IL TRIBUNALE

    Esaminata  l'istanza  depositata  in  data 11 maggio 2000, con la
quale  il  difensore  di  fiducia di Putignano Raffaele, avv. Antonio
Altamura,  chiede  la  revoca della sentenza n. 2813/1998, emessa dal
pretore di Taranto in data 27 ottobre 1998, con la quale il Putignano
fu  condannato alla pena di L. 16.000.000 di ammenda perche' ritenuto
responsabile   del   reato   di   cui   all'art. 21,  comma 3,  legge
n. 319/1976;
    Sentite  le  parti  nel  corso dell'udienza camerale celebrata in
data 27 giugno 2000;
    Rilevato quanto segue:
        con  l'istanza  di  revoca  suddetta,  depositata ex art. 673
c.p.p.,   la   difesa   del   condannato   Putignano,   premesso  che
l'introduzione   nell'ordinamento   giuridico  italiano  del  decreto
legislativo   11 maggio   1999,   n. 152  ha  determinato  l'espressa
abrogazione  della legge 10 maggio 1976, n. 319, ha chiesto la revoca
della  menzionata  sentenza  di  condanna;  ha  invero specificato in
udienza  che  "la  condotta  contestata  consiste nel superamento dei
limiti  tabellari  con  riferimento  a  colonbatteri totali e fecali,
punito  con  la  legge  n. 319/1976",  aggiungendo che "tale legge e'
stata  abrogata  dall'art. 63,  legge  n. 152/1999  e  la condotta su
menzionata   non   e'   sanzionata   penalmente  dalla  nuova  legge;
quest'ultima  infatti,  all'art. 59,  comma 5,  prevede  la  sanzione
penale,   con   riferimento  al  superamento  dei  limiti,  solo  con
riferimento ai parametri pericolosi di cui all'allegato della tabella
5".
    Il  rappresentate  della  pubblica  accusa in udienza ha concluso
"con  richiesta  di:  accoglimento  della  richiesta  di revoca della
sentenza  perche'  la  nuova  disciplina  non  contempla nella tab. 5
dell'all. 5 le cariche batteriologiche individuate nella sentenza tra
gli elementi il cui superamento dei limiti e' sanzionato penalmente".
    Con  ordinanza  interlocutoria  depositata in data 24 luglio 2000
sono  stati acquisiti, ex art. 666, comma 5, c.p.p., gli atti posti a
fondamento  della  sentenza  di  cui  e' chiesta la revoca, dai quali
s'evince che il Putignano fu condannato poiche', in uscita da uno dei
pozzi  dell'impianto  di  depurazione da lui gestito in Taranto nella
sua  qualita' di "legale rappresentante della ditta Putignano e figli
S.r.l.",  era  stata  rilevata  la  presenza di colonbatteri totali e
fecali   in   misura  superiore  ai  limiti  consentiti  dalla  legge
n. 319/1976.
    Premesso  che  i  colonbatteri  o  colibacilli,  scientificamente
identificati   come  Escherichia  coli,  costituiscono  la  categoria
maggiormente  significativa  di  coliformi  (vedi  dizionario  medico
illustrato  Dorland),  il Putignano fu condannato applicando nei suoi
confronti  l'art. 21,  terzo comma, legge n. 319/1976, nella parte in
cui  richiamava  la  tabella C  allegata  alla legge medesima che, ai
numeri   47   e   48   prevedeva,  quali  parametri  da  prendere  in
considerazione  ai  fini  di  cui alla normativa, appunto i coliformi
(totali  e  fecali).  Orbene,  preliminarmente  sottolineato  che  la
normativa  del 1999 e' stata introdotta con decreto legislativo e non
con legge (circostanza che, e' opportuno subito anticiparlo, nel caso
di  specie  e' particolarmente rilevante), dall'esame della tabella 5
dell'allegato 5 al decreto - unica tabella richiamata dall'art. 59 ai
fini   dell'attribuzione  di  responsabilita'  penalmente  rilevanti,
s'evince  che  il  superamento  dei  valori  limite  fissati  per gli
Escherichia  coli  dalla  antecedente tabella 3 (la cui nota "6", tra
l'altro,    attribuisce   all'autorita'   amministrativa   competente
all'approvazione  dell'impianto  per  il  trattamento di acque reflue
urbane  la  fissazione  del  limite,  che  il legislatore delegato ha
soltanto  ritenuto  di  consigliare  in misura "non superiore ai 5000
UFC/100 mL") non e' penalmente sanzionato, contestualmente essendo in
toto scomparsa, inoltre, dall'intero allegato 5 (intestato ai "Limiti
di  emissione  degli  scarichi  idrici"),  la terminologia "coliformi
totali"  e "colformi fecali" (che compare, invece, nelle tabelle 1/A,
3/A   ed   1/C   dell'allegato   2,  intestato  ai  "Criteri  per  la
classificazione  dei  corpi  idrici  a  specifica  destinazione"). Il
legislatore  delegato  insomma,  modificando le sostanze (nella legge
"Merli"  sempre  indicate  come  "Parametri")  rilevanti  ai fini del
diritto  penale,  ha  fatto  si'  che  risultasse modificata anche la
fattispecie   incriminatrice,   in  tal  modo  depenalizzando  alcune
condotte;  una  depenalizzazione che, inevitabilmente, riguarda anche
il  passato,  andando  ad incidere pure su quanto gia' giudicato, non
soltanto  escludendo,  in  virtu'  dell'art. 2,  secondo comma, c.p.,
l'applicazione della sanzione penale, ma anche impedendo l'esecuzione
della  condanna  sotto forma della sanzione amministrativa cosi' come
introdotta:  l'autorevole  insegnamento della suprema Corte e' invero
nel  senso che, quando un fatto non e' piu' previsto dalla legge come
reato,  bensi'  come illecito amministrativo, chi abbia commesso quel
reato  che  sia stato trasformato in illecito amministrativo non puo'
essere  soggetto  ad  alcuna  sanzione, ne' penale ne' amministrativa
(per  il  principio  di  legalita'  dell'illecito  amministrativo, ex
art. 1  legge  24 novembre  1981, n. 689, e di non applicabilita', in
via  estensiva  ed  in  assenza  di  apposita  norma transitoria, del
principio di retroattivita' della norma penale piu' favorevole).
