ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta) - inserito dall'art. 1 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attivita' amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall'art. 15 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 -, promosso dal tribunale di sorveglianza dell'Aquila con ordinanza emessa il 21 gennaio 2000, iscritta al n. 757 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, 1a serie speciale, dell'anno 2000. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2001 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che il tribunale di sorveglianza dell'Aquila ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis [primo comma, primo periodo] della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta) - inserito dall'art. 1 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attivita' amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall'art. 15 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - nella parte in cui subordina alla collaborazione con la giustizia la concessione della semiliberta' nei confronti di soggetti condannati per i delitti ivi indicati e sottoposti alla misura di sicurezza della casa di lavoro; che il rimettente premette di essere investito di una richiesta di ammissione alla semiliberta' formulata da un internato in esecuzione della misura di sicurezza della casa di lavoro, ordinata per la durata di un anno dalla Corte di assise di Palermo in data 10 dicembre 1990 con la sentenza di condanna ad anni cinque e mesi quattro di reclusione per il delitto di cui all'art. 416-bis del codice penale (associazione di tipo mafioso); che dall'ordinanza emerge che la misura di sicurezza e' stata dichiarata eseguibile a norma dell'art. 679 del codice di procedura penale dal magistrato di sorveglianza di Catania in data 11 novembre 1994 e che il termine per il riesame obbligatorio della pericolosita' del condannato e' fissato al 5 marzo 2000; che il rimettente espone che la verifica effettuata dalla autorita' di pubblica sicurezza in ordine alla offerta di lavoro prospettata dal condannato ha avuto esito positivo e che nelle informazioni fornite sempre dalla autorita' di pubblica sicurezza "non si riferisce alcunche' in merito alla attualita' dei collegamenti con la criminalita' organizzata, giacche' ci si limita ad elencare i trascorsi criminali del soggetto"; che tuttavia il rimettente rileva che sussiste "una condizione ostativa all'esame del merito dell'istanza, che sotto ogni altro profilo si appalesa ammissibile", non trovandosi il richiedente nelle condizioni di cui all'art. 58-ter dell'ordinamento penitenziario (anche sotto il profilo della impossibilita' o inesigibilita' della condotta collaborativa); che, a giudizio del tribunale, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 (sotto il profilo della irragionevolezza) e 27, terzo comma, della Costituzione (per violazione del principio della finalita' rieducativa della pena); che il divieto di ammissione alla semiliberta', previsto in assenza del requisito della collaborazione nei confronti degli internati condannati per i delitti indicati dall'art. 4-bis, primo comma, primo periodo, dell'ordinamento penitenziario, sarebbe privo di ragionevolezza in quanto tali soggetti possono fruire, ai sensi dell'art. 53 del medesimo ordinamento, delle licenze, "che concretamente implicano una limitazione della liberta' personale e possibilita' di controllo di gran lunga inferiori rispetto alla semiliberta', che non interrompe il legame con l'istituzione penitenziaria e richiede un preciso supporto esterno" e possono addirittura essere ammessi alla liberta' vigilata, in sostituzione della misura detentiva della casa di lavoro, a seguito del riesame della pericolosita' sociale effettuato a norma dell'art. 230, comma 2, cod. pen; che, inoltre, risulterebbe violato l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto la norma censurata, ispirata a finalita' di prevenzione generale, introduce "una presunzione assoluta di inidoneita' dell'internato alla fruizione di determinati benefici" equiparabile alle "presunzioni di pericolosita' sociale, non consentite" in contrasto con le "finalita' specialpreventive e risocializzanti" proprie delle misure di sicurezza; che nei confronti dei soggetti sottoposti a misura di sicurezza non dovrebbero essere consentite valutazioni estranee al giudizio di pericolosita' sociale e che il legislatore non potrebbe quindi prevedere "norme di sfavore in funzione della natura del reato commesso e quindi con finalita' di prevenzione generale"; che la disciplina restrittiva introdotta dall'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario si tradurrebbe "nella configurazione normativa di una categoria di reclusi presuntivamente ad alto grado di pericolosita'", ispirata a finalita' estranee a quelle proprie delle misure di sicurezza e suscettibile di determinare un aumento di afflittivita' della pena fissata in sentenza anche in ragione della indeterminatezza temporale che caratterizza le misure di sicurezza per la mancanza di un termine finale di durata; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata; che, ad avviso dell'Avvocatura, sarebbe tutt'altro che irragionevole la scelta del legislatore di escludere l'accesso a determinati benefici (come, nella specie, la semiliberta), la cui concessione presuppone la non pericolosita' sociale del soggetto, nei confronti di chi e' sottoposto ad una misura di sicurezza che quella pericolosita' presuppone ancora attuale, in conseguenza della commissione di reati di particolare gravita', senza che siano intervenuti elementi quali la collaborazione con la giustizia o equipollenti, che consentano di ritenere piu' attenuata la pericolosita' stessa. Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, primo comma, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta) - come modificato dall'art. 15, comma 1, del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - nella parte in cui subordina alla collaborazione con la giustizia la concessione della semiliberta' nei confronti di soggetti condannati per i delitti ivi indicati e sottoposti alla misura di sicurezza della casa di lavoro; che, per quanto concerne i profili di rilevanza della questione, il giudice a quo da un lato si limita a fare presente che la verifica effettuata dall'autorita' di pubblica sicurezza in ordine all'offerta di lavoro ha avuto esito positivo e che nelle informazioni acquisite "non si riferisce alcunche' in merito all'attualita' dei collegamenti con la criminalita' organizzata", dall'altro afferma apoditticamente che la richiesta dell'internato di essere ammesso alla semiliberta' "sotto ogni altro profilo si appalesa ammissibile"; che, trattandosi nel caso di specie di soggetto sottoposto alla misura di sicurezza della casa di lavoro, disposta a norma dell'art. 417 del codice penale a seguito di sentenza di condanna per il reato di associazione di tipo mafioso, si deve ritenere che, essendo applicata una misura di carattere detentivo invece della liberta' vigilata, l'internato sia portatore di un livello elevato di pericolosita' sociale; che pertanto il rimettente, nel motivare sulla rilevanza della questione, avrebbe quantomeno dovuto dare conto dell'attuale grado di pericolosita' dell'internato, al fine di verificarne la compatibilita' con l'ammissione alla semiliberta', con particolare riferimento ai progressi compiuti nel corso dell'esecuzione della pena e della misura di sicurezza e alle condizioni per un graduale reinserimento nella societa', come richiesto dall'art. 50, quarto comma, dell'ordinamento penitenziario per la concessione di tale misura (per analoghe considerazioni sull'onere di motivazione, con riferimento ad una questione concernente la misura alternativa della detenzione domiciliare, v. ordinanza n. 77 del 2000); che la questione va quindi dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.