IL TRIBUNALE Premesso che con ordinanza del 15 febbraio 1999 ha sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale degli artt. 238, 511 e 511-bis c.p.p., per la parte di essi che non consente la lettura degli atti dibattimentali assunti nel medesimo dibattimento ma da giudice diverso o collegio diversamente composto, come meglio esplicato nell'ordinanza relativa, che si allega a far parte del presente provvedimento; Rilevato che la Corte, con ordinanza 3 aprile 2000, ha disposto la restituzione degli atti, per un nuovo esame delle questioni, rilevando che esse riguardano il principio del contraddittorio nella formazione della prova, sulla cui disciplina e' nel frattempo intervenuta la modifica dell'art. 111 della Costituzione e cio' impone un riesame della problematica; Cio' premesso, O s s e r v a La nuova normativa costituzionale non appare immutare sostanzialmente la problematica proposta e, anzi, lungi dal garantire una copertura costituzionale del disposto dell'art. 525 c.p.p., e delle norme oggetto della eccezione costituzionale, che vi si collegano inscindibilmente e ne estendono l'ambito sino a vanificare l'attivita' svolta da ogni precedente collegio, viene ad esaltare, aggiuntivamente e direttamente, la contraddizione costituzionale di tale norma. L'art. 525 c.p.p. si pone adesso, pur esso, in immediato contrasto, almeno nella sua interpretazione corrente, e per la gabbia di inutilizzabilita' che deriva dalle altre norme oggetto della sollevata eccezione, con il disposto costituzionale di cui al nuovo testo dell'art. 111 Cost. Puo' essere pertanto, in questa ulteriore disamina della questione, articolato l'aspetto di incostituzionalita' dell'art. 525 c.p.p., che si viene ad aggiungere agli altri gia' prospettati, con riferimento alle altre norme che complessivamente precludono l'utilizzazione di legittimi atti dibattimentali, per i quali appare invece sufficiente allegare il provvedimento originario con il richiamo alle argomentazioni ivi esposte. Cio' posto, va osservato che l'art. 111 Cost. presenta, gia' nella sua fase iniziale di vigenza, e pur in mancanza di consolidati pronunciamenti in materia, una ratio ed un tenore testuale inequivoci, che valorizzano l'esigenza che le prove vengano assunte nel contraddittorio, principio che da un verso pone limiti, espressamente sanciti, alle prove assunte fuori dal contraddittorio ma che, d'altro verso ed inscindibilmente, risalta la valenza di tutte le prove assunte nel contraddittorio delle parti. Sotto il primo aspetto, non vi e' dubbio che tale regola e' destinata ad incidere su alcune norme del codice di rito, pur citate nella precedente ed allegata eccezione di costituzionalita', la cui attuale vigenza appare richiedere, al di la' delle disposizioni transitorie, urgenti adattamenti. Ma e' certo parimenti che la nuova norma costituzionale, nel richiedere ma anche legittimare le prove assunte nel contraddittorio, rende il disposto dell'art. 525, nella sua attuale lettura combinata con gli artt. 238, 511 e 511-bis, al di la' e al di fuori del principio costituzionale. Cio' nella misura in cui esso richiede di piu' dell'assunzione delle prove nel contraddittorio, svalutando, in contrasto con il testo costituzionale, tale requisito e rendendo inutilizzabili atti che costituzionalmente tali espressamente risultano e che nel quadro normativo processuale sono sempre recuperate ove assunte in un diverso dibattimento. L'art. 525 c.p.p., e le norme indicate che ne determinano l'effetto finale, nel proteggere una esigenza sicuramente di valore processuale, la continuita' dell'organo collegiale, evidentemente auspicabile ma troppo spesso di difficile realizzazione, tutela un interesse non costituzionale, e gia' non privilegiato dalla normativa processuale, di cui agli artt. 238, primo comma, e 511-bis c.p.p., ponendosi in contrasto con il principio costituzionale, e la normativa processuale, non consentendo la utilizzabilita' di una prova assunta nel dibattimento e nel contraddittorio delle parti. Una diversa lettura dell'art. 111 Cost., che ritenesse che esso richieda la necessita' di un contraddittorio tra le parti e davanti allo stesso giudice, verrebbe a tradirne il testo, che ribadendo