    E'  ben noto, infatti, il lungo dibattito che ha tenuto impegnati
dottrina e giurisprudenza fino all'emanazione della sentenza a SS.UU.
della suprema Corte 16 marzo - 27 giugno 1994, n. 7394, a tenor della
quale  e'  inapplicabile  l'art. 2,  terzo  comma, c.p. alle sanzioni
amministrative, sia nel caso in cui ad una legge che preveda sanzioni
amministrative  ne  succeda  un  altra,  sia nel caso - com'e', nella
sostanza, quello di specie - in cui una legge che punisca determinate
violazioni  con la sanzione amministrativa "succeda" ad una legge che
puniva  quelle violazioni con la sanzione penale; insomma, in assenza
di  norme transitorie quali son quelle di cui agli artt. 40 e 41 (con
particolare  riferimento,  per quanto qui interessa, al secondo comma
di  quest'ultima disposizione di legge) della legge 24 novembre 1981,
n. 689,  o, per venire a tempi recentissimi, agli artt. 100 e ss. del
decreto  legislativo  30 dicembre 1999, n. 507 - frutto della sentita
"preoccupazione principe" del legislatore (sono parole delle suddette
sezioni  unite)  "di regolare armonicamente tutte le varie situazioni
del   passato   -   violazioni   gia'  giudicate,  violazioni  i  cui
procedimenti fossero ancora pendenti" - si impone l'applicazione pura
e  semplice  dell'art. 2,  secondo  comma,  c.p.,  che  determina  la
cessazione  totale  degli  effetti  delle  sentenze  e dei decreti di
condanna.
    Questo  principio  non  e'  stato  mai piu' messo in discussione,
troppi  essendo  stati i casi in cui quella "preoccupazione principe"
ha mosso il legislatore all'evidente fine di rendere retroattivo cio'
che   retroattivo   non   potrebbe  altrimenti  essere:  sebbene  non
"superprimario",  giacche'  non  avente  rilevanza costituzionale, la
suprema  Corte (sez. I, sent. 21 gennaio - 23 febbraio 1993, n. 1792,
P.G. in proc. nazionale) ha definito pero' "primario" il principio di
legalita'  dettato  dall'art. 1,  legge  n. 689/1981  ("nessuno  puo'
essere  assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una
legge  che  sia  entrata  in  vigore  prima  della  commissione della
violazione");  di esso e' stata dunque fatta applicazione - oltre che
in occasione delle pur rarissime ipotesi in cui il legislatore non ha
avuto  a  cuore  quell'armonica  regolamentazione  che, invece, ha in
genere  segnato  le  caratteristiche delle diverse "depenalizzazioni"
succedutesi  nel  tempo  -  proprio  in  tema  di  tutela delle acque
dall'inquinamento  (v. Cass. Pen., sez. III, 21 giugno - 21 settembre
1996,  n. 2724,  Taidelli  ed  altri,  con  riguardo alle innovazioni
normative  introdotte  con  il  decreto-legge  17 marzo  1995, n. 79,
convertito, con modificazioni, in legge 17 maggio 1995, n. 172).
