ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4-bis della
legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla  esecuzione delle misure privative e limitative della liberta),
promosso  dal  tribunale  di  sorveglianza  di Sassari, con ordinanza
emessa  il  20 luglio 2000, iscritta al n. 646 del registro ordinanze
2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, 1a
serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 23 maggio 2001 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto   che   il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Sassari  ha
sollevato,   in   riferimento   all'art. 25,   secondo  comma,  della
Costituzione,     questione     di     legittimita'    costituzionale
dell'art. 4-bis  [primo  comma,  primo periodo] della legge 26 luglio
1975,  n. 354,  recante "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione  delle misure privative e limitative della liberta'" [come
modificato  dall'art. 15  del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito,
con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356], nella parte in
cui  prevede  che  il  permesso  premio  non  puo' essere concesso ai
soggetti  condannati per i reati ivi indicati che non collaborino con
la  giustizia  a  norma  dell'art. 58-ter  del  medesimo  ordinamento
penitenziario,  anche  nell'ipotesi in cui la sentenza di condanna e'
precedente all'entrata in vigore della legge di modifica;
        che  il  tribunale di sorveglianza di Sassari - investito del
reclamo avverso il decreto di diniego di permesso premio, proposto da
persona,  detenuta in espiazione pena dal luglio 1991, condannata con
sentenza  del maggio 1990 a venti anni di reclusione per sequestro di
persona a scopo di estorsione e altri reati commessi nel 1983 - aveva
gia'  sollevato  la questione con ordinanza del 25 febbraio 1999, sul
presupposto  che  il principio di irretroattivita' della legge penale
si riferisce "non soltanto alle norme che disciplinano le fattispecie
astratte  di  reato  e  le conseguenze sanzionatorie [...] ma anche a
quelle  che  formano  il  diritto  dell'esecuzione  della  pena e che
incidono  sulla  quantita'  e sulla qualita' della pena da espiare in
concreto";
        che con ordinanza n. 180 del 2000 questa Corte aveva disposto
la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione
della  rilevanza  della questione alla luce della sentenza n. 137 del
1999,    che    ha    dichiarato    l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 4-bis  dell'ordinamento  penitenziario  "nella parte in cui
non  prevede  che  il  beneficio  del  permesso  premio  possa essere
concesso  nei  confronti  dei  condannati  che  prima dell'entrata in
vigore  dell'art. 15,  comma  1,  del  d.l.  8 giugno  1992,  n. 306,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 7 agosto 1992, n. 356,
abbiano  raggiunto  un  grado  di  rieducazione adeguato al beneficio
richiesto  e  per  i  quali  non  sia  accertata  la  sussistenza  di
collegamenti attuali con la criminalita' organizzata";
        che  con  ordinanza  del  20 luglio  2000,  introduttiva  del
presente  giudizio,  il  rimettente  ripropone  la  stessa  questione
affermandone   la   perdurante   rilevanza   in   quanto  al  momento
dell'entrata  in vigore della nuova disciplina non era ancora decorso
il  termine previsto per l'accesso al beneficio richiesto, non avendo
il detenuto espiato un quarto della pena inflittagli;
        che,  quanto al grado di rieducazione raggiunto dal detenuto,
il  rimettente  osserva  che  l'esecuzione  della pena e' iniziata il
3 luglio  1991  e che, stante la brevita' del periodo di osservazione
scientifica   della   personalita'   del  condannato,  "non  si  puo'
ragionevolmente  affermare  che  quest'ultimo  abbia  raggiunto prima
dell'entrata  in  vigore  della  disciplina  restrittiva  un grado di
rieducazione adeguato al permesso premio";
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
        che,  in  particolare,  l'Avvocatura  rileva  che  l'art. 25,
secondo comma, della Costituzione si riferisce alle sole disposizioni
strettamente incriminatrici, mentre le regole relative al trattamento
penitenziario  sfuggono  alla  previsione  costituzionale,  che  "non
potrebbe  essere  applicata  alla  materia  de  qua  senza il robusto
contributo  di una lettura per cosi' dire "adeguatrice" del principio
di irretroattivita' della legge penale sfavorevole";
        che,  infatti,  lo stesso rimettente esclude "la possibilita'
di  individuare nella commissione del "fatto il momento al quale fare
riferimento  per  determinare  "non  solo l'entita' della pena che da
questo  puo' conseguire ma anche il tipo di trattamento penitenziario
",  indicando  quale momento di riferimento il passaggio in giudicato
della sentenza.
