IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Il giudice per le indagini preliminari, dott. Fabrizio Gandini: Ritenuto in fatto Con ordinanza di questo giudice per le indagini preliminari in data 8 luglio 2000 veniva sostituita la misura cautelare della custodia in carcere a carico di Ben El Hadj Taoufik ben Hedi, imputato del delitto previsto dall'art. 73 comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 con la misura degli arresti domiciliari, da scontarsi presso la dimora in Cesena. Con annotazione di servizio del N.O.R.M. dei Carabinieri di Cesena, in data 19 marzo 2001, si comunicava a questo ufficio ed alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Aosta che: "Ben El Hadj Taoufik Ben Hedi si trovava (alle ore 14.20 dello stesso 19 marzo 2001, n.d.r.) all'altezza della banchina stradale, ben oltre la recinzione dell'abitazione in cui deve scontare gli arresti domiciliari". Il pubblico ministero, in relazione alla predetta annotazione, ha chiesto l'applicazione dell'art. 276comma 1-ter c.p.p., disponendo - di conseguenza - la revoca della misura degli arresti domiciliari e la suasostituzione con la custodia cautelare in carcere. Considerato in diritto Questo G.I.P. ritiene di sollevare, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale della disposizione dell'art. 276 comma 1-ter c.p.p. per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede l'automatica sostituzione della misura degli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere - in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte ex art. 284 c.p.p. - senza alcuna possibilita' da parte dell'autorita' giudicante di tenere conto della entita', dei motivi e delle circostanze della violazione. Preliminarmente deve ritenersi che anche l'incidente di esecuzione sulla misura cautelare in atto, seppur del tutto episodico ed eventuale, costituisca giudizio ai sensi dell'art. 23 legge n. 87/1953, atteso che il mimimun richiesto per la sussistenza di un giudizio e' costituito dalla circostanza che, nella fattispecie, sia posta in discussione la concreta tutela di un diritto soggettivo, quali che siano le forme del procedimento instaurato (in questo senso, Corte Costituzionale Sentenza n. 212/1997). In particolare, la competenza di questo g.i.p. si radica ai sensi dell'art. 91 disp. att. c.p.p., essendo stato proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta della parti all'udienza preliminare del 15 dicembre 2000. La questione e' rilevante, non potendo provvedersi sull'istanza formulata dal pubblico ministero indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale della norma citata. Secondo il costante orientamento della Corte costituzionale: "la pregiudizialita' della questione medesima, conditio sine qua non ai fini del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, si concreta solo allorche' il dubbio investa una norma dalla cui applicazione, ai fini della definizione del giudizio innanzi a lui pendente, il giudice a quo dimostri di non poter prescindere" (per tutte, Corte Costituzionale Sentenza n. 190/1984). Nel caso di specie, invero, l'art. 276 comma 1-ter c.p.p. e' l'unica norma giuridica che disciplina la fattispecie concreta oggetto del presente giudizio. Per espressa disposizione legislativa: "In deroga a quanto previsto nel comma 1, in caso di trasgressione alle prescrizioni (...)", all'organo giudicante non e' lasciata alcuna possibilita' di valutare l'entita' ed i motivi della violazione. Nel caso di accertamento di una violazione alle prescrizioni imposte con la misura degli arresti domiciliari: "il giudice dispone la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere". La norma e' formulata in modo univoco, nel senso che all'accertamento della violazione deve seguire - in ogni caso - la sostituzione della misura con la custodia cautelare in carcere. Tanto premesso, l'art. 276 comma 1-ter c.p.p., nella parte in cui prevede la obbligatoria ed automatica sostituzione della misura degli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere, in caso di trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, senza alcuna possibilita' di valutare l'entita', i motivi e le circostanze della trasgressione, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Non vi e' dubbio che la norma dell'art. 276 comma 1-ter c.p.p., cosi' come formulata, sia del tutto conforme alla disposizione dell'art. 13 comma 2 della Costituzione, essendo specificamente descritta la fattispecie astratta