    D'altra  parte,  se e' vero che, quando la legge punisce condotte
contrarie  a prescrizioni poste con atto amministrativo che influisce
su  singoli casi, l'emanazione di nuovi atti (o il mutamento del loro
contenuto) non costituisce novazione legislativa rilevante ex art. 2,
secondo  comma, c.p., in quanto non si prospetta alcuna modificazione
di  regole generali di condotta (Cass. pen., sez. III, 24 settembre -
18 ottobre  1996, n. 9163, Rizzi), e' pure vero che, appunto, perche'
non   si   abbia  novazione  legislativa  rilevante,  la  fattispecie
incriminatrice   deve  rimanere  di  per  se'  penalmente  rilevante,
comprensiva  di tutti i suoi elementi costitutivi, anche se, premessa
la  punibilita'  in sede penale di una certa condotta, questa risulti
ridotta nella sua portata: si tratta del caso in cui, ad esempio, con
atto   amministrativo   sia  prevista  la  riduzione  dei  limiti  di
accettabilita'   di   uno   scarico,  e  che  quell'atto  costituisca
un'integrazione  del  precetto  penale in un elemento normativo della
fattispecie; l'atto amministrativo e', cioe', il presupposto di fatto
della   legge   penale   incriminatrice,  la  quale  ne  sanziona  la
trasgressione.  In  questi  casi,  insegna  la  suprema  Corte che il
mutamento   dell'atto  amministrativo  non  comporta  una  differente
valutazione  della  fattispecie  legale astratta, bensi' determina la
modifica  del  precetto  e  l'instaurazione  di una nuova fattispecie
incriminatrice,  sicche',  regolando  le due norme fatti storicamente
diversi, non sorge problema di successione di leggi.
    Nel  caso  di  specie,  pero',  non  di mero mutamento dei valori
limite  si  e'  trattato,  bensi',  come  sopra  premesso,  di totale
sottrazione alla rilevanza penale dello scarico nelle acque di alcune
sostanze  (rectius, di bacilli gram-negativi enterici fermentanti: v.
ancora  il  suddetto  Dizionario  medico); e' invero mutato l'oggetto
materiale  dell'azione,  con significativa e rilevante successione di
leggi. Esprimendosi in materie che, mutatis mutandis, sono analoghe a
quella   in   esame,   perche'  le  fattispecie  incriminatrici  sono
necessariamente   integrate   da   norme  extrapenali,  la  Corte  di
cassazione   ha   cosi'   statuito:  "Il  singolo  oggetto  materiale
dell'azione...  puo'  diventare  rilevante  quando, verificandosi una
successione  di  leggi,  taluno  degli  oggetti  materiali sia, dalla
vecchia   o   dalla   nuova  legge,  escluso  dalla  incriminazione",
cosicche',  come,  quando  un  imputato  sia  accusato  di detenzione
illecita  di  anfetamine in compresse, all'epoca del fatto ancora non
incluse,  pero',  nell'elenco  delle  sostanze  stupefacenti,  quella
detenzione  dev'essere  ritenuta  in  realta' lecita, con conseguente
assoluzione perche' il fatto non era previsto dalla legge come reato,
cosi', viceversa, laddove una persona sia processata per detenzione e
porto  illegale  di  arma  da  guerra,  ma quell'arma sia una pistola
Beretta  modello  34,  calibro  9  corto  -  in  virtu'  del  decreto
ministeriale  del  21 maggio 1990 iscritta, in sede di aggiornamento,
nel  Catalogo  nazionale delle armi comuni da sparo -, l'integrazione
del  precetto  penale  con  una  disposizione  piu' favorevole al reo
determina  l'applicazione  della nuova fattispecie, anche se al tempo
in  cui  fu  commesso il fatto lo stesso era diversamente qualificato
(Cass.    pen.,    sez. I,    11 marzo-4 agosto    1980,    Forth   e
30 gennaio-16 aprile 1991, n. 4339, Bardellinu).
    Tanto premesso, nel caso che qui occupa, ancorche' formalmente la
modifica  (eliminazione  dei  coliformi totali e fecali dalla tabella
penalmente rilevante e loro esclusivo inserimento in quelle valide ai
soli  fini  della  costruzione  di  fattispecie  integranti  illeciti
amministrativamente   sanzionati)   sia   stata   operata   con  atto
legislativo,  occorre  verificare se il Governo, nell'esercizio della
funzione nell'occasione delegatagli, abbia rispettato i principi ed i
criteri  direttivi  determinati  dal  delegante: occorre verificare -
perche' rilevante ai fini del giudizio di esecuzione in corso, tenuto
conto  dell'incidenza  che  l'attuale assenza d'incriminazione penale
dello  sversamento  di  coliformi  ha  anche  rispetto  alle condanne
irrevocabilmente  pronunciate  per  questo  tipo di condotte, benche'
oggi  amministrativamente  sanzionate  -  se il legislatore delegante
avesse  previsto  una depenalizzazione, sia pure parziale, in materia
di   tutela   dell'ambiente   e,  in  particolare,  della  protezione
dall'inquinamento mediante il trattamento delle acque reflue urbane.
