IL TRIBUNALE

    Sciogliendo la riserva che precede, rileva che:
    1. - Con  ordinanza  28  gennaio  1998  questo  giudice sollevava
questione  di  legittimita' dell'art. 18 della legge regionale Veneto
n. 10/1996  e,  comunque,  della  stessa  nella parte in cui consente
l'applicazione   di   canoni   di   locazioni   superiori   a  quello
determinabile  ex  artt.  12-24  della legge n. 392/1978 agli alloggi
indicati  all'art. 1,  commi 1  e 2, della legge regionale stessa, in
relazione agli artt. 70, 115 e 117 Cost. e all'art. 3 Cost.
    La   Corte   costituzionale,  con  ordinanza  14-28  luglio  1999
rimetteva  gli  atti al giudice a quo sul rilievo che,successivamente
alla  proposizione  delle  questioni  di legittimita' costituzionale,
l'art.  60,  comma  1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha stabilito
che "sono conferite alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni
amministrative  (...)  e,  in  particolare, quelle relative: (...) e)
alla  fissazione  dei  criteri  per  l'assegnazione  degli alloggi di
edilizia  residenziale  destinati  all'assistenza  abitativa, nonche'
alla  determinazione  dei  relativi canoni" e che, inoltre, l'art. 4,
comma  4,  della  legge  9 dicembre 1998, n. 431, nel disciplinare il
canone  di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica,
aveva  confermato il conferimento delle funzioni alle regioni attuato
con l'art. 60, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, ed aveva altresi'
espressamente  stabilito  che,  in  attesa  di  un  apposito  atto di
indirizzo e coordinamento, "gli attuali criteri di determinazione dei
canoni  restano validi fino all'adeguamento da parte delle regioni ai
criteri stabiliti dal presente comma".
    Evidenziava,  infine,  che  l'art. 14 della legge n. 431 del 1998
aveva abrogato le norme della legge n. 392 del 1978, che disciplinano
l'equo canone (comma 4).
    Il  processo  veniva riassunto dai ricorrenti con atto depositato
il 18 gennaio 2000.
    All'udienza  del 10 ottobre 2000 i ricorrenti insistevano perche'
venisse nuovamente sollevata questione di legittimita', mantenendo la
questione ogni rilevanza e pertinenza.
    Il convenuto si opponeva.
    2. - Ritiene  questo  giudicante  che lo ius superveniens non sia
idoneo  a  mutare  ne'  la valutazione di rilevanza ne' quella di non
manifesta infondatezza.
    L'art.  60,  comma  1,  del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, invero,
stabilendo  che "sono conferite alle regioni e agli enti locali tutte
le  funzioni amministrative (...) e, in particolare, quelle relative:
(...) alla fissazione dei criteri per l'assegnazione degli alloggi di
edilizia  residenziale  destinati  all'assistenza  abitativa, nonche'
alla  determinazione dei relativi canoni", effettua un'attribuzione -
che  va intesa, ai sensi dell'art. 1, comma 1, legge n. 59/1997, come
"delega di funzioni" - di competenza con riguardo alla determinazione
dei canoni per gli alloggi ERP.
    Tale    disposizione,    peraltro,    nulla    prescrive   quanto
all'applicabilita'  delle norme relative ai canoni ERPcontenute nella
legge  regionale Veneto n. 10/1996, la quale, pertanto, continuera' a
trovare applicazione nelpresente giudizio.
    L'art. 4, comma 4, della legge n. 431/1998, oltre a riprodurre la
disposizione  sulla  competenza gia' contenuta nell'art. 60, comma 1,
lettera  e),  del d.lgs. n. 112/1998, stabilisce, poi, che, in attesa
di  apposito  atto di indirizzo e coordinamento, "gli attuali criteri
di  determinazione  dei canoni restano validi fino all'adeguamento da
parte delle regioni dei criteri stabiliti dal presente comma".
