ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale degli artt. 98 e 99 del
regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
concordato   preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
liquidazione  coatta  amministrativa),  promossi  con  due  ordinanze
emesse  il  18 luglio  e  il 14 settembre 2000 dal giudice istruttore
presso  il tribunale di Velletri nei procedimenti civili vertenti tra
Benetton  Group  s.p.a.  e  il  Fallimento  Clan  Italiana  S.r.l.  e
traColarossi  Nicolina  ed  altri  e  il Fallimento Edilmaria S.r.l.,
iscritte ai numeri 617 e 742 del registro ordinanze 2000 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn. 44  e 49, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 26 aprile 2001 il giudice
relatore Annibale Marini.
    Ritenuto  che  con  due ordinanze di analogo contenuto, emesse il
18 luglio  2000  ed il 14 settembre 2000, il giudice del tribunale di
Velletri,  delegato ai fallimenti delle societa' Clan Italiana S.r.l.
ed Edilmaria S.r.l. e, percio', istruttore delle cause di opposizione
allo  stato  passivo  promosse,  in  entrambe le procedure, da alcuni
creditori  esclusi,  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 24,
101,  104  e  111  della Costituzione, come modificato, quest'ultimo,
dall'art. 1,  comma  2,  della legge costituzionale 23 novembre 1999,
n. 2,  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt. 98 e 99
del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fallimento,
del  concordato  preventivo, dell'amministrazione controllata e della
liquidazione coatta amministrativa), "nella parte in cui designano il
giudice  delegato  al  fallimento  a ricevere e ad istruire, nonche',
indirettamente,   a   partecipare  alla  decisione,  nei  giudizi  di
opposizione allo stato passivo previsti e disciplinati dalle medesime
disposizioni";
        che  ad  avviso  del  rimettente la violazione degli indicati
parametri    costituzionali    risulterebbe   palese   alla   stregua
dell'affermazione,  contenuta  nella  sentenza di questa Corte n. 387
del  1999,  secondo  cui, ai fini dell'obbligo di astensione previsto
dall'art. 51,  primo comma, numero 4, del codice di procedura civile,
l'espressione    "altro    grado"   "deve   ricomprendere   con   una
interpretazione  conforme  a  Costituzione  anche  la fase che, in un
processo  civile,  si  succede  con  carattere  di  autonomia, avente
contenuto impugnatorio, caratterizzata (...) da pronuncia che attiene
al  medesimo  oggetto  e alle stesse valutazioni decisorie sul merito
dell'azione  proposta  nella prima fase, ancorche' avanti allo stesso
organo giudiziario";
        che  gli  enunciati principi sarebbero di per se' comprensivi
anche  dei rapporti tra decreto di approvazione ed esecutivita' dello
stato passivo nel fallimento e giudizio di opposizione allo stesso ex
art. 98  della  legge  fallimentare, essendo pacifici, da un lato, la
natura giurisdizionale ed il contenuto decisorio del suddetto decreto
e, dall'altro, il carattere impugnatorio del giudizio di opposizione;
        che   peraltro  al  giudice  delegato  non  sarebbe  data  la
possibilita'  di astenersi, ai sensi del citato art. 51, primo comma,
numero  4,  cod.  proc.  civ.,  in  quanto  le  norme  denunciate, di
carattere  chiaramente  speciale,  indicherebbero  proprio  in lui il
giudice   funzionalmente   destinato   a   ricevere   il  ricorso  in
opposizione,  ad  istruirlo ed a partecipare alla sua decisione quale
relatore;
        che  dette  norme  si  porrebbero in tal modo in contrasto in
primo  luogo con l'art. 3 Cost., per la disparita' di trattamento che
si  verificherebbe  tra  gli  opponenti  allo  stato  passivo, che si
troverebbero  a  dover  coltivare  le  proprie  pretese dinanzi ad un
giudice  che  tali  pretese  ha gia' disatteso in altro provvedimento
giurisdizionale di natura decisoria ed idoneo alla reiudicata e tutti
gli altri attori di un ordinario giudizio civile;
        che  le medesime norme contrasterebbero inoltre con l'art. 24
Cost.,  risultando  violato il diritto di difesa dell'opponente dalla
necessita'  che  il  giudizio  si  svolga dinanzi ad un giudice privo
delle  garanzie  di  imparzialita'  e  terzieta', giudicate da questa
stessa Corte "imprescindibili";
        che  la  menomata  condizione  di  terzieta-imparzialita' del
giudice  delegato  altererebbe inoltre la soggezione del giudice alla
sola  legge sancita dall'art. 101 della Costituzione e le prerogative
di  autonomia  ed  indipendenza della funzione giurisdizionale di cui
all'art. 104, primo comma, della Costituzione e si porrebbe infine in
