ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 513 del codice
di  procedura penale, come risultante a seguito della sentenza n. 361
del  1998  della  Corte  costituzionale; dell'art. 1, commi 1 e 2 del
decreto-legge   7 gennaio   2000,   n. 2  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione dell'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999,
n. 2,  in  materia  di giusto processo) e dell'art. 210, comma 4, del
codice   di  procedura  penale,  promossi  con  ordinanze  emesse  il
7 febbraio  2000  dalla  Corte  di  assise  di  appello di Napoli, il
5 febbraio  2000  dal  giudice  per le indagini preliminari presso il
tribunale  di  Palermo, l'11 aprile e il 23 maggio 2000 dal tribunale
di La Spezia, il 15 marzo 2000 dal tribunale di Venezia, il 10 aprile
2000  dal  tribunale di La Spezia, il 1o giugno 2000 dal tribunale di
Milano,  il  24 maggio 2000 dal tribunale di Massa, il 13 giugno 2000
dal  tribunale  di La Spezia, il 22 giugno 2000 da tribunale militare
di Palermo, il 1o giugno 2000 dal tribunale di Trento, il 18 luglio e
il  18 aprile  2000 dal tribunale di La Spezia, il 28 giugno 2000 dal
tribunale  di  Locri,  il  5 luglio  2000  dalla  Corte di appello di
Venezia,  il  22 maggio 2000 dal tribunale di La Spezia, il 18 luglio
2000  dai  tribunali  di Roma e di Nuoro e il 27 e il 23 ottobre 2000
dal  tribunale  di La Spezia, rispettivamente iscritte ai numeri 142,
331, 446, 466, 469, 500, 515, 527, 528, 558, 568, 578, 579, 593, 610,
712,  719,  824  e  856  del  registro  ordinanze 2000 e al n. 29 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica  numeri  16,  25,  35, 37, 39, 40, 41, 42, 43, 44 e 48, 1a
serie  speciale, dell'anno 2000 e numeri 2, 3 e 4, 1a serie speciale,
dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 giugno 2001 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che,  con  nove  ordinanze  di  contenuto  identico, il
tribunale  di  La  Spezia  ha sollevato, in riferimento all'art. 111,
quarto  e  quinto  comma, della Costituzione, nel testo sostituito ad
opera   della  legge  costituzionale  n. 2  del  1999,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 513,  comma  2, del codice di
procedura  penale, come "interpretato" dalla sentenza n. 361 del 1998
di  questa  Corte,  nella parte in cui consente la utilizzazione, nei
confronti  degli  imputati,  delle dichiarazioni rese nel corso delle
indagini  preliminari  dalle  persone esaminate a norma dell'art. 210
cod.  proc.  pen.,  a seguito della contestazione effettuata ai sensi
dell'art. 500,  commi  2-bis  e  4,  dello  stesso codice, qualora il
dichiarante   si  sia  avvalso  della  facolta'  di  non  rispondere,
indipendentemente   dal   verificarsi   di   uno  dei  casi  previsti
dall'art. 111, quinto comma, Cost;
        che  a  parere  del giudice a quo la possibilita', introdotta
con  il  meccanismo  delle  contestazioni, di acquisire ed utilizzare
contra  alios  le  dichiarazioni  in  precedenza  rese  dalla persona
esaminata  ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen., che si sia avvalsa
in  dibattimento  della  facolta'  di  non rispondere, si porrebbe in
contrasto:   a)  con  l'art. 111,  quarto  comma,  Cost.,  in  quanto
risulterebbe  violato il principio costituzionale del contraddittorio
nella  formazione  della prova, dovendosi altresi' ritenere integrata
la specifica ipotesi del soggetto che si e' sottratto volontariamente
all'esame  da  parte  dell'imputato  e del suo difensore in relazione
alla  propria posizione processuale; b) con l'art. 111, quinto comma,
Cost.,  in  quanto  non  ricorrerebbe  alcuna delle ipotesi in cui e'
consentita  la formazione della prova al di fuori del contraddittorio
(consenso   dell'imputato,   accertata   impossibilita'   di   natura
oggettiva, provata condotta illecita);
        che  in  parte  coincidenti  sono  anche  le  plurime censure
prospettate dalla Corte di assise di appello di Napoli. Viene infatti
sollevata,   in   primis  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1,   comma   1,  del  decreto-legge  7 gennaio  2000,  n. 2
(Disposizioni   urgenti  per  l'attuazione  dell'art. 2  della  legge
costituzionale   23 novembre   1999,   n. 2,  in  materia  di  giusto
processo), per violazione degli artt. 3, primo comma, 77 e 138, primo
comma,  della  Costituzione,  nonche'  dell'art. 111,  terzo e quarto
comma,  della  stessa  Carta e dell'art. 2 della legge costituzionale
23 novembre  1999,  n. 2.  Si  impugna,  poi,  l'art. 1, comma 2, del
medesimo  decreto-legge  n. 2  del 2000 per violazione dell'art. 111,
quarto  comma, Cost., e si censura, infine, l'art. 513, comma 2, cod.