    La  disposizione, in altri termini, afferma la perdurante vigenza
della disciplina gia' esistente e, quindi,conferma la piena rilevanza
della questione a suo tempo sollevata.
    L'art.  14,  comma 4, della legge n. 431/1998, che ha abrogato le
norme  sull'equo  canone  della  legge n. 392/1978, non produce, poi,
alcun  effetto  sulla rilevanza della questione di costituzionalita'.
Non  direttamente, dato che esso non incide sull'applicabilita' della
legge  regionale n. 10/1996; ne' indirettamente, perche' - comunque -
l'art. 14, comma 5, della legge n. 431/1998 dispone che ai giudizi in
corso continui ad applicarsi la disciplina sull'equo canone abrogata.
    Giova  osservare,  per  contro,  che  la nuova normativa accentua
ulteriormente   i   dubbi   di   legittimita'  della  disciplina  qui
controversa.
    Il vizio di incompetenza della legge regionale, infatti, non puo'
dirsi sanato da un conferimento di potesta' legislativa in materia di
fissazione  di  canoni  ERP, conferimento che e' intervenuto ben dopo
l'adozione della legge n. 10/1996 da parte della regione Veneto.
    La  circostanza  che  l'art.  60,  comma  1,  lettera  e),  abbia
conferito tale competenza alle regioni e', anzi, la migliore conferma
del  rilievo  che le stesse, prima di tale trasferimento di funzioni,
non  disponessero  di  potesta'  in  tale  materia.  Va osservato, in
secondo  luogo,  che  l'art. 4, comma 4, della legge n. 431/1998, ove
afferma che "gli attuali criteri di determinazione dei canoni restano
validi  fino  all'adeguamento  da  parte  delle  regioni  ai  criteri
stabiliti  dal presente comma" non contiene una norma di sanatoria, e
non e' comunque retroattivo.
    Anche  a  prescindere  dal  canone generale espresso nell'art. 11
delle  disp.  prel.  al  c.c.,  che  vieta  di  interpretare le leggi
retroattivamente in assenza di una volonta' esplicita del legislatore
di  disporre  per il passato, la stessa lettera dell'art. 4, comma 4,
induce  ad  escludere  che  tale  disposto  operi una sanatoria delle
precedenti   leggi   illegittime.   L'espressione  "restano  validi",
infatti,  presuppone  il  perdurare della validita' di norme che gia'
valide siano.
    Non  diversa,  poi,  e' la valutazione in merito alla sussistenza
del  vizio  di  violazione  dell'art. 3, comma 1, Cost. L'abrogazione
delle   disposizioni   sull'equo   canone   contenute   nella   legge
n. 392/1978,   operata   dalla   legge   n. 431/1998,   ha,  infatti,
determinato una scomparsa solo apparente.
    L'abrogazione  non  ha agito retroattivamente (al contrario, essa
e'  graduata  nel  tempo,  come  si ricava dall'art. 14, comma 5): al
momento  di  adozione della legge regionale le norme sull'equo canone
rappresentavano la disciplina di generale ed imperativa applicazione,
ed  erano state solo limitatamente derogate dalla previsione dei c.d.
patti in deroga di cui alla legge n. 359/1992.
    L'art.  14,  comma  5,  della  legge  n. 431,  del resto, prevede
espressamente  l'applicazione  ai contratti per la loro intera durata
ed  ai  giudizi  in corso delle disposizioni normativi previdenti: la
disciplina   dell'equo   canone,pertanto,   e'   ancora   vigente;  e
costituisce  il  tertium  comparationis  per  i  rapporti oggetto del
presente giudizio.
    La  previsione della legge regionale, pertanto, era ed e' tuttora
viziata per lesione del principio di eguaglianza.
    3. - Vanno integralmente confermate, quindi, le valutazioni a suo
tempo  espresse per le motivazioni che, per comodita' di esposizione,
giova riproporre nei passaggi piu' salienti;
    Si  deve  ritenere  non  manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 18 della legge regionale Veneto
n. l0/1996,  come  modificata dalla legge regionale n. 14/1997, nella
parte in cui individua per la c.d. area sociale e per la c.d. area di
decadenza  la  possibilita'  di  applicazione  di un canone aumentato
rispetto a quello previsto dalla legge n. 392/1978.
