposizione  del  ricorso, pur
indicando genericamente la sopravveniente normativa per sostenerne la
irrilevanza  nel  presente  giudizio,  non ha fatto il benche' minimo
riferimento   al  mutamento  di  titolo  delle  competenze  regionali
determinato appunto dal citato art. 41.
    L'indicato   quadro   normativo   non  presenta,  pertanto,  quei
caratteri  che,  secondo  la  giurisprudenza costituzionale (cfr., ex
plurimis  sentenze n. 84 del 1998, n. 406 del 1995, n. 501 del 1993),
possono  determinare  una  pronuncia  di cessazione della materia del
contendere,   ovvero   di   sopravvenuta   carenza   d'interesse  del
ricorrente. Si deve quindi esaminare nel merito la proposta questione
di costituzionalita'.
    3.  -  A questo proposito va innanzi tutto ricordato che, secondo
questa  Corte,  nel  delegare alle regioni le funzioni amministrative
sui  distributori di carburante (art. 52, lettera a) e, nel contempo,
nell'attribuire  ai  comuni  il potere di rilasciare l'autorizzazione
per  l'installazione  e l'esercizio dei distributori stessi (art. 54,
lettera f), "il d.P.R. n. 616 del 1977 ha effettuato una ripartizione
di  competenze  conforme  al  disegno  costituzionale, affidando alle
regioni la programmazione e l'indirizzo e ai comuni l'amministrazione
attiva  e  la  gestione  concreta  del  settore" (sentenza n. 559 del
1988).
    Questo  riparto  di competenze, ritenuto appunto non contrastante
con  la  Costituzione,  non  ha  subito modificazioni sostanziali per
effetto   del   decreto   legislativo   impugnato,   il   quale,  pur
razionalizzando  il  settore,  ha  disciplinato  la  materia  in modo
essenzialmente   ricognitivo   del  precedente  assetto,  confermando
l'affidamento  ai  comuni  delle funzioni di amministrazione attiva e
gestione  concreta  del settore e riservando alle regioni l'attivita'
di  programmazione  ed indirizzo. Ai comuni e' infatti conferito, tra
l'altro,   il   potere   di   autorizzazione   all'installazione   ed
all'esercizio degli impianti di distribuzione dei carburanti (art. 1,
comma  2),  nonche'  di  verifica  tecnica  degli  impianti  gia'  in
esercizio  (art. 1,  comma  5),  cosi'  come  quello  di revoca delle
autorizzazioni  per  mancato  adeguamento alle norme vigenti (art. 3,
comma  2). Alle regioni, invece, spetta, tra l'altro, l'emanazione di
norme  di  indirizzo  incidenti  sul  rilascio  delle  autorizzazioni
(art. 1, comma 2), nonche' sulla prosecuzione dell'attivita' (art. 3,
comma  2),  oltre  che  un'attivita'  di monitoraggio sui processi di
ristrutturazione    della    rete    di    distribuzione    ai   fini
dell'allineamento agli standards europei (art. 3, commi 7 e 9).
    3.1.  -  Il  decreto  legislativo  n. 32 del 1998 reca dunque una
disciplina  che,  nel  suo  complesso,  non  appare  viziata sotto il
profilo  del riparto di competenze e si conforma anche agli obiettivi
di  efficienza  del  sistema  distributivo e di razionalizzazione del
precedente   assetto   normativo   indicati  dalla  delega  conferita
dall'art. 4,  comma  4, lettera c) della legge n. 59 del 1997. Non si
puo'  ritenere  quindi,  come  invece  sostiene  la  ricorrente,  che
l'intero  testo del decreto sia viziato per violazione degli artt. 76
e 77 della Costituzione sotto il profilo della indeterminatezza della
delega.  Ed invero l'oggetto della delega previsto dalla citata legge
n. 59  e' delimitato, come questa Corte ha specificato nella sentenza
n. 408  del  1998,  "sia  in  negativo, attraverso la identificazione
delle  materie escluse e dei compiti da eccettuare dal decentramento,
sia  in positivo, attraverso i criteri del riferimento agli interessi
e alla promozione dello sviluppo delle comunita' regionali e locali".
Cosi' pure, secondo la stessa decisione, non e' preclusa dall'art. 76
della Costituzione la delimitazione dell'area della delega effettuata
mediante   il   ricorso   a   "clausole   generali",   quali  appunto
"ridefinizione",   "riordino"   e  "razionalizzazione",  accompagnate
dall'indicazione   di   principi   come   quelli  di  sussidiarieta',
completezza,  efficienza  ed economicita', responsabilita' e unicita'
dell'amministrazione,   omogeneita',  adeguatezza,  differenziazione,
prescritti dall'art. 4, comma 3, della stessa legge n. 59.
