IL TRIBUNALE Ordinanza ex artt. 134 Cost. e 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87. Sulla eccezione di legittimita' costituzionale degli artt. 197, lettera a), c.p.p. con riferimento agli artt. 3, 24, 101, secondo comma, 111 e 112 della Costituzione, sollevata dal p.m. all'udienza dell'8 febbraio 2001. O s s e r v a Si procede con giudizio ordinario nei confronti degli imputati indicati nell'allegato elenco ed in relazione ai capi di imputazione ivi riportati, a seguito della separazione delle posizioni relative agli imputati che hanno chiesto procedimenti speciali o le cui posizioni sono state definite con sentenza di estinzione del reato. Le richieste probatorie effettuate dal p.m. per sostenere l'accusa in giudizio sono costituite dall'esame di alcuni testimoni e di numerosi imputati in procedimento connesso, di cui alcuni originariamente coimputati, nonche' dall'esame delle pratiche edilizie in sequestro e delle intercettazioni telefoniche ed ambientali. Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, venivano esaminati alcuni testimoni; questi ultimi riferivano su circostanze frammentarie relative all'intera vicenda; l'esame delle deposizioni dei testi, della documentazione in sequestro relativa alla pratiche edilizie e delle intercettazioni telefoniche e ambientali non pare consentire una ricostruzione completa delle vicende processuali per cui e' causa. Come, infatti, si evince dallo stesso esame dei capi di imputazione, ove in calce ad ogni singolo capo sono indicate le fonti di prova, in relazione alle contestazioni la parte preponderante delle prove a carico e' costituita dagli interrogatori degli imputati, di cui ora alcuni imputati in procedimenti connessi, e dagli interrogatori di soggetti gia' originariamente imputati in procedimenti connessi. La maggior parte di costoro (Puttilli, Premoli, Perduca, Naymo, Pizzoccheri, Manfredini, Mazzetti) comparivano in udienza e dichiaravano di avvalersi della facolta' di non rispondere, non accettando di sottoporsi all'esame da parte del p.m. e dei difensori. Il p.m. chiedeva di darsi lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dagli imputati in procedimento connesso nella fase delle indagini ed i difensori degli imputati negavano il consenso, ad eccezione del difensore di Buzzi (che fin dall'inizio aveva consentito all'acquisizione dei verbali di interrogatorio degli imputati in procedimento connesso Puttili Alberto, Raffinetti Riccardo e Rovere Umberto, ma non dell'imputato in procedimento connesso Colombo Antonio). Il p.m. chiedeva di procedere alle contestazioni delle circostanze risultanti dai verbali di interrogatori nei modi indicati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361/1998 e contestualmente sollevava la questione di legittimita' costituzionale indicata in epigrafe. Le difese si opponevano alle contestazioni, per i motivi di cui al verbale di udienza in data 8 febbraio 2001, sostanzialmente ritenendo l'inamissibilita' della procedura delle contestazioni di cui sopra, in quanto il dettato della sentenza della Corte costituzionale citata dal p.m. sarebbe superato dall'art. 111 Cost. e dalla legge ordinaria applicativa, come peraltro affermato nella ordinanza della Corte costituzionale n. 439 del 2000. In subordine, sollevavano questione di costituzionalita' dell'art. 513 c.p.p., come interpretato dalla Corte costituzionalen. 361/1998, per contrasto con l'art. 111 della Costituzione nuova formulazione. Sulla questione sollevata dal p.m. si rimettevano. Il tribunale ritiene che, conformemente a quanto affermato dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 439/2000, il problema della perdurante applicabilita' dell'art. 513 c.p.p., secondo comma, ultimo periodo, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361/1998, con riguardo ai processi in corso, deve inquadrarsi non tanto sul piano dei rapporti tra legge ordinaria e legge costituzionale posteriore, quanto sul versante della successione fra norme dello stesso rango, fenomeno disciplinato tuttora dai principi generali stabiliti dall'art. 15 delle preleggi. Infatti, l'art. 1 della legge 25 febbraio 2000, n. 35, stabilisce che, fino all'entrata in vigore della legge attuativa del nuovo art. 111 Cost., i principi stabiliti da tale norma si applicano ai procedimenti