ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale: degli artt. 513 e 210,
comma  4,  del  codice  di procedura penale, promossi, nell'ambito di
diversi  procedimenti  penali,  con ordinanze emesse in data 20 marzo
2000  dal  tribunale  di  Milano,  13 aprile 2000 dal tribunale per i
minorenni di Trieste, 4 maggio 2000 dalla Corte di assise di S. Maria
Capua  Vetere, 8 maggio 2000 dal tribunale di Napoli e 11 luglio 2000
dal  tribunale  di  Milano, iscritte rispettivamente ai nn. 319, 428,
512,  547  e  820  del  registro  ordinanze  2000  e pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica nn. 25, 30, 40, 41, prima serie
speciale, dell'anno 2000, e n. 1, 1a serie speciale, dell'anno 2001;
        degli  artt. 513, 210, comma 4, e 392, lettera d), del codice
di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale,
con  ordinanza  emessa  il  28  giugno  2000 dal tribunale di Rimini,
iscritta  al  n. 733del  registro  ordinanze  2000 e pubblicata nella
Gazzetta     Ufficiale     della     Repubblica    n. 49,    1a serie
speciale,dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 giugno 2001 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il tribunale di Milano con due ordinanze di uguale
contenuto  emesse  il 20 marzo e l'11 luglio 2000 (r.o. nn. 319 e 820
del  2000),  il  tribunale  per  i minorenni di Trieste con ordinanza
emessa  il  13  aprile  2000 (r.o. n. 428 del 2000) e il tribunale di
Napoli  con  ordinanza  emessa in data 8 maggio 2000 (r.o. n. 547 del
2000)  hanno  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112
della  Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale degli
artt. 513 e 210, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte
in cui prevedono la facolta' dellepersone imputate in un procedimento
connesso,    che    abbiano    in   precedenza   reso   dichiarazioni
eteroaccusatorie,   di   non   rispondere  su  fatti  concernenti  la
responsabilita' di altri;
        che  identica  questione  e'  stata sollevata, in riferimento
agli  artt. 3,  24  (evocato,  per  evidente  errore  materiale  come
art. 23,  solo in motivazione), 25 (evocato solo in dispositivo), 111
e  112  Cost.,  dalla  Corte  di  assise di S. Maria Capua Vetere con
ordinanza emessa il 4 maggio 2000 (r.o. n. 512 del 2000);
        che  il tribunale di Rimini, con ordinanza del 28 giugno 2000
(r.o. n. 733 del 2000), ha sollevato, inriferimento agli artt. 3, 25,
111  e  112  Cost.,  analoga questione di legittimita' costituzionale
degli artt. 513 e 210, comma 4, cod. proc. pen., ed inoltre questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 392, comma 1, lettera d),
cod. proc. pen., "nella parte in cui limita i casi in cui puo' essere
richiesto  incidente  probatorio  in  ordine alle dichiarazioni delle
persone  indicate  nell'art.  210 c.p.p., ai soli casi previsti dalle
lettere a) e b)";
        che  in entrambe le ordinanze il tribunale di Milano premette
che  nel  corso  del  dibattimento,  aperto  in epoca successiva alla
modifica  dell'art. 111  della Costituzione e avente ad oggetto fatti
di  falso  e  corruzione, numerose posizioni erano state stralciate e
definite  con riti alternativi o sentenza di non doversi procedere ex
art. 469 cod. proc. pen.;
        che  alcuni  degli  imputati  le  cui  posizioni  erano state
separate, sottoposti ad esame ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen.,
si  erano  avvalsi  della  facolta'  di  non  rispondere,  sicche' il
pubblico  ministero  aveva  proceduto  "alle  contestazioni  ai sensi
dell'art. 500   c.p.p.",   insistendo  altresi'  nella  richiesta  di
produzione dei verbali utilizzati per le contestazioni;
        che  il  tribunale  per  i minorenni di Trieste, premesso che
alcuni  imputati in procedimento connessoesaminati in dibattimento si
erano  avvalsi  della facolta' di non rispondere, rileva che non puo'
trovare  applicazione  il sistema della contestazione-acquisizione di
cui  all'art. 500,  commi 2-bis e 4, cod. proc. pen. (sentenza n. 361
del 1998), in quanto incompatibile con il nuovo art. 111 Cost.;
        che  la Corte di assise di S. Maria Capua Vetere premette che
il dubbio di legittimita' costituzionale eprospettato nell'ambito del
medesimo procedimento nel quale era gia' stata sollevata questione di
costituzionalita' dell'art. 513 cod. proc. pen., nel testo modificato
dalla  legge  7  agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del
codice  di  procedura  penale  in  tema  di valutazione delle prove),
decisa  con  l'ordinanza  n. 249  del  1999,  che  aveva  disposto la
restituzione degli atti perche' il giudice rimettente valutasse se la
questione,   relativa   alla   non  acquisibilita'  delle  precedenti
dichiarazioni  rese nella fase delle indagini preliminari da imputato
in  procedimento  connesso,  fosse  tuttora rilevante alla luce della
sentenza n. 361 del 1998;
        che  la  Corte  rimettente  precisa che, dopo l'intervento di
tale  sentenza, l'imputato in procedimentoconnesso, che nel frattempo
era  stato  giudicato,  nuovamente  chiamato  a  rendere  l'esame  ex
art. 507  cod.  proc.  pen. si  era rifiutato di rispondere, e che la
difesa  si  era  opposta  alla  richiesta  del  pubblico ministero di
procedere  a  norma degli artt. 513, comma 2, e 500, comma 2-bis cod.
