II TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 3898/1999
proposto  dall'ing.  Tito Sano' rappresentato e difeso dall'avv. P.M.
Montaldo  ed  elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via
degli Scipioni, 232;
    Contro,  Ministero  dell'ambiente e Associazione nazionale per la
protezione    dell'ambiente    (ANPA),    rappresentati    e   difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliati
in  Roma,  via dei Portoghesi, 12; il consiglio di amministrazione ed
il  direttore  generale  dell'ANPA;  il servizio di collaborazione al
funzionamento   degli   organi   di  alta  consulenza  del  Ministero
dell'ambiente  non autonomamente costituiti e nei confronti del dott.
Urbani  Maurizio,  costituitosi  in  giudizio, rappresentato e difeso
dall'avv.  A.  Ferraldeschi  ed  elettivamente  domiciliato presso lo
stesso  in  Roma,  via  Baiamonti, 10; della Soc. D. & G. a r.l., non
costituita in giudizio; per l'annullamento:
        della   deliberazione   del   consiglio   di  amministrazione
dell'ANPA  n. 430  C.A.  del  18 dicembre  1998,  con  cui  e'  stato
conferito all'ing. M. Urbani l'incarico di dirigente responsabile del
Dipartimento rischio tecnologico e naturale:
          nonche'   di   tutti   gli  atti  presupposti,  connessi  e
conseguenziali,  ivi  compresi  il  bando  di  concorso e il relativo
avviso  pubblico,  le operazioni di scrutinio, i criteri adottati, le
proposte  di  terne  di  candidati  per  la selezione finale, nonche'
l'atto   di  conferimento  alla  D.  &  G.  S.r.l.  dell'incarico  di
predisporre  la  selezione  e  la  nota  del  Ministero dell'ambiente
n. 18707 SCOC/1998 in data 11 dicembre 1998;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti  di  costituzione in giudizio dell'Avv.ra gen.le
dello Stato e del controinteressato ing. M. Urbani;
    Viste  le  ordinanze presidenziali nn. 28 del 22 aprile 1999, 119
del 28 dicembre 1999 e 81 del 20 aprile 2000;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore,   alla   pubblica   udienza  del  13  luglio  2000,  il
Consigliere  G.  De Michele e uditi, altresi', gli avv. P.M. Montaldo
per   il   ricorrente,   Palmieri  dell'Avvocatura  dello  Stato  per
l'Amministrazione resistente e Ferraldeschi per il controinteressato;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                              F a t t o
    Attraverso il ricorso in esame, notificato in data 11 marzo 1999,
si  impugnano  gli  atti  relativi  alla selezione, indetta dall'ANPA
(Agenzia   nazionale   per  la  protezione  dell'ambiente)  ai  sensi
dell'art. 19 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 - con bando pubblicato
su  alcuni  quotidiani il 22, 23 e 24 luglio - per il conferimento di
incarichi dirigenziali.
    La   scelta   dei   vincitori   -   operata   dal   consiglio  di
amministrazione   il   30 settembre  1998  -  veniva  successivamente
annullata   a   seguito   di  osservazioni  formulate  dal  Ministero
dell'ambiente,   quale   organo   di  vigilanza,  con  nota  in  data
11 dicembre  1998;  le  medesime  nomine  originariamente  stabilite,
tuttavia,  erano reiterate il 18 dicembre 1998, attraverso l'atto che
in  questa sede si impugna, unitamente agli atti presupposti, fra cui
il ricordato bando di concorso.
    Nell'impugnativa   vengono   prospettati  i  seguenti  motivi  di
gravame:
        1)  violazione,  dell'accordo quadro per la definizione delle
autonome   aree   di   contrattazione   della   dirigenza,  ai  sensi
dell'art. 3,  comma 2 del CCNL dei dipendenti degli enti di ricerca e
dell'art. 97 della Costituzione, nonche' eccesso di potere, in quanto
il  consiglio di amministrazione non sarebbe competente per le nomine
di  cui trattasi; non dovrebbe essere applicato, inoltre, il CCNL del
personale ENEA, ma quello degli enti di ricerca o "altro analogo";
        2)  violazione  del d.lgs. n. 29/1993, del d.lgs. n. 80/1998,
art. 40,  del  d.l.  n. 344/1988,  dell'art. 97  della  Costituzione,
nonche'  eccesso  di potere, essendo stato applicato l'art. 19, comma
6,   d.lgs.   n. 29/1993,   che   consente   di  conferire  incarichi
dirigenziali    a    tempo    determinato    a    soggetti    esterni
all'Amministrazione,   in   possesso   di  comprovata  qualificazione
professionale e di specifica esperienza; la predetta norma, tuttavia,
risulta  entrata  in  vigore  ex  art. 45  d.lgs. n. 80/1998 solo dal
30 settembre 1998 (con successiva proroga al 31 dicembre 1998 ex d.l.