in corso, salvo che le dichiarazioni precedentemente rese durante le indagini preliminari siano state gia' acquisite al fascicolo del dibattimento. Il nuovo art. 111 Cost., inserito nella legge attuativa ordinaria, stabilisce che "il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova" e che "la legge assicura che la persona accusata di un reato ... abbia la facolta', davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico ..." e che "la colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base delle dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.". Tali statuizioni si pongono in contrasto con il sistema delle contestazioni (a imputato in procedimento connesso che ha dichiarato di avvalersi della facolta' di non rispondere alle domande delle parti) inserito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361/1998 nell'art. 513, secondo comma, c.p.p. Non si ritiene, pertanto, di dover sollevare l'eccezione di legittimita' costituzionale prospettata in subordine dai difensori. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Ritiene questo collegio che la questione sia notevolmente rilevante per la definizione del presente procedimento. Le dichiarazioni precedentemente rese dagli imputati in procedimento connesso che si sono avvalsi in dibattimento della facolta' di non rispondere costituiscono fonte di prova fondamentale dedotta dal p.m., come dallo stesso rilevato nel sollevare ed illustrare la questione. In particolare, il p.m. faceva presente che le dichiarazioni di Premoli e Puttilli erano essenziali per l'inquadramento dell'intera vicenda della "corruzione" all'Ufficio condono del comune di Milano. Questa circostanza evidenzia, altresi', l'inscindibilita' di singole posizioni, essendo tutte legate da un unico nesso probatorio. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. E' opinione di questo collegio che la questione sia non manifestamente infondata, alla luce della costanteelaborazione giurisprudenziale della Corte costituzionale (sentt. n. 254 del 1992, n. 255/1992, n. 111/1993,n. 179/1994, n. 241/1994, n. 374/1994 e n. 361/1998). La funzione del processo penale, consistente nell'accertamento di fatti di reato e di responsabilita', non puo' comportare una attenuazione della tutela del diritto di difesa. "Sono, invece, censurabili sotto il profilo della ragionevolezza, soluzioni normative che, non necessarie per realizzare le garanzie della difesa, pregiudichino la finzione del processo." (Corte costituzionale n. 361/1998). I principi costituzionali del processo penale sottesi alla problematica dell'utilizzabilita' probatoria delle dichiarazioni contra alios dei coimputati o degli imputati in procedimento connesso sono essenzialmente tre. 1. - Innanzitutto, il principio della indisponibilita' del processo e della prova da parte dei soggetti privati. Infatti, funzione primaria ed essenziale del processo penale e' l'accertamento giudiziale dei fatti contestati edell'eventuale responsabilita' dell'imputato (artt. 3, 25, 101, secondo comma, 111 e 112 Cost.). Tale finalita' verrebbe irrimediabilemente compromessa se l'esperibilita' di prove emerse come rilevanti nelle indagini preliminari venisse lasciata nella disponibilita' dell'imputato e del coimputato o imputato in procedimento connesso. Viene in considerazione anche il principio di non dispersione della prova, ossia l'esigenza di evitare la non esperibilita' nella fase del giudizio del materiale probatorio emerso come rilevante nella fase delle indagini (Corte costituzionale, sentenza n. 255/1992, che attribui' esplicitamente rilievo costituzionale al "principio di conservazione della prova"). Esigenza a sua volta collegata al principio di obbligatorieta' dell'azione penale, che, per non subire una violazione di fatto, deve comportare che il p.m. sia messo nelle condizioni di esercitare validamente l'azione promossa, in modo tale che l'iniziativa penale non venga paralizzata ex post. Sempre sotto il profilo ora in esame, la funzione del processo penale di accertamento di reati e responsabilita' puo' venir pregiudicata dalla scelta discrezionale e potestativa dell'imputato in procedimento connesso di avvalersi della facolta' di non rispondere, scelta dalla quale puo' dipendere l'utilizzabilita' o meno come materiale probatorio delle sue dichiarazioni (nell'ipotesi, prevedibile, di mancanza di accordo delle parti alla lettura di tali dichiarazioni). 