    Considerato  che  il tribunale di sorveglianza di Sassari solleva
questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 4-bis,  primo
comma, primo periodo, dell'ordinamento penitenziario, come modificato
dall'art. 15   deld.l.   8 giugno   1992,   n. 306,  convertito,  con
modificazioni,  nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui
preclude  l'accesso  ai  permessi premio ai soggetti condannati per i
reati  ivi  indicati  che  non  collaborino  con la giustizia a norma
dell'art. 58-ter   del   medesimo  ordinamento  penitenziario,  anche
nell'ipotesi in cui la sentenza di condanna e' precedente all'entrata
in  vigore  della  legge  di modifica, assumendo il contrasto di tale
disciplina con il principio di irretroattivita' della legge penale di
cui all'art. 25, secondo comma, Cost;
        che  il  giudice  a quo, rinviando alle argomentazioni svolte
nella  precedente  ordinanza  del  25 febbraio  1999,  ritiene che il
principio  di  irretroattivita'  della legge penale vada riferito non
soltanto alle norme che disciplinano le fattispecie astratte di reato
e  le  conseguenze  sanzionatorie,  ma  anche a quelle che formano il
diritto  dell'esecuzione  e  che  incidono sulla qualita' e quantita'
della pena da espiare in concreto;
        che sarebbe pertanto violato l'art. 25, secondo comma, Cost.,
in   quanto   la   disciplina  censurata  ha  operato  un  innegabile
peggioramento  del trattamento sanzionatorio del condannato, che, ove
non  fosse  intervenuta  la  nuova  e  piu'  restrittiva  disciplina,
potrebbe ora usufruire del permesso premio;
        che  con  sentenza n. 273 del 2001 questa Corte ha dichiarato
non  fondata  analoga  questione di legittimita' costituzionale della
disciplina  che  preclude  ai  soggetti  che  non  collaborino con la
giustizia   di   essere   ammessi   alla   liberazione   condizionale
(artt. 4-bis,  primo  comma,  dell'ordinamento  penitenziario e 2 del
d.l.  13 maggio  1991,  n. 152,  convertito, con modificazioni, nella
legge  12 luglio  1991,  n. 203),  sollevata,  sempre  in riferimento
all'art. 25,   secondo  comma,  Cost.,  dallo  stesso  tribunale  con
ordinanza del 15 giugno 2000;
        che  nella  menzionata sentenza la Corte ha rilevato che, "in
relazione  all'esecuzione delle pene detentive per i delitti indicati
dal primo comma, primo periodo, dell'art. 4-bis la collaborazione con
la  giustizia  -  gia'  rilevante  nell'ordinamento  sul  terreno del
diritto  penale sostanziale (...) - assume, non irragionevolmente, la
diversa  valenza  di  criterio  di  accertamento  della  rottura  dei
collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata,  che a sua volta e'
condizione  necessaria,  sia  pure  non  sufficiente, per valutare il
venir meno della pericolosita' sociale ed i risultati del percorso di
rieducazione  e di recupero del condannato, a cui la legge subordina,
ricorrendo    a    varie   formulazioni   sostanzialmente   analoghe,
l'ammissione  alle  misure  alternative  alla detenzione e agli altri
benefici previsti dall'ordinamento penitenziario";
        che  tale  conclusione  riposa  sulla  constatazione  che nei
confronti  degli autori dei delitti di cui al primo periodo del primo
comma  dell'art. 4-bis, che sono espressione di forme di criminalita'
organizzata  connotate  da  livelli  di pericolosita' particolarmente
elevati,  "la collaborazione con la giustizia e' un comportamento che
deve necessariamente concorrere ai fini della prova che il condannato
ha reciso i legami con l'organizzazione criminale di provenienza";
        che  pertanto, per effetto delle modifiche apportate nel 1992
alla  disposizione  censurata, "l'atteggiamento di chi non si adoperi
"per  evitare  che  l'attivita'  delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori  o  per  aiutare  "concretamente  l'autorita'  di polizia o
l'autorita'  giudiziaria  nella  raccolta di elementi decisivi per la
ricostruzione  dei  fatti  e  per l'individuazione o la cattura degli
autori  dei  reati  (art. 58-ter  dell'ordinamento  penitenziario) e'
valutato come indice legale della persistenza dei collegamenti con la
criminalita' organizzata";
        che  la  persistenza di tali collegamenti esclude che possano
ritenersi   sussistenti  le  condizioni  a  cui  la  legge  subordina
l'ammissione  alle  misure  alternative  alla  detenzione  e  ai vari
benefici dell'ordinamento penitenziario considerati dall'art. 4-bis;
        che   analoghe   considerazioni  possono  essere  svolte  nei
confronti  della  disciplina  che  preclude  di  concedere i permessi
premio ai condannati che non collaborano con la giustizia, atteso che
l'accesso   a  tale  beneficio  implica  l'assenza  di  pericolosita'
sociale,  che  ne  costituisce  un presupposto sostanziale, mentre la
norma  censurata  individua  un  criterio legale di valutazione di un
comportamento   che   deve  necessariamente  concorrere  al  fine  di
accertare  che  il  condannato  abbia  reciso  i  collegamenti con la
criminalita'   organizzata   e,   quindi,   non  risulti  socialmente
pericoloso;
        che    la   questione   deve   pertanto   essere   dichiarata
manifestamente  infondata,  in  quanto  la  disciplina impugnata, non
comportando   una   modificazione  dei  presupposti  sostanziali  dei
permessi  premio,  rimane  estranea  alla  sfera  di applicazione del
principio  di irretroattivita' della legge penale di cui all'art. 25,
secondo comma, Cost.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.