IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel procedimento civile
iscritto al n. 185 del R.V.G. dell'anno 1999, vertente tra:
        Palitti Massimo (avv. C. De Marco) opponente;
        Istituto  Italiano  Credito  Fondiario;  Mati  S.r.l.;  Banca
Popolare di Aprilia, opposti, contumaci.
    Il  tribunale,  sciogliendo  la  riserva  assunta all'udienza del
13 dicembre 2000; letti gli atti;

                          Ritenuto in fatto

    Che  nel  corso  della procedura esecutiva immobiliare n. 94/1992
introdotta dinanzi a questo tribunale dall'Istituto Fondiario Credito
Italiano  nei  confronti di MA.TI. S.r.l. il giudice dell'esecuzione,
con  ordinanza del 15 maggio 1998, conferiva al geom. Massimo Palitti
un  complesso  incarico,  inteso, tra l'altro, alla descrizione degli
immobili  pignorati,  al  relativo  estimo,  alla presentazione della
denuncia  di  accatastamento  e/o alla variazione catastale, ed altro
funzionale all'emissione dell'ordinanza di vendita;
        che  eseguito l'incarico, con istanza presentata il 24 aprile
1999  il  Palitti  presentava  al  G.E.  istanza  di liquidazione del
compenso,   comprensiva,  tra  l'altro,  tra  le  spese  (chieste  in
complessive L. 6.784.000), di quelle per i rilievi topografici, per i
quali   egli   aveva   chiesto   ed  ottenuto  il  22  dicembre  1998
l'autorizzazione ad avvalersi di un topografo quale suo ausiliario, e
per  le  quali  il topografo aveva emesso a suo carico fattura per L.
6.120.000;
        che  con  decreto  del 17-18 maggio 1999 il G.E. liquidava il
compenso, riconoscendo per spese la sola somma di L. 2.500.000, senza
motivazione specifica sul punto;
        che  con ricorso ex art. 11 legge n. 319/1980 presentato il 2
luglio  1999 il Palitti impugnava qui detto provvedimento, dolendosi,
tra  l'altro,  del mancato riconoscimento delle spese per prestazione
topografica, che assumeva effettivamente affrontate;

                         Ritenuto in diritto

    Che a mente dell'art. 7, terzo comma della legge n. 319/1980 ove,
come  nel caso di specie, il consulente tecnico sia stato autorizzato
dal giudice ad avvalersi dell'ausilio di altri prestatori d'opera per
attivita'  strumentale  rispetto ai quesiti posti con l'incarico, "la
relativa   spesa  e'  determinata  gradatamente,  secondo  i  criteri
stabiliti  nella  presente legge alla stregua delle tariffe vigenti o
degli usi locali";
        che   tale   disposizione,   cosi'   come   scritta,   appare
manifestamente affetta da contraddittorieta' intrinseca;
        che  invero  l'espressione  "gradatamente" evoca univocamente
l'idea  di  un ordine subordinato (gradato) tra i criteri di cui alla
legge  319/1980  (ed ai decreti che la integrano tra cui, vigente, il
d.P.R.  n. 352/1988)  ed  i criteri tariffari professionali vigenti e
gli  usi;  e  cioe' che tali ultimi criteri si applichino se non sono
applicabili  quelli  previsti dalla legge che regola i compensi degli
ausiliari  di  giustizia;  mentre l'espressione "alla stregua" lega i
criteri  legali  in tema di compensi agli ausiliari di giustizia agli
altri   criteri   richiamati   secondo   un  criterio  (peraltro  non
specificato)  di comparazione e confronto, e quindi di considerazione
simultanea,  che  col  primo  e'  incompatibile  sul mero piano della
logica formale;
        che negli scarsi contributi dottrinali e giurisprudenziali in
materia  si  e'  proposto  di  "salvare" la disposizione mediante una
lettura     abrogativa    dell'espressione    "alla    stregua"    ed
ermeneuticamente additiva, in sua sostituzione, dell'"o" disgiuntivo;
operazione   alla   stregua  della  quale  la  disposizione  andrebbe
interpretata  nel senso che troverebbero applicazione le disposizioni
di   cui   alla   legge  n. 319/1980  (ed  oggi,  di  cui  al  d.P.R.