piu' volte la necessita' del contraddittorio in un solo segmento specifica che esso deve avvenire "davanti a giudice terzo ed imparziale" (e non gia', o necessariamente, allo stesso giudice della decisione), e a travolgere, per incostituzionalita', gli artt. 238 e 511-bis c.p.p. e le altre norme, di recupero di atti non assunti dallo stesso giudice della decisione, la cui vigenza invece non pare in atto in discussione. Ne' si puo' ritenere che il principio dell'art. 525 c.p.p., di cui e' incontestabile la logica generale nel quadro del processo penale ma di cui non e' condivisibile, a parere di questo giudice, la dispersione delle prove assunte da altro collegio, si muova in un ambito rimesso al legislatore ordinario e privo di vincoli costituzionali, in quanto la connessa inutilizzabilita' degli atti assunti da precedente collegio, nel contraddittorio delle parti, viene a ledere il principio dell'art. 111 Cost. che richiede ma anche salva, espressamente, le prove assunte nel contraddittorio "davanti a giudice terzo" ( e non gia', lo si ribadisce, davanti al giudice della decisione). In questo contesto, la prescrizione dell'art. 525 c.p.p. risulta in contrasto non solo con la regola fissata dall'art. 111 Cost., ma anche, emblematicamente, con le eccezioni ad essa che la stessa norma disciplina. Tra le altre, il contraddittorio risulta costituzionalmente derogabile, per cui si possono acquisire prove istruttore, con il consenso delle parti o per non ripetibilita'. Tali deroghe non sono previste ed applicabili, in ulteriore contrasto con la norma costituzionale, in base all'art. 525 c.p.p. Gli orientamenti interpretativi volti a ritenere sufficiente il consenso delle parti, per utilizzare gli atti assunti da precedente collegio, o che finalmente riconoscono la utilizzabilita' di tali atti salva l'esigenza di una riassunzione delle prove se ve ne sia richiesta, sono uno volto ad una interpretazione che preservi costituzionalmente la norma e a non disperdere atti legittimi e altro che sancisce tale legittimita' ed utilizzabilita' ma che nel contempo la puo' totalmente vanificare per scelta discrezionale delle parti. Certo e' che tali alte interpretazioni vanno, comunque, al di la' del contenuto della norma e si fondano su un istituto, il consenso, che e' mutuato eb externo ad essa, tradendone, non solo formalmente, il principio. In quest'ottica, il tribunale solleva la problematica anche per l'ipotesi di consenso delle parti alla utilizzabilita' delle prove assunte dal precedente collegio. Il consenso, o la mancata richiesta di riassunzione della prova, non rendono "piu' partecipe" al dibattimento il giudice che subentri in corso di istruttoria o all'esito di essa, rispetto al giudice che subentri nel medesimo momento e che non benefici del consenso o della mancata richiesta di riassunzione. Ne' del resto il potere dispositivo delle parti puo' giungere all'arbitrio di "scegliere" il giudice dell'istruttoria, di fare rinnovare o meno, ed interamente, il processo, potendo essere legato ad interessi (l'esito delle prove, i tempi di prescrizione) che non appaiono razionalmente meritevoli di una tutela tale da rendere o meno effettiva ed applicabile una norma invece prevista a nullita'. Non e' un caso che il consenso, di regola, sia previsto non gia' con riferimento alla "scelta" del giudice che ha istruito ed assunto la prova, bensi' con riferimento a prove assunte senza il contraddittorio o a specifiche prove che, per la loro natura particolare, richiedono non lo stesso giudice ma il contraddittorio delle stesse parti. Non appare pertanto risolutivo, per salvaguardare la costituzionalita' dell'art. 525 c.p.p., fare utilizzazioni traslate dell'art. 238 c.p.p. Cio' non solo per quanto detto e perche', comunque, si va al di la' del contenuto espresso di tale norma, ma anche perche' resta incomprensibile la ragione per cui dovrebbe trovare applicazione il quarto comma dell'art. 238 e non gia' il disposto del primo comma di tale norma, restando peraltro evidente che il riferimento, nel quarto comma, ad altri casi, riguarda ambiti non dibattimentali e non gia' la modifica del collegio. Peraltro, singolarmente, nel recente orientamento giurisprudenziale, per