2. - Inoltre, il diritto di difesa dell'imputato, sancito dall'art. 24 della Costituzione, che comporta la facolta' per lo stesso di avvalersi del diritto al silenzio ed il diritto di mentire, anche qualora accetti di sottoporsi all'esame nel contraddittorio delle parti. 3. - Infine, il diritto da parte di colui che viene accusato dal coimputato o dall'imputato in procedimento connesso di sottoporre al vaglio del contraddittorio le dichiarazioni rese nei suoi confronti. Tale diritto, gia' enucleabile in base agli articoli 3 e 24 Cost., oggi e' stato espressamente sancito dall'art. 111, quarto comma, della Costituzione. I tre principi esposti devono essere tra loro coordinati e contemperati, al fine di evitare che si crei un conflitto tra il diritto di difesa del coimputato o imputato in procedimento connesso dichiarante contra alios che si avvalga in giudizio della facolta' di non rispondere, il diritto dell'imputato destinatario delle dichiarazioni a sottoporre il dichiarante a contraddittorio ed il principio di indisponibilita' della prova. Il conflitto tra questi principi costituzionali puo' essere risolto solo affermando che, per effetto dell'introduzione del nuovo art. 111 Cost., deve ritenersi compresso lo spazio costituzionalmente garantito del diritto al silenzio, che non puo' piu' includere la facolta' di non rispondere in dibattimento per il dichiarante erga alios, ossia per il soggetto che abbia in precedenza, nella fase delle indagini, gia' effettuato la scelta di rendere dichiarazioni implicanti le responsabilita' altrui. Il diritto al silenzio ha la sua ragion d'essere nella tutela dalla autoincriminazione. Tale ragion d'essere, quindi, viene meno in due ipotesi: a) quando il coimputato e' tenuto a riferire non sulla propria responsabilita', ma sulla responsabilita' di altri; b) quando il coimputato in procedimento connesso e' chiamato in dibattimento dopo che nei suoi confronti sia stata gia' pronunciata sentenza definitiva di condanna (alla quale e' equiparata, ex art. 445, comma 1, ultima parte, c.p.p., la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti): in tal caso, la sua posizione e' insuscettibile di essere aggravata o mutata, perche' coperta dal giudicato. Con riferimento a quest'ultima ipotesi, non possono valere le obiezioni che in tal modo il coimputato potrebbe rendere dichiarazioni autoincriminanti su fatti diversi rispetto a quello per cui ha riportato condanna e che costui potrebbe non essere soggetto indifferente rispetto alle vicende processuali. Infatti, alla prima obiezione si puo' rispondere che, nella fattispecie, soccorrerebbero, a tutela del dichiarante, le disposizioni di cui agli artt. 63 e 198, comma 2, c.p.p. Alla seconda obiezione puo' rispondersi che esistono altri casi nel sistema di soggetti non indifferenti che, ciononostante, sono testimoni, come, ad esempio le persone offese, le parti civili e i prossimi congiunti. In proposito, le sentenze della Corte costituzionale, nn. 115/1992 e 374/1994 affermano che l'esclusione della capacita' di testimoniare della parte civile sarebbe un sacrificio troppo grande nella ricerca della verita' processuale e che la deposizione dovra' essere valutata con prudente apprezzamento e spirito critico. In base a tali osservazioni, va ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 197, lettera a), 210, quarto comma, e 513, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui sancisconol'incompatibilita' con l'ufficio di testimone del coimputato nel medesimo reato e dell'imputato in procedimento connesso e prevedono per gli stessi soggetti la facolta' di non rispondere. Tale giudizio di non manifesta infondatezza si impone con particolare forza con riferimento ai soggetti che abbiano definito con sentenza di condanna passata in giudicato la loro posizione. Infatti, il combinato disposto di tali norme delinea un sistema che consente al coimputato ed all'imputato di procedimento connesso dichiarante contra alios di sottrarsi ad libitum al contraddittorio e di sottrarre ad libitum elementi di prova rilevanti al vaglio dibattimentale. Tali norme processuali contrastano con gli artt. 3, 24, 25, 101, secondo comma, 111 e 112 della Costituzione.