n. 352/1988);  mentre  le  "tariffe vigenti" (che si intendono quelle
professionali)  e,  in  subordine, gli usi, troverebbero applicazione
solo  in  via  residuale  (unico  precedente  edito  trib.  Catania 4
febbraio 1989, in Foro Italiano 90, I, 2752);
        che  la  legittimita'  ermeneutica  di  tale  lettura  appare
avvalorata  dai  lavori  preparatori  della  legge, ed in particolare
dalla relazione del Ministro proponente, che affermo' che il compenso
si voleva determinato sulla base delle tabelle previste dalla legge e
"solo  in  difetto di tale possibilita'" si ammetteva il ricorso alle
tariffe  vigenti ed agli usi locali (Atti parlamentari, verb. n. 665,
p.4);
        che  peraltro,  l'eventualita'  che  le  tariffe  giudiziarie
possano  non  trovare  applicazione in materia non appare sussistere,
considerato che l'art. 4 della legge n. 319/1980 gia' prevede che per
le  prestazioni  non  previste  nelle  tabelle  (e neppure analoghe a
quelle  previste  nelle  tabelle:  art. 3) il compenso e' determinato
secondo  il  criterio  delle  vacazioni,  e cioe' a seconda del tempo
impiegato. E poiche' non si vede come possa darsi prestazione d'opera
che  non  possa  essere  valutata, data la misura della vacazione, in
ragione del tempo impiegato per il suo espletamento, non si vede come
e  quando le tariffe non giudiziarie e gli usi, pur previsti, seppure
in   ipotesi  in  subordine,  quale  criteri  di  determinazione  del
compenso, possano mai trovare applicazione;
    Ritenuto   che  l'elemento  di  contraddittorieta'  rilevato  non
sarebbe sanato neppure se si ritenesse che con l'espressione "tariffe
vigenti" il legislatore abbia inteso, invece, aver riguardo, proprio,
alla  tariffe  giudiziarie  (tesi  da respingere perche' tali tariffe
sono  previste,  seppure in astratto, dalla stessa legge n. 319/1980;
nonche'  alla  luce  col  raffronto col previgente art. 6 della legge
n. 1456/1956)   giacche',   anche  in  tal  caso,  non  sarebbe  dato
comprendere quando potrebbero trovare applicazione gli usi locali;
    Ritenuto,  pertanto, che tali opzioni ermeneutiche non valgano ad
attribuire  alla  disposizione  un  senso compiuto e razionale; e che
cio'  debba  indurre  a  far ritenere non manifestamente infondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 7, terzo comma,
della  legge  n. 319/1980,  per contrasto col principio di intrinseca
ragionevolezza  come  riconosciuto  dalla  Corte  costituzionale come
avulso  da  Cost. 3 e non richiedente "tertium comparationis", specie
in caso di irrazionalita' (o iniquita) manifesta e irrefutabile;
    Ritenuto,  in  subordine,  che  anche a ritenere che l'intrinseca
razionalita'   della  disposizione  possa  (e  quindi  debba)  essere
salvaguardata   mediante   la   faticosa  opzione  ermeneutica  sopra
richiamata,    ed    (in   aggiunta)   il   riconoscimento   fattuale
dell'impossibilita'    giuridica    del   criterio   subordinato   di
commisurazione   del  compenso  pur  formulato  dal  legislatore,  la
disposizione  in  esame presenti dubbi di legittimita' costituzionale
sotto  il profilo della ragionevolezza e del principio costituzionale
di uguaglianza (Cost. 3);
    Rilevato,  invero,  cio'  che  e'  pacifico  in  dottrina  ed  in
giurisprudenza, e condiviso dal collegio e cioe' che, nell'ipotesi di
cui al terzo comma dell'art. 7 cit., a differenza di quella di cui al
relativo  quarto comma, l'ausiliario del consulente non e' ausiliario
del  giudice,  che  non  gli  conferisce  alcun  incarico,  ma  mezzo
utilizzato    dal    consulente   incaricato   per   lo   svolgimento
dell'incarico,  tanto  che,  proprio  per  questo, nessun compenso e'
direttamente  liquidato  all'ausiliario  del  consulente,  ma  e'  il
consulente  che,  autorizzato  dal  giudice, ne affronta la spesa per
proprio  conto  ed  a  proprio  nome,  obbligandosi personalmente nei