n. 344/1998) e quindi non avrebbe potuto essere applicata nel caso di
specie;
        3)  ancora violazione delle norme sopra citate, nonche' della
legge  n. 241/1990  ed  eccesso  di  potere, risultando effettuata la
selezione  di  cui trattasi con modi e procedure estranee a qualsiasi
previsione  legislativa o contrattuale, in particolare per l'avvenuto
affidamento  della  scelta  dei dirigenti in questione ad un soggetto
privato  (D.  &  G.  S.r.l.),  non in grado di offrire le garanzie di
imparzialita'  e  finalizzazione  al  pubblico  interesse,  che  sono
istituzionalmente proprie della pubblica amministrazione; nel caso di
specie,  in  effetti,  sarebbero  del  tutto carenti - o comunque non
evidenziate  con la necessaria trasparenza - la predeterminazione dei
criteri di selezione e le relative modalita' applicative;
        4)  ulteriore  violazione  delle predette norme ed eccesso di
potere,  con  specifico  riferimento  alla valutazione dei titoli del
ricorrente.  Le Amministrazioni intimate ed il controinteressato ing.
Urbani, costituitisi in giudizio, eccepiscono in via pregiudiziale il
difetto   di   giurisdizione   di   questo  tribunale  e  nel  merito
l'infondatezzadell' impugnativa.

                            D i r i t t o

    La  questione  sottoposta  all'esame  del  collegio  concerne una
procedura  di  selezione per incarichi dirigenziali, svoltasi a norma
dell'art. 19  d.lgs.  n. 29/1993,  come  successivamente  integrato e
modificato,  e  conclusasi  in  data  successiva  al  30  giugno 1998
(termine  fissato  in  via generale dall'art. 45, comma 17 del d.lgs.
n. 80/1998  per il passaggio al giudice ordinario delle controversie,
di  cui  all'art. 68  del  d.lgs.  n. 29/1993,  con  esclusione delle
questioni  attinenti  al  periodo  di  rapporto di lavoro anteriore);
l'atto   di   nomina  contestato  (delibera  del  C.d.A.  n. 430  del
18 dicembre  1998),  inoltre, risulta successivo alla data di entrata
in  vigore  del  d.lgs.  29 ottobre  1998,  n. 387, integrativo della
predetta  norma  per  gli  incarichi  dirigenziali (la cui disciplina
operativa,  ex  art. 45  cit.,  comma  8,  diviene pero' efficace con
decorrenza  31 dicembre 1998 o - se anteriore - dalla data di entrata
in  vigore  dei  contratti  collettivi, di cui all'art. 24 del d.lgs.
n. 29/1993).  Nella  situazione  appena  descritta,  il  momento  che
rileva,  ai  fini  della concreta determinazione della giurisdizione,
sussistente  nel  caso  di  specie,  deve  essere  ricercato  in base
all'art. 5 c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 2 legge 26 novembre
1990,  n. 353,  che  fa al riguardo rinvio "alla legge vigente e allo
stato  di  fatto esistente" all'atto della proposizione della domanda
giudiziale (e nella fattispecie il ricorso risulta notificato in data
11 marzo   1999,   nella   piena   vigenza   del   nuovo  riparto  di
giurisdizione;   cfr.   anche,   per   il   principio,  Cass.  SS.UU.
n. 5792/1992).  Nella  vicenda  in  esame,  tuttavia, occorre operare
un'ulteriore distinzione.
    Il primo comma del citato art. 68, modificato dall'art. 18 d.lgs.
n. 387/1998, attribuisce infatti al giudice ordinario, in funzione di
giudice  del  lavoro, le questioni attinenti al "conferimento ed alla
revoca  degli  incarichi  dirigenziali",  mentre  lascia  al  giudice
amministrativo  la  giurisdizione, per le "controversie in materia di
procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni".