    Il  decreto  legislativo  11 maggio  1999,  n. 152  e' intitolato
"Disposizioni   sulla   tutela   delle   acque   dall'inquinamento  e
recepimento  della  direttiva  91/271/CEE  concernente il trattamento
delle  acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla
protezione   delle  acque  dall'inquinamento  provocato  dai  nitrati
provenienti   da   fonti   agricole":  con  una  serie  di  leggi  di
delegazione,  infatti,  il  Parlamento  aveva  inteso temporaneamente
attribuire   l'esercizio   della   funzione  legislativa  al  Governo
affinche'   fosse   data   attuazione  alle  direttive  degli  organi
comunitarie,  fra  le  quali  alcune  specificamente  interessanti la
materia della tutela delle acque. Oltre alle direttive concernenti la
particolare  materia  in questione, il legislatore delegato ha dunque
fatto riferimento, in apertura del testo licenziato con pubblicazione
nel  supplemento  ordinario  n. 101/L alla Gazzetta Ufficiale - serie
generale  -  n. 124  del  29 maggio  1999,  anche  alle  leggi-delega
22 febbraio  1994,  n. 146,  6 febbraio  1996, n. 52, 24 aprile 1998,
n. 128,  5 gennaio  1994,  n. 36 e 15 marzo 1997, n. 59, le prime tre
direttamente interessanti la materia in oggetto.
    Dal  complessivo esame della normativa di riferimento mai emerge,
pero',  la  volonta'  del  legislatore  primario  di delegare una pur
parziale  depenalizzazione,  di  espungere  dall'ordinamento  vigente
fatti  specie incriminatrici o di restringere la portata di alcune di
esse;  al  contrario, ogni legge-cornice ha avuto cura di specificare
che  la  mira  del  delegato  doveva essere quella di perfezionare la
disciplina  antinquinamento,  mantenendo  lo  status quo per cio' che
concerne  la  sanzionabilita'  in  sede  penale  delle  condotte gia'
costituenti  reato  ed  inasprendo - se necessario ed in linea con le
direttive   comunitarie   -   il   sistema  sanzionatorio  penale  ed
amministrativo,  mai neppure abbassando i valori limite gia' previsti
dalla  legislazione  vigente,  laddove  le  direttive  da recepire li
avessero  prefigurati  in  misura  meno restrittiva di quella gia' in
vigore  nella  Repubblica. Il riordino della materia doveva, insomma,
determinare  un  rafforzamento  della tutela, giammai un abbassamento
della  guardia,  cosi' sotto il profilo delle previsioni strettamente
tecniche  come  sotto  l'aspetto  delle  sanzioni  da  applicare agli
inadempienti.  Richiamando  qui  -  senza  ripercorrere per intero la
variegata legislazione di delega, peraltro tutta intrisa di direttive
concernenti  la  conservazione  di  quanto  gia'  predisposto a ferma
tutela  del  bene  ambiente  e, la' dove necessario, il rafforzamento
delle  cautele  - soltanto le norme direttamente interessanti il tema
delle  misure  di  salvaguardia dall'inquinamento delle acque, devono
essere segnalati:
        l'art. 2   della   legge   22 febbraio   1994,  n. 146,  che,
intitolato  "Criteri  e  principi'  direttivi  generali  della delega
legislativa",  alla  lettera d) del primo comma espressamente prevede
"Salvi  gli  specfici  principi'  e  criteri  direttivi dettati negli
articoli  seguenti  ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive
da attuare, i decreti legislativi di cui all'art. 1 saranno informati
ai seguenti principi' e criteri generali: ... d) salva l'applicazione
delle   norme   penali   vigenti,   ove   necessario  per  assicurare
l'osservanza  delle  disposizioni  contenute nei decreti legislativi,
saranno  previste  sanzioni amministrative e penali per le infrazioni
alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti,
rispettivamente,   dell'ammenda  fino  a  lire  duecento  milioni  e'
dell'arresto  fino a tre anni, saranno previste, in via alternativa o
congiunta,  solo  nei  casi in cui le infrazioni ledano o espongano a
pericolo  interessi  generali  dell'ordinamento  interno  del tipo di
quelli  tutelati  dagli  articoli 34 35 della legge 24 novembre 1981,
n. 689.   In   tali  casi  saranno  previste:  la  pena  dell'ammenda
alternativa  all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o
danneggino  l'interesse  protetto;  la  pena dell'arresto congiunta a
quella  dell'ammenda  per  le  infrazioni  che  recano  un  danno  di
particolare gravita'. La sanzione amministrativa del pagamento di una
somma,  non  inferiore  a  lire  cinquantamila e non superiore a lire
duecento  milioni,  sara'  prevista  per  le  infrazioni che ledano o
espongano   a   pericolo  interessi  diversi  da  quelli  suindicati.
Nell'ambito  dei  limiti  minimi  e  massimi  previsti,  le  sanzioni
suindicate saranno determinate nella loro entita' tenendo conto della
diversa  potenzialita'  lesiva  dell'interesse  protetto che ciascuna
infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del
colpevole,  comprese  quelle  che  impongano  particolari  doveri  di
prevenzione,   controllo   o   vigilanza,   nonche'   del   vantaggio
patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole o alla persona
o  ente  nel  cui  interesse  egli agisce. In ogni caso, in deroga ai
limiti  sopra  indicati,  per  le  infrazioni  alle  disposizioni dei
decreti legislativi saranno previste sanzioni penali o amministrative
identiche  a  quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti
per  violazioni  che  siano  omogenee e di pari offensivita' rispetto
alle infrazioni medesime".
