IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso in appello
n.r.g. 2055/1998,  proposto  dal Ministero della difesa, Stabilimento
chimico farmaceutico di Firenze, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
    Contro la Bracco S.p.a., in persona del legale rappresentante pro
tempore,  non  costituita  in  giudizio;  nonche'  la  Abbot  Servizi
Diagnostici S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
non  costituita  in  giudizio;  per l'annullamento della sentenza del
Tribunale  amministrativo  regionale  Toscana  (sezione I) 7 novembre
1997, n. 498;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti tutti del giudizio;
    Relatore, all'udienza del 7 dicembre 1999, il Consigliere Ermanno
de Francisco;
    Udito, per la parte costituita, l'avvocato dello Stato Volpe;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

                              F a t t o

    Viene  in  decisione  l'appello  avverso  la sentenza indicata in
epigrafe,  che  ha  accolto  il  ricorso proposto dalla S.p.a. Bracco
contro   il   provvedimento  di  aggiudicazione  alla  Abbot  Servizi
Diagnostici  S.p.a.  -  in  base  a  licitazione  privata indetta dal
Ministero  della difesa, Stabilimento chimico farmaceutico di Firenze
- della fornitura di cinque sistemi analitici di chimica clinica, per
la  determinazione  di  droghe  d'abuso  nelle  urine,  completi  del
necessario  materiale  di  consumo e dei relativi kit di reattivi per
complessivi n. 300.000 test.
    Nel  corso  del  giudizio  di  primo  grado  - come risulta dalla
narrativa   in   fatto   dell'appellata   sentenza   -  il  Tribunale
amministrativo regionale, con sentenza interlocutoria 21 luglio 1995,
n. 405,  aveva  disposto incombenti istruttori intesi, da un lato, ad
acquisire  la documentazione tecnica prodotta dalle ditte contendenti
in   occasione  della  loro  partecipazione  alla  gara  de  qua;  e,
dall'altro,  a  ottenere  una  precisa  e  dettagliata  informativa -
supportata  da appropriate verifiche strumentali - atta a dirimere le
perplessita'  ravvisate  su  alcuni punti controversi della questione
dedotta in lite.
    Mentre   la   prima  parte  della  richiesta  istruttoria  veniva
puntualmente  eseguita dall'onerata Amministrazione della difesa, che
trasmetteva la documentazione relativa alle offerte tecniche prodotte
sia  dalla  ricorrente  Bracco sia dalla controinteressata Abbott, al
contrario  il  profilo  piu'  squisitamente  tecnico-scientifico  del
predetto  ordine  istruttorio  rimaneva  privo di concreto riscontro.
Infatti,  il  Consiglio nazionale delle ricerche - Area della ricerca
di   Firenze,  cui  era  stato  affidato  l'incarico,  si  dichiarava
sprovvisto   delle   specifiche   competenze   tecniche  al  riguardo
necessarie.
    Detto  Istituto  indicava,  peraltro,  nel  prof. Francesco Mari,
dell'Istituto  di medicina legale dell'Ateneo fiorentino, l'autorita'
scientifica  in  grado di rispondere adeguatamente ai diversi quesiti
formulati con la menzionata sentenza.
    Il    Tribunale   amministrativo   regionale   -   sulla   scorta
dell'indicazione  ricevuta  dal  C.N.R.  -  dava, quindi, incarico al
predetto  prof. Mari,  con  l'ulteriore  sentenza  interlocutoria del
25 ottobre  1995, n. 477, "di effettuare un'articolata verificazione,
volta  ad  accertare,  in  punto  di fatto e sulla base di risultanze
oggettive,  la  rispondenza  delle  proposte  apparecchiature (con le
rispettive    metodologie)   alle   condizioni   stabilite   per   la
partecipazione alla gara".
    Il  cattedratico  dava  corso  all'incarico ricevuto, depositando
nella  segreteria  del  tribunale  l'elaborato  tecnico  dallo stesso
redatto.
    Come  si  apprende,  poi,  dall'esposizione  in  "diritto"  della
medesima  sentenza  qui  appellata,  la verificazione, affidata dalla
sentenza  istruttoria della sezione al prof. Francesco Mari, titolare
della  Cattedra di tossicologia forense presso l'Istituto di medicina
legale e delle assicurazioni dell'Universita' degli studi di Firenze,
ha   evidenziato  che  le  due  tecniche  immuno-tossicologiche  EMIT
(Bracco)  e FPIA (Abbott) sono perfettamente sovrapponibili, sotto il
profilo  dell'applicabilita'  nel  campo  della  ricerca delle droghe
d'abuso nelle urine.
    Peraltro,  fermo  restando  che gli anzidetti metodi analitici si
equivalgono  completamente  in  relazione  alle finalita' perseguite,
risulta  sostanzialmente  piu'  idoneo  e,  quindi,  preferibile, per
motivi  di  praticita', versatilita' economia di tempo e reattivi, il
sistema  strumentale  (ELAN)  offerto  dalla ditta Bracco, siccome in
grado di per se' di eseguire 200 test/ora per l'accertamento urinario
delle  droghe  d'abuso,  nonche'  in  grado di eseguire anche analisi
chimico-cliniche.
    Per  contro,  l'apparecchiatura  tecnica  proposta dalla Societa'
Abbott  e  costituita  da  tre elementi HTDT (nell'opzione avanzata),
collegati  con  un  autoanalizzatore  di  chimica  clinica  CCX,  con
funzioni di coordinamento, ma inidoneo ad eseguire i test FPIA per la
ricerca  delle  droghe  d'abuso  nelle urine, puo' solo teoricamente,
operando  con  sistemi di deposizione in "mode 1" o "mode 12" o "mode
5"  e  con  l'impiego  contemporaneo  di  tutti e tre gli apparecchi,
pervenire  alla  determinazione  del  dosaggio semiquantitativo delle
droghe  da  abuso nelle urine, con cadenza analitica non inferiore ai
200 test/ora.
    La  possibilita' soltanto teorica di eseguire almeno 200 test/ora
nasce  dal  fatto  che,  anche  se  l'uso  di  particolari  programmi
particolari  velocizza  i  tempi  di  lettura  delle  analisi con una
riduzione  (per  ogni  caricatore  di  20 campioni)  da  venti minuti
rispettivamente a 17, 15, 13 minuti, devonsi pur sempre considerare i
tempi   necessari   per  l'allestimento  e  posizionamento  dei  vari
caricatori  che  nella  fattispecie  devono essere necessariamente in
numero di 10.
    In  sostanza, mentre l'associazione di tre apparecchi HTDT con un
apparecchio  CCX  appare  come una forzatura resa necessaria solo dal
presupposto  di  dover rientrare necessariamente in un novero di test
200/ora quando gli apparecchi medesimi sono progettati in realta' per
un  numero  inferiore  di  analisi,  l'apparecchiatura della Societa'
Bracco  si  rivela di piu' pratico uso e rispondente ad una effettiva
esecuzione  (e non solo teorica) di 200 test/ora, in quanto e' dotata
di  una  attrezzatura  che consente di ridurre il tempo di carica dei
campioni   ed   e',   inoltre,   in   grado   di   eseguire   analisi
chimico-cliniche.
    Sulla  base  di  tali  risultanze  dell'esame  tecnico svolto dal
prof. Mari,  il  Tribunale  amministrativo regionale Toscana giungeva
quindi  a concludere che, "cio' posto, appare, in ogni caso, evidente
che  il sistema offerto dalla Societa' Abbott non giustifica la netta
preferenza  che,  con il giudizio di "eccellente , a tale concorrente
e'  stata  accordata,  sotto  il  profilo  del  controllo di qualita'
(punti 5),  a  fronte  della  valutazione  di  "buono  , accompagnata
dall'attribuzione  di  soli  due  punti, formulata con riferimento al
sistema proposto dalla ricorrente".
