ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
5 novembre   1998   relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dal  deputato  Vittorio Sgarbi, nei confronti di Gianfranco
Amendola,  promosso  dal  tribunale di Roma con ricorso depositato il
12 gennaio  2001  ed  iscritto  al n. 175 del registro ammissibilita'
conflitti.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 4 aprile 2001 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  avanti  al  tribunale  di  Roma pende procedimento
civile  per  risarcimento  danni  promosso  dal magistrato Gianfranco
Amendola  nei  confronti  del  deputato Vittorio Sgarbi, a seguito di
espressioni   ritenute   offensive  e  diffamatorie  da  quest'ultimo
pronunciate  nel  corso di una trasmissione televisiva andata in onda
in data 8 aprile 1993;
        che  la  Camera  dei  deputati, con deliberazione adottata in
Assemblea  il  5 novembre 1998, difforme rispetto alla proposta della
Giunta    per    le   autorizzazioni   a   procedere,   ha   ritenuto
l'insindacabilita'  di  tali espressioni ai sensi dell'art. 68, primo
comma, della Costituzione;
        che con ricorso in data 22 novembre 2000 il tribunale di Roma
ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato nei
confronti  della  Camera  dei  deputati  in  relazione  alla predetta
delibera;
        che il tribunale ricorrente, richiamando la giurisprudenza di
questa Corte, rileva che le opinioni del parlamentare rientrano nella
previsione  dell'art. 68 della Costituzione solo se "legate da "nesso
funzionale  con  le  attivita' svolte "nella qualita' di membro delle
Camere"  e  quindi  espresse "nel corso dei lavori della Camera e dei
suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi tra
le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti,
anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie
del parlamentare in quanto membro dell'Assemblea", mentre l'attivita'
politica  svolta  dal parlamentare al di fuori di questo ambito esula
dalla  sfera di applicazione dell'art. 68 della Costituzione e la sua
insindacabilita'   si  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale,
"finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale
di  favore  quanto  all'ambito  e  ai  limiti  della loro liberta' di
manifestazione del pensiero";
        che  il significato della funzione parlamentare - prosegue il
tribunale   -   non   puo'  essere  dilatato  sino  a  ricomprendervi
l'attivita'   politica   svolta   in  qualsiasi  sede  e  neppure  e'
sufficiente  che  la  dichiarazione  possa trovare collocazione in un
contesto  genericamente  politico, in quanto il "nesso funzionale" va
inteso  "come  identificabilita'  della  dichiarazione  stessa  quale
espressione di attivita' parlamentare";
        che  il ricorrente rileva che la Giunta per le autorizzazioni
a   procedere,  nell'esprimere  parere  negativo  alla  richiesta  di
insindacabilita',  aveva affermato che "... proprio la dignita' delle
prerogative  parlamentari  impone  di  non "coprire attraverso queste
l'ingiuria  e  l'offesa  personale,  in  quanto la salvaguardia della
liberta'  di  pensiero  deve  tener conto dell'esigenza di rispettare
l'altrui  diritto all'onore e al decoro. Espressioni che sono insulto
gratuito  e  personale  nulla  hanno  a  che  vedere  con la funzione
parlamentare.  Se  cosi'  fosse,  "l'insindacabilita' significherebbe
permettere di insultare, diffamare e offendere chiunque";
        che  il  ricorrente  conclude  che  la deliberazione adottata
dall'Assemblea   in   data   5 novembre   1998   non   e'   "conforme
all'ordinamento   costituzionale   (art. 68  Cost.)"  e  deve  essere
annullata.
    Considerato   che   in   questa   fase   la   Corte  e'  chiamata
preliminarmente   a   decidere,   senza   contraddittorio,   a  norma
dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
se  il  ricorso  sia  ammissibile,  in  quanto  esista  materia di un
conflitto   la   cui  risoluzione  spetti  alla  sua  competenza,  in
riferimento  ai requisiti soggettivi e oggettivi richiamati dal primo
comma dello stesso articolo, impregiudicata ogni decisione definitiva
anche sull'ammissibilita';
        che  il  tribunale  di  Roma  e'  legittimato  a sollevare il
conflitto,  in  quanto organo competente a dichiarare definitivamente
la  volonta'  del  potere  cui  appartiene nell'ambito delle funzioni
giurisdizionali  ad  esso  attribuite in relazione al giudizio civile
pendente  per  risarcimento  dei  danni, in conformita' al principio,
ripetutamente  affermato  da questa Corte, secondo il quale i singoli
organi  giurisdizionali,  svolgendo  le loro funzioni in posizione di
piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono legittimati ad
essere parte nei conflitti di attribuzione;
        che,  parimenti,  la  Camera  dei  deputati e' legittimata ad
essere  parte  nel  presente conflitto, in quanto organo competente a
dichiarare  definitivamente la volonta' del potere che rappresenta in
ordine    all'applicabilita'   dell'art. 68,   primo   comma,   della
Costituzione;
        che,  per  quanto attiene al profilo oggettivo del conflitto,
il  tribunale  di  Roma  lamenta  la  lesione  della propria sfera di
attribuzione    costituzionalmente    garantita,    in    conseguenza
dell'esercizio,  ritenuto  illegittimo  per  erroneita'  dei relativi
presupposti,  del  potere,  spettante  alla  Camera  dei deputati, di
dichiarare  l'insindacabilita',  a  norma  dell'art. 68, primo comma,
Cost., delle opinioni espresse dai propri membri nell'esercizio delle
loro funzioni;
        che   dall'ordinanza   possono   ricavarsi   le  "ragioni  di
conflitto"  e le "norme costituzionali che regolano la materia", come
richiesto  dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.