    L'intenzione  del  legislatore  appare  quella di rimettere ad un
unico  giudice  tutte  le questioni attinenti al rapporto di lavoro -
tendenzialmente   disciplinato  in  modo  unitario  nel  settore  sia
pubblico  che privato - con esclusione delle procedure che, di norma,
debbono  essere  esperite  per  selezionare  il personale cui vengano
affidate  funzioni pubbliche, in conformita' al dettato dell'art. 97,
comma  3,  della  Costituzione (in base al quale "agli impieghi nelle
pubbliche  amministrazioni  si accede mediante concorso, salvo i casi
stabiliti dalla legge").
    La  ratio legislativa riconduce dunque la selezione concorsuale a
modalita'  organizzatorie,  direttamente  connesse  al buon andamento
della  gestione  dei  pubblici  uffici,  a  norma  dell'art. 97 della
Costituzione,  con  conseguente  opportunita' - recepita e codificata
dal  legislatore - che delle procedure concorsuali, caratterizzate da
imparzialita'  e  parita' di trattamento, abbia cognizione il giudice
specializzato  per  gli  atti,  che  siano  espressione  di  potesta'
amministrativa.
    Quanto  sopra  impone  una lettura estensiva del quarto comma del
citato  art. 68  d.lgs.  n. 29/1993,  dovendo considerarsi rimessa al
giudice  amministrativo ogni controversia, che attenga all'assunzione
di  funzioni pubbliche per cui siano prescritte modalita' concorsuali
di  accesso,  nonche'  le  questioni riconducibili a violazione della
corretta procedura anzidetta.
    Per  quanto riguarda la dirigenza, ovvero il settore dell'impiego
presso  pubbliche  amministrazioni,  cui  e'  affidata  la  materiale
gestione   dell'attivita'   amministrativa   -   non  escluse  scelte
discrezionali,  da  effettuare  nel  rispetto dei criteri stabiliti a
livello  di  indirizzo  politico  -  l'art. 28,  comma  1  del d.lgs.
n. 29/1993  cosi'  si esprime: "l'accesso alla qualifica di dirigente
di ruolo nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo
e  negli enti pubblici non economici avviene esclusivamente a seguito
di concorso per esami".
    L'obbligo  di espletamento di tale procedura appare riconducibile
alla  peculiarita'  del  rapporto  di  impiego  di cui si discute, in
strutture  per le quali e' assente il rischio di impresa, (di per se'
stimolo  all'effettuazione di controlli di efficienza e di efficacia,
tali  da non consentire la permanenza in posizioni di responsabilita'
di  addetti,  non in grado di assicurare un ottimale espletamento del
servizio  loro  affidato):  sull'osservanza  di tale obbligo, nonche'
sulle  condizioni  di  legittimita'  della procedura svolta sussiste,
come gia' ricordato, la giurisdizione del giudice amministrativo.
    La  carriera  dirigenziale  pubblica  e',  tuttavia, disciplinata
anche   nello   spirito   di  un  crescente  allineamento  a  criteri
manageriali  di  stampo  privatistico,  possibili  nel  contemporaneo
espletamento  di un nuovo sistema di controlli (gia' legislativamente
previsto:  cfr.  in particolare, legge 14 gennaio 1994, n. 20 e legge
15 maggio 1997, n. 127).
    A  tale  secondo  piano  di riferimento corrisponde la disciplina
degli incarichi dirigenziali a tempo determinato, che interessano - a
norma    dell'art. 19    d.lgs.    3 febbraio   1993,   n. 29,   come
successivamente  modificato  ed integrato - i dirigenti della prima e
della  seconda  fascia del ruolo unico (evidentemente selezionati nei
modi  ordinari),  nonche'  una  percentuale  del  5%  del  personale,
appartenente  a  ciascuna  delle predette fasce, in corrispondenza di
particolari  requisiti  professionali specificati nel sesto comma del
medesimo  art. 19: la previsione di tale ristretta percentuale, e dei
requisiti personali che debbono caratterizzarla, non puo' avere altro
significato  che  quello  di  consentire  una  forma  di reclutamento
straordinario,  legato  al  cosiddetto intuitus personae e non ad una
selezione  concorsuale per esami, fatta salva la possibilita' - ed in
qualche  caso  l'obbligo  -  dell'Amministrazione  di  autolimitarsi,
fissando  criteri  di  comparazione imparziali e trasparenti (cfr. in
tal   senso,   in   presenza  di  "pluralita'  di  candidature  o  di
dichiarazioni  di  gradimento  per  la  stessa posizione funzionale",
Cons. St., sez. IV, 18 dicembre 1998, n. 1688).