    Pertanto,  oltre  che con riguardo al settimo motivo aggiunto, in
cui  si  censura l'insufficienza dell'offerta Abbott sotto il profilo
della  sua  incapacita'  a  rispettare  lo  standard  minimo  dei 200
test/ora, prescritto inderogabilmente dalla lex specialis della gara,
il  Tribunale  amministrativo  regionale  Toscana  affermava  che "il
ricorso  si  rivela  fondato  e,  quindi, meritevole di accoglimento,
anche  nell'ottica del terzo motivo aggiunto, con il quale si lamenta
l'irragionevole  trasformazione, nell'offerta Abbott, di un obiettivo
svantaggio,   qual'e'  quello  rappresentato  da  una  pluralita'  di
apparecchi  gestibili  da  un'unita'  centrale,  in  una  ragione  di
superiorita',  tant'e' che alla controinteressata e' stato attribuito
un  punteggio maggiore, di ben tre punti, rispetto a quello assegnato
alla ricorrente".
    In  conclusione,  il  Tribunale amministrativo regionale Toscana,
sul  ricorso  della  fondatezza  dei  menzionati motivi del ricorso -
oltre che delle due ulteriori censure contenute nel IV e nel V motivo
aggiunto  -  accoglieva il ricorso della Bracco S.p.a. e, respinto il
ricorso  incidentale  della  Abbott, annullava l'aggiudicazione della
fornitura,  compensando  tra  le parti le spese del giudizio, "tenuto
conto della particolare complessita' della materia trattata". Poneva,
tuttavia,   a   carico  della  societa'  soccombente  "le  competenze
spettanti  al  prof. Francesco  Mari,  per la verificazione da questi
effettuata in ottemperanza alla sentenza interlocutoria n. 477/1995".
    Avverso  tale  sentenza  ha interposto appello il Ministero della
difesa. Non si sono costituite in questo grado le due parti private.

                            D i r i t t o

    1. - L'appello  formula  una  sola  censura  avverso  la sentenza
gravata.
    "Tale  decisione  - secondo l'appellante Ministero della difesa -
e' abnorme perche' il Tribunale amministrativo regionale ha deciso la
causa  sulla  base  delle risultanze di una vera e propria consulenza
tecnica  d'ufficio,  che  come  e'  noto  non e' ammessa nel processo
amministrativo  in  sede  di  giurisdizione  generale di legittimita'
(art. 44  t.u.  n. 1054/1924, art. 27 [rectius: 26] R.D. n. 642/1907,
art. 19 legge n. 1034/1971)".
    Sostiene l'anzidetta Amministrazione "che la consulenza richiesta
al   professor   Mari   non   rientra   tra   i  "chiarimenti"  e  le
"verificazioni"  di  cui all'articolo 44 del T.U. citato, sia perche'
questi ultimi devono essere richiesti all'amministrazione e non ad un
privato   cittadino,   sia   perche'  gli  stessi  hanno  ad  oggetto
l'accertamento di fatti e non valutazioni tecniche di merito.
    E'  pacifico che le verificazioni consistono in meri accertamenti
disposti  al  fine di completare la conoscenza di fatti che non siano
desumibili   dalle   risultanze   documentali   laddove,  invece,  la
consulenza  tecnica si sostanzia non tanto in un accertamento, quanto
in una valutazione tecnica di determinate situazioni da utilizzare ai
fini della decisione della controversia.
    Nella  fattispecie non e' un caso che la presunta "verificazione"
commissionata   al  prof. Mari  abbia  dato  luogo  ad  un  documento
intitolato  "Relazione  di  consulenza tecnica" in cui si fa espresso
riferimento   all'incarico   "di  consulenza  tecnica"  affidato  dal
Tribunale amministrativo regionale
    D'altra   parte   basta   leggere   la   sentenza  interlocutoria
n. 477/1995  per  rendersi conto che l'incarico e' stato affidato non
gia' ad un organo dell'Amministrazione, bensi' direttamente "al prof.
Francesco  Mari,  dell'Istituto  di  medicina legale dell'Universita'
degli studi di Firenze.
    Tant'e'  che  nella  sentenza  impugnata  e'  stato  liquidato al
suddetto professionista l'onorario della c.d. "verificazione".
    2.  -  Ritiene  la  sezione  che  l'esame di tale unico motivo di
appello    implichi    necessariamente   una   riconsiderazione   del
tradizionale  divieto  di  consulenza  tecnica d'ufficio nel processo
amministrativo di legittimita'.
    Deve  in  primo  luogo  valutarsi se, effettivamente, l'attivita'
istruttoria  svolta  in  primo  grado  abbia trasceso i limiti di una
"verificazione".
    Ritiene  la  sezione  che  si imponga, in proposito, una risposta
positiva.
    Sebbene,  infatti,  il Tribunale amministrativo regionale Toscana
abbia  tentato,  in  ossequio  alla  tradizione,  di qualificare come
"verificazione"  l'accertamento  istruttorio  disposto  nel corso del
primo  grado  del  presente giudizio, non sembra esatto sostenere che
effettivamente   l'incombente  svolto  sia  rimasto  entro  i  limiti
connaturati al tradizionale mezzo istruttorio della verificazione.
      E'  evidente  che  il  Tribunale amministrativo regionale abbia
inizialmente  inteso  mantenersi entro l'ambito dei poteri istruttori
del  giudice  amministrativo,  risultanti dai citati artt. 26 r.d. 17
agosto  1907,  n. 642,  44  t.u.  26  giugno 1924, n. 1054 e 19 legge
6 dicembre  1971, n. 1034; tanto cio' e' vero, che ebbe ad incaricare
dell'indagine  istruttoria,  con la prima sentenza interlocutoria, il
Consiglio nazionale delle ricerche.
    E'  noto  che  ormai  la  giurisprudenza del tutto prevalente non
considera  piu'  necessario  che  la verificazione venga svolta dalla
stessa  amministrazione  che adotto' il provvedimento impugnato, come
era  invece  nella  logica e nell'intenzione storica del legislatore,
sia di quello del 1907, sia di quello del 1924.
    In  casi  sempre piu' frequenti, ormai, l'incarico viene affidato
ad  un'Amministrazione  terza;  ma pur sempre rimanendo nei limiti di
un'esegesi   della   vigente   normativa  che,  sebbene  estensiva  o
evolutiva,  si  muove  nell'ambito dello strumentario di cui la legge
dota il giudice amministrativo.
    Sembra  potersi affermare, infatti, che il limite oggi intrinseco
alla    verificazione    non    attenga    all'identificazione    tra
l'amministrazione che adotto' il provvedimento impugnato e quella cui
e' commesso l'incombente istruttorio, bensi' alla qualifica dell'Ente
verificatore quale pubblica amministrazione in senso soggettivo ed al
conseguente  obbligo  di  espletamento  dell'incarico  da  parte  del
soggetto  incaricato  per  effetto  dei  suoi  doveri  derivanti  dal
rapporto  di  servizio  (cfr. in proposito C.d.S., V, 23 maggio 1984,
n. 396, secondo cui "al potere, attribuito al giudice amministrativo,
di  richiedere  la verificazione a cura dell'Amministrazione pubblica
ex  art. 26  del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, corrisponde il
dovere  della  stessa  di disporla e, pertanto, il tecnico dipendente
che  la  esegue  espleta  attivita' di istituto, per la quale possono
competere le indennita' per lavoro straordinario e - se del caso - di
missione, ma non gli onorari professionali").
