ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 51 del codice
di  procedura  civile,  promosso con Ordinanza emessa l'8 luglio 1999
dal  tribunale  di  Vigevano  sull'istanza di ricusazione proposta da
Caserta  Franco, iscritta al numero 489 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 26 aprile 2001 il giudice
relatore Annibale Marini.
    Ritenuto   che   il  tribunale  di  Vigevano,  nel  corso  di  un
procedimento di ricusazione, con Ordinanza emessa l'8 luglio 1999, ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  24 della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 51 del codice di
procedura  civile,  "nella  parte  in  cui non prevede che il giudice
delegato  delfallimento,  il  quale  abbia  autorizzato il curatore a
promuovere contro gli amministratori della societa' fallita azione di
responsabilita'  ai  sensi  dell'art. 146, secondo comma, della legge
fallimentare  e  abbia nel contempo autorizzato, o comunque disposto,
in  vista  di detta causa, il sequestro dei beni degli amministratori
medesimi ai sensi del terzo comma dell'articolo ora in ultimo citato,
debba  poi  obbligatoriamente  astenersi  dal  giudicare  nella causa
medesima";
        che,   ad   avviso   del  rimettente,  il  giudice  delegato,
autorizzando  il  curatore  a  promuovere l'azione di responsabilita'
contro  gli  amministratori  della societa' fallita e disponendo, nel
contempo, il sequestro conservativo dei beni di costoro, esprimerebbe
necessariamente una valutazione "contenutistica", sia pure allo stato
degli  atti,  sulla  illiceita'  e dannosita' del comportamento degli
amministratori  medesimi,  idonea  a condizionarlo, per la cosiddetta
"forza  della  prevenzione", nel successivo giudizio sulla fondatezza
dell'azione medesima;
        che  pertanto  la norma denunciata - non contemplando il caso
in questione tra le ipotesi di astensione obbligatoria e, percio', di
ricusazione  del  giudice - si porrebbe in contrasto con il principio
del "giusto processo", sancito dagli artt. 3 e 24 della Costituzione,
in  base  al  quale  il giudice, sia civile che penale, deve non solo
essere, ma anche apparire, imparziale;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  concludendo  per  l'inammissibilita'  o  l'infondatezza della
questione;
        che,  in  una  memoria illustrativa depositata nell'imminenza
della  camera di consiglio, l'Avvocatura osserva che la stessa Corte,
in  precedenti  pronunce  relative  ad ipotesi parzialmente analoghe,
avrebbe  posto  in luce come il processo fallimentare sia ispirato al
principio   della   concentrazione  presso  i  suoi  organi  di  ogni
controversia  che ne deriva, con conseguenti inevitabili collegamenti
ed  interferenze  processuali,  non  rilevabili tuttavia agli effetti
della  legittimazione  del  giudice, stante la prevalente esigenza di
portare   davanti   allo   stesso  organo  giurisdizionale  tutto  il
procedimento e di ridurlo ad unita';
        che  in  ogni  caso l'autorizzazione al curatore a promuovere
l'azione  di responsabilita' nei confronti degli amministratori della
societa'  fallita  non  sarebbe  un  provvedimento giurisdizionale di
carattere  decisorio  e  non  presupporrebbe valutazioni di merito in
ordine  alla responsabilita' degli amministratori, cosicche' esso non
potrebbe   rientrare   nella  categoria  degli  atti  aventi  effetti
pregiudicanti per l'imparzialita' del giudice;
        che  ad  analoghe  conclusioni  dovrebbe pervenirsi anche per
quanto  riguarda  i  provvedimenti  cautelari che il giudice delegato
puo'  adottare  d'ufficio,  ex  art. 146  della  legge  fallimentare,
allorche'   autorizza   il   curatore   a   promuovere   l'azione  di
responsabilita'  contro  gli  amministratori  della societa' fallita,
trattandosi di provvedimenti fondati su valutazioni sommarie, che ben
possono   essere   superate   nel   giudizio   di  merito,  all'esito
dell'istruttoria.
    Considerato  che,  secondo  la  costante giurisprudenza di questa
Corte,  condizione necessaria per l'incompatibilita' endoprocessuale,
nell'ambito  del  giudizio  civile, e' la preesistenza di valutazioni
ricadenti  sulla  medesima  res  iudicanda (sentenze n. 387 del 1999,
n. 341 del 1998 e n. 326 del 1997, ordinanza n. 304 del 1998);
        che siffatta condizione con evidenza non ricorre nel caso del
giudice  delegato  il  quale  faccia  parte  del  collegio chiamato a
decidere   sull'azione   di   responsabilita'   nei  confronti  degli
amministratori,    da    lui    stesso    autorizzata,   atteso   che
l'autorizzazione  all'esercizio dell'azione di responsabilita' non e'
un  provvedimento  giurisdizionale  di carattere decisorio e pertanto
non comporta alcuna valutazione ricadente sulla res iudicanda;
        che,  per  quanto  riguarda  poi la concessione, da parte del
medesimo  giudice  delegato,  su  istanza del curatore, del sequestro
conservativo  dei  beni  degli  amministratori,  questa Corte ha gia'
affermato   che   non  vi  e'  identita'  di  res  iudicanda  -  ne',
conseguentemente,  duplicazione di giudizi - ove diverso sia l'ambito
della  cognizione,  come  e'  appunto nel caso del giudizio cautelare
rispetto  a  quello  di  merito (sentenze n. 326 del 1997 e n. 94 del
1975, ordinanze nn. 359, 315 e 193 del 1998);
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.