Ricorso per conflitto di attribuzione della Provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale protempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della giunta provinciale n. 1662 del 3 luglio 2001 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 5 luglio 2001 (rep. n. 25303) rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, ufficiale rogante della Provincia stessa (all. 2) - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, in via Confalonieri n. 5, Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione che non spetta allo Stato di dettare con l'art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1 dicembre 2000, "Atto di indirizzo e coordinamento concernente il rimborso delle spese di soggiorno per cure dei soggetti portatori di handicap in centri all'estero di elevata specializzazione", disposizioni dettagliate direttamente applicabili nel territorio provinciale e vincolanti le competenze provinciali, e per il conseguente anullamento dell'art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1 dicembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 118 del 23 maggio 2001, per violazione: dell'articolo 9, n. 10, dell'articolo 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e delle relative norme di attuazione; degli articoli 2 e 3 del decreto legislativo n. 266 del 1992; del principio di leale collaborazione; delle regole procedimentali in materia di atti di indirizzo e coordinamento, e in particolare dell'art. 1, comma 1, lettera ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13, e dell'art. 5, comma 1, lettera d), della legge n. 400/1988. F a t t o La Provincia autonoma di Trento e' dotata di potesta' legislativa nella materia dell'igiene e sanita', ai sensi dell'articolo 9, n. 10), dello statuto speciale. Nella medesima materia la Provincia e' altresi dotata delle correlate potesta' amministrative, in virtu' dell'articolo 16 dello statuto speciale e delle conseguenti norme di attuazione, emanate con d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474. Nell'ambito di tale materia rientra la problematica dei rimborsi delle spese dei soggetti portatori di handicap che si rechino all'estero per fruire di prestazioni sanitarie in centri di altissima specializzazione, qualora le prestazioni in questione non possano essere erogate adeguatamente o tempestivamente dal Servizio sanitario nazionale. Essa e' disciplinata, in ambito statale, dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, il cui art. 11 prevede, in particolare, che, "ove nel centro di altissima specializzazione estero non sia previsto il ricovero ospedaliero per tutta la durata degli interventi autorizzati, il soggiorno dell'assistito e del suo accompagnatore in alberghi o strutture collegate con il centro e' equiparato a tutti gli effetti alla degenza ospedaliera ed e' rimborsabile" (comma 1). Il comma 2 dello stesso articolo dispone poi che "la commissione centrale presso il Ministero della sanita' di cui all'articolo 8 del decreto del Ministro della sanita' 3 novembre 1989, ... esprime il parere sul rimborso per i soggiorni collegati agli interventi autorizzati dalle regioni sulla base di criteri fissati con atto di indirizzo e coordinamento emanato ai sensi dellrricolo 5, primo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con il quale sono disciplinate anche le modalita' della corresponsione di acconti alle famiglie". Il richiamato art. 5, comma 1, legge n. 833 del 1978 e' una norma generale di competenza, e stabilisce che "la funzione di indirizzo e coordinamento delle attivita' amministrative delle regioni in materia sanitaria, ... spetta allo Stato e viene esercitata, fuori dei casi in cui si provveda con legge o con atto avente forza di legge, mediante deliberazioni del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, d'intesa con il Ministro della sanita', sentito il Consiglio sanitario nazionale" (va qui ricordato che tale organo e' stato soppresso con il d.lgs. 3 marzo 1993, n. 266, e che i suoi compiti sono stati attribuiti alla Conferenza Stato-Regioni). L'atto d indirizzo e coordinamento oggetto del presente giudizio e' stato emanato con il d.P.C.m. 1 dicembre 2000. Oggetto della presente impugnazione e', in particolare, l'art. 3, il quale stabilisce che "le regioni e le province autonome" riconoscono il concorso alle spese di cura all'estero ai soggetti indicati nell'art. 2, attenendosi, in ordine alle modalita' di calcolo della situazione economica del nucleo familiare di appartenenza, ai seguenti "criteri": "a) un concorso pari al 100 per