IL GIUDICE DI PACE

    Letti  gli atti e sciolta la riserva formulata all'udienza del 29
marzo 2001;
                       Premesso e ritenuto che
    Dagli  atti  del  procedimento  civile  n. 469/2000, vertente tra
Zappavigna  Giovanni,  -  che  ha  dichiarato  di  stare  in giudizio
personalmente -, cosi' avvalendosi della facolta' di cui all'art. 82,
primo  comma, cod. proc. civ., correlato, per quanto di procedura, al
quarto  comma di cui all'art. 23 della legge 24 novembre 1981, contro
comune  di  Portigliola,  discende  che  l'attore  ha inteso proporre
ricorso  avverso  il verbale di contestazione elevato dal Comando dei
vigili  urbani  del  comune  di  Portigliola in data 16 agosto 2000 e
recante  il  n. 1232/2000,  notificato all'opponente addi' 16 ottobre
2000.
    Nell'atto introduttivo del giudizio parte istante evidenziava:
        che  il  16 agosto 2000, alle ore 11,26, agenti della polizia
municipale   del   comune   di  Portigliola,  tramite  misuratore  di
velocita',  accertavano  che  il  conducente  della vettura Mercedes,
targata AK 810 XE,   transitava   nel   territorio   del   comune  di
Portigliola  alla progressiva chilometrica 94,6 a velocita' superiore
a  50 km  orari, cosi' violando il disposto di cui all'art. 142/8 del
codice della strada;
        che  in data 16 ottobre 2000 funzionari preposti dal comune e
non   gli   stessi   accertatori   hanno  trasmesso  al  proprietario
dell'autovettura   di   cui   e'   detto,  verbale  di  contestazione
dell'infrazione  di  cui  sopra al codice della strada, adducendo che
non  si  era  potuto  provvedere,  nella  immediatezza,  e  nei  modi
regolamentari, previstidall'art. 384 del decreto del Presidente della
Repubblica   16 dicembre   1992,  n. 495,  a  voce:  "Regolamento  di
esecuzione  del  codice della strada", ed in riferimento all'art. 201
di esso, alla contestazione immediata;
        che  col  ricorso  de  quo  il  suddetto  opponente  rilevava
l'illegittimita'  del  verbale  di  contestazione  di  infrazione per
violazione  degli  artt. 200  e 201 del codice della strada oltre che
violazione  ex art. 200 codice della strada per mancata contestazione
immediata  dell'infrazione.  Cio'  nel  rilievo  che sul punto 1) nel
verbale  di  contestazione  e'  dato  leggere "non e' stato possibile
procedere  alla  contestazione  immediata  della violazione in quanto
l'apparecchiatura  di  rilevazione  ha  consentito  la determinazione
dell'illecito  dopo  che  il veicolo era gia' a distanza dal posto di
accertamento,  e  comunque  nell'impossibilita'  di essere fermato in
tempo utile e nei modi regolamentari".
    Rilevava,   ancora,   che   quanto   dedotto   dagli  agenti  per
giustificare  la  mancata contestazione appare, anche a parere di chi
scrive  mera  clausola  di  stile  piuttosto  che  una reale esigenza
dettata   da  una  possibilita'  oggettiva  cosi'  per  come  sancito
dall'art. 14, legge n. 689/1981 e art. 200 codice della strada, norme
esplicite   nell'imporreun'obbligo  incondizionato  e  non  ammettono
margini  di  apprezzamento,  stante  la  loro  tassativita' (cosi' la
pretura  di  Siderno  4  febbraio  1999; pretura di Cremona 30 aprile
1992).
    Evidenziando  che  la  disattenzione  di tale obbligo costituisce
violazione   di   legge,   come   tale  rende  illeggittimo  l'intero
procedimento  amministrativo  di  irregolazione  amministrativa,  dal
momento  che  la  ratio  della  contestazione immediata, obbedisce ad
un'esigenza di salvaguardia del diritto della difesa ex art. 24 della
Costituzione.