proc.  pen.,  come integrato dalla sentenza costituzionale n. 361 del
1998,  per  violazione  dell'art. 111,  terzo  e  quarto comma, della
Costituzione;
        che   in   merito   alle  prospettate  questioni  il  giudice
rimettente  sottolinea,  in  particolare, come l'art. 1, comma 1, del
decreto-legge  n. 2 del 2000 abbia escluso l'applicabilita' dei nuovi
principi sanciti dall'art. 111 della Costituzione nei procedimenti in
corso  nei  casi  in  cui - come nella specie - il dibattimento fosse
stato  gia'  dichiarato aperto, mentre il comma 2 del medesimo art. 1
del  decreto  avrebbe  riconosciuto alle dichiarazioni non confermate
valore di semiplena probatio: sicche' - prospetta il rimettente - una
fonte  ordinaria, per di piu' priva dei caratteri della necessita' ed
urgenza  sanciti  dall'art. 77  Cost., avrebbe inciso su di una fonte
costituzionale,  generando  disparita' di trattamento fra cittadini e
violazione  dell'art. 2  della  legge  costituzionale  n. 2 del 1999,
posto  che  la  stessa  aveva  assegnato  al legislatore ordinario il
compito  di  disciplinare,  ma non di escludere, l'applicabilita' dei
nuovi  principi costituzionali ai procedimenti in corso. Quanto, poi,
all'art. 513,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,  lo stesso, consentendo,
attraverso   il   meccanismo  delle  contestazioni  introdotto  dalla
sentenza   n. 361  del  1998,  l'acquisizione  e  la  valutazione  di
dichiarazioni    rese    da    persone    che   si   sono   sottratte
all'interrogatorio  da  parte  dell'imputato  o del suo difensore, si
porrebbe  in  contrasto  con il principio del contraddittorio, con la
facolta'  di  interrogare  o  far  interrogare le persone che rendono
dichiarazioni a carico e con il principio costituzionale per il quale
"la  colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di
dichiarazioni   rese   da  chi,  per  libera  scelta,  si  e'  sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o
del suo difensore";
        che nel giudizio promosso con l'ordinanza da ultimo citata e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dalla  Avvocatura generale dello Stato, chiedendo disporsi la
restituzione  degli  atti  al  giudice  a  quo  per  nuovo  esame "su
fondatezza e rilevanza della questione in base alla nuova normativa".
Rileva,  infatti,  l'Avvocatura che il decreto-legge n. 2 del 2000 ha
subito  sensibili  modifiche  ad  opera  della  successiva  legge  di
conversione  n. 35  del  2000, sicche' e' alla luce di tale normativa
sopravvenuta  che  il giudice rimettente dovra' rivalutare i dubbi di
legittimita' costituzionale;
        che  anche  il  giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale  di  Palermo  ha  sollevato,  in  riferimento all'art. 111,
secondo   e   terzo   comma,   Cost.,   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 513,  comma 2, cod. proc. pen., nella parte
in  cui prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta
in   tutto   o  in  parte  di  rispondere  su  fatti  concernenti  la
responsabilita'   di   altri,   gia'  oggetto  delle  sue  precedenti
dichiarazioni,  in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura, si
applichi   l'art. 500,   commi   2-bis   e   4,   cod.   proc.  pen.,
indipendentemente   dal   verificarsi   di   uno  dei  casi  previsti
dall'art. 111, terzo comma, Cost;
        che  a  tal  proposito  il rimettente rileva, in particolare,
che, non essendo stata ancora approntata una analitica disciplina dei
casi  in  cui  e'  consentito  derogare  al contraddittorio e data la
immediata applicabilita' dei nuovi principi costituzionali, alla luce
di quanto disposto dal decreto-legge n. 2 del 2000, diverrebbe allora
fondato  "dubitare  della legittimita' costituzionale di un regime di
acquisizione  probatoria  che, per il solo fatto che l'imputato abbia
liberamente  ritenuto  di  non  rispondere all'esame, consenta di far
transitare  nel fascicolo per il dibattimento - e dunque di dotare di
efficacia  probatoria - le dichiarazioni rese senza la partecipazione
della  difesa,  indipendentemente  dal  verificarsi  di  uno dei casi
espressamente previsti dal comma terzo dell'art. 111 Cost.";
        che   anche   il   tribunale  di  Venezia  ha  sollevato,  in