cento della spesa rimasta a carico, qualora trattasi di un nucleo familiare per il quale l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) sia inferiore a 62 milioni; b) un concorso pari all'80 per cento della spesa rimasta a carico, qualora trattasi di un nucleo familiare per il quale l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) sia inferiore a 100 milioni; c) un concorso pari all'80 per cento delle spese di soggiorno, ... qualora trattasi di un nucleo familiare per il quale l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) sia superiore a 100 milioni". Si tratta di un complesso dettagliato di prescrizioni direttamente operative o comunque vincolanti, le quali ledono le prerogative costituzionali della Provincia, per le seguenti ragioni di Diritto 1. - Lesione delle funzioni legislative ed amministrative della Provincia per la diretta applicabilita' e per il carattere vincolante dei criteri di cui all'art. 3 d.P.C.m. 1 dicembre 2000. Come esposto, l'art. 3 del d.P.C.m. qui impugnato detta disposizioni dettagliate direttamente applicabili nel territorio provinciale e vincolanti le competenze provinciali, senza lasciare alcuna discrezionalita' nel settore in questione. Le censure che verranno di seguito illustrate, e che ad avviso della ricorrente Provincia non potrebbero non portare all'annullamento delle impugnate disposizioni, sarebbero superflue se anche in relazione all'art. 3 del decreto impugnato operasse la clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 7, comma 3, del d.P.C.m. secondo la quale "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalita' del presente atto di indirizzo e coordinamento nell'ambito delle proprie competenze secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti". Sennonche', ad impedire un'applicazione altrimenti ovvia di tale clausola al disposto dell'art. 3 (come ad ogni altro disposto dell'atto di indirizzo) - sta il fatto che lo stesso art. 3 menziona precisamente tra i propri destinatari le Province autonome. Cio' induce a ritenere che - nonostante la generale clausola di salvaguardia - l'atto di indirizzo abbia inteso specificare che per la speciale materia del "concorso alla spesa" (oggetto dell'art. 3) il vincolo e' invece dettagliato e preciso, e pienamente corrispondente a quello posto alle regioni ordinarie. Pare cioe' che l'art. 3 deroghi all'art. 7, comma 3, e intenda sottoporre in modo immediato le Province autonome ad una disciplina dettagliata in una materia di competenza provinciale. Di qui la necessita' del presente ricorso. In quanto riferite - come lo stesso art. 3 le riferisce alla ricorrente Provincia, le disposizioni in esso contenute violano in primo luogo l'art. 3, comma 2, delle norme di attuazione dello statuto poste con d.lgs. n. 266/1992, secondo il quale gli atti di indirizzo e coordinamento "vincolano la regione e le province autonome solo al conseguimento degli obiettivi o risultati in essi stabiliti". Gia' in generale, come codesta ecc.ma Corte costituzionale ha piu' volte stabilito (v. ad es. la sent. n. 177 del 1988), un atto non puo' dirsi "di indirizzo e coordinamento" se reca invece esso stesso in termini rigidi la disciplina che dovrebbe limitarsi ad indirizzare; ma e' evidente che le norme di attuazione dello statuto pongono per la ricorrente Provincia un piu' stringente standard di legittimita' dell'atto in quanto ad essa rivolto. Obbiettivo o risultato da raggiungere potrebbe essere, in questo caso, la differenziazione della copertura delle spese per fasce di reddito: non certo la puntuale determinazione contenuta nell'atto impugnato. In realta', si tratta di una disciplina talmente precisa da doversi considerare l'equivalente di una diretta disciplina della materia: e da questo punto di vista risulta violato anche l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992: il quale, come ben noto, istituisce un regime di separazione fra la legislazione statale e la legislazione regionale (e provinciale), per cui - nelle materie regionali e provinciali - le leggi statali non sono direttamente applicabili nella regione Trentino-Alto Adige ma determinano il dovere della regione e delle province di adeguare eventualmente la propria legislazione ai principi delle leggi statali costituenti limiti della legislazione stessa ai sensi dello Statuto. La norma di attuazione risulta, quindi, violata tre volte dall'art. 3 qui impugnato; perche' pone disposizioni direttamente applicabili alle province, perche' tali disposizioni sono dettagliate e perche' esse, comunque, non provengono da un atto legislativo ma da un semplice atto di indirizzo e coordinamento. Di qui la lesione delle competenze legislative ed amministrative della Provincia. 