    Infatti  la  normativa riconosce, nell'ottica di questa superiore
tutela, la necessita' del contraddittorio immediato per assicurare le
migliori  opportunita'  di tutela e di difesa da parte del cittadino,
il  quale ha un ovvio interesse a svolgere le proprie eccezioni anche
e  soprattutto  nell'immediatezza del fatto, poiche' l'attualita' del
contesto   infrazionale  consente  la  possibilita'  di  elementi  di
valutazione  piu'  immediati  e  compiuti  rispetto ad una successiva
ricostruzione storica.
    Tutto  cio'  non e' marginale, neppure in presenza, come nel caso
de  quo,  di  misurazione automatica dellavelocita', concretizzandosi
l'interesse  del contravvenuto ad opporre, per esempio, rilievi sulla
esatta  ubicazione  dell'apparecchio  ai fini di un'eventuale perizia
nonche'   sulla   effettiva   presenza  dei  verbalizzanti  in  loco.
Contestazione  immediata  che  potrebbe  facilmente  sfociare  in  un
inaccettabile arbitrio.
    Cio'  costituisce,  anche,  violazione  ex  art. 201 codice della
strada,  in  difetto  di  precisa  e dettagliata motivazione circa la
omessa contestazione.
    La   fattispecie   dell'eccesso   di   velocita'   accertato  con
dispositivo  automatico  occorre  rilevare  che  le previsioni di cui
l'art. 384, lettera e), del regolamento di attuazione al codice della
strada, siano influenti.
    Oggigiorno  non esistono apparecchi in rilevamento che consentono
la  determinazione  dell'illecito in tempo successivo ovvero dopo che
il  veicolo  oggetto  di  rilievo  era  gia'  a distanza dal posto di
accertamento  misuratori  elettronici attualmente in uso, sono dotati
di   un  monitor  che  visualizza  la  velocita'  contestualmente  al
passaggio del veicolo per cui in concreto non esiste una possibilita'
di rilevazione in tempo successivo ed a distanza.
    Inoltre le attrezzature a postazione fissa, attraverso un monitor
separato  e portatile, dotato di segnaleacustico e visivo, consentono
la visualizzazione del dato numerico a distanza e dunque, in anticipo
sull'arrivo   del   veicolo   colto  in  infrazione.  Secondo  quanto
confermato  anche  in  alcune pronunce della giurisprudenza di merito
(vedasi  pretura  Belluno  28/1989)  "gli  agenti accertatori possono
allontanarsi  dal  punto  di  rilevazione  per  uno  spazio  tale  da
permettere  l'intimazione  dell'alt  del  veicolo,  senza  per questo
costringere il conducente ad effettuare brusche manovre".
    Nel  caso  di  specie,  se la presenza di due agenti era piu' che
sufficiente  per  provvedere alla contestazione immediata e personale
dell'infrazione,   potendosi  in  ogni  caso  provvedere  a  chiamare
un'altra   pattuglia  dall'altro  lato  e'  del  tutto  inconsistente
l'affermazione  secondo la quale, in quel luogo l'arresto del veicolo
avrebbe  potuto  determinare  una  situazione  di pericolo, posto che
l'autovelox ben avrebbe potuto essere installato in unaltro luogo.
    Cosi'  si  mette in dubbio il rispetto del dettato normativo, che
impone  che l'autorita' di vigilanza si ponga sempre e comunque nelle
condizioni  di  poter provvedere all'addebito immediato attraverso la
predisposizione delle condizioni necessarie e sufficienti a tal fine.
    Del resto la condotta degli agenti appare poi piu' grave nel caso
de   quo,   in  quanto  un'autovettura  che  procede  alla  velocita'
accertata,  ben  puo'  essere fermata in uno spazio limitato. Infatti
sarebbe  stato  sufficiente  che  uno dei due agenti si fosse posto a
distanza dell'apparecchiatura di rilevamento per fermare, in assoluta
sicurezza,  il  veicolo  e  procedere  alla  contestazione immediata,
(cosi'  anche pretura Pavia 15 aprile 1996; pretura Perugia 15 luglio
1994);
        che  l'omessa  contestazione  immediata, posta quest'ultima a
garanzia  del  contravventore  di far valere nell'immediatezza le sue
ragioni,  si  sarebbe  giustificata  solo  in  presenza di un fattore
eccezionale,  che  deve  essere  indicato  nella  totalita'  dei suoi
elementi  caratterizzanti,  non  essendo  sufficiente una motivazione
fondata  sui  generici motivi impeditivi, ne' tantomeno la dichiarata
impossibilita'  dell'apparecchiatura  di  rilevazione  di determinare
l'illecito  nell'immediatezza  del  fatto  (cosi'  pretura Lagonegro,
23 aprile  1998;  pretura  Cremona  30 aprile  1992;  pretura  Rovigo
14 agosto 1990).