riferimento   all'art. 111,   quarto   comma,   Cost.,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 513,  secondo  comma,  ultimo
periodo,  cod.  proc. pen., come modificato dalla sentenza n. 361 del
1998, e dell'art. 210, comma 4, dello stesso codice. Rileva, infatti,
il  tribunale  rimettente  che  l'art. 513  del  codice di rito, come
modificato   dalla  citata  sentenza  di  questa  Corte,  prevede  la
possibilita'   che,  anche  in  assenza  di  accordo  tra  le  parti,
dichiarazioni  in  precedenza  rese  da persona che poi si e' avvalsa
della facolta' di non rispondere, siano acquisite al fascicolo per il
dibattimento,  in  cio'  determinandosi  un contrasto con l'art. 111,
quarto  comma,  Cost.,  in  quanto si tratta di dichiarazioni che non
hanno  formato  oggetto di contraddittorio, ne' al momento della loro
originaria  enunciazione,  ne'  in  dibattimento,  atteso il silenzio
serbato  dal  dichiarante. Ove non fosse condivisa da questa Corte la
fondatezza  di  tali  rilievi  -  prosegue  il giudice a quo - "sotto
alternativo profilo altra normativa processuale presterebbe il fianco
a censure di incostituzionalita', in quanto, ad impedire il principio
costituzionale  della  formazione  della  prova  in  contraddittorio,
sembrerebbe  allora stare la norma di cui all'art. 210, quarto comma,
c.p.p.,   che   facoltizza   l'imputato   di  reato  connesso  a  non
rispondere".   Infatti  -  sottolinea  il  rimettente  -  e'  proprio
l'esercizio  di tale facolta' a dare avvio "ad un iter procedimentale
che culmina con l'acquisizione delle dichiarazioni";
        che,  a  sua  volta,  il  tribunale  di  Milano  solleva,  in
riferimento  agli  artt. 101  e  102 Cost., questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 513,  comma 1, cod. proc. pen., nella parte
in cui impone il consenso delle parti per una piena valutazione delle
dichiarazioni  rese  "in  istruttoria" da uno dei coimputati, che nel
dibattimento   siacontumace   o   assente  o  rifiuti  di  sottoporsi
all'esame. Impugnativa che il giudice a quo fonda sul rilievo secondo
il  quale  "la  scelta  di far dipendere l'utilizzabilita' di un atto
legittimamente  acquisito  al  fascicolo  per  il  dibattimento dalla
mutevole  circostanza  che  le  parti  prestino  o  meno  il  proprio
consenso,  implichi, ove consenso non vi sia, un assoluto impedimento
della  valutazione  dell'atto  medesimo, non ripetibile in virtu' del
principio secondo cui l'imputato non puo' essere obbligato a deporre;
e impedimento della valutazione - deduce il rimettente - non puo' non
significare impedimento di formazione del libero convincimento, ossia
impedimento  di un pieno esercizio della funzione giurisdizionale, in
contrasto  con  le  norme  costituzionali  che, invece, tale funzione
impongono nella sua pienezza";
        che in quest'ultimo giudizio ha depositato atto di intervento
il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso
dalla   Avvocatura   generale   dello  Stato,  chiedendo  dichiararsi
inammissibile e comunque infondata la proposta questione;
        che  anche il tribunale di Massa solleva, in riferimento agli
artt. 3,  25,  111,  quarto e quinto comma, e 112 Cost., questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen.,
come  "interpretato"  dalla  sentenza n. 361 del 1998, nella parte in
cui  consente  l'utilizzazione,  nei  confronti degli imputati, delle
dichiarazioni rese nelle indagini preliminari dalla persona esaminata
a  norma dell'art. 210 cod. proc. pen., a seguito della contestazione
effettuata  ai  sensi  dell'art. 500,  commi  2-bis e 4, dello stesso
codice,  qualora  il dichiarante si sia avvalso della facolta' di non
rispondere,   indipendentemente  dal  verificarsi  di  uno  dei  casi
previsti  dall'art. 111, quinto comma, della Costituzione. Ritiene in
particolare  il giudice a quo che, alla luce della nuova composizione
delle  diverse  garanzie  fondamentali  scaturita  dalle  innovazioni
introdotte con la legge costituzionale n. 2 del 1999, risulterebbe in
contrasto   con   il   principio   costituzionale   del   diritto  al
contraddittorio   -   suscettibile   di   ristrettissime  esclusioni,
espressamente  individuate dalla fonte costituzionale - la previsione
della  facolta'  di  non rispondere prevista dall'art. 210 cod. proc.