    Oltre  alla  specifica  clausola  di  salvezza della preesistente
normativa penale, risulta di rilievo anche l'ulteriore specificazione
secondo  la  quale  l'eventuale, ulteriore e necessaria previsione di
sanzioni penali avrebbe potuto prevedere l'applicazione alternativa o
congiunta  della  pena detentiva e di quella pecuniaria proprio nelle
materie  gia'  escluse  dalla  prima  grande  depenalizzazione che ha
inciso sul sistema penale dal 1980 ad oggi: "Le sanzioni penali, ...,
saranno  previste,  in  via alternativa o congiunta, solo nei casi in
cui  le  infrazioni  ledano o espongano a pericolo interessi generali
dell'ordinamento  interno  dei tipo di quelli tutelati dagli articoli
34  e  35 della legge 24 novembre 1981, n. 689."; e l'art. 34 citato,
alla  lettera  g),  prevede  esattamente - espressamente escludendola
dalla  depenalizzazione  -,  "la  legge 10 maggio 1976, n. 319, sulla
tutela delle acque dall'inquinamento;" (cui, invece, come si e' visto
e  si  vedra'  piu'  avanti,  avendo il legislatore delegato ritenuto
addirittura di interamente abrogarla, si impedisce ora di ottemperare
a quella che era la sua funzione di massima protezione).
    Ancora,  risulta  assai  significativo  l'espresso  riferimento a
quanto  gia'  in  vigore  nel momento in cui il delegante indicava al
Governo  come  avrebbe  dovuto  comportarsi in presenza di violazioni
omogenee  e  di  pari  offensivita'  rispetto  a quelle gia' prese in
considerazione dall'ordinamento italiano: "In ogni caso, in deroga ai
limiti  sopra  indicati,  per  le  infrazioni  alle  disposizioni dei
decreti legislativi saranno previste sanzioni penali o amministrative
identiche  a  quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti
per  violazioni  che  siano  omogenee e di pari offensivita' rispetto
alle  infrazioni  medesime.":  lungi  dal  dover  essere  eliminato o
ridotto,   il   preesistente,   penalmente   rilevante,  poteva  anzi
costituire  modello  da  imitare  in  deroga  -  sfavorevole al reo -
persino  rispetto  ai limiti di pena che, cosi' come introdotti dalla
legge  delega,  fossero  risultati troppo blandi al cospetto di nuove
violazioni equiparabili, quanto a gravita', a quelle gia' sanzionate;
        l'art. 7  della  legge  22 febbraio  1994,  n. 146, che, piu'
specificamente  prevedendo  la  "Delega  al Governo per la disciplina
sanzionatoria    di   violazioni   di   disposizioni   comunitarie.",
specificamente   prescrive:  "1.  Al  fine  di  assicurare  la  piena
integrazione  delle  norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il
Governo, salve le norme penali vigenti, e' delegato ad emanare, entro
due  anni  dalla  data  di  entrata  in  vigore della presente legge,
disposizioni   recanti   sanzioni  penali  o  amministrative  per  le
violazioni  di  direttive  delle  comunita' europee, attuate ai sensi
della  presente  legge  in  via  regolamentare o amministrativa, e di
regolamenti  comunitari  vigenti alla data di entrata in vigore della
presente legge. 2. La delega sara' esercitata con decreti legislativi
adottati  a norma dell'art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su
proposta  del  Ministro  della giustizia, di concerto con il Ministro
per  il  coordinamento  delle  politiche  comunitarie  e dei Ministri
competenti  per  materia,  che si informeranno ai principi' e criteri
direttivi  di  cui  all'art. 2,  comma  1, lettera d), della presente
legge.".
    Il  Parlamento non lascia dunque spazio a dubbi interpretativi in
merito  alla  necessita'  che,  anche nel dare attuazione alla delega
inerente  alla disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni
comunitarie,   il   Governo  avrebbe  dovuto  rispettare  i  suddetti
principi' e criteri direttivi che espressamente prevedono la salvezza
delle   norme   penali   preesistenti   nella   loro  interezza,  con
possibilita', semmai, di loro integrazione, ma mai di abrogazione;
        l'art. 3  della legge 6 febbraio 1996, n. 52, che, intitolato
"Criteri  e  principi' direttivi generali della delega legislativa.",
ancora  sottolinea:  "1.  Salvi  gli  specfici  principi'  e  criteri
direttivi  stabiliti  negli articoli seguenti ed in aggiunta a quelli
contenuti  nelle  direttive  da attuare, i decreti legislativi di cui
all'art. 1   saranno   informati  ai  seguenti  principi'  e  criteri
generali: ... c) salva l'applicazione delle norme penali vigenti, ove
necessario  per  assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute
nei  decreti  legislativi, saranno previste sanzioni amministrative e
penali  per  le  infrazioni  alle disposizioni dei decreti stessi. Le
sanzioni  penali,  nei  limiti,  rispettivamente, dell'ammenda fino a
lire  duecento  milioni  e  dell'arresto  fino  a  tre  anni, saranno
previste,  in  via  alternativa  o congiunta, solo nei casi in cui le
infrazioni   ledono   o   espongono  a  pericolo  interessi  generali
dell'ordinamento  interno  del tipo di quelli tutelati dagli articoli
34  e  35  della legge 24 novembre 1981, n. 689. ... In ogni caso, in
deroga  ai limiti sopra indicati, per le infrazioni alle disposizioni
dei   decreti   legislativi   saranno   previste  sanzioni  penali  o
amministrative  identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle
leggi  vigenti  per  le  violazioni  che  siano  omogenee  e  di pari
offensivita' rispetto alle infrazioni medesime.