confronti  di  quello,  per  poi  chiedere  di essere ristorato della
relativa spesa in sede di liquidazione del suo proprio compenso;
    Ritenuto   assumibile   al   notorio   (e  peraltro  riconosciuto
tipicamente  dallo  stesso  art.  2  della  legge n. 319/1980) che le
tariffe  giudiziarie  sono  volutamente  meno  remunerative di quelle
professionali, a scopo di contenimento dei relativi oneri (tanto che,
appunto, l'art. 2 della legge prevede che esse siano, bensi', redatte
"con  riferimento" alle tariffe professionali, ma "contemperate dalla
natura pubblicistica dell'incarico");
    Ritenuto  per  notano  che  la  discrasia  si  e' accentuata e va
accentuandosi,  stante  il mancato adeguamento ex art. 10 della legge
n. 319/1980,  per  ormai quasi tredici anni, delle tariffe giudiziali
da  ultimo  determinate nel luglio 1988 (solo le vacazioni sano state
di recente aggiornate);
    Ritenuto  che la differenza appare evidente nella fattispecie, se
si considera che il topografo ha chiesto al Palitti oltre sei milioni
di  lire  emettendo  fattura;  e che l'art. 12 del d.P.R. n. 352/1988
prevede   per  i  rilievi  topografici  un  compenso  massimo  di  L.
1.190.000;
        che  alla  stregua  della sopracitata opzione ermeneutica, al
Palitti  potrebbe  riconoscersi  al  massimo,  ex  art. 5 della legge
n. 319/1980 (i cui presupposti non emergono, peraltro, nella specie),
per  la  collaborazione  del  topografo,  un  rimborso  spese  di  L.
2.380.000,  a  nulla  rilevando  che  egli,  con l'autorizzazione del
giudice   (che   ha   dunque   riconosciuto  la  necessarieta'  della
prestazione  del  terzo,  per  postulare, l'esecuzione dell'incarico,
un'opera  strumentale richiedente una professionalita' specifica, non
rientrante  in  quella del consulente nominato), si sia personalmente
obbligato nei confronti del proprio ausiliario per una somma piu' che
doppia;   senza   peraltro  potergli  opporre  l'art. 7  della  legge
n. 319/1980,  che regola il suo diritto al rimborso di spese a carico
della  massa  pignorata,  nell'ambito  di  una prestazione ausiliaria
pubblicistica,  e  non  il diritto del suo ausiliario al compenso per
l'opera  prestata,  che  inerisce  a  rapporto di prestazione d'opera
professionale  tra  privati, che e' regolato dai patti o, in difetto,
dalla tariffa professionale dell'ausiliario (artt. 2225 e 2233 c.c.);
ed  a  nulla  rilevando  anche  il  caso  che  la somma richiesta dal
topografo  sia  del tutto congrua, alla stregua dei valori di mercato
per essa conferenti, o comunque la somma congrua sia anche ampiamente
superiore  a quella rimborsabile, cio' che, per quanto premesso, deve
ritenersi non solo possibile, ma anche del tutto normale e tutt'altro
che accidentale nel contesto normativo;
        che  sotto  tale  profilo,  in  via generale, la disposizione
censurata,  come  interpretata,  appare violare il canone generale di
intrinseca  ragionevolezza,  in  quanto, contraddittoriamente, da una
parte,  considera il compenso spettante all'ausiliario del consulente
come una spesa del consulente, estraniandolo dall'ambito di rilevanza
pubblicistica;  e dall'altra ne consente il rimborso nei limiti delle
tariffe giudiziarie, che con la spesa del consulente non hanno alcuna
attinenza,  perche'  non s'applicano all'ausiliario nei suoi rapporti
interni   col  consulente,  che  hanno  natura  privatistica,  e  non
costituiscono   neppure   un   parametro  di  conguita'  della  spesa
affrontata,  che  dipende  dai  valori  di  mercato delle prestazioni
(mentre  le  tariffe  giudiziarie  scontano,  per  legge,  la  natura
pubblicistica dell'incarico);
    Ritenuto  che  l'intrinseca  irragionevolezza  della disposizione
traspare dalla stessa lettura della medesima, giacche' una spesa, che
e' un fatto, puo' essere accertata o valutata nella sua congruita', e
non gia' "determinata" alla stregua di un parametro normativo ad essa
