ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso, con ordinanza emessa il 13 dicembre 2000, dalla commissione tributaria provinciale di Verbania, sui ricorsi riuniti proposti da Piazzolla Donato e C. s.n.c. ed altri contro l'ufficio delle entrate di Verbania, iscritta al n. 66 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 6, 1a serie speciale, dell'anno 2001. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 20 giugno 2001 il giudice relatore Massimo Vari. Ritenuto che la commissione tributaria provinciale di Verbania ha sollevato, con ordinanza del 13 dicembre 2000, questione di legittimita' costituzionale "delle norme che regolano il processo tributario e quindi del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546" (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), "in particolare l'art. 7, nella parte in cui non prevedono che il giudice tributario possa e debba disporre l'accompagnamento coattivo del terzo inadempiente ad un ordine del giudice al fine di ottenere informazioni e chiarimenti relativi ad operazioni fiscalmente rilevanti, in relazione al principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione)"; che il rimettente premette che gli avvisi di accertamento, oggetto dei giudizi riuniti innanzi al medesimo pendenti, si fondano esclusivamente sulle dichiarazioni di terzi, raccolte dall'amministrazione finanziaria nella fase amministrativa, relative a fatture passive emesse in relazione ad operazioni inesistenti, la cui veridicita' e' contestata in giudizio, sicche' il Collegio, "al fine di rinnovare e, eventualmente, integrare l'attivita' istruttoria svolta dall'ufficio", ha ordinato la comparizione di coloro che avevano rilasciato le suddette dichiarazioni nella fase procedimentale; che il giudice a quo nel dare atto della mancata comparizione di questi ultimi, benche' "tempestivamente e ritualmente convocati", ritiene che la questione sia rilevante ai fini della decisione, perche' senza la conferma o la ritrattazione delle dichiarazioni rilasciate dai terzi, la causa non puo' essere decisa; che, quanto alla non manifesta infondatezza, richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2000, il rimettente osserva che la mancata attribuzione, al giudice tributario, del potere di disporre l'accompagnamento coattivo dei "terzi che, senza alcuna giustificazione, non hanno osservato un ordine di un'autorita' giurisdizionale", viola il principio di ragionevolezza, in quanto vanifica, "con grave pregiudizio anche per la credibilita' della giustizia", il potere del giudice tributario di rinnovare, eventualmente integrando, l'attivita' istruttoria svolta dall'ufficio, nell'ipotesi in cui il contribuente contesti la veridicita' delle dichiarazioni raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilita' o, comunque, per la manifesta infondatezza dellaquestione. Considerato che la questione investe segnatamente l'art. 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546; che l'esclusione del potere di disporre l'accompagnamento coattivo dei terzi che abbiano rilasciato dichiarazioni all'amministrazione finanziaria e' giustificata dalle stesse caratteristiche del processo tributario, peculiarmente conformato dal legislatore sotto l'aspetto probatorio (vedi sentenze n. 18 del 2000 e n. 141 del 1998); che il rimettente, richiedendo la estensione al processo tributario di una disciplina, quale quella dell'accompagnamento coattivo, che nel processo civile e' essenzialmente preordinata all'assunzione della prova testimoniale, viene, in definitiva, a sollecitare, sia pure indirettamente, la introduzione in quel processo di un mezzo di prova non previsto dal legislatore, senza prospettare convincenti ragioni di ordine costituzionale che possono a cio' indurre; che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.