    E'  agevole  verificare  che,  anche  in  questo caso, valgono le
medesime  considerazioni  svolte con riguardo alla legge n. 146/1994,
cosi' come per la norma che segue;
        l'art. 7  della  legge  6 febbraio  1996,  n. 52,  intitolato
"Delega  al  Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di
comunitarie.",  che  recita  "1.  Al  fine  di  assicurare  la  piena
integrazione  delle  norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il
Governo, salve le norme penali vigenti, e' delegato ad emanare, entro
un  anno  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della presente legge,
disposizioni   recanti   sanzioni  penali  o  amministrative  per  le
violazioni  di  direttive  delle  Comunita' europee, attuate ai sensi
della  presente  legge  in  via  regolamentare o amministrativa, e di
regolamenti  comunitari  vigenti alla data di entrata in vigore della
presente legge. 2. La delega sara' esercitata con decreti legislativi
adottati  a norma dell'art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su
proposta  del  Ministro  della giustizia, di concerto con il Ministro
per  il  coordinamento  delle  politiche  dell'Unione  europea  e dei
Ministri  competenti  per materia, che si informeranno ai principi' e
criteri  direttivi  di  cui  all'art. 3,  comma  1, lettera c), della
presente legge.";
        l'art. 2  della  legge 24 aprile 1998, n. 128, che, anch'esso
intitolato  "Criteri  e  principi'  direttivi  generali  della delega
legislativa.",  pure  prevede  "1.  Salvi  gli  specfici  principi' e
criteri  direttivi stabiliti negli articoli seguenti ed in aggiunta a
quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di
cui  all'art. 1  saranno  informati  ai  seguenti principi' e criteri
direttivi  generali:  c)  salva  l'applicazione  delle  norme  penali
vigenti,   ove   necessario   per   assicurare   l'osservanza   delle
disposizioni  contenute  nei  decreti  legislativi,  saranno previste
sanzioni  amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni
dei  decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente,
dell'ammenda  fino  a lire duecento milioni e dell'arresto fino a tre
anni, saranno previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi
in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi generali
dell'ordinamento  interno  del tipo di quelli tutelati dagli articoli
34  e  35  della legge 24 novembre 1981, n. 689. ... In ogni caso, in
deroga  ai limiti sopra indicati, per le infrazioni alle disposizioni
dei   decreti   legislativi   saranno   previste  sanzioni  penali  o
amministrative  identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle
leggi  vigenti  per  le  violazioni  che  siano  omogenee  e  di pari
offensivita' rispetto alle infrazioni medesime; ...".
    L'ostinazione con la quale il Parlamento insiste nel prevedere la
salvezza  del  preesistente  penalmente  rilevante fa pensare, per un
verso,  che  anche  qui  ci si trovi di fronte ad una "preoccupazione
principe";   per  altro,  che  proprio  nulla  di  quanto  prima  era
sanzionato  penalmente  avrebbe  dovuto  essere  toccato  in  sede di
riordinamento della materia;
        l'art. 8  della legge 24 aprile 1998, n. 128, che, intitolato
"Delega  al  Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di
disposizioni comunitarie.", ancora una volta specifica "1. Al fine di
assicurare    la   piena   integrazione   delle   norme   comunitarie
nell'ordinamento  nazionale,  il Governo, fatte salve le norme penali
vigenti, e' delegato ad emanare, entro due anni dalla data di entrata
in  vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali
o  amministrative  per  le  violazioni  di  direttive delle Comunita'
europee  attuate in via regolamentare o amministrativa ai sensi della
legge  22 febbraio  1994, n. 146, della legge 6 febbraio 1996, n. 52,
nonche'  della  presente  legge  e  per  le violazioni di regolamenti
comunitari  vigenti  alla  data  di  entrata in vigore della presente
legge.  2. La delega e' esercitata con decreti legislativi adottati a
norma  dell'art. 14  della  legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta
del  Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro competente
per  il  coordinamento  delle  politiche  comunitarie, e del Ministro
della giustizia, di concerto con i ministri competenti per materia; i
decreti  legislativi si informeranno ai principi' e criteri direttivi
di cui all'art. 2, comma 1, lettera c).";
        il  combinato  disposto  degli  articoli  10 e 17 della legge
24 aprile 1998, n. 128.
