IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nell'ambito del procedimento penale a carico di Cimminiello Rosario, in stato di detenzione carceraria per tale procedimento; Letti gli atti, O s s e r v a Nel corso degli atti introduttivi del dibattimento a carico di Cimminiello Rosario, sulla richiesta dei difensori dell'imputato di applicare, all'esito del giudizio, la riduzione di pena prevista per il rito abbreviato, il p.m. ha sollecitato questo tribunale a verificare se la nuova disciplina legislativa del giudizio abbreviato sia o meno conforme a Costituzione, con particolare riferimento alla mancata previsione del potere per il giudice del dibattimento di applicare, all'esito del giudizio, la riduzione di pena prevista dall'art. 442, comma 2, c.p.p., nel caso in cui ritenga di non condividere la decisione del giudice per le indagini preliminari di rigettare la richiesta di giudizio abbreviato, subordinata dall'imputato ad integrazione probatoria. Ritiene il collegio, preliminarmente, che la dedotta questione di legittimita' costituzionale, da approfondire e precisare nei suoi profili, debba ritenersi rilevante. Nel caso in esame l'imputato, nel termine previsto dall'art. 458, primo comma c.p.p., chiedeva al giudice per le indagini preliminari che il procedimento a suo carico venisse definito attraverso il ricorso al rito alternativo del giudizio abbreviato, subordinato, ai sensi dell'art. 438, quinto comma, c.p.p., alla integrazione probatoria della escussione delle persone offese, le quali avrebbero dovuto riferire sull'avvenuto risarcimento del danno da parte del prevenuto. Il giudice per le indagini preliminari rigettava la richiesta, ritenendo che, ai fini della decisione, la richiesta integrazione probatoria non fosse necessaria, rinviando a giudizio l'imputato. Orbene la rilevanza della questione nasce dal fatto che, nonostante potesse essere disposto il giudizio abbreviato, in quanto l'integrazione probatoria richiesta aveva una propria rilevanza ai fini della decisione, incidendo sulla valutazione che il giudice avrebbe dovuto svolgere sulla personalita' dell'imputato, in relazione all'entita' della pena da infliggere, ove ne avesse riconosciuta la responsabilita', la mancata previsione di un controllo sul provvedimento negativo del giudice per le indagini preliminari, rappresenta un ostacolo per il giudice del dibattimento a riconoscere, all'esito del giudizio, il diritto dell'imputato ad ottenere la riduzione di pena prevista dall'art. 442 del codice di rito. Tanto premesso la dedotta questione di legittimita' costituzionale deve ritenersi non manifestamente infondata. Al riguardo si osserva che, nella vigenza del precedente ordinamento processuale, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 23 del 31 gennaio 1992, era intervenuta sulla disciplina del giudizio abbreviato, dichiarando la illegittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, degli artt. 438, 439, 440 e 442, c.p.p., nel loro combinato disposto, nonche' degli artt. 458, primo e secondo comma, e 464, primo comma, c.p.p., nella parte in cui non prevedevano che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, il giudice, all'esito del dibattimento, ritenendo che il processo potesse essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari, avesse il potere di applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma dello stesso codice. La Corte si trovava ad affrontare il caso in cui, pur essendo intervenuto il consenso del pubblico ministero alla richiesta dell'imputato di definire il procedimento attraverso il giudizio abbreviato, il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto che il processo non potesse essere definito allo stato degli atti, rigettando la richiesta di giudizio abbreviato. Pur trattandosi di fattispecie concreta diversa da quella presa in considerazione in analoga pronuncia di incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442, c.p.p., (cfr. sentenza n. 81 del 1991), originata dal dissenso del pubblico ministero rispetto alla richiesta dell'imputato, rilevava la Corte che anche in questo caso veniva in discussione un profilo di carattere sostanziale "perche' dall'ammissione al rito abbreviato deriva la possibilita' per l'imputato di fruire di una consistente riduzione di pena". Di conseguenza "come nel caso di conflitto tra imputato e pubblico ministero circa l'ammissibilita' del rito abbreviato, in cui la Corte ha ritenuto che la controversia sulla pretesa dell'imputato non potesse essere definita all'interno dell'udienza preliminare, deve ritenersi che, qualora nonostante l'adesione del pubblico ministero, la pretesa stessa non venga soddisfatta dal giudice per le indagini preliminari, non possa spettare a questi l'ultima parola, in modo preclusivo, sulla decidibilita' allo stato degli atti, con una pronuncia che, senza possibilita' di con trollo, incide sulla misura della pena". Ad avviso del Giudice delle leggi, riconoscere esclusivamente al giudice per le indagini preliminari il potere di decidere sulla definibilita' del processo allo stato degli atti e, quindi, in definitiva, sulla applicazione della riduzione di pena prevista per il giudizio abbreviato, in mancanza di una disposizione normativa che consenta al giudice del dibattimento di sindacare la determinazione del giudice per le indagini preliminari contraria all'adozione del rito abbreviato, sottraendo a quest'ultimo "un controllo diretto a verificare la sussistenza del presupposto della decidibilita' allo