    Per  detto  tipo  di  scelta  (che  non  presuppone concorso, ne'
necessariamente valutazione comparativa) cosi' come per gli incarichi
a  tempo,  conferiti ai dirigenti di ruolo, il gia' ricordato art. 68
d.lgs.  n. 29/1993,  come modificato dall'art. 18 d.lgs. n. 387/1998,
prevede  la giurisdizione del giudice ordinario "ancorche' vengano in
questione atti amministrativi presupposti".
    Ad  avviso  del  Collegio,  nell'ambito  di tali atti presupposti
residua  una  sola  questione,  rimessa  alla  cognizione del giudice
amministrativo:  l'eventuale  violazione  dell'art. 28,  comma 1, del
d.lgs.  n. 29/1993,  circa  l'obbligatoria  selezione concorsuale per
esami  dei dirigenti, al di fuori della ridotta percentuale di cui al
sesto  comma  dell'art. 19  del  medesimo  d.lgs., gia' in precedenza
commentato.
    In  rapporto  al ricorso in esame, tuttavia, il profilo anzidetto
non   appare   valutabile,   pur  non  mancando  nel  ricorso  stesso
argomentazioni difensive, riferite a radicale non esperibilita' della
procedura   seguita   (con  particolare  riferimento  ai  termini  di
efficacia dell'art. 19 d.lgs. n. 29/1993).
    Dette   argomentazioni   difensive,   infatti,   coinvolgerebbero
necessariamente l'intera procedura espletata dall'ANPA, in rapporto a
tutte   le  posizioni  dirigenziali  da  ricoprire,  con  conseguente
necessita'   di  integrazione  del  contraddittorio,  originariamente
instaurato  nei confronti di un solo controinteressato (ing. Maurizio
Urbani).
    La  necessita' di integrare il contraddittorio, peraltro, risulta
individuata  dallo  stesso  ricorrente con istanza depositata in data
25 novembre  1999,  in  accoglimento  della  quale  e'  stata  emessa
l'ordinanza  presidenziale  n. 119  del  28 dicembre 1999, con cui si
autorizzava   la   notificazione  del  ricorso  "a  tutti  gli  altri
controinteressati", anche per pubblici proclami, entro novanta giorni
dalla  comunicazione  o  dalla  notifica  dell'ordinanza  stessa.  Il
predetto  adempimento  non risulta effettuato, essendo agli atti solo
un  secondo  originale  del ricorso, notificato il 18 gennaio 2000 ai
signori   Serva  Leonello  e  Bendotti  Paolo,  nonche'  una  memoria
depositata  in  sede  di  udienza, con relata di notifica alle stesse
parti gia' presenti in giudizio.
    In   tale  situazione,  il  Collegio  non  puo'  che  aderire  al
consolidato   indirizzo   della  giurisprudenza,  che  sottolinea  la
perentorieta'  del  termine processuale, assegnato per l'integrazione
del contraddittorio, e sancisce - in base al combinato disposto degli
artt. 35    T.U.    n. 1054/1924    e   19   legge   n. 1034/1971   -
l'inammissibilita'    (o    la    decadenza)   dell'impugnativa   per
l'inosservanza del termine stesso, indipendentemente dalla fissazione
di   tale  adempimento  in  una  ordinanza  presidenziale  o  in  una
determinazione  collegiale  (cfr.  in  tal  senso Cons. St., sez. VI,
7 luglio  1982,  n. 330;  sez.  IV, 18 aprile 1995, n. 254; Tribunale
amministrativo  regionale  Campania,  Napoli, sez. I, 11 luglio 1984,
n. 389;  Tribunale amministrativo regionale Calabria, Reggio Calabria
18 novembre 1988, n. 270 e 17 aprile 1989, n. 58).
    Restano  valutabili,  pertanto,  solo  le  censure  riferite alla
singola  funzione  dirigenziale,  per  la  quale concorreva l'attuale
ricorrente  (responsabile  del  Dipartimento  rischio  tecnologico  e
naturale),    tenuto   conto   della   avvenuta   instaurazione   del
contraddittorio  nei confronti della terna di candidati, ammessi alla
selezione finale.