    Al  contrario, nei casi in cui faccia, invece, difetto ogni nesso
di   causalita'  tra  la  qualifica  di  pubblico  dipendente  ed  il
conferimento  dell'incarico,  si verifica questa duplice conseguenza:
da  un  lato,  si  ha  l'impossibilita'  di  fondare nel rapporto cli
servizio  l'obbligo del soggetto incaricato di ottemperare all'ordine
istruttorio  del  giudice  amministrativo; e, dall'altro lato, sorge,
per  il  medesimo  incaricato, il diritto al compenso per l'attivita'
svolta  (appunto  in quanto quest'ultima esula dalle funzioni tipiche
del   dipendente   pubblico,   nonche'   dal   correlato   sinallagma
retributivo).
    In  tali casi sembra esatto ritenere che l'incombente istruttorio
si   collochi   oltre   l'ambito   della  verificazione,  per  quanto
estensivamente  ed evolutivamente essa venga intesa, e debba, invece,
qualificarsi  perizia,  accertamento  tecnico  o  consulenza  tecnica
d'ufficio.
    Questa, effettivamente, e' la situazione verificatasi nel caso di
specie.
    Va,   invero,   considerato   che   -   come  esattamente  rileva
l'appellante  -  l'incarico  non  e'  stato  affidato  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  ad  un Istituto universitario (sicuramente
incardinato  nella  pubblica  amministrazione), ma direttamente ad un
docente  (che  gia'  come  tale  gode,  invece,  di  una  qualificata
autonomia  scientifica  e  didattica)  e per giunta neppure in quanto
tale,  bensi',  uti  singulus,  in  quanto scienziato particolarmente
esperto dello specifico settore.
    Il  Tribunale amministrativo regionale ha dapprima tentato - come
si  e'  visto  -  di  rivolgersi  ad  un  soggetto amministrativo (il
C.N.R.);   ma,  constatatane  l'inidoneita'  allo  svolgimento  degli
accertamenti   richiesti,   si   e'   dovuto  rivolgere  a  terzi,  e
segnatamente  ad  un luminare del settore (che, solo accidentalmente,
era anche un pubblico dipendente, in quanto docente di un'universita'
statale;  ma  che  ben  avrebbe  potuto  essere uno scienziato libero
professionista, cosi' come un dipendente di una struttura privata).
    L'esigenza  di rivolgersi a esperti estranei all'amministrazione,
invero,  puo'  diventare  ineludibile  quando  siano  particolarmente
complesse, sul piano tecnico, le indagini necessarie all'accertamento
dei  fatti.  In  tali  casi,  si reputa che il giudice amministrativo
debba  poter derogare, ricorrendone la necessita' (al pari di quanto,
in   analoga  ipotesi,  dispongono  il  secondo  ed  il  terzo  comma
dell'art. 22  delle  disp.  di  att.  al  cod. proc. civ), al normale
criterio  di  affidamento  dell'incarico  ad  "uno  o piu' funzionari
tecnici  dello Stato", di cui all'art. 31 del regio decreto 17 agosto
1907, n. 642.
    Alla  stregua  dei  rilievi  svolti  e  delle conclusioni sin qui
raggiunte,  emerge  con  evidenza  la rilevanza, ai fini del decidere
sull'unico  motivo  di appello proposto a questo Consiglio cli Stato,
della  questione  giuridica  sottesa  all'appello: se, cioe', in casi
come   quello   in  esame,  sia  effettivamente  vietato  al  giudice
amministrativo  avvalersi,  per l'accesso al fatto, di mezzi di prova
(o  di valutazione di essa) ulteriori rispetto alla verificazione, ed
in  particolare,  per  quanto  qui  interessa  e  rileva, di perizie,
accertamenti tecnici o consulenze tecniche d'ufficio.
    Ove  effettivamente  sussista  tale  divieto,  infatti, l'appello
proposto   dall'Amministrazione  dovrebbe  essere  accolto;  in  caso
contrario,   invece,   l'unico  motivo  di  gravame  dovrebbe  essere
disatteso.
    3.  -  La  questione  di costituzionalita' degli artt. 19 legge 6
dicembre  1971,  n. 1034, 44 regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e
26  regio  decreto  17  agosto  1907,  n. 642, nelle parti in cui non
consentono al giudice amministrativo, nella giurisdizione generale di
legittimita'  (nonche'  nei residui ambiti di giurisdizione esclusiva
non  incisi dalla sentenza della Corte costituzionale 23 aprile 1987,
n. 146,  ne'  disciplinati  dall'art. 35  del  decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 80), di avvalersi, per l'accesso al fatto, di perizie,
accertamenti  tecnici  o consulenze tecniche d'ufficio, per contrasto
con  gli  artt. 3,  24, primo e secondo comma, e 113, primo e secondo
comma,  della  Costituzione - che questa sezione ritiene di sollevare
d'ufficio  -  risulta, dunque, rilevante alla stregua di quanto si e'
sopra osservato, nonche' non manifestamente infondata, in forza delle
considerazioni che si svolgeranno in seguito.
    La  questione,  peraltro,  non  e'  risolta  ne' dall'art. 27 del
citato  R.D.  n. 642 del 1907, ne' dal II comma dell'art. 44 del R.D.
1054  del  1924, in quanto tali norme sono riferite esclusivamente ai
casi  di  giurisdizione  estesa  al merito, dai quali esula quello in
esame.
    Neppure essa trova soluzione nell'art. 35 del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 80. Infatti, il suo terzo comma, a tenore del quale
"il  giudice  amministrativo,  nelle  controversie di cui al comma 1,
puo'  disporre l'assunzione dei mezzi di prova previsti dal codice di
procedura civile, nonche' della consulenza tecnica d'ufficio, esclusi
l'interrogatorio  formale  e il giuramento", e' riferito, appunto, ai
soli  casi di "controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva
ai  sensi  degli  articoli.  33  e  34",  da  cui  esula,  dunque, la
giurisdizione  generale  di legittimita', cui va ascritta la presente
controversia.
    4. - Si pone, in primo luogo, il problema dell'ammissibilita' del
sindacato  della  Corte costituzionale sull'art. 26 del regio decreto
17  agosto  1907,  n. 642;  in  ordine  al  quale, per vero, risposte
discordanti  sono  state  fornite  in  diverse occasioni dalla stessa
Corte costituzionale.
    Chiesta,  con  sentenza  18  maggio  1989, n. 251, ha ritenuto di
dover  dichiarare  l'inammissibilita' della questione di legittimita'
costituzionale  riguardante detto articolo "in quanto il sindacato di
disposizioni contenute in atti privi di forza di legge esorbita dalla
competenza della Corte costituzionale, al cui giudizio possono essere
sottoposti  solo  gli  atti aventi forza di legge. Come e' stato gia'
affermato da questa Corte (sentenza n. 118 del 1968) il regio decreto
17 agosto 1907, n. 642, e' privo di tale forza, essendo stato emanato
sulla  base dell'articolo 16, primo comma, legge 7 marzo 1907, n. 62,
che  conferiva  all'autorita'  governativa  il potere di stabilire le
modificazioni  da  apportarsi,  fra  l'altro, al "regolamento" per la
procedura  davanti  alle  sezioni  giurisdizionali  del  Consiglio di
Stato.  Essendo  stata quindi la stessa legge a qualificare, sia pure
indirettamente,  la  natura  dell'atto normativo da emanarsi da parte
del  governo, e poiche' nulla contraddice nella specie alla qualifica
regolamentare  risultante  dal  testo della legge che ha conferito al
governo la relativa potesta', non puo' revocarsi in dubbio che si sia
in  presenza  di  norme  di  carattere  regolamentare  come  tali non
sottoponibili al sindacato del giudice delle leggi".
