IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  civile RG
52521/2000,  discussa  all'udienza  dell'11 aprile 2001, promossa con
ricorso  depositato  da  Francesco  Galati, in proprio e quale legale
rappresentante dellaAutotrasporti F.lli Galati snc di Francesco & C.,
entrambi elettivamente domiciliati presso il dott. AntoninoBorzumati,
via  Natta n. 15, Milano, ricorrenti nei confronti della provincia di
Milano,  rappresentata  e  difesa  dai funzionari provinciali dottori
Cecilia  Franzoi,  Marialuisa  Pozzi,  Luigi  Castiglioni  ed Egle De
Matteis, giusta deliberazione della giunta provinciale n. 862/2000 in
data 16 novembre 2000, resistente.
    Oggetto: opposizione ex art. 22 ss legge 689/1981.
    Premesso che:
        gli  opponenti hanno tempestivamente impugnato l'ordinanza 28
agosto  2000  con la quale la provincia ha loro ingiunto il pagamento
della  somma  di  lire  5.025.000  per aver inviato con un ritardo di
quarantotto  giorni (il 17 settembre 1997 anziche' entro il 31 luglio
1997)  il  MUD  (modello  unico di dichiarazione) relativo ai rifiuti
(olii   usati,   quale   prodotto   della  manutenzione  dei  veicoli
nell'attivita'  di  autotrasporto) prodotti e smaltiti nell'anno 1996
(art. 11,  comma 3  e  52,  comma 1  d.lgs  5  febbraio 1997, n. 22),
chiedendone,  previa  sospensione,  la  declaratoria di nullita' o in
subordine di annullabilita' o inefficacia;
        l'opposizione  si  fonda sull'errata indicazione, nel verbale
di   accertamento,   della  norma  violata  (essendo  stato  indicato
l'art. 12,  comma 1  d.lgs. n. 22/1997 anziche' l'art. 11, comma 3) e
soprattutto sulla pretesa inapplicabilita' alla specie della sanzione
di  cui  all'art. 52,  comma 1  d.lgs.  22/1997,  sanzione  da lire 5
milioni  a  lire  30  milioni,  riferibile,  secondo  gli  opponenti,
soltanto  all'omesso  invio  del  MUD e non anche al semplice ritardo
(contenuto   in   sessanta   giorni),   comportamento  (congruamente)
sanzionato  (da lire 50.000 a lire 300.000) solo successivamente, con
il d.lgs. n. 389 dell'8 novembre 1997;
        la  provincia  si  e'  costituita deducendo l'ininfluenza del
rilevato errore materiale (posto che dal contesto dell'atto risultava
comunque  chiaro  l'illecito  contestato  e  non si era in alcun modo
pregiudicato  il  diritto  di  difesa)  e  sostenendo che prima della
modifica  apportata  dal  d.lgs.  n. 389/1997  l'ipotesi  del ritardo
nell'invio    doveva   ritenersi   equiparata,   sotto   il   profilo
sanzionatorio,  all'omissione  totale;  ha  sostenuto altresi' che la
sanzione  piu'  mite  introdotta con il decreto del novembre 1997 non
poteva   essere  applicata  nella  fattispecie  in  mancanza  di  una
specifica  norma,  stante i principi' di legalita' e irretroattivita'
di  cui  all'art. 3,  legge  n. 689/1981,  come  intesi  da  costante
giurisprudenza;
        le  parti,  fruendo  dei  termini  concessi  ex art. 23 legge
n. 689/1981,   hanno  depositato  ulteriori  memorie,  gli  opponenti
insistendo  per  l'annullamento  della  sanzione o, in subordine, per
l'applicazione   della   disposizione   piu'  favorevole,  l'opposta,
ribadendo   la  tesi  dell'inapplicabilita'  della  sanzione  ridotta
perche'     introdotta    successivamente    alla    commissione    e
all'accertamento del fatto e perche' non richiesta dall'opponente nel
ricorso;
        infine, all'odierna udienza, le parti hanno discusso la causa
richiamandosi ai rispettivi atti;
    Considerato   che   sembra   necessario  sollevare  d'ufficio  la
questione  di legittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 3
Cost.,  dell'art. 1,  comma  2, legge n. 689/1981 ovvero dell'art. 7,
comma 12   del  d.lgs.  n. 389/1997,  che  ha  modificato  l'art. 32,
comma 1,  del  d.lgs.  n. 22/1997,  entrambi  nella  parte in cui non
prevedono  che se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la
violazione  e  quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative
diverse,  si applichi la legge piu' favorevole al responsabile, salva
la  definitivita'  del  provvedimento  di irrogazione o l'intervenuto
pagamento.