    Come  gia'  ricordato, pero', la procedura al riguardo espletata,
ex  art. 19 d.lgs., n. 29/1993, risulta esplicitamente sottratta alla
giurisdizione  di questo tribunale, a meno di non sollevare questione
di  costituzionalita', con riferimento all'art. 68 d.lgs. n. 29/1993,
come modificato dall'art. 18 d.lgs. n. 387/1998.
    Tale  questione  -  di  indubbia rilevanza per la conclusione del
presente  giudizio - appare ad avviso del collegio non manifestamente
infondata,  con riferimento agli articoli 76, 77, 97, 103 e 113 della
Costituzione.
    Spetta  in  via  generale  al giudice amministrativo, infatti, la
cognizione in materia di lesione degli interessi legittimi, ovvero di
situazioni  soggettive  protette  correlate  ai  parametri  di  "buon
andamento  dell'amministrazione",  a loro volta connessi al principio
di  legalita'  nonche' - in caso di atti non vincolati - all'adeguata
ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti.
    In  tale  ottica  sussisteva  un  tradizionale orientamento della
Corte  costituzionale,  secondo  cui  il  "buon andamento", di cui al
citato  art. 97  della  Costituzione,  non  riguardava esclusivamente
l'organizzazione  interna  dei  pubblici uffici, ma si estendeva alla
disciplina   del   pubblico   impiego,  essendo  "innegabile  che  la
disciplina   del   lavoro   e'  sempre  strumentale,  mediatamente  o
immediatamente,  rispetto alle finalita' istituzionali assegnate agli
uffici, in cui si articola la pubblica amministrazione" (Corte cost.,
sentenze nn. 124/1968 e 68/1980).
    E' anche stato sottolineato, tuttavia (Corte cost., n. 185/1981),
come   l'art. 113  della  Costituzione  non  riconosca  posizioni  di
preferenza  del giudice ordinario rispetto al giudice amministrativo,
senza  pero'  giungere alla tesi opposta - pure da alcuni sostenuta -
secondo  cui  il  passaggio  al giudice ordinario delle controversie,
implicanti  valutazione di interessi legittimi, non potrebbe avvenire
in  condizioni  di  assoluta reciprocita', rispetto ad una cognizione
piena per materia assegnata - come appunto in passato per il pubblico
impiego  -  al  giudice  amministrativo  (sussistendo  per il giudice
ordinario - in materia di interessi legittimi - solo la cognizione in
via  incidentale, di cui all'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, che
consente  la  disapplicazione,  da  parte di tale giudice, degli atti
amministrativi e dei regolamenti non conformi alle leggi).
    In  realta', la giurisdizione generale del giudice amministrativo
sugli interessi legittimi non preclude, in linea di principio, che il
legislatore  possa  operare  un  riparto  della  giurisdizione stessa
ratione materiae stando al dettato dell'art. 113, ultimo comma, della
Costituzione,  pur  imponendosi degli adeguamenti in via legislativa,
circa le modalita' di attuazione della tutela.
    Nel  descritto quadro costituzionale e normativo, i primi casi di
privatizzazione  del rapporto di pubblico impiego hanno dato luogo ad
un  sistema  di  giurisdizione  "mista",  che  rimetteva  al  giudice
ordinario  solo  la  tutela  dei  diritti,  direttamente  connessi al
contatto  di  lavoro,  restando  affidati alla cognizione del giudice
amministrativo  i  provvedimenti  autoritativi  e  discrezionali  del
datore  di  lavoro,  a  fronte  dei quali le posizioni del lavoratore
avessero  natura  e  consistenza di interessi legittimi (cfr., fra le
tante,  Cass.  SS.UU.  10 maggio  1984,  n. 2853  e 19 dicembre 1988,
n. 6908;  Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 7 ottobre 1985, n. 120, nonche'
-  per il principio del carattere generale e non assimilabile dei due
ambiti di giurisdizione - Corte cost., 18 maggio 1989, n. 251).