proc.  pen.,  come  risultanti alla stregua della sentenza n. 361 del
1998;
        che  la  questione sollevata dal tribunale di Napoli concerne
l'utilizzabilita'  delle  dichiarazioni  rese  da  un  coimputato nei
confronti  del  quale  si  era proceduto separatamente, condannato in
appello  con sentenza del luglio 1997 e che, chiamato a rendere esame
ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen., rifiutava di rispondere;
        che  il  tribunale  premette  che,  avendo  gia' rigettato le
questioni  di costituzionalita' sollevate dalla difesa degli imputati
in    relazione    alla    compatibilita'    del   meccanismo   della
contestazione-acquisizione  delle dichiarazioni rese in precedenza da
chi,  nel  corso  dell'esame  dibattimentale,  si  era  rifiutato  di
rispondere  alle  domande  delle  parti,  si  trova a dover valutare,
all'esito  del  dibattimento,  se  le  dichiarazioni acquisite con il
meccanismo  di cui all'art. 513 cod. proc. pen., come integrato dalla
sentenza   della   Corte   costituzionale   n. 361  del  1998,  siano
utilizzabili ai fini della decisione in assenza degli elementi di cui
al quinto comma dell'art. 111 Cost.;
        che  il  tribunale  di Rimini premette che in dibattimento un
imputato  in  procedimento  connesso  -  che nel corso delle indagini
preliminari  aveva  ammesso  la  propria responsabilita' chiamando in
correita'  gli  imputati  nel  procedimento  a  quo  e  aveva  quindi
"ottenuto   la  definizione  della  propria  posizione  con  il  rito
abbreviato" - si era avvalso della facolta' di non rispondere;
        che tutti i rimettenti, ad eccezione del tribunale di Napoli,
sollevano   questione   di   legittimita'  costituzionale  "non  solo
dell'art. 210  cod.  proc.  pen.,  ma dello stesso meccanismo dettato
dall'art. 513  cod.  proc.  pen. nella  portata  precettiva scaturita
dall'intervento  della Corte costituzionale", sul presupposto che "la
regola  introdotta  dalla  norma  costituzionale  non  si  limita  ad
esprimere  un  criterio  di  valutazione  della  prova,  ma  fissa il
principio  tassativo  della  formazione della stessa nel rispetto del
principio  del confronto dialettico [...], sicche' l'acquisizione dei
verbali  di dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari"
(cosi',  esplicitamente,  r.o. n. 512 del 2000) in base al meccanismo
introdotto  dalla  sentenza  n. 361  del  1998  verrebbe  a  porsi in
contrasto con tale principio;
        che  il  tribunale di Napoli - premessa la distinzione tra la
fase  dell'acquisizione  delle  dichiarazioni,  quale  momento  della
formazione della prova, e quella dell'utilizzabilita' delle stesse, e
qualificato  il  principiointrodotto nell'art. 111 della Costituzione
"non  gia'  quale  regola  legale  di  esclusione  probatoria, bensi'
qualecriterio   legale   di   valutazione"  -  pone  il  problema  di
costituzionalita'   esclusivamente  in  relazione  al  profilo  della
"utilizzabilita'",  in  assenza degli elementi di cui al quinto comma
dell'art. 111  Cost.,  delle  dichiarazionirese  durante le indagini,
ritenendo  comunque  acquisibili,  e avendo anzi gia' acquisito, tali
dichiarazioni  "con  il  meccanismo  di cui all'art. 513 c.p.p., come
integrato" dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 1998;
        che  tutti i rimettenti ritengono che gli artt. 513, comma 2,
e  210,  comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui disciplinano la
formazione   della  prova  con  riferimento  alle  dichiarazioni  dei
soggetti di cui al comma 1dell'art. 210 cod. proc. pen., riconoscendo
loro la facolta' di non rispondere, siano in contrasto con l'art. 111
Cost.,  e  che  si imponga, in forza delle modifiche introdotte nella
norma  costituzionale, "una revisione dei confini tra il diritto alla
formazione  in contraddittorio della prova, ed il diritto al silenzio
del dichiarante erga alios";
        che,  in  particolare, secondo i rimettenti il riconoscimento
della facolta' di non rispondere svuota di effettivita' il principio,
affermato  dal  quarto comma dell'art. 111 Cost., del contraddittorio
nella  formazione  della prova, in relazione al quale il silenzio del
dichiarante   viene   configurato,   con   evidente  connotazione  di