    L'art. 10,  intitolato  al "Riordinamento normativo nelle materie
interessate    dalle   direttive   comunitarie",   prevede   si'   il
coordinamento   delle   norme   vigenti   con  quelle  da  introdurre
nell'ordinamento mediante il recepimento delle sopravvenute direttive
cumunitarie    (peraltro    prevedendo   soltanto   "integrazioni   e
modificazioni necessarie al predetto coordinamento", ma e' seguito ed
espressamente   richiamato  dall'art. 17,  secondo  il  quale,  nella
specifica  materia della "Tutela delle acque dall'inquinamento", "...
2.  In  sede  di  recepimento  delle direttive di cui al comma 1 sono
apportate    le   modificazioni   ed   integrazioni   necessarie   al
coordinamento  ed  al  riordino della normativa vigente in materia di
tutela  delle  acque  dall'inquinamento,  secondo le modalita' di cui
all'art. 10, assicurando: ... b) l'adozione di sistemi predeterminati
di  liquidazione del danno ambientale per la prevenzione e il ristoro
dello   stesso,  la  revisione  del  relativo  sistema  sanzionatorio
prevedendo, insieme al riordino delle sanzioni penali, l'introduzione
e l'applicazione di adeguate sanzioni amministrative. Il riordino del
sistema  sanzionatorio  della  tutela  delle  acque dall'inquinamento
potra'   avvenire   mediante  l'introduzione  di  sanzioni  penali  e
amministrative,  nel  rispetto  dei principi' e dei criteri direttivi
indicati nell'art. 2, comma 1, lettera c), ma con sanzioni penali nei
limiti  rispettivamente  dell'ammenda  fino  a  lire  500  milioni  e
dell'arresto  fino  a  cinque anni, e con sanzioni amministrative del
pagamento  di una somma non inferiore a lire 500 mila e non superiore
a lire 500 milioni; ...".
    Ragionando  in  direzione  esattamente  opposta  a  quella  della
depenalizzazione,  il  Parlamento ha dunque chiaramente indicato che,
in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, la risposta dello
Stato  dev'essere  particolarmente  rigorosa,  addirittura  piu'  che
raddoppiando  i  limiti di pena genericamente previsti dal precedente
art. 2 e dalle precedenti leggi-delega.
    Ma  v'e'  di  piu':  il  delegante  e' stato anche attentissimo a
specificare  ripetutamente  che  anche  i  valori  limite  gia' dalla
legislazione italiana previsti per lo scarico di sostanze non possono
essere  ridotti in sede di recepimento delle direttive comunitarie, a
conferma  della  ferma  volonta'  di  adeguarsi si' alla legislazione
europea,  ma sempre e soltanto quando questa risulti piu' drastica di
quella italiana previgente, mai quando determini un ridimensionamento
della   risposta   alla   messa   in  pericolo  dell'ambiente  e,  in
particolare,  per  quanto  qui  interessa,  delle  acque. Se e' vero,
infatti,  che  l'art. 17  della  legge  24 aprile  1998, n. 128 cosi'
prosegue:  "...  2.  In sede di recepimento delle direttive di cui al
comma 1 sono apportate le modificazioni ed integrazioni necessarie al
coordinamento  ed  al  riordino della normativa vigente in materia di
tutela  delle  acque  dall'inquinamento,  secondo le modalita' di cui
all'art. 10,   assicurando:   ...   c)  il  rispetto  dei  limiti  di
accettabilita'  degli  scarichi e dei parametri di qualita' dei corpi
idrici  ricettori definiti dalla normativa europea, nel senso che non
puo'  derogarsi ai limiti ivi previsti con valori meno restrittivi;",
e'  pure  vero  che il Parlamento gia' aveva espressamente precisato,
nell'art. 36  della legge 22 febbraio 1994, n. 146, che "L'attuazione
delle direttive in materia di tutela delle acque dall'inquinamento...
sara'  informata  ai  seguenti principi' e criteri direttivi: ...; b)
mantenimento  dei  livelli  di  protezione  ambientale previsti dalla
normativa  nazionale,  ove  piu'  rigorosi  di quelli derivanti dalla
normativa   comunitaria;",   e,   nel   successivo   art. 37,   aveva
specificatamente  ribadito  che  "L'attuazione  della  direttiva  del
Consiglio  91/271/CEE,  concernente il trattamento delle acque riflue
urbane,  sara'  informata  ai  seguenti ulteriori principi' e criteri
direttivi:  ...".  E' allora veramente arduo ritenere che il Governo,
escludendo  i  coliformi  totali e fecali dalla Tabella inerente alle
sostanze  il  cui sversamento fuori di limiti predeterminati comporta
l'applicazione   di  sanzioni  penali,  abbia  rispettato  la  delega
conferitagli;  cio'  soprattutto  perche',  a  ribadire l'intento del
legislatore   primario,   v'e'  anche  il  secondo  comma,  lett. a),
dell'art. 17,  legge  n. 128/1998  gia'  citato, secondo il quale "In
sede  di recepimento delle direttive di cui al comma 1 (la 91/271/CEE
e  la  91/676/CEE)  sono  apportate  le modificazioni ed integrazioni
necessarie...,  assicurando:  a)  una incisiva ed effettiva azione di
tutela  della acque attraverso l'adozione di misure volte alla tutela
quantitativa   della   risorsa   e   alla   prevenzione  e  riduzione
dell'inquinamento  idrico, ivi compreso il ricorso ...., a meccanismi
incentivanti per il perseguimento degli obiettivi, alla diffusione di
un diffuso ed effettivo sistema di controlli preventivi e successivi,
....",  ed  e' evidente che non risulta ossequiosa di questa politica
legislativa  l'eliminazione,  sia  pure  parziale, della tipologia di
sanzione  che  maggiormente  esercita,  per  sua natura, una funzione
incentivante verso il rispetto dell'ambiente.