    Va  tuttavia  osservato,  in senso contrario, che la stessa Corte
costituzionale, in altra precedente occasione, con la citata sentenza
23 aprile 1987, n. 146, non rilevando tale impedimento, ha dichiarato
l'illegittimita'   costituzionale  del  medesimo  art. 26  del  regio
decreto  17  agosto  1907,  n. 642,  nella  parte  in cui non ammette
l'esperibilita'  dei  mezzi di prova previsti nel processo civile del
lavoro,  nei  giudizi  amministrativi  relativi  al  contenzioso  sul
pubblico   impiego   riservati   alla   giurisdizione  amministrativa
esclusiva.  E  cosi', sostanzialmente, ha aderito proprio a proposito
della  disposizione  sui mezzi di prova racchiuse nell'art. 26 - alla
opposta  tesi  della  natura  primaria della normazione contenuta nel
citato regio decreto n. 642 del 1907.
    Inoltre,  ancora  con  la recentissima ordinanza 21 ottobre 1998,
n. 359,   la   Corte   costituzionale   ha  dichiarato  la  manifesta
infondatezza  (e  non  gia'  l'inammissibilita)  di  una questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 47 dello stesso regio decreto
17   agosto  1907,  n. 642.  E'  palese  che  il  contenuto  di  tale
declaratoria  postula,  implicitamente  quanto  ineluttabilmente,  il
riconoscimento   della  natura  primaria  della  norma  sottoposta  a
verifica  di  costituzionalita',  poiche',  altrimenti,  la questione
sarebbe stata inammissibile, prima ancora che infondata.
    Ne'  puo'  negarsi rilievo alla circostanza che la prima sentenza
(28 novembre 1968, n. 118) con cui la Corte costituzionale ritenne la
natura  regolamentare,  anziche' di normazione primaria delegata, del
regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 - sentenza poi richiamata, quale
unico argomento motivazionale, dalla citata pronuncia 18 maggio 1989,
n. 251   -   e'  stata  oggetto  di  puntuale  critica  da  parte  di
autorevolissima dottrina.
    Nello  stesso  senso  di  quest'ultima,  si  erano  in precedenza
pronunciate  concordemente,  del  resto,  le prevalenti dottrina e la
giurisprudenza  amministrative  (C.d.S.,  IV, 22 gennaio 1891, n. 14;
IV,  2  aprile  1909,  n. 109;  A.G. 4 giugno 1924, n. 83), le quali,
fondandosi   sui  principi  ricevuti  all'epoca  dell'emanazione  del
regolamento   circa   la   distinzione   fra  esercizio  di  potesta'
legislativa   delegata   ed   esercizio  di  potesta'  regolamentare,
qualificavano   il  regolamento  di  procedura  come  atto  normativo
delegato con contenuto ed efficacia legislativi.
    Peraltro,  nello stesso senso si e' a piu' riprese pronunciata la
Corte costituzionale in riferimento al regolamento di procedura della
Corte  dei conti, approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038
(cfr.,  ex  plurimus,  le  sentenze 12 aprile 1973, n. 41, 15 gennaio
1976,  n. 8,  e  28  luglio 1976, n. 201), parimenti emanato in forza
della  previsione  contenuta  nell'art. 32 della legge 3 aprile 1933,
n. 255 (ora art. 97 testo unico approvato con regio decreto 12 luglio
1934,  n. 1214),  a tenore della quale "con decreti reali a relazione
del Capo del Governo, primo ministro segretario di Stato, su proposta
della  Corte  dei conti, sono stabilite ... le forme del procedimento
nei  giudizi  della  Corte".  Non e', quindi, agevole comprendere per
quali  effettive  ragioni di ordine giuridico analoga natura primaria
non  debba  riconoscersi  al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, di
cui qui trattasi.
    In  presenza dell'evidenziato contrasto non soltanto tra dottrina
e  giurisprudenza amministrative, da un lato, e Corte costituzionale,
dall'altro,   ma  anche  tra  diverse  pronunce  della  stessa  Corte
costituzionale rese a proposito del medesimo art. 26 del citato regio
decreto n. 642/1907, sembra opportuno includere anche la norma teste'
citata  tra  quelle  che  vengono, con la presente ordinanza, rimesse
all'esame del giudice delle leggi.
    La soluzione opposta - che implicherebbe un sindacato diffuso del
giudice  amministrativo, mediante lo strumento della disapplicazione,
sulla  legittimita' anche costituzionale del regolamento di procedura
che  dovrebbe guidare l'azione processuale di quello stesso giudice -
non  sembra,  infatti,  la  piu'  ragionevole.  Percio' essa non puo'
essere  seguita,  almeno fino a quando non vi sara' stato, sul punto,
un    pronunciamento    definitivamente    dirimente    della   Corte
costituzionale  sulla natura, primaria o secondaria, della normazione
processuale amministrativa in discorso.
    Si  consideri  anche,  in  proposito,  quanto  sarebbe  incongruo
ritenere   affidata   gran   parte   della   normazione   processuale
amministrativa  ad  una fonte secondaria, sostanzialmente inidonea ad
incidere  sulle situazioni giuridiche soggettive e sui corrispondenti
poteri  processuali  delle  parti  in causa e, percio', continuamente
esposta  al  rischio della disapplicazione (in favore della normativa
processuale  comune,  di  cui  al  vigente  codice  di  rito). Il che
ingenererebbe,  da  un  lato,  incertezza  giuridica  e,  dall'altro,
frustrazione   dei   significativi   elementi   di  specificita'  che
caratterizzano, tuttora, il processo amministrativo.
    5.  -  In  secondo  luogo  - e venendo cosi' a trattare della non
manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalita'
- sembra opportuno trattare del rapporto tra giudice amministrativo e
fatti  di  causa,  anche in riferimento ai giudizi tecnici a valle (o
talora   a   monte)   dei   quali   si  innesta  la  vera  e  propria
discrezionalita' amministrativa.
    Vi  e'  accordo,  in  dottrina, nel ritenere ancor oggi valida la
definizione  dell'attivita'  amministrativa  come  cura  concreta del
pubblico  interesse;  dal  che  si  fa  derivare  che  il  fondamento
dell'organizzazione   della  pubblica  amministrazione  debba  essere
coerente  e  funzionale  al  raggiungimento  di  tale  fine, altresi'
desumendone  che  sia  compito  essenziale del giudice amministrativo
quello  di  verificare  -  e,  quindi,  di  poterlo  fare  con  tutta
l'incisivita'  compatibile  col  momento  storico di riferimento - il
corretto  uso  del potere discrezionale (vincolato, cioe', nei propri
scopi) da parte della pubblica amministrazione.
    Dal   rilievo   che   il   giudizio   di  legittimita'  sull'atto
amministrativo,  cioe'  il  c.d.  giudizio  di  annullamento, si vada
trasformando  in  giudizio  di  piena  giurisdizione  (atto, cioe', a
tutelare  diritti  ed  interessi  in  relazione alla situazione fatta
valere),  la  piu'  recente dottrina trae spunto per affermare che il
giudice  amministrativo,  per  poter  assolvere le sue funzioni, deve
conoscere  al  meglio  la fattispecie; vale a dire, in altri termini,
che  deve  conoscere  fino  in  fondo  il  fatto  alla  base del caso
sottoposto al suo esame.
    Tale conoscenza assume ormai, anche in questo tipo di giudizi, un
ruolo centrale assai maggiore di quello avuto in precedenza.