    Trattasi  invero  di  questione  rilevante  e  non manifestamente
infondata.
    Rilevante,  perche',  ferma l'insignificanza dell'errato richiamo
nel  verbale  della  norma  violata  (che  non ha inciso sulla chiara
percezione  dell'illecito  contestato  e  sulla  piena  esplicazione,
documentata  in  atti,  del  diritto di difesa degli interessati), la
possibilita'   di   applicare  la  nuova  disposizione  consentirebbe
l'irrogazione di una sanzione di importo pari ad un centesimo (1/100)
di  quella  prevista dalla norma precedente, a termini della quale il
ritardo doveva considerarsi senz'altro parificato all'omesso invio.
    Ne' sembra sostenibile la tesi della resistente, per cui comunque
difetterebbe  una tempestiva domanda degli opponenti in tal senso. Da
un  lato,  tale  domanda,  in  relazione  alle conclusioni assunte di
nullita'  o  annullabilita'  e  inefficacia, sembra potersi ravvisare
gia'  nel  ricorso  (cfr.  punto 10, ove la modifica di cui al d.lgs.
n. 383/1997 viene indicata come importante "per il caso di specie" la
sanzione  "da  lire 50.000 a lire 300.000, sicuramente adeguata e non
sproporzionata  e  (il?)  legittima rispetto a quella applicata...").
Dall'altro  lato, si tratta nella fattispecie di individuare la norma
sanzionatrice  di  una  certa  pacifica  condotta  e  a  fronte delle
contrapposte tesi delle parti sull'applicabilita' o meno dell'art. 52
vecchio  testo,  la precisa individuazione della norma applicabile e'
questione che attiene alla necessaria verifica della fondatezza della
pretesa  (afflittiva)  azionata, non diversamente da quanto accade in
un  ordinario giudizio di cognizione in ordine all'accertamento di un
dato  credito,  ex adverso interamente contestato e la cui fondatezza
il giudice riconosce solo parzialmente.
    Non   manifestamente   infondata,   perche',  per  giurisprudenza
consolidata, in tema di illeciti amministrativi (sia tali ab origine,
sia   derivanti   da   depenalizzazione)  i  principi  di  legalita',
irretroattivita'    e   il   divieto   di   analogia   escluderebbero
l'applicabilita'  della  disciplina  posteriore  piu'  favorevole, ex
art. 2  c.p.;  sicche'  una  eventuale  pronuncia  di  segno  diverso
adottata   in   questa  sede  sarebbe  ragionevolinente  destinata  a
scontrarsi con il "diritto vivente" e dunque alla riforma.
    Orbene,  a  parte  le  perplessita' che discendono da motivazioni
incentrate su divieti di analogia (per lettera e ratio delle relative
norme evidentemente giustificabili se circoscritti ad interpretazioni
in  malam  partem)  o  su  differenze  qualitative  delle  situazioni
considerate  (che  riguardano  gli effetti piuttosto che l'intrinseca
natura    afflittiva    comune    al   fatto-reato   e   all'illecito
amministrativo, distinguibili come tali solo per scelta discrezionale
del  legislatore e non certo per una loro differenza ontologica), non
sembra possibile in questa sede trascurare un fenomeno che pare ormai
porsi in termini di evoluzione ordinamentale.