stato degli atti, limiterebbe in modo irragionevole il diritto di difesa dell'imputato, nell'ulteriore svolgimento del processo, su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale". Alle stesse critiche si espone l'attuale disciplina del giudizio abbreviato. Ed invero la riforma attuata dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, ha profondamente modificato la struttura di questo rito alternativo, oggi rimesso esclusivamente alla iniziativa dell'imputato, non essendo piu' previsto il consenso del pubblico ministero. Diversa e' la posizione del giudice: se l'art. 440, primo comma, c.p.p., abrogato dalla legge n. 479 del 1999, condizionava l'accesso dell'imputato al giudizio abbreviato alla valutazione di definibilita' del processo allo stato degli atti, con la riforma non si riconosce al giudice alcun potere di preventiva valutazione sulla decidibilita' del processo allo stato degli atti, imponendogli l'art. 438, comma 4, c.p.p., di disporre il giudizio abbreviato, una volta intervenuta la richiesta dell'imputato, pronunciando ordinanza. La non definibilita' del processo allo stato degli atti, nella nuova disciplina, diventa un "accidente" del giudizio abbreviato, che autorizza il giudice, anche d'ufficio, ad assumere gli elementi necessari ai fini della decisione, a svolgere, cioe', una vera e propria attivita' di assunzione probatoria, secondo quanto previsto dall'art. 441, quinto e sesto comma, del codice di rito. In questo (e, come, si vedra' piu' avanti nella possibilita', per l'imputato, di subordinare la richiesta di rito alternativo ad integrazione probatoria), risiede la vera e propria riformulazione sistematica dell'istituto: da giudizio "a prova bloccata", che, fondato sulla definibilita' allo stato degli atti, presuppone la completezza di un compendio probatorio idoneo a rendere possibile la pronuncia di merito ed insuscettibile di approfondimenti dibattimentali, a giudizio consentito anche in presenza di quelle integrazioni probatorie, considerate, in origine, incompatibili con la definibilita' allo stato degli atti del processo. Al giudice, tuttavia, viene restituito il potere di "bloccare" l'accesso al giudizio abbreviato, quando la richiesta di giudizio abbreviato sia condizionata dall'imputato ad una integrazione probatoria, giusto il disposto dell'art. 438, quinto comma, c.p.p., introdotto dalla legge n. 479 del 1999. In questo caso, infatti, il giudice dispone il giudizio abbreviato solo se l'integrazione probatoria risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalita' di economia processuale proprie del procedimento. Pur riguardando una condizione di ammissibilita' del giudizio abbreviato completamente diversa (la necessita' dell'integrazione probatoria ai fini della decisione ovvero la sua compatibilita' con la "semplicita'" del rito alternativo e non la definibilita' del processo allo stato degli atti), il preventivo potere di valutazione riconosciuto dalla "novella" del 1999 al giudice, si espone alle stesse osservazioni critiche formulate dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 23 del 1992. Si tratta, anche in questo caso, infatti, di un potere sottratto ad ogni verifica da pane del giudice per il dibattimento sulla correttezza della decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari ritiene non necessaria l'integrazione probatoria richiesta dall'imputato (ovvero non conciliabile con le finalita' di economia processuale tipiche del rito alternativo), rigettando la richiesta di giudizio abbreviato, pronuncia che incide, senza possibilita' di controllo, sulla misura della pena e che, di conseguenza, limita in maniera irragionevole il diritto di difesa dell'imputato. Nel silenzio del legislatore sul punto, appare, dunque, opportuno sollecitare l'intervento della Corte, perche' voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 438, 441 e 442, c.p.p., per violazione dei principi costituzionali di coerenza e ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.) e di tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nella parte in cui non prevedono che il giudice del dibattimento possa applicare, all'esito del giudizio, la diminuzione di pena prevista dall'art. 442, c.p.p., ove ritenga ingiustificata o comunque erronea la decisione con cui il giudice per le indagini preliminari abbia rigettato la richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione, ritenendola non necessaria ovvero non conciliabile con le finalita' di economia processuale proprie del rito alternativo. Non sembra, infatti, a questo giudice di poter pervenire, per mera via interpretativa, alla soluzione che si propone, applicando sic et simpliciter alla nuova disciplina del giudizio abbreviato i principi enunciati dalla Corte costituzionale nelle sentenze richiamate in precedenza, non solo perche' sono state inserite nell'ordinamento processuale, dalla legge di riforma del 1999, nuove disposizioni normative, che hanno radicalmente mutato la struttura del giudizio abbreviato, ed, in particolare, i poteri del giudice sulla richiesta formulata dall'imputato, ma anche per la necessita' di sottoporre alla verifica del Giudice delle leggi la correttezza, sotto il profilo dei principi costituzionali che si assumono violati, della ritenuta equiparazione tra i poteri del giudice per le indagini preliminari previsti dall'art. 438, quinto comma, come novellato, e quelli che spettavano allo stesso giudice, ai sensi dell'art. 440, primo comma, c.p.p., ormai abrogato.