    Ne discende che siffatto comportamento rende pertanto illegittimo
il  provvedimento  amministrativo perviolazione degli artt. 200 e 201
codice della strada.
    Chiedeva,   infine,  che,  in  accoglimento  all'opposizione,  il
giudice  di  pace  adito  annullasse  l'ordinanza  opposta  con  ogni
conseguenza di legge.
    Rilevato, inoltre, che:
        a  seguito della presentazione di tale ricorso in cancelleria
veniva  fissata  l'udienza  del  29 marzo 2001 per la discussione del
medesimo;
        la   notificazione   avveniva   nelle  forme  della  consegna
nell'ufficio di cancelleria del giudice adito;
        per  conseguenza,  il  ricorrente  non  compariva  alla prima
udienza fissata;
        il  giudice,  attesa  la  mancata comparizione del ricorrente
riservava di decidere.
                            Osservato che
    A  mente  dell'art. 82  cod. proc. civ. primo comma, correlato al
disposto di cui all'art. 58 delle disposizioni di attuazione del cod.
proc.  civ.,  la  mancata  dichiarazione  di residenza od elezione di
domicilio,  presso la cancelleria del giudice adito, sceverano il suo
esercizio  del  diritto  di  difesa rispetto ad atti e fatti posti in
essere dalla Amministrazione nei confronti di esso medesimo.
    In  effetti  la  questione che si pone e' in diritto, ed e' stata
piu'  volte  risolta con alterne pronunce, mentre sono invocati quali
precedenti  pronunce che non si attagliano alla presente fattispecie,
riguardando  i  casi di notifica fatta al procuratore che eserciti le
sue  funzioni davanti ad una pretura inclusa nella circoscrizione del
tribunale     cui     lo     stesso    procuratore    e'    assegnato
(sent. numeri 4676/1989,  2962/1988, 2087/1985, 4/1983), fatto questo
pacificamente  escluso nella specie. La suprema Corte, affermando che
la  norma  dell'art. 82 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37, non
esclude  la validita' delle notificazioni che vengano eseguite (dalla
controparte   che   potrebbe  avvalersi  di  detta  disposizione)  al
procuratore nel suo effettivo domicilio, ha riconosciuto la validita'
ed   efficacia  della  alternativa  notifica  presso  la  cancelleria
(operata nella specie).
    Esattamente  piu'  esplicita  ed  adesiva  risulta,  peraltro, la
sentenza  s.u.  n. 5100/1990, dalla quale e' stata tratta la seguente
massima:
        "Nel  procedimento  dinanzi al giudice monocratico, l'art. 58
disp.  att.  cod. proc. civ., ove prevede la notificazione degli atti
presso  la cancelleria, nei confronti della parte che non abbia fatto
dichiarazione   di   residenza   o  elezione  di  domicilio  a  norma
dell'art. 314  cod. proc. civ., riguarda il solo caso in cui la parte
stia  in  giudizio  personalmente,  mentre nel caso di costituzione a
mezzo  di  procuratore la notificazione medesima (nella specie, della
sentenza  impugnati  al  fine  della decorrenza del termine breve per
l'impugnazione),  a  norma  dell'art. 82 del regio decreto 22 gennaio
1934, n. 37, va effettuata, se il procuratore operi nell'ambito della
propria  circoscrizione,  nel domicilio da esso indicato o risultante
dall'albo  professionale  (ancorche' si trovi in un comune diverso da
quello  della sede dell'ufficio giudiziario), ovvero, quando eserciti
fuori  di  detta circoscrizione, nel domicilio eletto nel luogo della
sede    dell'ufficio    giudiziario   considerandosi,   in   difetto,
elettivamente  domiciliato  presso  la  cancelleria  di quell'ufficio
(cfr.  la  suprema  Corte anche in sent. numeri 2948/1990, 2284/1990,
3670/1985).