    Il  piu'  recente  e  ampio passaggio alla cognizione del giudice
ordinario  del  rapporto di impiego presso pubbliche amministrazioni,
integralmente  privatizzato  ex  d.lgs.  n. 29/1993  - con successiva
definizione  dei  tempi  e  dei  modi  del  passaggio  stesso, con la
scansione  temporale  di  cui  al decreto legislativo n. 80/1998 - e'
stato  ritenuto non contrastante con l'art. 97 della Costituzione, in
base  alle  note  sentenze  della  Corte  costituzionale  n. 313  del
25 luglio  1996  e  n. 309  del  16 ottobre  1997.  Dette sentenze si
riferiscono  sotto diversi profili alla legge delega 23 ottobre 1992,
n. 421 e al d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e recepiscono il principio
della  privatizzazione del rapporto di pubblico impiego come corretto
esercizio  della  discrezionalita'  del  legislatore,  a  seguito  di
bilanciamento tra i valori di imparzialita' e di efficienza, entrambi
riconducibili all'art. 97 della Costituzione; si sottolinea, inoltre,
la  migliore  adattabilita' del regime privatistico alle finalita' di
decentramento,   snellimento   e   semplificazione  di  procedure  ed
apparati, espresse dalla piu' recente legislazione.
    Quanto  sopra,  con  richiamo tuttavia sia alla riserva di legge,
relativa  a  profili  ordinamentali sottratti alla contrattazione, in
quanto maggiormente  inerenti  al  momento  organizzativo,  sia  alla
ragionevolezza  della dicotomia, in origine prevista in rapporto alla
sola  dirigenza generale, cui "competono le funzioni di attribuzione,
sostituzione,  controllo  ed  impulso, maggiormente  raccordabili con
l'attivita' politica di definizione degli obiettivi".
    I  principi sopra enunciati, dunque, non consentono di superare i
dubbi  di costituzionalita' in materia di incarichi dirigenziali, che
-  in  quanto assegnati a termine a personale gia' iscritto nei ruoli
dirigenziali,  ovvero  esterno  all'Amministrazione ma in possesso di
determinati  requisiti,  ai  sensi  e  per  gli effetti del ricordato
art. 19  d.lgs.  n. 29/1993  -  non  richiedono  prove  di  selezione
concorsuale  propriamente  dette,  ne'  escludono  scelte  ampiamente
discrezionali purche' non arbitrarie.
    Detti incarichi implicano, senza dubbio, valutazioni di carattere
autorganizzatorio,  normalmente  effettuate  dagli  organi di governo
dell'ente,  ed  a fronte delle quali non possono porsi che situazioni
soggettive  di  interesse  legittimo, in ordine al corretto esercizio
della potesta' amministrativa per finalita' di pubblico interesse. E'
necessario  dunque  distinguere fra obblighi scaturenti dal contratto
di lavoro dirigeniziale e procedimento pubblicistico di nomina (Cass.
SS.UU.  10 marzo  1999,  n. 114;  Corte  dei  conti,  sez. controllo,
20 maggio  1999,  n. 39):  il  secondo conduce sicuramente ad un atto
unilaterale,   che   precede  la  regolamentazione  contrattuale  del
rapporto,  e  la  cui  disciplina  puo'  essere ricondotta ai criteri
generali  di organizzazione degli uffici, di cui all'art. 2, comma 1,
d.lgs.  n. 29/1993,  espressamente riferito a principia pubblicistici
quali   la   garanzia  di  imparzialita'  e  trasparenza  dell'azione
amministrativa  (principia,  che  come gia' ricordato restano - senza
alcun  conflitto  - al di fiori della ratio della privatizzazione del
rapporto di lavoro).
    Ad  un diverso "piano organizzativo", infatti, vanno ascritti gli
atti  di  gestione del rapporto di lavoro, questi si' privatizzati in
nome  dei  principia di economicita' ed efficienza che si sono voluti
introdurre nel settore, e che l'art. 4 del medesimo d.lgs. n. 29/1993
chiaramente  distingue  dagli atti organizzativi pubblicistici di cui
all'art. 2:  fra  gli  atti  di gestione in senso stretto rientrano i
contenuti  del  contratto  stipulato  con  il  dirigente,  ovvero  le
prestazioni   pattuite,   gli  obiettivi  da  conseguire,  la  durata
dell'incarico ed il corrispondente trattamento economico.
    L'assegnazione   dell'incarico  dirigenziale,  invece,  non  puo'
essere  oggetto di cognizione diretta, se non configurando in capo al
giudice  ordinario una giurisdizione esclusiva piena, che investa gli
atti di auto-organizzazione della pubblica amministrazione, con ampia
possibilita'  di  cognizione  degli  eventuali  vizi di legittimita',
immediatamente   produttivi  di  lesione  degli  interessi  legittimi
correlati  (interessi  che  possono  ravvisarsi  in capo ad aspiranti
all'incarico,  che  si considerino illegittimamente esclusi, ma anche
ad   altri   soggetti,  cui  si  riconosca  una  posizione  giuridica
differenziata in ordine al buon funzionamento dell'ente).