    Innanzitutto,  il  giudice  deve,  essere  munito  di  tutti  gli
strumenti  idonei  ad  una  piena  verifica  del  fatto: che sono, in
generale,  gli  strumenti  probatori  disciplinati,  con  la forza di
un'antica  tradizione, dal codice di procedura civile; e tra essi, in
particolare,  la  consulenza  tecnica  o,  se si preferiscono diverse
dizioni, l'accertamento tecnico o la perizia.
    La  prevalente  dottrina  non  dubita  che  il potere di indagine
attribuito  al  giudice  amministrativo  per  consentirgli  il  pieno
accesso  al  fatto costituisca un aspetto, certamente non secondario,
dell'effettivita'  della  tutela  giurisdizionale, ai sensi e per gli
effetti   di   cui   all'art. 24,   primo   e  secondo  comma,  della
Costituzione.  In  proposito,  come  peraltro  si  e'  gia'  poc'anzi
accennato,  si  sostiene  da piu' parti in dottrina - forse anche per
effetto   di   stimolanti   suggestioni   comparatistiche  -  che  il
riconoscere l'oggetto della cognizione del giudice amministrativo nel
rapporto   giuridico   dedotto   in   giudizio   (anziche'  nell'atto
impugnato),   postuli  necessariamente  un  piu'  ampio  ed  adeguato
strumentario istruttorio, nel cui ambito non possa prescindersi dalla
consulenza   tecnica  come  mezzo  di  conoscenza  e  di  valutazione
tecnico-scientifica  della realta' fenomenica su cui vada ad incidere
l'esercizio del potere di amministrazione attiva.
    Ne'  e  un  caso  che ipotesi di parziale riforma della giustizia
amministrativa  in  corso  di esame da parte del Parlamento prevedano
modifiche   normative   atte   ad  estendere  anche  al  giudizio  di
legittimita'  (il  principale ambito cui essa rimane, ad oggi, ancora
estranea)  la  possibilita' del giudice amministrativo di disporre la
consulenza  tecnica d'ufficio quale ulteriore mezzo di prova o - piu'
esattamente  ed  in  aderenza  alla  sua  configurazione ad opera del
vigente codice di procedura civile - di valutazione della stessa.
    Sotto  altro profilo, giova ricordare l'improprieta' - piu' volte
rimarcata  dalla  dottrina  a  fronte degli abusi della pratica - del
concetto    che    viene    usualmente    compendiato   nel   termine
"discrezionalita' tecnica" chiesto, in realta', dovrebbe esprimere un
accertamento  tecnico  dei fatti avente carattere oggettivo (e dunque
privo  di  profili  discrezionali),  a  valle  del  quale si innesta,
invece,   tutta   la   pienezza   valutativa   insita   nelle  scelte
amministrative propriamente discrezionali.
    Sulla  base  dello  stesso  ordine  di ragioni, larga parte della
dottrina  attuale  considera  spuria,  o  impropria, anche la nozione
della  c.d.  "discrezionalita' mista": invero, in tutti i casi in cui
il  giudizio  tecnico preceda, segua o si innesti in un apprezzamento
di  interessi,  i  due  momenti  devono  restare,  almeno  a  livello
concettuale, nettamente distinti tra loro.
    Da  cio'  la  conclusione,  diffusa  in dottrina, che il giudizio
tecnico  dell'amministrazione  pubblica deve poter formare oggetto di
sindacato giurisdizionale.
    La  stessa  giurisprudenza  ha  fatto  propria  tale conclusione,
giungendo,     recentissimamente,     "ad     una    riconsiderazione
dell'argomento";  si  e'  cosi'  chiarito  da  parte del Consiglio di
Stato,  IV,  9  aprile 1999, n. 601) che "la discrezionalita' tecnica
...  e'  altra  cosa  dal  merito amministrativo. Essa ricorre quando
l'amministrazione,  per  provvedere  su  un determinato oggetto, deve
applicare  una  norma  tecnica  cui  una  norma  giuridica conferisce
rilevanza  diretta o indiretta". E' noto, del resto, che, secondo una
tesi  suggestiva,  la  regola  tecnica  dovrebbe  sempre considerarsi
recepita  nella  fattispecie  normativa,  in quanto l'amministrazione
sarebbe  vincolata  ad agire razionalmente, cioe' secondo i canoni di
una  societa'  tecnologicamente  avanzata,  in  forza  del  principio
ricavabile  da  un'esegesi evolutiva dell'art. 97, primo comma, della
Costituzione.
    Ne',  comunque,  possono  ipotizzarsi  profili  di "sconfinamento
nella  sfera  del merito" da parte del giudice amministrativo che (in
qualsiasi  modo  e  con  qualunque mezzo) "indaghi sui presupposti di
fatto del provvedimento impugnato", come pacificamente riconoscono le
sezioni unite, della Corte di cassazione adite - ex artt. 111, ultimo
comma,  Costituzione e 36 legge n. 1034/1971 - per motivi inerenti la
giurisdizione  (cosi' Cass. 5 agosto 1994, n. 7261; cfr. anche, nello
stesso  senso, cass. 14 marzo 1984, n. 1736, e cass. 2 febbraio 1977,
n. 456).
    "Anzi,  il  potere  di  accertare  i  presupposti  di  fatto  del
provvedimento  impugnato  viene  considerato  come lo specifico della
giurisdizione    amministrativa   di   legittimita'"   (C.d.S.,   IV,
n. 601/1999, citata).
    "Del  resto,  e'  ragionevole  l'esistenza  di  una  "riserva  di
amministrazione"   in   ordine  al  merito  amministrativo,  elemento
specializzante  della  funzione  amministrativa;  non anche in ordine
all'apprezzamento   dei   presupposti   di  fatto  del  provvedimento
amministrativo,  elemento attinente ai requisiti di legittimita' e di
cui   e'  ragionevole,  invece,  la  sindacabilita'  giurisdizionale"
(n. 601/1999, citata).
    Si  puo' affermare, in sostanza, che, anche quando il legislatore
non riproduce nella norma giuridica quella tecnica, quest'ultima sia,
comunque,  oggetto  di  controllo  giurisdizionale.  Nel  primo caso,
ovviamente,  si tratta di un controllo piu' diretto ed automatico, in
quanto    la    violazione    della    norma    tecnica    da   parte
dell'amministrazione  riverbera  di per se' in violazione della legge
che  ne  ha recepito il contenuto; nel secondo caso, il controllo del
giudice  passa  (comunque, pur a prescindere dal richiamo all'art. 97
della  Costituzione)  attraverso  l'uso dei tradizionali strumenti di
verifica  sintomatica  elaborati  dalla  giurisprudenza  (eccesso  di
potere  per travisamento dei fatti, per falsita' dei presupposti, per
difetto di istruttoria, per irrazionalita', etc.).
    Anche  il  tema  della  razionalita'  della  scelta  tra  diversi
procedimenti  o  mezzi tecnici che, in ipotesi, si prospettino come -
alternativi  tra  loro, costituisce a sua volta un problema tecnico o
scientifico,  la  cui soluzione, se non pregiudicata dalle scelte del
legislatore, deve poter essere controllata da parte del giudice.
    Ne   deriva   che   la  rilevanza  della  tecnica,  nel  processo
d'interpretazione  e  valutazione  giudiziale dell'attivita' posta in
essere   dalla   pubblica   amministrazione,   non  puo'  mai  essere
disconosciuta.
    Dall'interpretazione   della  norma  agendi  non  possono  essere
artificiosamente   escluse  le  regole  tecniche,  che  concorrono  a
determinare il comportamento dell'amministrazione (in ordine alla cui
razionalita',   in   ipotesi,   sia   stato   invocato  il  controllo
giurisdizionale).