                       Ritenuto, altresi', che
    Nel  caso in cui il destinatario della notificazione abbia eletto
domicilio  presso  una  persona o un ufficio, la notificazione stessa
puo' essergli fatta nel domicilio eletto.
    E'  un  punto  di vista prevalente, anche in dottrina, che questa
forma  di  notificazione e', di regola, facoltativa e concorrente con
la  notificazione  eseguita  alla  persona secondo le modalita' sopra
indicate; diventa, peraltro, obbligatoria, anche quando l'elezione di
domicilio  e'  stata  inserita in un contratto e l'obbligatorieta' e'
stata espressamente pattuita.
    La  scelta  di  un  domiciliatario puo', talvolta, essere imposta
dalla  procedura  cosi' che la parte che si costituisce personalmente
e'  tenuta  a dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune
ove  ha  sede  l'ufficio  giudiziario competente, onde evitare che le
notificazioni  e  le  comunicazioni degli atti durante il processo le
vengano  fatte presso la cancelleria del giudice adito (art. 58 disp.
att.  Cod.  proc.  civ.),  anziche'  nella residenza dichiarata o nel
domicilio eletto (art. 170, terzo comma).
    Le  norme  di  rito hanno parificato alla elezione domicilio, per
taluni  fini,  la  nomina di un difensore come proprio rappresentante
tecnico nel processo: in applicazione a tale criterio l'art. 170 cod.
proc.  civ., sancisce che, dopo la costituzione in giudizio, tutte le
notificazioni  e  comunicazioni  debbono  essere fatte al procuratore
costituito, salvo che la legge disponga altrimenti.
    Atteso  che  la notificazione si effettua mediante consegna della
copia  al  domiciliatario,  invece nella elezione di domicilio, detta
consegna   avviene   a  mani  della  persona  indicata,  o  del  capo
dell'ufficio,  se  e'  indicato  soltanto l'ufficio, e, comunque, nel
luogo indicato nella elezione stessa.
    Sicche' la consegna della copia nelle mani della persona del capo
dell'ufficio  presso  il  quale  e' stato eletto domicilio equivale a
consegna nelle mani proprie del destinatario.
    Nei  casi  pratici  avviene  che  la notificazione, inoltre, puo'
essere   fatta   mediante   consegna   alla  persona  difamiglia  del
domiciliatario,  o comunque addetta alla casa, e, persino, in assenza
del solo ed unico destinatariodell'atto, alle mani del portiere dello
stabile  o  ad  un  vicino  di  casa che, in dispregio alle norme del
disposto  di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, di tutela della
privacy, si dichiari disponibile a riceversela.
    Pari destino, anche se chiusi in busta, hanno gli atti notificati
per posta al domiciliatario.
    Senza  considerare  poi  che,  nelle notificazioni al procuratore
costituito  e' sufficiente la consegna di sola copia dell'atto, anche
se  il  procuratore  e'  costituito per piu' parti (art. 170, secondo
comma).
    Il  tutto  fatta  eccezione  per  la notificazione della sentenza
quando   e'   fatta   a   fine   della  decorrenza  del  termine  per
l'impugnazione al procuratore costituito.
    In  detta ipotesi e' richiesta la consegna di tante copie, quante
sono  le  parti  per  cui il procuratore e' costituito (art. 285 cod.
proc.  civ.).  Dunque  la  notificazione  fatta  alla parte presso il
procuratore - o il soggetto indicato dall'attore quale domiciliatario
-,  nel caso di difesa non tecnica, ed e' equivalente, a quella fatta
all'attore,  in  quanto  domiciliatario  del  cliente  e  percio'  le
notificazioni possono essere eseguite a lui o presso di lui (2).
    L'unico  caso  in  cui la notificazione non puo' essere fatta nel
domicilio eletto, e, ove effettuata essa e' nulla, attiene al decesso
di  quest'ultimo ovvero quando esso si e' trasferito fuori della sede
indicata  nella elezione di domicilio o e' cessato l'ufficio indicato
quale domicilio dell'attore.
