IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello n. 10758/1997, proposto dal dott. ErnestoLiccardi, rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Ricciardi presso il cui studio e' elettivamente domiciliato in Roma, viale Tiziano, n. 80; Contro la Presidenza della Repubblica, in persona del Segretario generale, non costituitasi in giudizio; la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del presidente in carica pro tempore e il Ministero delle finanze, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 per l'annullamento della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio - sezione seconda del 19 settembre 1997, n. 1436; Visto il ricorso con relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero delle finanze; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Data per letta alla udienza pubblica del 24 ottobre 2000 la relazione del Consigliere Pietro Falcone e sentiti l'avvocato dello Stato Fiumara e l'avvocato Ricciardi, ciascuno per le parti rispettivamente rappresentate; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Con decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 1997, registrato alla Corte dei conti il 5 marzo successivo, il dr. Ernesto Liccardi, dirigente generale del Ministero delle finanze, e' stato collocato a riposo per motivi di servizio, per "responsabilita' particolarmente grave o reiterata", di cui dell'art. 20, comma 9, ultima parte, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29. Contro il provvedimento indicato, nonche' ogni relativo atto presupposto, connesso e conseguenziale, ilLiccardi ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio che, con sentenza n. 1436 del 19 settembre 1997, ha rigettato il ricorso. Avverso tale sentenza, l'interessato ha proposto appello, chiedendo la riforma dalla sentenza stessa. In via pregiudiziale, il ricorrente ha sollevato la questione d'illegittimita' dell'art. 20, comma 9, ultima parte, del d.lgs. n. 29 del 1993, per contrasto con gli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, con riferimento all'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di pubblico impiego...), per eccesso di delega. Secondo l'appellante, l'indicato decreto legislativo violerebbe i principi ed i criteri direttivi fissati dal Parlamento, in quanto ha reintrodotto, per i dirigenti dello Stato, il "collocamento a riposo per ragioni di servizio", laddove la legge di delega prevedeva, in caso di mancato conseguimento degli obiettivi della gestione, soltanto "la rimozione dalle funzioni ed il collocamento a disposizione". Le intimate amministrazioni, Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero delle finanze, costituitesi in giudizio, hanno sostenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale e, nel merito, hanno chiesto il rigetto del ricorso. D i r i t t o Osserva il collegio che una questione di legittimita' costituzionale identica a quella formulata dall'odierno appellante, dott. Ernesto Liccardi, e' stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in sede di altro appello, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero delle finanze nei confronti del dott. Ernesto Liccardi. In quella sede, questa Sezione, con ordinanza n. 1168 del 23 settembre 1998, ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale. Con ordinanza n. 246 del 26 giugno 2000, l'anzidetta Corte, tra l'alto, ha osservato quanto segue: la norma denunciata (d.lgs. n. 29 del 1993, art. 20, comma 9) e' stata gia' abrogata una prima volta espressamente (insieme col comma 10) per effetto dell'art. 43 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, che a sua volta contemporaneamente con gli artt. 13 e 14, ha integralmente disciplinato il conferimento degli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali, la loro revoca e la responsabilita' dirigenziale nelle diverse forme connesse alla inosservanza delle direttive generali e ai risultati negativi dell'attivita' amministrativa e della gestione, con due disposizioni che si inseriscono nel d.lgs. n. 29 del 1993, sostituendone gli art. 19 e 20 e coprendo interamente anche il contenuto dell'art. 20, commi 9 e 10, abrogati, e nello stesso tempo inserendo, nel comma 2 dell'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, l'abrogazione del Capo I, Titolo I, del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (precedente disciplina); lo stesso d.lgs. n. 80 del 1998 ha dettato una normativa transitoria dell'art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993; l'intero art. 20 del d.lgs. n. 29 del 1993 e' stato, a sua volta, espressamente abrogato (ad eccezione del comma 8) dall'art. 10, comma 2, del d.lgs. 30 giugno 1999, n. 286. Cio' premesso, la stessa Corte ha ritenuto necessaria una verifica degli effetti della duplice abrogazione espressa accompagnata da nuova disciplina, da parte del giudice investito dell'esame della legittimita' dell'atto impugnato. A tal fine, ha restituito gli atti al giudice rimettente, perche' valuti se, alla luce dell'intervenuto mutamento del quadro normativo e delle iniziative conseguenziali dell'amministrazione, la questione sollevata sia tuttora rilevante per la definizione del giudizio a quo. Ritiene il collegio che, per il principio generale tempus regit actum, l'intervenuto mutamento del quadro normativo non rilevi nella specie che ricade sotto la disciplina posta dall'art. 20, comma 9, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nel testo sostituito dall'art. 6 del d.lgs. 10 novembre 1993, n. 470, per cui l'amministrazione non ha assunto ulteriori iniziative. Pertanto, si propone la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Liccardi. Quanto alla rilevanza, e' sufficiente considerare che l'impugnato provvedimento di collocamento a riposo dell'interessato trova giustificazione nella norma sospettata di illegittimita' costituzionale; di modo che un'eventuale dichiarazione di fondatezza della sollevata questione implicherebbe, per cio' solo, l'accoglimento del ricorso proposto dal dipendente, con l'annullamento del provvedimento impugnato. Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita', va osservato che la legge 23 ottobre 1992, n. 421, di delega del Governo, tra l'altro, per la razionalizzazione della disciplina del pubblico impiego, all'art, 2, comma 1, lettera g) n. 3, individua nella "rimozione dalle funzioni e il collocamento a disposizione" la sanzione per i dirigenti, "in caso di mancato conseguimento degli obiettivi prestabiliti dalla gestione". La legge delegata (d.lgs. n. 29/1993), al contrario, all'art. 20, n. 9, nel testo sostituito dall'art. 6 del d.lgs. 18 novembre 1993, n. 470, da un lato, ha previsto il collocamento a disposizione, per l'inosservanza delle direttive e per i risultati negativi della gestione finanziaria, tecnica e amministrativa; dall'altro, ha stabilito che, in caso di responsabilita' particolarmente grave o reiterata, nei confronti dei dirigenti generali o equiparati, puo' essere disposto - in contraddittorio - il collocamento a riposo per ragioni di servizio, anche se non sia mai stato in precedenza disposto il collocamento a disposizione. Di conseguenza, sembra giustificato il sospetto che, cosi' operando, il legislatore delegato abbia esorbitato dai limiti della delega, in violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, laddove ha introdotto l'istituto del collocamento a riposo per ragioni di servizio, gia' previsto dall'art. 19, comma 7, del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748. Quest'ultima norma e' stata poi espressamente abrogata dall'art. 74, del d.lgs. n. 29/1993, nel testo modificato dall'art. 43, del d.lgs. n. 80/1998, in epoca successiva all'adozione del provvedimento impugnato.