pen.,  quanto  alle  dichiarazioni  che  un  imputato  renda su fatti
concernenti la responsabilita' di altri;
        che  anche  il  tribunale  militare  di  Palermo  solleva, in
riferimento  agli  artt. 3, 24 e 111 Cost., questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 513,  comma  2,  ultimo  inciso, cod. proc.
pen., nella parte in cui consente l'acquisizione per contestazioni di
dichiarazioni  rese  in precedenza da chi, sentito in dibattimento ai
sensi dell'art. 210 cod. proc. pen., si avvalga della facolta' di non
rispondere.  Reputa  infatti  il  rimettente  che  la possibilita' di
acquisire  verbali  di dichiarazioni gia' rese da chi in dibattimento
si  sottrae  all'esame,  violi, ad un tempo, il nuovo art. 111 Cost.,
stante  la  tassativita' dei casi nei quali la formazione della prova
non ha luogo in contraddittorio, l'art. 24 Cost., giacche' il diritto
di difesa viene ad essere correlativamente menomato, nonche' l'art. 3
della   medesima  Carta,  in  quanto  si  genera  una  disparita'  di
trattamento  rispetto  alle ipotesi in cui le prove vengono ad essere
correttamente formate ed acquisite;
        che  analoghe censure sono prospettate anche dal tribunale di
Trento,  il  quale  solleva,  per  contrasto  con  l'art. 111  Cost.,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 513 cod. proc.
pen.,  nella parte in cui prevede che, qualora il dichiarante rifiuti
di  rispondere su fatti concernenti la responsabilita' di altri, gia'
oggetto  delle  sueprecedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo
delle parti alla lettura si applica l'art. 500, commi 2-bis e 4, cod.
proc.  pen. Osserva  al  riguardo  il  giudice  a  quo  che,  tramite
l'applicazione  del meccanismo consentito dall'art. 513 cod.proc.pen,
quale  scaturito  dalla  sentenza  n. 361  del  1998,  i  verbali  di
dichiarazioni   rese   nella  fase  delle  indagini  preliminari  dal
coimputato  citato  ex  art. 210  cod.  proc. pen., vengono a trovare
ingresso  nel processo penale, cosi' sottraendosi al contraddittorio,
ora costituzionalmente presidiato;
        che  non  dissimili  sono  le censure svolte dal tribunale di
Locri   a   sostegno   della   identica   questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., sollevata per
contrasto  con l'art. 111 della Costituzione. Sottolinea, infatti, il
rimettente  che  il  meccanismo delle contestazioni, introdotto dalla
sentenza  n. 361  del  1998,  la quale ha integrato anche l'art. 513,
comma  2, del codice di rito, consentendo l'acquisizione al fascicolo
per  il  dibattimento delle dichiarazioni rese da persone che si sono
sottratte   all'interrogatorio  da  parte  dell'imputato  o  del  suo
difensore,  vulneri il principio del contraddittorio nella formazione
della  prova,  oltre  che  quello  secondo  il  quale la colpevolezza
dell'imputato  non  puo'  essere  provata sulla base di dichiarazioni
rese  da  chi,  per  libera  scelta,  si  e'  sempre  volontariamente
sottratto   all'interrogatorio  da  parte  dell'imputato  o  del  suo
difensore;
        che anche la Corte di appello di Venezia solleva questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen.,
come  interpretato  da  questa  Corte nella sentenza n. 361 del 1998,
nella  parte  in  cui  consente  la  formazione  della  prova in sede
dibattimentale  senza  un  effettivo  contraddittorio  fra  le parti,
deducendone   il   contrasto  con  l'art. 111,  quarto  comma,  della
Costituzione.  A  parere del rimettente, infatti, il comportamento di
chi,  dopo essersi avvalso della facolta' di non rispondere nel corso
del  dibattimento,  si limiti a subire le contestazioni sulla base di
quanto in precedenza dichiarato senza nulla rispondere, si risolve di
fatto  in  una  volontaria  sottrazione  all'interrogatorio  da parte
dell'imputato  o  del  suo  difensore,  con  la  conseguenza che, non