contrasto con i principi affermati dal novellato art. 111 Cost;
        che  e' intervenuto nel secondo dei due giudizi il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  concludendo per la declaratoria di manifesta
infondatezza  o,  in  subordine,  di infondatezza della questione, in
quanto  identica  a  quella  gia' dichiarata non fondata con sentenze
n. 94 del 1975 e n. 158 del 1970;
        che  nelle  suddette  sentenze  si  porrebbe  in luce come il
processo  fallimentare sia ispirato al principio della concentrazione
presso  i  suoi  organi  di  ogni  controversia  che  ne  deriva, con
conseguenti inevitabili collegamenti ed interferenze processuali, non
rilevabili  tuttavia  agli  effetti della legittimazione del giudice,
"per  la  prevalente  apprezzabile  esigenza  di  portare allo stesso
organo giurisdizionale tutto il procedimento e di ridurlo ad unita'";
        che  tali  considerazioni  resterebbero  valide  -  ad avviso
dell'Avvocatura  -  anche dopo la riforma del processo civile operata
dalla   legge   n. 353  del  1990,  tenuto  conto  della  riserva  di
collegialita' riguardante le controversie in tema di opposizione allo
stato  passivo,  verosimilmente  ispirata  proprio  dall'esigenza  di
mantenere  ferma  la partecipazione al collegio del magistrato da cui
il  provvedimento  opposto  promana,  assicurando  nel  contempo  una
dialettica interna all'organo stesso;
        che  la  stessa  Corte, del resto, dichiarando manifestamente
infondata  la  medesima  questione, con ordinanza n. 304 del 1998, ha
precisato    che   condizione   necessaria   per   l'incompatibilita'
endoprocessuale  e'  la  preesistenza  di valutazioni ricadenti sulla
medesima  res  iudicanda  e  che non vi e' identita' di res iudicanda
quando  due cognizioni dello stesso fatto siano caratterizzate - come
appunto,  secondo  la  parte  pubblica, e' nella specie - l'una dalla
particolare sommarieta' e l'altra dalla completezza dell'accertamento
effettuato sulla base di tutto il materiale probatorio acquisibile;
        che  la  sentenza n. 387 del 1999 - diversamente da quanto il
rimettente  mostra di ritenere - non modificherebbe, ad avviso ancora
dell'Avvocatura,   siffatta   impostazione  ne'  il  testo  novellato
dell'art. 111  della  Costituzione  introdurrebbe elementi di novita'
nella  questione, essendo il valore costituzionale della terzieta' ed
imparzialita'   del   giudice   indubbiamente  gia'  acquisito  nella
Costituzione  vivente  e  nella  stessa  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale.
    Considerato  che  i  due  giudizi,  avendo ad oggetto la medesima
questione, vanno riuniti per essere unitariamente decisi;
        che, nel merito, questa Corte, dichiarando identica questione
non  fondata,  con  sentenze  n. 94  del  1975  e  n. 158 del 1970, e
manifestamente  infondata,  con ordinanza n. 304 del 1998, ha escluso
qualsiasi  incompatibilita'  tra  l'attivita' istruttoria e decisoria
relativa alla causa di opposizione allo stato passivo e quella svolta
in  precedenza  dal  giudice  delegato  per la formazione dello stato
passivo;
        che   appare   non   pertinente   il  richiamo,  operato  dal
rimettente,  ai  principi  enunciati nella successiva sentenza n. 387
del   1999,   del   resto   pienamente  coerente  con  la  precedente
giurisprudenza  della  Corte  in  argomento,  in quanto la formazione
dello  stato  passivo  ad  opera  del giudice delegato e la pronuncia
sulla (eventuale) opposizione al medesimo stato passivo non attengono
alle  stesse  valutazioni  decisorie,  ne'  i  due provvedimenti sono
contraddistinti da una uguale idoneita' al giudicato;
        che,  sotto  il  primo  aspetto,  la  cognizione  del giudice
delegato    -    diversamente   da   quella,   piena,   del   giudice
dell'opposizione  -  e'  infatti  di  carattere sommario e fondata su
materiale probatorio di natura esclusivamente cartolare;
        che, per quanto riguarda il secondo profilo, alla stregua del
diritto  vivente,  l'efficacia  preclusiva  dello  stato  passivo non
opposto  e'  di  natura  meramente endoprocessuale e solo la sentenza
resa  sulla  opposizione  e'  suscettibile  di  assumere  effetti  di
giudicato;
        che  l'evocazione  dell'ulteriore parametro rappresentato dal
novellato  art. 111 della Costituzione non introduce, infine, profili
nuovi   o   diversi  di  illegittimita'  costituzionale,  essendo  la
terzieta'  ed  imparzialita'  del  giudice  alla  -  cui  stregua  la
questione  e' posta - pienamente tutelate nella carta costituzionale,
anche anteriormente alla citata novella;
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.