il caso di modifica del collegio, di una disciplina analoga a quella sancita dall'art. 238, quinto comma, c.p.p., non viene riconosciuto al giudice neppure il potere di cui all'art. 190 bis c.p.p., in quella norma invece richiamato e che consente al giudice di valutare la necessita' di riassumere una prova gia' acquisita, pur a fronte del diritto delle patti di farne richiesta. Tanto appare effetto di autolimitazioni degli adattamenti interpretativi che, in mancanza della piu' alta statuizione necessaria, pur a fini conservativi, vengono ad autocomprimere le interpretazioni estensive adattate ed adottate, creando una figura ibrida e di difficile giustificazione. Il vero problema e', in realta', se si possa ritenere che l'art. 525 c.p.p. richieda meramente che concorra alla decisione il giudice che ha partecipato al dibattimento, restando logicamente escluso chi non vi abbia preso parte, ma incluso chi abbia costituito l'organo decidente anche solo nel segmento finale del processo o se, invece, e' richiesto che il giudice abbia partecipato all'intero dibattimento. Nel primo caso, che la lettera consente, e' chiaro che potra' utilizzare gli atti con la lettura (che appare assolutamente pertinente ed ammissibile in se) di cui all'art. 511 c.p.p., primo e secondo comma, senza bisogno di alcun consenso, mentre nel secondo caso e' evidente che non vi sara' alcun consenso, o mancata richiesta di riassunzione delle prove, che possa farlo diventare il giudice dell'intero dibattimento. In realta', quest'ultimo orientamento, sulla utilizzabilita' ex se, degli atti assunti da altro collegio, oltre che piu' corretto, liberando dal limbo di inutilizzabilita' tali atti, apre la breccia ad una corretta interpretazione degli artt. 525 e 511 c.p.p., che ne puo' consentire la salvaguardia costituzionale, ma resta la condizione che non vi sia una invalutabile richiesta di riassunzione a precluderne una reale efficacia. Tale considerazione porta, in piu', all'aggiuntiva valutazione relativa al contrasto, delle norme segnalate, anche con l'art. 97 della Costituzione, apparendo contro il buon andamento dell'amministrazione, e in realta' idoneo a paralizzare il gia' difficile sistema della giustizia, il vanificare prove assunte in legittimo contraddittorio dibattimentale, il richiedere costanti e spesso sterili ripetizioni di prove, il determinare, specie nei tribunali disagiati e con alta mobilita' di magistrati, o a fronte dei legittimi e frequenti congedi, la paralisi dei processi e la sostanziale impossibilita' di definizione di quanti, per numero e complessita', non risultino definibili nei brevi tempi di vigenza di un medesimo collegio. La delicatezza della problematica, e i suoi rilievi costituzionali e di nullita', appaiono imporre comunque, puranco a fini conservativi, il proposto pronunciamento di costituzionalita'. Si rinnova pertanto, richiamandola interamente anche per la parte dispositiva, con l'aggiunta dei rilievi superiormente proposti, per il contrasto delle norme denunciate, e anche dell'art. 525 c.p.p., con il nuovo testo dell'art. 111 Cost., e altresi', con l'art. 97 Cost., l'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata in data 15-2-1999, che si allega a far parte integrante della presente ordinanza. Cio' appunto ed in particolare con la integrazione della denuncia di illegittimita' costituzionale dell'art. 525 e 511 c.p.p., per contrasto con l'art. 111 Cost., nella misura in cui non consentono la utilizzazione di atti assunti nel contraddittorio da un precedente collegio nel medesimo dibattimento. Resta evidente che il profilo di costituzionalita' ulteriormente, e aggiuntivamente, proposto e' cumulativo rispetto a quelli gia' segnalati e che si reiterano, in quanto e' il combinato disposto delle norme segnalate a pregiudicare l'utilizzazione degli atti assunti nel contraddittorio, e quindi lo stesso principio costituzionale di cui all'art. 111 Cost., nella misura in cui tale norma, nell'essere volta ad escludere e limitare le prove assunte fuori dal dibattimento, afferma contestualmente la regola positiva della valenza delle prove assunte nel contraddittorio delle parti. Palmi, addi' 20 ottobre 2000 Il Presidente: Mastroeni 01c0619