    D'altra  parte,  che  precisamente  volta  ad  assicurare  sempre
maggior tutela in materia sia stata l'azione del Parlamento, e che il
legislatore  primario  abbia  voluto  riservare  a  se'  ogni diversa
valutazione,  evitando il ricorso ad una delegazione "aperta", che in
presenza  di  nuove  direttive  europee,  e' dimostrato dal contenuto
dell'art.  3, terzo comma, legge 10 maggio 1976, n. 319, con il quale
ritenne  di  esercitare  un preventivo e severo controllo persino con
riguardo  ai  valori  dei  limiti  di  accettabilita'  degli scarichi
introdotti  con  la  stessa  legge "Merli": al Comitato dei Ministri,
costituito  dai  Ministri  per  i  lavori  pubblici,  per  la  marina
mercantile  e  per  la sanita', cui aveva attribuito la competenza ad
esercitare  le  funzioni  di  cui al precedente art. 2, il Parlamento
demando' un ulteriore compito: "Dopo otto anni dall'entrata in vigore
della  presene legge, il Comitato suddetto puo' provvedere, di intesa
con  le  regioni,  con  decreto  del  Presidente  della Repubblica, a
modificare  i valori contenuti nella tabella A allegata alla presente
legge,   per   adeguarli   alle  nuove  acquisizioni  scientifiche  e
tecnologiche.  Ulteriori  eventuali  modifiche  ai  valori  tabellari
suddetti  potranno  essere  apportate  ad  intervalli  di  tempo  non
inferiori  a  quattro  anni.  Lo stesso Comitato dei ministri puo' in
ogni  momento  provvedere con decreto del Presidente della Repubblica
ad  adeguare  i valori dei limiti di accettabilita' degli scarichi di
cui  alle tabelle A e C della presente legge ai corrispondenti valori
definiti  dalle apposite direttive della Comunita' economica europea,
qualora questi ultimi valori risultino piu' restrittivi.".:
    Mai,  insomma, il recepimento delle direttive comunitarie avrebbe
potuto  determinare  un  affievolimento  della  tutela apprestata dal
legislatore  italiano,  neppure  in  termini  di riduzione dei valori
ritenuti  inquinanti,  e da nulla s'evince che, rilasciando, in epoca
successiva,  le suddette deleghe, il Parlamento aia voluto derogare a
quel  principio,  autorizzando il Governo non ad un mero adeguamento,
bensi'  al  sostanziale  azzeramento  dei  valori  limite, con totale
abrogazione,  insieme  con l'intera legge "Merli", delle tabelle alla
stessa  allegate e richiamate dalla fattispecie penale incriminatrice
del suo art. 21.
    Escluso  che  la  delega complessiva (tutt'altro che ampia) possa
giustificare  l'abrogazione  completa della legge n. 319/1976, con il
travolgimento  dell'art.  21 e l'espunzione, dalle tabelle penalmente
rilevanti,  di  quelle  sostanze  che  mai  avrebbero  potuto  essere
modificate  dal  Governo,  se  non con riguardo ai valori nell'ambito
delle  stesse  previste  e con le precise garanzie di cui all'art. 3,
terzo  comma,  dev'essere in questa sede ribadito che la questione in
esame  assume  rilievo  nel  presente giudizio di esecuzione poiche',
dalla  violazione  della  delega,  e'  dipesa  una modificazione ella
normativa  tale  da  determinare  l'assenza di punibilita' penale dei
fatti  pregressi  e,  quindi.  la revocabilita' della sentenza con la
quale  Putignano  Raffaele  fu  condannato per aver superato i valori
limite  riferiti  ai  coliformi totali e fecali; e poiche' trattasi -
per quanto sopra esposto - di questione non manifestamente infondate,
essendo  palese  l'eccesso  di  delega  che ha viziato l'introduzione
della  nuova  normativa,  gli atti devono essere trasmessi alla Corte
costituzionale,  con  contestuale sospensione del giudizio in corso e
notificazioni e comunicazioni previste dalla legge.