disvalore,  come "sottrazione al contraddittorio" nel secondo periodo
dello stesso quarto comma;
        che la scelta dell'imputato di rendere dichiarazioni su fatti
concernenti  la  responsabilita' di altri spiega, secondo i giudici a
quibus  effetti di cosi' grande rilevanza nei confronti dell'accusato
nella  fase  predibattimentale  che,  una  volta intrapresa tale via,
l'esercizio  successivo del diritto al silenzio si pone in contrasto,
menomandolo,  con  il  diritto  dell'accusato al confronto dialettico
nella  formazione  della  prova,  ora assunto a regola costituzionale
(art. 111, terzo e quarto comma);
        che la disciplina censurata violerebbe anche gli artt. 3 e 24
Cost.,  in quanto la concorrenza tra lecontrapposte articolazioni del
diritto  di  difesa  del  dichiarante  e  dell'imputato  puo'  essere
composta  soloaffermando  che  le  nuove  regole recate dall'art. 111
della   Costituzione   comportano   la  "compressione"  dello  spazio
costituzionalmente  garantito  del  diritto  al silenzio, nonche' gli
artt. 3, 112, 111, primo comma, e 25 della Costituzione (quest'ultimo
evocato  solo  in  r.o.  n. 512 del 2000), in quanto da essa discende
l'irragionevole  ed  inaccettabile sacrificio dei principi del libero
convincimento  del giudice, della irrinunciabile funzione conoscitiva
del    processo,    dell'indefettibilita'   della   giurisdizione   e
dell'obbligatorieta' dell'azione penale;
        che il tribunale di Rimini censura inoltre, in riferimento ai
medesimi  parametri,  l'art. 392,  lettera d), cod. proc. pen. "nella
parte  in  cui  limita  i casi in cui puo' essere richiesto incidente
probatorio  in  ordine  alle  dichiarazioni  delle  persone  indicate
nell'art.  210  c.p.p., ai soli casi previsti dalle lettere a) e b)",
in  quanto  verrebbe cosi' impedito di fatto "alla pubblica accusa di
promuovere  immediato incidente probatorio, in tutti i casi in cui un
imputato  effettui  una  chiamata  in  correita'  nei  confronti  dei
coimputati,  al  di fuori dei casi previsti nellesuindicate" ipotesi,
ritenendo tale questione "strettamente correlata" alle precedenti;
        che  nei  giudizi  e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate, facendo
particolare riferimento ai principi di cui all'art. 24 Cost.
    Considerato  che  identica  e'  la  sostanza delle questioni, che
concernono  tutte  il  diritto  al silenzio riconosciuto alle persone
imputate  o  giudicate  in  un  procedimento  connesso che abbiano in
precedenza reso dichiarazionieteroaccusatorie, in relazione al regime
della acquisizione e utilizzazione in dibattimento di tali precedenti
dichiarazioni,  per cui deve essere disposta la riunione dei relativi
giudizi;
        che, con riferimento alle questioni concernenti gli artt. 210
e  513  cod. proc. pen., successivamente alle ordinanze di rimessione
e'  intervenuta  la  legge  1o marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice
penale  e  al codice diprocedura penale in materia di formazione e di
valutazione  della  prova in attuazione della legge costituzionale di
riforma  dell'art. 111  della  Costituzione),  che  ha  profondamente
inciso  sulla  disciplina  del diritto al silenzio e della formazione
della prova in dibattimento, da un lato modificando gli artt. 64, 197
e  210  cod.  proc. pen. e inserendo l'art. 197-bis cod. proc. pen. -
che individua le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un
procedimento  connesso  o  per  reato collegato assumono l'ufficio di
testimone  -, dall'altro intervenendo sugli artt. 500, 513 e 526 cod.
proc. pen.;
        che  di  conseguenza,  essendo mutati le norme censurate e il
contesto  complessivo della disciplina diriferimento, gli atti devono
essere  restituiti  ai  giudici rimettenti, perche' verifichino se le
questioni siano tuttora rilevanti nei giudizi a quibus;
        che la questione di costituzionalita' dell'art. 392, comma 1,
lettera  d),  cod. proc. pen., sollevata daltribunale di Rimini, deve
invece  essere  dichiarata  manifestamente  inammissibile,  in quanto
nella  disposizione  impugnata e' gia' stato eliminato il riferimento
alle   circostanze   previste   dalle  lettere  a)  e  b),  ad  opera
dell'art. 4, comma 1, della legge 7 agosto 1997, n. 267.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.