realizzandosi   un   effettivo   contraddittorio,   le  dichiarazioni
precedentemente rese non possono concorrere a formare prova alla luce
del nuovo dettato costituzionale;
        che   identiche,  nella  sostanza,  sono  pure  le  doglianze
prospettate  dal  tribunale di Roma, il quale solleva, in riferimento
all'art. 111,   quarto   comma,   Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 513,   comma  2,  cod.  proc.  pen.,  come
interpretato  dalla  sentenza  n. 361  del  1998,  nella parte in cui
consente  la  utilizzazione,  nei  confronti  degli  imputati,  delle
dichiarazioni rese nelle indagini preliminari dalla persona esaminata
ex art. 210 cod. proc. pen., a seguito della contestazione effettuata
ai  sensi dell'art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen., qualora il
dichiarante   si  sia  avvalso  della  facolta'  di  non  rispondere,
indipendentemente   dal   verificarsi   di   uno  dei  casi  previsti
dall'art. 111, quinto comma, della Costituzione osserva il rimettente
che  tale  ultima previsione costituzionale, affidando al legislatore
ordinario  il  compito di regolare le ipotesi in cui e' consentita la
formazione  della  prova al di fuori del contraddittorio, ha limitato
dette  ipotesi  ai  casi  del consenso dell'imputato, della accertata
impossibilita'  di  natura  oggettiva e di provata condotta illecita.
Cio'  confermerebbe,  dunque, che, in base al dettato costituzionale,
in  caso di rifiuto di rispondere da parte della persona da esaminare
ex  art. 210  cod.  proc.  pen.,  non  e'  consentita neanche de iure
condendo  una  sia  pur  limitata  possibilita'  di acquisizione e di
utilizzazione  delle  dichiarazioni contra alios precedentemente rese
in carenza di contraddittorio;
        che,   infine,  anche  il  tribunale  di  Nuoro  solleva,  in
riferimento  all'art. 111,  secondo,  terzo  e  quarto  comma, Cost.,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513, comma 2, cod.
proc.  pen.,  come integrato dalla sentenza costituzionale n. 361 del
1998,  per  rilievi  del  tutto  analoghi a quelli svolti dagli altri
rimettenti.
    Considerato  che  le  ordinanze  sollevano  questioni  del  tutto
analoghe o comunque fra loro intimamente connesse, sicche' i relativi
giudizi vanno riuniti per essere definiti con un'unica decisione;
        che,  successivamente alla pronuncia degli atti di rimessione
e'  intervenuta  la  legge  1o marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice
penale  e al codice di procedura penale in materia di formazione e di
valutazione  della  prova in attuazione della legge costituzionale di
riforma  dell'art. 111 della Costituzione), la quale ha profondamente
inciso  sulla  disciplina  del diritto al silenzio e della formazione
della  prova  in  dibattimento,  apportando,  fra  l'altro, sensibili
modifiche  alle  disposizioni oggetto di impugnativa ed a varie norme
ad esse direttamente collegate;
        che  di  conseguenza, essendo mutate le norme censurate ed il
contesto  complessivo della disciplina diriferimento, gli atti devono
essere  restituiti  ai  giudici rimettenti, perche' verifichino se le
questioni proposte siano tuttora rilevanti nei giudizi a quibus;
        che  alle  medesime  conclusioni  occorre pervenire anche per
cio'   che   attiene   alla   impugnativa  riguardante  l'art. 1  del
decreto-legge  7 gennaio  2000, n. 2, sollevata dalla Corte di assise
di  appello  di  Napoli,  considerato  che la legge 25 febbraio 2000,
n. 35,  con  la  quale  e'  stato  convertito,  con modificazioni, il
menzionato  decreto-legge  n. 2  del 2000, ha apportato significative
innovazioni  rispetto  al  testo  della norma impugnata, al punto che
l'intero  articolo  1  del  citato  decreto  e'  stato  integralmente
sostituito  ad  opera  della stessa legge di conversione(v. ordinanze
n. 354 e n. 474 del 2000).