    E'  stato  in  proposito  osservato,  da  una  dottrina,  che  la
circostanza  che  il  giurista  non  sia  piu'  in  grado,  oggi,  di
comprendere   da   solo   la   norma  agendi,  per  quale  risultante
dall'integrazione  con  i  principi  delle  regole di una determinata
scienza o tecnica, e' constatazione tanto ovvia quanto inconcludente.
Se,  infatti,  la  pretesa  del  giurista  ad  una sorta di esclusiva
assoluta  nell'interpretazione  della  norma  sembra  ormai del tutto
insostenibile  agli  occhi della citata dottrina, e' anche vero - per
contro  -  che  il  diritto processuale ha da tempo reso possibile la
piena  verifica giurisdizionale della corretta ed esatta applicazione
delle norme tecniche, da parte di tutti i soggetti tenutivi, mediante
il  ricorso  a  perizie,  accertamenti  tecnici e consulenze tecniche
d'ufficio.
    Tali  strumenti  processuali  permettono l'acquisizione dei fatti
sui  quali  deve fondarsi la decisione giuridica della causa, nonche'
la  loro  valutazione  sotto il profilo tecnico, e dunque senza alcun
pregiudizio dell'ambito di cognizione del giudice (il quale peraltro,
se  e'  in  grado,  quale  peritus peritorum ha, comunque, titolo per
interloquire, in ultima istanza, anche sul predetto profilo tecnico).
    Quanto appena esposto viene di solito riconosciuto valido, almeno
in   linea   di   principio,   anche  nei  confronti  della  pubblica
ammmistrazione, ma - come si e' autorevolmente rilevato in dottrina -
con  cautela  estrema  e  spesso  con  riserve  non  sufficientemente
argomentate;  con  la  conseguenza  che,  nella  concreta  esperienza
giurisdizionale  amministrativa,  tale verifica viene effettuata solo
in  certi  casi,  e generalmente entro limiti piuttosto angusti (che,
peculiarmente,  talora  coincidono  con  la  concreta  attitudine del
giudice  ad attingere ai giudizi tecnici su cui sono basate le scelte
dell'ammmistrazione).
    Viceversa,   ammettendo   che  il  giudice  amministrativo  possa
ricorrere  -  ove  necessario  -  a  mezzi  di  prova del fatto, e di
relativa  valutazione  tecnica,  come  le  perizie,  gli accertamenti
tecnici e le consulenze tecniche d'ufficio, si eliminerebbero aree di
privilegio amministrativo ormai generalmente percepite come del tutto
incompatibili  con  i  principi  elementari dello Stato di diritto ed
integranti,  nella sostanza, sacche di ingiustificata esenzione dalla
giurisdizione.  Queste  si  risolvono,  in  chiave costituzionale, in
effettive limitazioni dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza
(art. 3  Costituzione)  di  tutela  degli  interessi  legittimi degli
amministrati  (art. 24,  primo  e  secondo  comma,  e art. 113, primo
comma,   della   Costituzione),  e  che  concretano  una  sostanziale
esclusione  (sopratutto, in determinati ambiti altamente tecnologici)
della  possibilita'  di censurare in sede giurisdizionale il vizio di
eccesso  di  potere  per  travisamento  dei  fatti,  per falsita' dei
presupposti,  per  difetto  di  istruttoria, per irrazionalita' della
scelta  tecnica operata dall'amministrazione, etc. (art. 113, secondo
comma, della Costituzione).
    Nelle  fattispecie  indicate, solo il ricorso ai mezzi istruttori
in discorso sembra poter consentire quella definitiva disaggregazione
dei  profili  tecnici  dall'esercizio  del  potere amministrativo, in
difetto     della     quale     alcune     scelte     comportamentali
dell'amministrazione,  che  dovrebbero  adeguarsi  a  precise  regole
tecniche,   finiscono   per   essere,   incongruamente,   del   tutto
insindacabili sul piano concreto.
    Assai spesso, nella prassi giurisprudenziale, pur senza ricorrere
all'ausilio  di  un  consulente  il  giudice  amministrativo verifica
direttamente il presupposto tecnico del provvedimento sulla scorta di
un criterio meramente probabilistico (l'evidente rischio di errori e'
tanto piu' alto quanto piu' elevata sia la complessita' tecnica della
fattispecie). Altre volte, invece, il giudice procede ai riscontri in
discorso mediante il ricorso ad una verificazione, demandata, come si
e' detto, alla stessa o ad un'altra amministrazione.
    Tutto  questo  e'  perfettamente  legittimo  e praticamente assai
utile,  almeno  nella  maggior  parte  dei  casi.  Vi sono, tuttavia,
fattispecie in cui cio', semplicemente, non e' possibile; ad esempio,
per   incapacita'   tecnica   dell'amministrazione  di  eseguire  una
verificazione  scientificamente affidabile, come appunto e' accaduto,
per dichiarazione dello stesso C.N.R., nella controversia dedotta nel
primo grado del presente giudizio.
    Non  puo'  dubitarsi che vi siano casi in cui la valutazione c.d.
tecnica  dell'organo  amministrativo  impinge  nelle scelte di merito
allo stesso demandate. Tra questi vanno certamente compresi quelli in
cui  la  scelta  dell'amministrazione  si  basa  sulle  risultanze di
discipline    insuscettibili    di    un   apprezzamento   "neutrale"
(caratterizzato,  cioe',  dall'indifferenza  del risultato valutativo
rispetto  all'osservatore), come quando devono utilizzarsi criteri di
ordine  sociale,  storico,  artistico,  estetico,  etc.,  in  cui nel
giudizio   sul  valore  culturale  e'  gia'  insita  la  ponderazione
dell'interesse  pubblico  alla  prevalenza  di  un  determinato  bene
rispetto  ad  un  altro.  In altri casi, per contro, riesce difficile
comprendere    perche'    l'accertamento    demandato    al   giudice
amministrativo non debba estendersi al riscontro dell'esattezza degli
apprezzamenti  compiuti  dall'amministrazione.  Cio', in particolare,
quando  si  pongano  problemi relativi a fatti o situazioni che siano
suscettibili  di  controllo tecnico sulla base di una disciplina che,
sia  pure  entro  l'ampio ambito di relativismo che e' connaturato ad
ogni  branca  del sapere scientifico, possa assimilarsi, o quantomeno
accostarsi, alle c.d. "scienze esatte".
    Tra  queste vanno ascritte, ad esempio, la fisica, la matematica,
la  chimica  e  l'ingegneria; nonche', ma solo entro certi ambiti, la
biologia,  la medicina, etc. Queste ultime due partecipano talora dei
connotati  delle "scienze esatte", essendo passibili di apprezzamenti
oggettivi,  e  talora,  invece,  di  quelli  delle  "scienze  umane",
caratterizzate cioe' da apprezzamenti soggettivamente condizionati e,
dunque, non neutrali.
    Precludendo  al  giudice  la  possibilita',  anche  astratta,  di
compiere   gli   anzidetti   riscontri   e   la   "verifica   diretta
dell'attendibilita'  delle operazioni tecniche sotto il profilo della
loro   correttezza  quanto  a  criterio  tecnico  ed  a  procedimento
applicativo"  (C.d.S.,  IV,  n. 601/1999,  citata),  in  qualche caso
l'interesse  legittimo  di  una parte processuale potrebbe scadere ad
oggetto  di  una  tutela  meno  intensa  e rigorosa in violazione del
canone  di  cui  all'art. 113,  secondo  comma,  della  Costituzione.
Invero, l'annullamento invocato dal ricorrente potrebbe essere talora
precluso dall'inesatta ascrizione all'insindacabile ambito del merito
anche  di  quei  giudizi dell'amministrazione che, invece, dovrebbero
essere  frutto  esclusivo  della  corretta  utilizzazione  di criteri
tecnici "neutrali".