    La questione sussiste per due differenti profili. In particolare:
        a) le  deliberazioni  del C.I.P.E. consentono ed impongono la
determinazione  di  canoni  superiori  a  quelIi previsti dalla legge
n. 392/1978  in  contrasto con la previsione di cui all'art. 2, legge
n. 457/1978  -  che consente la determinazione di criteri all'interno
del  tetto  massimo  quale  indicato nel canone ex lege n. 392/1978 -
nonche' con il disposto di cui all'art. 22, ultimo comma, della legge
n. 513/1977.
    Ritiene  questo  giudicante  che  la  lettera  dell'art.  22 cit.
importi  un  rinvio  al  regime  della legge n. 392/1978, che viene a
regolare  l'eventuale prosecuzione del rapporto una volta intervenute
le  condizioni  per  la revoca dell'assegnazione per il miglioramento
delle condizioni di reddito.
    In   ogni  caso,  peraltro,  va  escluso  che  sia  operativo  il
meccanismo  dei  patti in deroga introdotti con la legge n. 359/1992:
sia  le  deliberazioni  del  C.I.P.E.  che la stessa legge regionale,
infatti, non solo fanno rinvio alla n. 392/1978 ma, anzi, introducono
dei   criteri   per  determinare  il  canone  in  via  unilaterale  e
autoritativa   a   prescindere   dalla   visione  "contrattuale"  che
caratterizza  i  c.d.  patti  in  deroga  e che, in ipotesi, dovrebbe
assistere quantomeno la c.d. area di decadenza.
    Si  deve dubitare, pertanto, del potere di modificare mediante le
deliberazioni del C.I.P.E. una situazionenormativa statuita con legge
ordinaria, con conseguente illegittimita' della legge regionale che a
tali delibere si e' richiamata.
    Giova  poi  osservare che si deve comunque escludere una autonoma
competenza  della  regione  in materia poiche' - come precisato dalla
stessa  Corte  costituzionale  (sent.  27  del  5-12 febbraio 1996) -
l'aspirazione dei singoli a vedere soddisfatta la pretesa di disporre
di un'abitazione a prezzo sociale si deve confrontare con le esigenze
della  finanza  pubblica  ed  i  due aspetti si caratterizzano per la
dimensione   generale   (nazionale)  degli  interessi  coinvolti.  La
conclusione,  pertanto,  non  muta  anche qualora si voglia assegnare
autonomia  alla  legge regionale rispetto alla deliberazione C.I.P.E.
Il   parametro   del   giudizio  di  legittimita'  costituzionale  va
individuato negli artt. 70, 115 e 117 Cost.;
        b) sussistono,   in  secondo  luogo,  ragioni  oggettive  che
inducono  a  dubitare della costituzionalita' del complessivo assetto
normativo  disegnato  dalla  legge  regionale per il canone dell'area
sociale.
    Giova  premettere  che  questo  giudicante  -  prescindendo dalle
considerazioni    sub   a)   -   non   ritiene   che   debba   essere
aprioristicamente   considerata   illegittima   la   possibilita'  di
applicare  un  canone  superiore  a quello determinato ai sensi della
legge  n. 392/1978  a  coloro  che, pur possedendo un reddito tale da
poter  locare  un immobile sul mercato, occupino, invece, un alloggio
pubblico,  sottraendolo, quindi, a soggetti che ne abbiano maggiori e
piu'  stringenti  necessita'. Il corrispettivo richiesto a coloro che
si trovano in simili condizioni, infatti, persegue anche una evidente
e   giustificata   funzione   di   dissuasione   per  la  liberazione
dell'immobile,   fermo  restando  -  una  volta  decorso  un  biennio
dall'insorgenza  delle  condizioni  di  maggior reddito - l'eventuale
declaratoria didecadenza.