    Non  vi  e' piu' infatti soltanto il riferimento all'art. 2 c.p.,
la cui applicazione analogica tanti problemi pone.
    Gli  stessi  principi  sono  stati  introdotti  nel sistema delle
sanzioni   amministrative  tributarie  (art. 3  d.lgs.  n. 472/1997),
rispetto   al   quale   non   sembrano  ipotizzabili  le  "differenze
qualitative"   dedotte  quasi  in  modo  traslatizio  dalla  costante
giurisprudenza per escludere il ricorso all'analogia.
    Ed ora anche nel sistema delle sanzioni amministrative valutarie.
Cosi'   l'art. 23-bis   decreto   del   Presidente  della  Repubblica
n. 148/1988  -  testo  unico norme valutarie - introdotto dall'art. 1
della  legge  7  novembre  2000 n. 326, che, nell'abrogare il comma 2
dell'art. 23 testo unico cit. affermante, pur con qualche ambiguita',
il principio di ultrattivita' della norma sanzionatoria, ribadisce il
principio  di  legalita',  esclude  espressamente l'assoggettamento a
sanzioni   che   secondo   una  legge  posteriore  non  costituiscono
violazione  punibile  e  sancisce  l'applicazione  della  legge  piu'
favorevole, salva la definitivita' del provvedimento di irrogazione.
    Detta  norma,  poi,  abrogando  il  principio  di ultrattivita' e
introducendo  le regole gia' estese dal sistema penale a quello delle
sanzioni  tributarie (disciplina ex nunc, contestuale e identica, nei
limiti  del  favor, per le situazioni comunque non definite), si pone
nel   segno  della  continuita'  anche  con  la  recente  abrogazione
dell'art. 20  legge  n. 4/1929  (che  prevedeva l'ultrattivita' delle
norme   penali   finanziarie)   ad   opera  dell'art. 24  del  d.lgs.
n. 507/1999.
    Ma  la  circostanza forse piu' significativa, ed espressiva della
consapevolezza dello stesso legislatore dell'esigenza di ovviare alla
mancata originaria previsione di una disciplina transitoria collegata
alle   modifiche   del  d.lgs.  n. 389/1997,  puo'  ravvisarsi  nella
iniziativa    parlamentare   tendente   alla   modifica   legislativa
dell'art. 57  del  decreto  Ronchi (n. 22/1997), ora decaduta a causa
dello  scioglimento  delle  Camere.  Come  documentato  dalla  stessa
resistente,  infatti  (doc.  8),  fra  gli  emendamenti  proposti dal
relatore  figurava anche un comma 6-quater, da aggiungere all'art. 57
(recante  disposizioni  transitorie)  del  piu'  volte citato decreto
n. 22/1997  ai  sensi  del  quale  "Se  la  legge del tempo in cui fu
commesso  l'illecito  amministrativo e le posteriori sono diverse, si
applica   quella   le   cui  disposizioni  sono  piu'  favorevoli  al
responsabile, salvo che la relativa sanzione amministrativa sia stata
pagata o sia stata determinata in modo definitivo"
    Nel  contesto  sopra  richiamato,  la  differenza  di trattamento
sanzionatorio nella misura del centuplo per fatti commessi a distanza
di   pochi  mesi  e  poi  contestualmente  giudicati  e  altresi'  la
differenza    di    trattamento    rispetto    a   settori   contigui
dell'ordinamento sanzionatorio amministrativo (tributario e valutano)
oltreche'  penale,  appare a questo giudice (come gia' al legislatore
che   ha   tentato   invano   di   porvi  rimedio)  ingiustificata  e
manifestamente  irragionevole,  tanto  da richiedere la pronuncia del
giudice delle leggi.
    E,  stante  l'evoluzione  dell'ordinamento,  la  questione sembra
proponibile,  alternativamnte,  in  termini  generali,  con  riguardo
all'art. 1, comma 2, legge n. 689/1981 o in particolare, con riguardo
all'art. 7,  comma 12,  del  d.lgs.  n. 389/1997,  che  ha modificato
l'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 22/1997.