    Una  parte  della  dottrina,  estremizzando  il discorso oltre il
necessario,  ha  contestato  -  non  ritenendola suffragata da valide
argomentazioni   -  la  distinzione  tra  accertamenti  (direttamente
controllabili  dal giudice) ed apprezzamenti (insindacabili in quanto
afferenti al merito).
    Non  occorre, verosimilmente, giungere a tanto per rendersi conto
del  fatto  che  gli  accertamenti  integralmente  controllati  dalla
tecnica   non   possono   essere   posti  sullo  stesso  piano  della
ponderazione  d'interessi.  Ne'  la  relativa  opinabilita'  di  ogni
giudizio  tecnico-scientifico  (che  deve  essere  affrontata nel suo
corretto  ambito prospettico) puo' implicare l'astratta esclusione di
ogni sindacato giurisdizionale in proposito.
    Il  giudizio  tecnico  scorretto (e, quindi, probabilmente falso)
non  puo'  continuare  ad  equipararsi  a un giudizio di opportunita'
forse  opinabile,  ma  tuttavia  fondato,  a  monte,  su una corretta
applicazione  della  regola  tecnica.  Mentre in quest'ultima ipotesi
effettivamente  si  e'  in  presenza  di  una  questione  di  merito,
insindacabile,  di  norma, dal giudice amministrativo, nel primo caso
e'  riscontrabile,  invece,  un  vero e proprio vizio di legittimita'
dell'atto:   cio'   tanto   se   la   falsita'  del  giudizio  derivi
dall'applicazione    di    un   criterio   tecnico   scientificamente
riconosciuto  inadeguato,  quanto se discenda da operazioni materiali
non  corrette  o  insufficienti  dell'amministrazione  che ha operato
l'apprezzamento.
    A ben vedere, la controversa distinzione, di cui si e' detto, tra
accertamenti ed apprezzamenti puo' ancora avere una propria utilita',
ove  venga  utilizzata  per  demarcare - alla stregua del contingente
stato  di  sviluppo  tecnico-scientifico  di  ciascuna disciplina nel
singolo  contesto storico e sulla base della conseguente esistenza, o
meno,  di regole tecniche univoche, oggettive o neutrali - il confine
tra due gruppi di ambiti. L'uno nel quale siano possibili, per quanto
applicativamente   complesse,   misurazioni   e  valutazioni  le  cui
risultanze  costituiscono  oggetto,  secondo  il  comune  sentire, di
generale   e  convinta  accettazione  (atti  che,  convenzionalmente,
possono  qualificarsi "accertamenti tecnici"), se l'altro in cui ogni
misurazione  e  valutazione  assuma  necessariamente  connotazioni di
equivocita',  soggettivita'  e  "non  neutralita'",  come tipicamente
accade  per  tutti i fenomeni umani, sociali e culturali, definibili,
per analoga convenzione, "apprezzamenti tecnici".
    Solo in riferimento agli apprezzamenti, nel significato predetto,
residua spazio per un concetto di "discrezionalita' tecnica", che sia
al  contempo  distinta  dal merito amministrativo in senso stretto e,
purtuttavia,  allo  stato,  ancora  esclusa  dalla  cognizione  e dal
sindacato  diretto del giudice amministrativo di legittimita'. Invece
- ed e' questo cio' che effettivamente rileva ai fini della sollevata
questione di legittimita' costituzionale - in nessun caso il concetto
in  parola  potrebbe  essere  fondatamente  invocato per escludere, o
limitare,  gli  strumenti  istruttori  di accesso al fatto e relativa
valutazione   sotto   il   profilo   tecnico  da  parte  del  giudice
amministrativo, in relazione a quanto si e' sopra fatto confluire nel
novero dei c.d. accertamenti tecnici.
    Si  e' gia' detto, del resto, che la possibilita' di una verifica
in   sede   giudiziaria   degli   accertamenti  tecnici  non  inficia
l'insindacabilita'   nel   merito,   in   tale   sede,  della  scelta
propriamente   discrezionale,   collocata,  appunto,  a  valle  della
valutazione tecnica dell'amministrazione.
    Analoga  conclusione  si avra' nei casi, piu' complessi sul piano
pratico, ma concettualmente non dissimili, in cui una serie di scelte
effettivamente  discrezionali  si intersecano, in momenti successivi,
con  un'altra  serie di accertamenti tecnici - eventualmente compiuti
su  base  probabilistica,  anziche'  strettamente eziologica - che di
tali   scelte   costituiscano   le  premesse  ovvero  le  conseguenze
intermedie o finali.
    In  tutti  questi  casi,  il giudice amministrativo - esercitando
correttamente  i  propri poteri istruttori, auspicabilmente pieni, di
accesso  al  fatto  (anche  quando questo sia altamente qualificato e
complesso   sul   piano   tecnico)   -   sindachera'  le  valutazioni
propriamente  discrezionali  dell'amministrazioni  non  gia'  per  se
stesse,  ma  per l'erroneita' nella valutazione dei presupposti o per
l'incongruita'  o  illogicita'  della soluzione prescelta rispetto ai
risultati dell'indagine di fatto.
    Ritiene  la  sezione che il giudice amministrativo debba avere in
ogni  caso  (anche  in  quelli,  verosimilmente  contenuti  sul piano
numerico,   in   cui   sia   in   effetti  impossibile  far  eseguire
un'attendibile  verificazione  da  una  pubblica amministrazione) gli
strumenti  istruttori  adeguati  per sottoporre a verifica diretta le
c.d.  operazioni  tecniche  svolte  dall'amministrazione,  al fine di
vagliarne  la  correttezza  e,  quindi,  di  poter  annullare  l'atto
impugnato  se il giudizio tecnico dell'amministrazione risulti - come
e'  avvenuto  nella  vicenda  in  esame - inattendibile, o anche solo
scarsamente verosimile.
    Ne'  cio'  implica sostituzione, nei casi dubbi od opinabili, del
giudizio  del  giudice (eventualmente forgiato dall'attivita' del suo
consulente tecnico) a quello dell'amministrazione.
    Posto,  infatti,  che e' affermazione sin troppo ovvia che nessun
dubbio  di carattere scientifico puo' essere risolto con lo strumento
del pubblico potere, rimane da chiarire che quando il risultato della
verifica  giudiziale  si sia positivamente concluso, nel senso che il
giudizio   tecnico   dell'amministrazione  risulti  corretto  pur  se
opinabile,   anche  il  sindacato  giudiziale  di  legittimita'  deve
ritenersi  positivamente  esaurito,  nel senso della legittimita' del
provvedimento finale.
    Analoga  conclusione  dovra'  raggiungersi in tutte le ipotesi in
cui  la  tecnica  fornisca  criteri  alternativi  di  indagine  o  di
soluzione  di un problema, i quali, in difetto di una scelta da parte
del legislatore, devono considerarsi, legittimamente, alternativi tra
loro.
    Il corretto uso - quando necessario - degli strumenti di indagine
tecnica  di  cui si sta trattando da parte del giudice amministrativo
sembra  indispensabile,  sia per evitare che, nei casi cui si e' piu'
volte  fatto  cenno, il sindacato sull'eccesso di potere si esaurisca
in  un controllo prevalentemente formale, cioe' esterno rispetto alle
operazioni  e valutazioni tecniche compiute dall'amministrazione, sia
per   giungere   fino   alla  verifica  diretta  della  congruita'  e
ragionevolezza  anche  scientifica  di tali operazioni e valutazioni,
nelle quali il provvedimento finale abbia trovato causa.