    In  tali  ipotesi potrebbe suscitare perplessita', eventualmente,
la  previsione della possibilita' di stipulare, una volta intervenuta
la  decadenza,  un  contratto  di locazione alle stesse condizioni di
canone  previste  per la c.d. area di decadenza invece che secondo le
disposizioni  della  legge n. 359/1992. La questione, peraltro, esula
dal presente giudizio.
    Gli  assegnatari  che  si  trovano nella fascia a canone sociale,
invece,  sono  coloro  che  sono  titolari  di  un  reddito  che, pur
superiore  ai  limiti  di  accesso,  resta  inferiore  ai  limiti  di
decadenza.  Si  tratta,  quindi,  di soggetti che appartengono ad una
fascia  medio-bassa  del  mercato  dell'alloggio,  la  cui posizione,
pertanto,  pur  non richiedendo una tutela eccezionalmente rafforzata
(caratteristica  dell'area  di  protezione,  il cui canone - ai sensi
dell'art.  18,  1o  capoverso  lettera  a) legge reg. n. 10/1996 come
modificato  dall'art.  9 legge reg. n. 14/1997 - non puo' superare il
50%  del  canone  determinato  ai sensi della legge n. 392/1978), non
puo' che restare ancorata al regime ordinario (applicabile in assenza
di  una specifica contrattazione nelle forme della legge n. 359/1992)
di cui alla legge n. 392/1978.
    La situazione, in altri termini, sembra debba essere ricondotta -
per  quanto  concerne  tale  fascia  -  ai principi  affermati  dalla
sentenza   della   Corte   costituzionale   n. 155/1988  dichiarativa
dell'illegittimita'  dell'art. 26,  comma  1  lett.  c)  della  legge
n. 392/1978 nella parte in cui non dispone che il canone di locazione
di  immobili  soggetti  alla edilizia convenzionata non deve comunque
superare  il canone risultante dalle disposizioni del titolo I capo I
della citata legge.
    Va osservato, d'altra parte, che la stessa deliberazione C.I.P.E.
del 20 dicembre 1996 all'art. 2, secondo comma, identifica il "canone
di   riferimento"   con  quello  determinato  ai  sensi  della  legge
n. 392/1978,  al  terzo  comma  si preoccupa di puntualizzare che "la
regione  avra'  cura di definire un graduale passaggio tra il massimo
canone  della  fascia  A  e  il minimo canone della fascia B", mentre
appaiono  eliminati  i  riferimenti espliciti - presenti invece nella
delibera del 13 maggio 1996 - a percentuali di incidenza superiori al
canone "equo".
    Giova  precisare,  poi,  che l' assenza di una finalita' di lucro
propria  del tipo di edilizia mal si concilia conl'applicazione di un
canone  superiore,  mancando  altresi' una prospettiva di dissuasione
dall'occupare  un  alloggio  pubblico che, invece, come su osservato,
puo'  caratterizzare  la posizione di coloro che rientrano nella c.d.
area di decadenza.
    I  soggetti  che  vengono in considerazione nell'ambito dell'area
sociale, in altri termini, restano destinatari di una tutela avanzata
che  non  sembra giustificare l'applicazione di un canone superiore a
quello previsto dalla legge n. 392/1978. Il parametro del giudizio di
legittimita',  pertanto,  va individuato, in questo caso, nell'art. 3
della Costituzione.
    4. - Le  questioni esaminate sono rilevanti nel presente giudizio
poiche'  si controverte sull'applicazione del canone come determinato
dalla  normativa  regionale:  le  posizioni  di Spollon Bruno, Luongo
Orlando  e Schiavon Giorgio rientrano nella fascia C.1, mentre quelle
di Scorzon Luciano e Cesaro Luigi sono ricondotte alla fascia B.3.
    La  decisione  della  presente  causa,  pertanto,  dipende  dalla
soluzione dei problemi esposti.