                             Atteso che
    Il  caso  preso  in  esame, avuto riguardo alla notificazione del
decreto  di  fissazione  d'udienza  di  cui  all'art. 23  della legge
24 novembre  1981,  in  concomitanza  con  una  capillare campagna di
stampa,  posta in atto da varie associazioni, sedicenti di tutela dei
diritti  dei cittadini e di salvaguardia, per costoro, da conseguenze
riguardanti   la   loro   sfera   giuridica,   richiama,   nella  sua
formulazione,  il  dettato  del  cessato art. 82 cod. proc. civ. che,
prima  della  vigenza  dell'art. 20  della  legge  21 novembre  1991,
n. 374,  che  ne ha sostituito il testo iniziale, con la formulazione
attuale,  disciplinava  la  difesa  del  cittadino dinanzi ai cessati
uffici  di  conciliazione  ed  anche,  ed in particolari circostanze,
dinanzi ai pretori.
    Tant'e'  che  la  giurisprudenza  ha  esaminato  con  particolare
frequenza  le  varie  forme dei provvedimenti coi quali il pretore, a
mente del citato articolo, oggi abrogato, poteva autorizzare la parte
a  stare in giudizio dipersona, nonche' gli effetti della mancanza di
un procuratore legalmente abilitato all'atto che ha compiuto.
    La potesta' allora attribuita al pretore, che qui ci interessa al
fine  di pervenire alla conclusione alla limitata ampiezza difensiva,
a  favore  di  se'  stesso, attribuita alla parte che sta in giudizio
personalmente,  veniva data in considerazione della natura ed entita'
della  causa,  e  ben poteva essere esercitata su istanza anche orale
della parte.
    Ne'  puo'  formare  materia  di  controllo da parte della suprema
Corte, nemmeno sotto l'aspetto di una violazione della legge formale,
per mancanza del provvedimento scritto.
    Cio'   e'  ancor  piu'  verosimile  in  quanto  era  di  per  se'
sufficiente   che  l'autorizzazione  risultasse.  Semplicemente,  dal
verbale di causa. (Cass., 11 aprile 1951 n. 846).
    Nel  dualismo  tra  le  funzioni  processuali,  espletate in modo
ancorpiu' privilegiato con la difesa tecnica effettuata dal difensore
abilitato, e della difesa compiuta personalmente dalla parte, si sono
inserite le pronunzie della suprema Corte di cui si e' detto.
    Ritiene questo giudice di pace che la ecc.ma Consulta, che ebbe a
pronunciarsi  il  lontano  19 gennaio  1988,  con ordinanza n. 42, in
esito  alla  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 22,
terzo  comma, della legge 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui
pone l'obbligo della elezione del domicilio nel comune ove aveva sede
l'allora  pretore adito, debba riesaminare, anche alla luce di quanto
esposto, la pronuncia.
    Non  v'e'  dubbio,  infatti,  che oggidi' l'estrema mobilita' del
cittadino,  -  dettata  dall'esigenza  di  continui spostamenti della
frenetica  vita  dell'iniziato  terzo  millennio - nel percorrere, in
lungo  ed  in  largo,  per  lavoro  e  per  impegni  non debba essere
cadenzata  dall'obbligo  di  reperire,  per  ogni  dove,  il  proprio
domicilio eletto.
    Ed  ancor meno che il cittadino, sia esso di Palermo o di Milano,
che  si  trova  a percorrere quest'estremo lembo d'Italia, essendogli
recapitato,  a  mo'  di  ricordo  del viaggio, un plico contenente la
sanzione amministrativa, opponendosi ad essa non sia nelle condizioni
di sapere quale sia il suo destino processuale.
    Fatto  che se il medesimo cittadino avesse residenza anagrafica a
Locri  non avrebbe verun problema, neeconomico, ne' motorio, non solo
per difendersi personalmente, ma anche per vedersi recapitato, a casa
propria,  ogni  atto del procedimento che si celebra dinanzi a questo
giudice di pace.
    Salvo  che  il legislatore non abbia evidentemente inteso imporre
ad   esso   il   pagamento  della  sanzione,  quale  via  piu'  breve
all'alternativa  di  sborsare  pari  importo  per  approntare  la sua
difesa, sia essa tecnica, a gestita da se' medesimo.