    Proprio  rispettando  i  criteri  della  delega ed utilizzando in
larga  misura  il  principio  di sussidiarieta', nell'ambito peraltro
delle  legittime  scelte  di  politica  istituzionale  e  in modo non
contrastante  con  le  regole costituzionali sull'autonomia regionale
(cfr.  sentenza  n. 408  del 1998), vengono riservati, nel decreto in
esame,  agli  enti  piu'  vicini  alle  comunita' locali i compiti di
gestione   amministrativa,   lasciando   alle   regioni  funzioni  di
programmazione e di coordinamento.
    E'  in  questa ottica dunque che, in particolare, va interpretata
la  sostituzione  del  previgente regime di concessione con quello di
autorizzazione  comunale, in quanto ritenuto piu' idoneo a conseguire
gli  obiettivi, fissati dalla legge di delega, di razionalizzazione e
di semplificazione del procedimento. Ed e' in questa stessa ottica di
osservanza  della  delega, in termini di promozione dell'efficienza e
contenimento  dei  prezzi per i consumatori, che va anche considerata
la   disciplina  transitoria  dell'art. 3,  che  si  incentra  su  un
articolato  programma,  di  competenza comunale ma sotto monitoraggio
regionale,  di  riduzione  del  numero degli impianti di vendita, nel
quadro  del  processo di avvicinamento agli standards europei avviato
fin  dal  d.P.C.M.  8 luglio 1978 (cfr. sentenza n. 301 del 1992). La
previsione  di  tale  riduzione  di  punti  di vendita viene peraltro
affiancata,  in  applicazione  di  uno specifico criterio - derivante
dalla  delega  - di razionalizzazione del sistema distributivo, dalla
prevista  istituzione,  ad  opera  dell'art. 6,  di un apposito Fondo
preordinato  all'erogazione,  su  scala nazionale, degli indennizzi a
favore dei titolari e gestori degli impianti in questione.
    Negli  stessi  termini di efficienza e di razionalizzazione della
rete distributiva va inquadrata anche la disposizione dell'art. 7 del
decreto, che concede, previa comunicazione al comune, ampi margini di
scelta,  in  tema  di  orario di servizio, ai gestori degli impianti,
nell'ambito peraltro dei criteri di massima prescritti.
    3.2.  -  Alle  regioni  spettano invece, nello schema del decreto
impugnato,   compiti  di  programmazione  e  di  indirizzo  che  esse
esercitano  mediante  le  c.d. "norme di indirizzo programmatico", le
quali  certamente  costituiscono,  al di la' dei dubbi interpretativi
della  ricorrente,  l'esplicazione  di  una  potesta'  pianificatoria
finalizzata  ad  indirizzare  le scelte gestionali dei comuni verso i
prescritti  obiettivi di razionalizzazione e di efficienza della rete
distributiva.  In questo senso va appunto interpretata, tra le altre,
la   disposizione  dell'art. 2  del  decreto  n. 346  del  1999,  che
attribuisce  alle  regioni  un  potere  sostitutivo nei confronti dei
comuni  per  l'individuazione  dei  requisiti  delle  aree  destinate
all'installazione degli impianti.
    Fermo  restando  questo  quadro  di riparto di competenze, non si
puo'  tuttavia  dire che costituisca lesione della potesta' normativa
regionale  la  previsione  dell'art. 4  di una potesta' regolamentare
ministeriale relativa a stabilire "ulteriori" modalita' attuative del
decreto   legislativo  impugnato,  giacche'  tale  potesta'  si  deve
intendere  limitata  a  quei  profili  della  disciplina in esame che
residuano  alla  competenza  statale  e che, in quanto tale, non puo'
collidere,  come  si  desume  anche  dall'uso legislativo del termine
"ulteriori", con la competenza regolamentare della regione.
    3.3.  -  Infine  va  dichiarata  inammissibile  la  questione  di
costituzionalita'  relativa  alla  disciplina  contrattuale, prevista
dall'art. 10,  sull'impiego dei serbatoi di GPL, poiche', riguardando
l'asserito  vizio essenzialmente la liberta' d'iniziativa economica e
la   proprieta'   privata,   non  puo'  ridondare  in  lesione  delle
attribuzioni regionali.