estraneo,  cio'  che implica l'esercizio di un potere di liquidazione
del  compenso  dell'ausiliario  (che  non  esiste)  piuttosto  che di
riconoscimento della spesa del consulente;
        che  sotto  tal  profilo  la  disposizione  censurata appare,
altresi',  violare  il  principio  generale  di  uguaglianza,  di cui
all'art. 3  della  Costituzione, assumendo a tertium comparationis le
fattispecie  disciplinate dai primi due commi dell'art. 7 legge cit.,
non  ravvedendosi  alcun  ragionevole  motivo  per  il quale potrebbe
giustificarsi  la  regola  per  cui  chi,  per  l'espletamento  di un
incarico giudiziario, affronti delle spese non consistenti nell'opera
personale  di  terzi,  ha  diritto a vedersele interamente rifondere,
purche'  sostenute  e  necessarie  (nell'an  e  nel  quantum, e cioe'
congrue); mentre chi, invece, affronti spese identicamente necessarie
(nell'an  e  nel  quantum  determinabile  alla  stregua  dei compensi
richiesti  nel  libero mercato e previsti dalle tariffe professionali
vigenti)  dovrebbe  in  parte  accollarsele,  sol perche' il compenso
supera  la  tariffa giudiziaria non opponibile al terzo prestatore, e
chiaramente e dichiaratamente fiori mercato;
    Ritenuto,  in  altri  e  sintetici  termini, che, se non puo' che
apparire  incensurabile  sul  piano  costituzionale che il consulente
chiamato  a  svolgere  un  incarico  pubblicistico  sia remunerato in
maniera  deteriore,  non puo' non sollevare dubbi di ragionevolezza e
di  ingiustificata  disparita'  di trattamento all'interno stesso dei
rapporti  d'opera  professionale  pubblicistici, la pretesa normativa
che  il  consulente  che,  a  cio'  obbligato  (art. 63  c.p.c.)  sia
investito di un incarico che richieda la collaborazione specialistica
strumentale  di  un  terzo,  debba anche subire un danno patrimoniale
pari alla differenza, legislativamente riconosciuta dall'art. 2 della
legge  n. 319,  tra  il  costo  effettivo e, comunque, obiettivamente
necessario  per  acquisire la collaborazione in un contesto di libero
mercato   (che   grava   direttamente  sul  suo  patrimonio),  ed  il
corrispettivo  della  collaborazione  quale determinato dalle tariffe
giudiziali  (che  segna il limite del rimborso); cio' che implica che
il  consulente ci deve rimettere di tasca propria; opzione che appare
affetta  da iniquita' manifesta ed irrefutabile (Cort. cost. 46/1993)
e  determinare  una  condizione di diseguaglianza rispetto alla quale
pare potersi annoverare la condizione dell'intero mondo del lavoro in
senso ampio;
    Ritenuto   che  la  razionalita'  e  l'equita'  di  una  siffatta
disciplina  non  possano  essere difese sulla base di ragioni di equo
contenimento   delle  spese  giudiziali  (peraltro  destinate,  nella
materia  civile,  a  gravare esclusivamente su privati, che finiscono
col  lucrare ingiustificatamente, ai danni del consulente, il maggior
valore  dell'opera  del  terzo  senza  benefici per il bilancio dello
Stato),  non  potendosi  ritenere  ragionevole  ne' non iniquo che il
legislatore,  che  ben avrebbe potuto, come ha fatto per l'ipotesi di
cui  al  quarto  comma, prevedere che il giudice debba nominare anche
l'ausiliario  del  consulente,  e  liquidarne  il  compenso  (come da
tariffa  giudiziale)  possa  pretendere,  da  un lato, di imporre una
prestazione  obiettivamente  richiedente la prestazione ausiliaria di
un  terzo,  e  dall'altro  gravare  personalmente  il  consulente dei
maggiori costi conseguenti;
    Ritenuto,  per  quanto  precede, che la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 7,  terzo comma, della legge n. 319/1980 e'
non manifestamente infondata;
    Ritenuto che essa e' altresi rilevante nel procedimento, giacche'
il  tribunale  e'  chiamato  a  dare  applicazione  alla disposizione
censurata,  dovendo  determinare la spesa rimborsabile al Palitti per
l'opera prestata dal suo ausiliario;