    Tuttavia,  una  volta  affermata in tali termini la necessita' di
una  piena  conoscenza giudiziale dei fatti - senza la quale, come si
e'  detto,  il  sindacato sull'eccesso di potere perde gran parte del
suo  significato  -  deve  pur  sempre  riconoscersi  che  al diretto
controllo  del  giudice  sfugge,  comunque,  il  momento centrale del
processo  decisionale,  vale  a  dire quello in cui vengono svolte la
valutazione comparativa e la determinazione del valore dell'interesse
pubblico  primario affidato alla cura dell'amministrazione attiva, in
rapporto  con  tutti  gli  altri  intere  ssi  secondari,  pubblici e
privati, coinvolti nella vicenda deliberativa di cui trattasi. Non vi
e', dunque, alcun timore che possa ingenerarsi confusione concettuale
tra  verifica  tecnica  e  insindacabilita'  delle  scelte  di merito
compiute dall'amministrazione.
    6.  -  Non sembra che la questione di legittimita' costituzionale
sollevata  con la presente ordinanza possa risultare, alla stregua di
quanto  fin  qui  osservato, manifestamente infondata in relazione ai
principi  affermati  dalla  Corte  costituzionale  con la sentenza 18
maggio 1989, n. 251.
    Al  riguardo  e'  soltanto  da  rilevare  con  riferimento  detta
pronunzia: a) la differenza di contenuto dell'ordinanza di rimessione
del  29  gennaio  1988  con  la  quale  il  Tribunale  amministrativo
regionale  della  Valle  d'Aosta  aveva denunciato i limiti probatori
derivanti  dagli artt. 26 regio decreto n. 642/1907, 44 regio decreto
n. 1054/1924   e   8   legge  n. 1034/1971,  unicamente  quanto  alla
cognizione  incidentale  delle  questioni  pregiudiziali  relative  a
diritti,  devoluta al giudice amministrativo; b) l'individuazione dei
parametri  costituzionali  esclusivamente  negli  artt. 3  e 24 della
Costituzione,   e  non  anche  nell'art. 113,  seconda  comma,  della
Costituzione.
    Del  resto, e' nella stessa citata sentenza n. 251/1989 che viene
affermato il principio "che il giudice amministrativo, nell'esercizio
dei  suoi  poteri" istruttori, deve essere in grado di "pervenire nel
modo  piu' esauriente all'accertamento dei fatti su cui si fondano le
rispettive pretese delle parti".
    Deve convenirsi, infatti, che "la maggiore ampiezza possibile del
sindacato  sull'esercizio  dei  pubblici  poteri  non postula percio'
necessariamente    l'estensione   al   processo   amministrativo   di
legittimita'  di  tutti  i  mezzi  di prova ammessi per altri tipi di
processi",  tant'e'  che la presente ordinanza non solleva affatto la
questione  della  prova  testimoniale,  di  cui  invece  lamentava la
mancanza   la   suindicata  ordinanza  del  Tribunale  amministrativo
regionale della Valle d'Aosta.
    Anzi,  proprio in considerazione della "prova testimoniale ..., e
delle  limitazioni  che  ... [ne] conseguono" la Corte costituzionale
aveva  affermato  "l'impossibilita'  di  un  automatico trapianto nel
processo   amministrativo  di  legittimita'  del  sistema  probatorio
proprio  del  processo  civile,  in  quanto  la sussistenza di quelle
limitazioni,  peculiari del processo civile, richiederebbe, comunque,
un'operazione  di  adattamento che non potrebbe certo conseguire alla
pronuncia  addittiva  di  questa  corte  auspicata dal giudice a quo,
bensi' ad una articolata disciplina legislativa".
    E  stata,  peraltro, la stessa Corte costituzionale ad affermare,
sempre  nella motivazione della sentenza de qua, che "la possibilita'
del  permanere  di  una  tipologia  differenziata di processi ... non
contrasta  con il parametro costituzionale invocato (art. 24, primo e
secondo  comma,  della  Costituzione)  sempre che ciascuna disciplina
soddisfi al tipo di garanzia che si intende assicurare", e "potendosi
censurare  la  scelta  del legislatore soltanto se risulti inidonea a
garantire la tutela giurisdizionale".
    Sulla  base  delle esposte considerazioni, si riscontra, appunto,
l'inidoneita'  dell'originaria  scelta  legislativa  -  preclusiva di
adeguati  mezzi  di  indagine  tecnica  - a garantire in ogni caso la
piena tutela giurisdizionale, imposta oggi (a differenza di quando la
giustizia  amministrativa  venne  forgiata)  dalla  Costituzione. Ne'
rileva  che  cio'  avvenga  in  ipotesi non particolarmente numerose,
essendo  sufficiente,  per  la  declaratoria  di  illegittimita', che
l'incostituzionalita'   si   verifichi   in   specifico   riferimento
all'applicazione  di  cui  la  norma denunciata sarebbe passibile nel
singolo   caso  che  ha  dato  origine  alla  rimessione  alla  Corte
costituzionale, cioe' in quello deciso dalla sentenza qui appellata.
    7.  -  Da  ultimo,  non  puo'  farsi  a  meno  di sottolineare il
parallelismo - cui si e' gia' accennato - esistente tra l'art. 31 del
regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, e l'art. 22, primo comma, delle
disp.  di  att. al cod. proc. civ., nel senso che entrambe tali norme
indicano,  per  i  due  diversi  sistemi  processuali  di  rispettivo
riferimento, quale debba essere il normale criterio di individuazione
del  perito o consulente tecnico, e che entrambe sono derogabili, con
conseguente  liberta' di scelta dell'ausiliario del giudice allorche'
ricorrano  peculiari motivi, da indicare nel provvedimento di nomina.
Siffatto parallelismo sembra elidere, in radice, ogni possibilita' di
ipotizzare   l'inammissibilita'   della   questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata  con  la  presente ordinanza in conseguenza
della mancata istituzione, presso i giudici ammmistrativi, di un albo
dei  consulenti tecnici, analogo a quello previsto presso i tribunali
ordinari dagli artt. 13 e ss. delle disp. di att. al cod. proc. civ..
    In  forza dell'art. 31 del R.D. n. 642/1907, infatti, di norma il
giudice  amministrativo  -  ove non reputi idoneo per una sufficiente
conoscenza dei fatti di causa il consueto strumento istruttorio della
verificazione - "per l'esecuzione di perizie", accertamenti tecnici o
consulenze  tecniche  d'ufficio  incarichera'  "uno o piu' funzionari
tecnici dello Stato" (o di altro Ente pubblico). Nei congrui casi, lo
stesso  giudice,  indicando  nel provvedimento i motivi della scelta,
potra'  conferire  l'incarico  a  persone iscritte in altri albi (per
esempio,  quelli tenuti presso i tribunali ordinari) ovvero a persone
non  iscritte  in  alcun  albo  (cfr. art. 22, secondo e terzo comma,
delle  citate  disposizioni di attuazione), allorche' queste siano le
uniche  idonee  a  svolgere  adeguatamente  i  conferendi  compiti di
indagine tecnica.
    Evidentemente,  dunque,  non  sembra  potersi  porre, per i mezzi
istruttori  di cui si sta trattando, quel problema di "impossibilita'
di automatico trapianto nel processo amministrativo di legittimita'",
che  la  motivazione della sentenza di Corte costituzionale 18 maggio
1989,   n. 251,   citata,  aveva  ravvisato,  invece,  per  la  prova
testimoniale.
    8.   -  In  conclusione,  la  sezione  ritiene  rilevante  e  non
manifestamente  infondata la questione di costituzionalita' di cui in
dispositivo,  che  pertanto, con la presente ordinanza, viene rimessa
al vaglio della Corte costituzionale.
    Il giudizio rimane sospeso fino alla pronuncia di quest'ultima.