che determina la restrizione della liberta' personale della persona (gia) sottoposta alla misura degli arresti domiciliari. Ne' puo' venire in considerazione il disposto dell'art. 27 della Costituzione, essendo inapplicabile alla misure cautelari coercitive per costante giurisprudenza della Corte costituzionale. Tuttavia, appare evidente il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per violazione del principio di eguaglianza ed irragionevole esercizio della discrezionalita' del legislatore. Due sono le posizioni oggetto della comparazione, e dunque della irragionevole discriminazione: colui che e' sottoposto ad un misura cautelare personale, sia essa coercitiva od interdittiva e colui che e' sottoposto alla misura cautelare personale degli arresti domiciliari. Nel primo caso, la trasgressione alle prescrizioni imposte dal giudice viene da questi valutata, tenuto conto dell'entita' dei motivi e delle circostanze della violazione; nel secondo caso, non vi e' nessuna violazione, ma la automatica sostituzione con la misura della custodia cautelare. La discriminazione tra le due situazioni di fatto appare ragionevole ed arbitraria, dettando una diversa disciplina per situazioni sostanzialmente omogenee. La Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 450/1995, ritenne costituzionalmente legittima la discriminazione stabilita - proprio nella materia cautelare - dall'art. 273 comma 3 c.p.p, per i reati gravitanti intorno all'art. 416-bis c.p.. Occorre pero' rilevare che tale discriminazione venne ritenuta non irragionevole in considerazione dell'elevato e specifico coefficiente di pericolosita' per la convivenza e la sicurezza collettiva inerente a tali reati. Nel caso che ci occupa non puo' ritenersi che la misura cautelare degli arresti domiciliari venga sempre applicata in relazione a reati caratterizzati dell'elevato e specifico coefficiente di pericolosita' per la convivenza e la sicurezza collettiva. Infatti, l'art. 280 c.p.p. - quanto alle condizioni di applicabilita' - dispone che tutte le misure coercitive possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo ad anni tre (comma 1). Non viene compiuta alcuna distinzione tra la misura degli arresti domiciliari e le altre misure coercitive. La differenza tra tali misure non e' nella gravita' dei reati che ne costituiscono il presupposto, ma nella quantita' di liberta' personale che viene in concreto sacrificata. Viceversa, l'art. 280 c.p.p. introduce una distinzione, quanto alla gravita' dei reati, tra la custodia cautelare in carcere e tutte le altre misure cautelari coercitive (art. 280 comma 2 c.p.p. ). In breve: la discriminazione appare ragionevole solo in considerazione di una specifica e diversa gravita' dei reati presupposto (cfr. Sentenza n. 450/1995 della Corte costituzionale); l'art. 280 c.p.p. equipara, quanto alla gravita' dei reati, la misura degli arresti domiciliari con le altre misure coercitve. Ergo: l'art. 3 della Costituzione appare violato anche secondo un ulteriore profilo. Nel caso previsto dall'art. 276 comma 1-ter c.p.p. il giudice viene privato del potere/dovere di adeguare la misura cautelare alle esigenze cautelari da soddisfarsi nel caso concreto (art. 275 comma 1 c.p.p. ) e - soprattutto - di garantire la proporzione tra la misura cautelare applicata e la gravita' del fatto. L'automatismo previsto dalla norma censurata consente di poter affermare che, nella sostanza, la misura della custodia cautelare applicata in sostituzione agli arresti domiciliari altro non costituisce che una mera sanzione alla disobbedienza posta in essere dal prevenuto. L'ulteriore sacrificio della liberta' personale cosi' imposto puo', tenuto conto delle circostanze, non essere in alcun modo giustificato, rispetto alla soddisfazione delle esigenze cautelari ricorrenti ed alla proporzione con il reato per il quale si procede. Correttamente l'art. 276 comma 1 c.p.p. affida la giudice la valutazione relativa alla sostituzione od al cumulo con una misura cautelare piu' grave, "tenuta conto dell'entita', dei motivi e delle circostanze della violazione.". Viceversa, nei casi previsti dall'art. 276 comma 1-ter, tale valutazione e' stata compiuta una volta e per sempre dal legislatore. Per tutti questi motivi deve essere ordinata la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per la decisione della questione di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio, con tutti, i provvedimenti imposti dall'art. 23 legge n. 87/53.