    E'  evidente  la  incostituzionalita' della norma che preclude la
notificazione  degli  atti  del  giudizio di opposizione ad ordinanza
ingiunzione,  -  dal primo all'ultimo - presso l'esatta residenza del
ricorrente.
    Tale  principio  contrasta  col  disposto di cui all'art. 3 nella
parte in cui non viene riconosciuto al cittadino medesima eguaglianza
e pari dignita' dinanzi alla legge, precipuamente procedurale.
    Il  medesimo  principio contrasta col disposto di cui all'art. 24
della  Costituzione,  nella  parte  in  cui riconosce al cittadino la
libera facolta' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti
ed  interessi  legittimi,  essendo  la  difesa un diritto inviolabile
sempre e dovunque.
    Il  richiamato  principio  contrasta,  in  ultimo,  con  tutto lo
spirito  etico  e  morale della Carta costituzionale secondo il quale
sul  destino  del  cittadino non possono e ne' devono pesare fatti ed
atti da esso non voluti: siano essi la nascita, il suo sito ed il suo
nome.
                        Ritenuto, infine, che
    Quanto    al    provvedimento   sanzionatorio   della   autorita'
amministrativa,  e'  previsto  che  gli  interessati possono proporre
opposizione  davanti al giudice del luogo in cui e' stata commessa la
violazione  entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del
provvedimento,  mediante  deposito  in  cancelleria  del  ricorso con
allegata l'ordinanza notificata.
    Secondo  la  prevalente  giurisprudenza  della  suprema Corte, il
ricorso   deve   essere   materialmente   consegnato   al   personale
dell'ufficio  giudiziario,  e,  quindi,  non  puo' formare oggetto di
invio per posta o con altre forme di trasmissione, ad esempio via fax
(Cass. sez. un. 17 giugno 1988 n. 4120).
    Nel   ricorso,   l'opponente,  ove  non  abbia  in  loco  un  suo
procuratore  per  il  giudizio  de  quo,  e' obbligato a dichiarare o
eleggere  domicilio  nel  comune in cui ha sede il giudice adito, e a
presentarsi   alla  prima  udienza,  per  evitare  la  convalida  del
provvedimento opposto (art. 23, comma 5), a differenza dell'ordinario
rito civilistico per quanto riguarda la cancellazione della causa dal
ruolo (art. 181 c.p.c.).
    Quanto   appena   premesso,   ritiene  questo  giudice,  che  non
garantisce a chi intende opporsi alla sanzione, che non sia assistito
da  un  legale,  la concreta possibilita' di difendersi, tenuto conto
dei  gravami procedurali che vengono a trovarsi sull'iter processuale
del ricorrente, - in tema, peraltro, di modesta offensivita', - ed in
particolare,  a  tale  riguardo la necessita' di adire il giudice del
luogo  in  cui  e' stata commessa la presunta violazione, anziche' di
quello di residenza del ricorrente.
    Questo   giudice,  che  ha  piu'  volte  sollevato  questione  di
costituzionalita' in esito alla disparita' di trattamento processuale
tra  chi  adisce  il  giudice  in  proprio e chi, invece e' munito di
difesa  tecnica,  ha anche rilevato come, nell'estremo lembo di terra
ove  finisce  il  continente,  ed  ove opera il giudicante, sia molto
attuale e ripetuta l'ipotesi che il cittadino del Nord Italia venga a
trascorrere  le ferie dove, almeno il sole, qui non e' mai latitante,
e,  qualche  giorno,  o mese, dopo del rientro, si veda recapitare al
suo  domicilio,  distante anche millequattrocento km daquesti luoghi,
una  sanzione  amministrativa  che  gli  ingiunge  di  pagare  alcune
centinaia di migliaia di lire.
    Sicche'   un   cittadino   abitante   a   Milano  per  contestare
un'infrazione  stradale  elevatagli  nella  zona  di Locri, ha dovuto
presentare  personalmente  in  cancelleria  il suo ricorso e, quindi,
comparire  successivamente in udienza, sopportando un costo notevole,
anche  in termini economici, con dispendio di energie e di tempo, che
gli  sarebbero  stati  risparmiati, se la competenza in materia fosse
stata  del  giudice  del  luogo ove egli risiede. Proprio perche', in
ossequio  alla  citata  pronuncia  della suprema Corte, del 17 giugno
1988 n. 4120, esso non puo' usufruire dell'invio per posta.