    Ove pero' - come la Costituzione in astratto non inibisce, e come
la  lettera del dettato legislativo in esame sembra suggerire - debba
ritenersi  che  l'art. 68 del d.lgs. n. 29/1993, come successivamente
integrato,  operi  nel  senso  sopra  descritto,  assegnando  al g.o.
cognizione  esclusiva  sul  provvedimento di nomina e sui correlativi
criteri  discrezionali  di  scelta  (anziche'  solo sulla successiva,
autonoma fase di disciplina negoziale del rapporto) la medesima norma
non  puo'  non  suscitare  dubbi  di costituzionalita' per eccesso di
delega,  in  quanto  la legge 15 marzo 1997, n. 59 (art. 11, comma 4,
lett.  g)  affida al Governo la devoluzione al predetto giudice delle
"controversie  relative  ai  rapporti  di lavoro dei dipendenti delle
pubbliche  amministrazioni,  ancorche' concernenti in via incidentale
atti  amministrativi  presupposti,  ai  fini  della disapplicazione":
l'ottica   del   legislatore,   dunque,  si  muove  nel  solco  della
tradizionale  ripartizione  di  competenze  fra,  giudice ordinario e
giudice amministrativo, ed inibisce l'annullamento ad opera del primo
di   atti   che   non   solo  costuiscano  esercizio  della  potesta'
autorganizzatoria  dell'ente pubblico, ma che in alcuni casi appaiano
espressione  dei  poteri  di  alta  amministrazione  degli  Organi di
Governo  dell'ente  stesso.  Sembra  appena  il caso di sottolineare,
d'altra  parte,  come  non  sia concepibile - in rapporto ai delicati
interessi  pubblici  di  cui  trattasi  -  una tutela solo indiretta,
ovvero  da effettuarsi in via incidentale (non e' dato comprendere in
occasione  di  quale tipo di impugnativa). Piu' ragionevole appare la
tesi,  che  restringe la delega ai profili organizzatori, conseguenti
allo  specifico rapporto di lavoro in atto del dirigente: esattamente
di  rapporto di lavoro parla infatti la legge, senza riferimento alla
scelta discrezionale, prodromica all'assegnazione dell'incarico.
    Ulteriori  profili  di  incostituzionalita' possono configurarsi,
per  la  disciplina in esame, in rapporto agli articoli 97, 103 e 113
della  Costituzione,  in  quanto  dal contesto di dette norme debbono
evincersi  i  parametri  di  ragionevolezza,  preposti  al riparto di
giurisdizione  fra  quelli che sono - in via generale e salvo deroghe
legislative  -  "Giudici  dei  diritti"  e  "Giudici  degli interessi
legittimi",  questi  ultimi identificabili nel plesso giurisdizionale
Tribunale amministrativo regionale - Consiglio di Stato.
    In  linea  di  principio, puo' certamente assumersi come punto di
partenza la storica specializzazione del plesso da ultimo indicato in
ordine  agli  atti  amministrativi  e  -  tenuto  conto  della  nuova
dimensione  dei  pubblici  poteri  -  in  ordine  al "buon andamento"
dell'apparato,  cui e' affidata la cura degli interessi pubblici e la
potesta'  di  azione  autoritativa.  Quanto  sopra,  con  particolare
riguardo  alla  cognizione  dei vizi funzionali dell'atto, oggetto di
approfondito  riscontro  solo  attraverso la ricca elaborazione della
giurisdizione  amministrativa  in  materia  di eccesso di potere (sui
limiti  della  valutazione  del  giudice ordinario, ritenuta piena in
materia  di violazione di legge, ma limitata sul piano finalistico al
controllo  sull'esistenza  del  potere,  escluso  qualsiasi sindacato
sulle   scelte  discrezionali  dell'Amministrazione  anche  sotto  il
profilo  del  travisamento  dei  fatti  cfr., viceversa, Cass. SS.UU.
3 novembre  1982,  n. 5751  e  Cass.  Civ. sez. lavoro 17 marzo 1982,
n. 1740).  La citata nozione di "buon andamento", d'altra pane, trova
oggi  precisi  parametri  legislativi  di  riscontro,  parametri  che
delimitano   il   "giusto   procedimento   amministrativo"  ex  legge
n. 241/1990,   di   modo   che   i  criteri  riferiti  ad  una  nuova
managerialita'  di stampo privatistico possono venire in evidenza, ma
solo dopo la corretta assegnazione - secondo criteri pubblicistici di
autorganizzazione - dell'incarico dirigenziale.
