ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 50 del decreto
del   Presidente   della   Repubblica   29 dicembre   1973,   n. 1092
(Approvazione   del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento  di
quiescenza  dei  dipendenti  civili e militari dello Stato), promosso
con  ordinanza  emessa  il  29 gennaio  1999  dalla  Corte dei conti,
sezione  giurisdizionale  per  la  Regione Lazio, sui ricorsi riuniti
proposti  da  Massi Enzo ed altri contro la Corte dei conti ed altra,
iscritta al numero 562 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 42,  1a  serie  speciale,
dell'anno 1999.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  Massi Enzo nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza   pubblica  dell'8 maggio  2001  il  giudice
relatore Annibale Marini;
    Uditi  l'avvocato  Italo  Pederzoli  per  Massi Enzo e l'avvocato
dello  Stato  Giuseppe  Stipo  per  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri.
    Ritenuto  che  la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Regione   Lazio,   nel   corso   di   una   controversia  in  materia
pensionistica,  con ordinanza emessa il 29 gennaio 1999 ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt. 3,  36,  38, 76 e 97 della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 50 del decreto del
Presidente  della  Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione
del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento  di  quiescenza dei
dipendenti  civili e militari dello Stato), nella parte in cui limita
l'attribuzione   del   diritto  alla maggiorazione  del  servizio  ai
dipendenti  dell'Azienda  di  Stato per i servizi telefonici (AAST) e
dell'Amministrazione  delle  poste  e delle telecomunicazioni addetti
alla commutazione telefonica, con esclusione quindi dei dipendenti di
altre  amministrazioni  ed  in particolare, nel caso di specie, della
Corte dei conti - adibiti alle medesime mansioni;
        che,  ad  avviso  del  rimettente, la norma impugnata avrebbe
innanzitutto  disatteso  i  criteri direttivi indicati nella norma di
delega di cui all'art. 4 della legge 18 marzo 1968, n. 249 (Delega al
Governo per il riordinamento dell'Amministrazione dello Stato, per il
decentramento  delle  funzioni  e  per  il riassetto delle carriere e
delle  retribuzioni  dei  dipendenti  statali),  secondo  la quale il
Governo  avrebbe dovuto raccogliere in un testo unico le disposizioni
vigenti,  anche  in  materia  pensionistica,  apportandovi  pero'  le
modificazioni ed integrazioni necessarie per il loro coordinamento ed
ammodernamento;
        che  la  norma stessa si porrebbe inoltre in contrasto con il
principio     di     eguaglianza,     in    quanto    discriminerebbe
ingiustificatamente  personale  addetto  alle  stesse mansioni, sulla
base  dell'elemento  accidentale rappresentato dalla circostanza che,
al  momento  della  redazione  del  testo  unico  n. 1092 del 1973, i
centralinisti  delle  amministrazioni pubbliche non erano individuati
con qualifiche proprie ma restavano assorbiti in quella del personale
d'archivio;
        che   risulterebbero   altresi'   violati   i   principi   di
proporzionalita'  della  pensione  e di adeguatezza della stessa alle
esigenze   vitali  dei  lavoratori,  rispettivamente  tutelati  dagli
artt. 36, primo comma, e 38 Cost;
        che  la  norma  impugnata  -  stravolgendo il rapporto tra la
posizione  pensionistica dei centralinisti della Corte dei conti e la
posizione pensionistica dei centralinisti dell'Azienda di Stato per i
servizi   telefonici  e  dell'Amministrazione  delle  poste  e  delle
telecomunicazioni - risulterebbe, infine, lesiva dei principi di buon
andamento  e  imparzialita'  dell'amministrazione, di cui all'art. 97
Cost;
        che   si  sono  costituite  in  giudizio  le  parti  private,
concludendo   per  l'accoglimento  della  questione  di  legittimita'
costituzionale;
        che  e'  altresi'  intervenuto  in giudizio il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato;
        che,   ad   avviso   dell'Avvocatura,  la  questione  sarebbe
inammissibile   in   quanto  la  norma  impugnata,  a  seguito  della
soppressione  dell'Azienda  di  Stato  per  i  servizi  telefonici  e
dell'Amministrazione  delle  poste e delle telecomunicazioni, sarebbe
da tempo non piu' applicabile;
        che   la  questione  stessa  sarebbe  comunque,  nel  merito,
manifestamente infondata in riferimento a tutti i parametri evocati.
    Considerato  che l'eccezione di inammissibilita' della questione,
sollevata  dall'Avvocatura  dello  Stato,  e' priva di fondamento, in
quanto  la  circostanza che la norma non sia piu' applicabile ai suoi
originari destinatari, per il periodo successivo alla privatizzazione
delle  amministrazioni di appartenenza, non esclude che essa continui
a  spiegare  i propri effetti relativamente al servizio anteriormente
prestato  e  che  tali  effetti  possano estendersi - nel caso di una
declaratoria    di   illegittimita'   costituzionale   quale   quella
prospettata dal rimettente - al rapporto previdenziale dei dipendenti
di altre amministrazioni;
        che  la  questione  e'  tuttavia,  nel merito, manifestamente
infondata;
        che  e'  infatti  inconferente il riferimento al parametro di
cui  all'art. 76 della Costituzione, in quanto cio' che e' oggetto di
censura  non  e'  la  violazione  di uno specifico criterio direttivo
bensi'  il merito della scelta operata in sede di redazione del testo
unico,  quanto  alla mancata equiparazione, ai fini previdenziali, di
tutti i pubblici dipendenti addetti alla commutazione telefonica;
        che,  d'altro  canto,  secondo  la  giurisprudenza  di questa
Corte, la scelta di introdurre un trattamento di favore, che si ponga
come   eccezione   rispetto  al  regime  di  carattere  generale,  e'
espressione di discrezionalita' legislativa, non censurabile sotto il
profilo  del  principio  di  parita' di trattamento di cui all'art. 3
Cost.,  se non esercitata in modo palesemente irragionevole (sentenze
n. 431 del 1997 e n. 272 del 1994; ordinanze n. 60 del 2001, n. 316 e
n. 10 del 1999);
        che,  nella  specie,  la  non  irragionevolezza  della  norma
discende  dall'eterogeneita'  delle  situazioni  poste  a confronto e
dalla   implicita   valutazione,   compiuta  dal  legislatore,  della
particolare  gravosita'  dell'impegno  lavorativo  degli addetti alla
commutazione  telefonica  dipendenti  da  amministrazioni  o  aziende
pubbliche che svolgono istituzionalmente attivita' di comunicazione;
        che  le  censure riferite ai parametri di cui agli artt. 36 e
38 Cost., essendo a loro volta basate sulla asserita irragionevolezza
della  denunciata disparita' di trattamento tra lavoratori, risultano
per cio' stesso prive di qualsiasi fondamento;
        che  la  materia  disciplinata dalla norma impugnata risulta,
infine,  del  tutto  estranea  ai  principi  costituzionali  di  buon
andamento  e  imparzialita'  dell'amministrazione, di cui all'art. 97
Cost..