    Avviene   quindi   che   detta   procedura   privilegi   il  Foro
dell'Amministrazione  che  ha  comminato  la  sanzione cosi' rendendo
particolarmente difficoltoso al ricorrente esercitare direttamente il
suo  connaturale diritto di difesa, sia dell'art. 24 secondo il quale
tutti  possono  agire  in  giudizio,  e  sia  ai sensi dell'art. 111,
secondo  comma,  della Costituzione, legge costituzionale 23 novembre
1999, n. 2.
    Per  effetto  della  normativa  appena  citata, "ogni processo si
svolge  nel  contraddittorio  tra le parti, in condizioni di parita',
davanti a giudice terzo e imparziale".
    Avviene, dunque, che l'attribuzione della competenza territoriale
al  giudice del commissi delicti, e cioe' del luogo dell'accertamento
dell'infrazione,  potrebbe  essere  in  contrasto  con i principi del
giusto  processo,  cosi'  conclamato da qualche tempo, e della esatta
amministrazione  della  giustizia,  di  cui qualsiasi convenzione che
voglia  fare salvi i diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
cio'  in  quanto  di fatto al presunto incolpato non e' garantita una
posizione processuale paritaria rispetto all'amministrazione e quindi
mancano  i presupposti perche' il suo ricorso abbia valenza effettiva
e   non  solo  teorica,  tanto  piu'  considerando  come  le  pretese
dell'autorita'   che  hairrogato  la  sanzione  siano,  tra  l'altro,
immediatamente esecutive.
    Esigenze  attuali  di  speditezza  e di aderenza ai tempi moderni
vanno  di pari passo alle cadenze del procedimento dinanzi al giudice
di    Pace   che   prevede,   all'art. 320   c.p.c.,   l'obbligatorio
interrogatorio  libero delle parti subito "nella prima udienza", cio'
al   fine   acquisire  dagli  "interessati"  utili  elementi  per  la
trattazione  della  causa,  e  quindi  incentiva  un rapporto diretto
dell'organo  giudicante  con  i protagonisti processuali, tanto piu',
se,  come  nel  caso  di specie, il ricorrente puo' stare in giudizio
senza l'assistenza di un legale.
    Senza considerare, poi, che lo stesso rito della 689/1981, impone
al  giudice  di  pace  di  valutare  la "personalita'" e le eventuali
"condizioni  economiche  disagiate"  dell'autore  dell'infrazione, in
sede  di  applicazione  delle  sanzioni  (art. 11)  e concessione del
pagamento rateale della pena irrogata (art. 26).
    Tutto   cio',  evidenzia  questo  giudice,  postula  comunque  la
necessaria presenza personale dell'incolpato in giudizio.
    Non  ultima  la  disposizione  di cui all'art. 23, settimo comma,
della  legge  n. 689/1981  che  stabilisce  la lettura in udienza del
dispositivo da parte del giudice, proprio allo scopo di rappresentare
oralmente al ricorrente l'autorita' della decisione.
    E' questa la fondamentale attivita' processuale, prevista proprio
nell'interesse  difensivo del trasgressore, e' da ritenersi di dubbia
realizzazione  nel  caso  in  cui l'opponente si trovi a risiedere in
sito   lontano  da  dove  va  celebrato  il  processo  e  non  ha  le
possibilita'  economiche  per  rivolgersi  ad  un  legale - anch'esso
lontano  dalla  sua  residenza -, onde sostenere cola' in giudizio le
proprie ragioni contro l'amministrazione.
    Non  ultima  e'  la  riflessione  sull'ammontare  della  sanzione
irrogata,  in  genere,  che  non  e' tale da giustificarela spesa per
l'assistenza di un professionista, anche nell'ipotesi in cui fosse di
tutta evidenza l'estraneita' del verbalizzato, specie se si considera
la diffusa tendenza dei giudici a compensare le spese o liquidarle in
misura molto simbolica.