    Come   sottolineato   dalla   Suprema   Corte,  infatti,  per  la
regolamentazione   del   rapporto   di   impiego   presso   pubbliche
amministrazioni   si   considerano   ormai   prevalenti   i   criteri
privatistici,  dedotti dalla contrattualizzazione del rapporto e piu'
idonei ad unificare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato,
per  la  cui definizione i criteri di efficienza possono considerarsi
prevalenti rispetto a quelli di imparzialita'.
    A  conclusioni opposte si giunge, invece, per l'instaurazione del
rapporto  stesso,  a  seguito  di  procedimento  concorsuale,  la cui
cognizione   e'  rimessa  al  giudice  amministrativo,  evidentemente
perche'   ritenuta   inerente   ancora   al  momento  organizzatorio,
nell'ambito   del   quale  imparzialita'  e  trasparenza  dell'azione
amministrativa  -  prodromica  ai  successivi parametri di efficienza
privatistica  -  appaiono le migliori garanzie per il soddisfacimento
dell'interesse pubblico sotteso.
    Tali     garanzie,    d'altra    parte,    dovrebbero    attenere
all'assegnazione   degli   incarichi  dirigenziali  piu'  ancora  che
all'espletamento   dei   pubblici   concorsi,   tenuto   conto  della
delicatezza  delle  scelte discrezionali "di fondo" e della selezione
comparativa  da  effettuare,  per l'individuazione del dirigente piu'
capace  e  non  semplicemente  piu'  gradito  all'organo  di  governo
dell'ente.
    Senza applicazione dei piu' raffinati strumenti interpretativi in
ordine all'eccesso di potere, d'altra parte, ben difficilmente potra'
essere  espletato  il necessario controllo giurisdizionale, affinche'
gli  incarichi  dirigenziali  concorrano  a costruire - nello spirito
della riforma della pubblica amministrazione, di cui al citato d.lgs.
n. 29/1993  -  un  sistema  in  cui  spetti  agli  organi  di governo
dell'Ente  la  definizione  degli  obiettivi  e  dei  programmi ed ai
dirigenti  -  individuati  secondo regole di buona amministrazione, e
non  su base meramente fiduciaria - l'adozione degli atti di concreta
gestione  della  cosa pubblica, secondo gli auspicati criteri di pura
efficienza  di  stampo  manageriale  (con  esiti  che - al di la' del
controllo  di  legittimita' su singoli atti - possono rientrare nella
disciplina   del   rapporto  contrattualizzato,  rimesso  al  giudice
ordinario;  cfr.  in  tal  senso  Tribunale  amministrativo regionale
Lazio, Roma, sez. 1, ord.za n. 6060 del 19 luglio 2000).
    Il  collegio  ritiene,  in  conclusione,  che  non sia conforme a
principia  di  ragionevolezza e coerenza legislativa la dicotomia tra
pubblico  concorso  per  esami,  rimesso  per  qualsiasi qualifica al
giudice  amministrativo, e incarico dirigenziale, assegnabile su base
comparativa  in  base  a  regole  di  selezione  non legislativamente
formalizzate,  ma  proprio  per  tale  ragione da definire in base ai
corretti  parametri  di  esercizio  della  discrezionalita', da tempo
codificati   dalla   giurisprudenza   amministrativa:  quanto  sopra,
nell'ambito di quel momento autorganizzatorio dell'ente pubblico, che
resta   come   procedimento   selettivo  al  di  fuori  del  rapporto
contrattualizzato  e  delle  ragioni,  implicanti  la devoluzione del
medesimo al giudice ordinario.
    Sotto  i  profili  indicati  il  Collegio stesso ritiene di dover
attendere  -  per  la  soluzione  della  controversia  in  esame - il
giudizio  della  Suprema  Corte,  cui  vengono  rimesse  le descritte
questioni  di  costituzionalita', in ordine all'art. 68, comma 1, del
decreto  legislativo  3 febbraio  1993,  n. 29,  nel testo modificato
dall'art. 18  del  decreto  legislativo  29 ottobre 1998, n. 387, con
riferimento agli articoli 76, 77, 97, 103 e 113 della Costituzione.