2. - Violazione dell'art. 3, d.lgs. n. 266/1992. In base all'art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 266/1992, "la regione o le province autonome di Trento e di Bolzano, secondo le rispettive competenze, sono consultate, a cura della Presidenza del Consiglio dei ministri, su ciascun atto amministrativo di indirizzo e coordinamento per quanto attiene alla compatibilita' di esso con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione". La premessa del d.P.C.m. qui impugnato attesta l'avvenuta acquisizione dell'intesa con la Conferenza Stato-Regioni ma non l'acquisizione del parere della Provincia autonoma di Trento, necessario in virtu' della norma ora citata. Il parere della Provincia viene invece dato per reso dal verbale della seduta della Conferenza Stato-Regioni del 12 ottobre 2000 (all. 3), verbale che cita una nota del 17 aprile 2000. In realta', la Provincia autonoma di Trento si e' espressa sullo schema di d.P.C.m. da ultimo, con nota del presidente 8 giugno 2000, n. prot. 477/32-3/2000-S001 (all. 4), con la quale ha espressamente richiesto la soppressione, nell'art. 3 qui impugnato, del riferimento alle province autonome. Piu' precisamente, nella nota si rileva che la Provincia "aveva formulato, con nota di data 3 maggio 2000, ... le proprie motivate osservazioni in ordine alla mancata compatibilita' dell'atto ... con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione e aveva di conseguenza ritenuto necessario proporre alcuni emendamenti a salvaguardia delle specifiche competenze della Provincia in materia" e che "nel nuovo testo dell'atto di indirizzo e coordinamento inviato ..., non e' stata inserita..., la modifica proposta all'articolo 3". Si ribadivano, dunque, "anche nei confronti del nuovo schema di atto di indirizzo ... le osservazioni di ordine generale e sistematico, circa la non compatibilita' dell'atto medesimo con lo statuto speciale e con le relative norme d'attuazione", e si rinnovavano per gli stessi motivi, "le proposte di emendamento al testo dell'atto", fra le quali quella di "sopprimere il riferimento alle Province autonome contenuto nell'articolo 3". Dunque, la Provincia autonoma di Trento aveva chiaramente espresso ... proprio parere negativo su quello che e' divenuto poi il contenuto definitivo dell'art. 3. A questa stregua, il verbale della seduta del 12 ottobre 2000 della Conferenza Stato-Regioni (seduta alla quale non ha partecipato il presidente della Provincia di Trento: v. il doc. 3) risulta del tutto arbitrario nella parte in cui attesta che "le Province autonome di Trento e Bolzano, con note rispettivamente del 17 aprile e del 5 aprile 2000, hanno reso i ... pareri di conformita' alle norme statutarie". Ora, la ricorrente Provincia e' del tutto consapevole che nella procedura di adozione degli atti di indirizzo essa e' chiamata a dare un semplice parere di conformita' statutaria, e che il Consiglio dei ministri potrebbe opinare diversamente: ma cio' non toglie che appaia lesivo delle proprie prerogative costituzionali, anche in relazione al principio di leale collaborazione, sia il dare per acquisito un parere di conformita', quando il contenuto effettivo di tale parere era al contrario nel senso della non conformita' statutaria, sia il provvedere in difformita' da tale parere senza la minima indicazione delle cogenti ragioni di fatto o di diritto che inducono il Consiglio dei ministri a tale scelta. Nel presente caso il d.P.C.m. ha disatteso (senza motivazione alcuna) la proposta provinciale, ed anzi l'ha persino ignorata: ma il fatto di "ignorare" il parere negativo della Provincia costituisce il disconoscimento di una garanzia - prevista dal d.lgs. n. 266/1992 - che concorre a comporre il complessivo "bagaglio" di protezione costituzionale della Provincia stessa. Ne risulta un'ulteriore ragione di annullamento dell'art. 3 qui impugnato. 3. - Illegittimo esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento per alterazione delle competenze stabilite. Le censure sopra esposte costituiscono il quadro fondamentale della presente impugnazione. Completezza e scrupolo difensivo esigono tuttavia che si rilevino altre singolarita' dell'atto impugnato, che ad avviso della Provincia ne compromettono anch'esse la legittimita' quale atto di indirizzo e coordinamento. Come illustrato, esso e' stato emanato ai sensi dell'art. 5 della legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978, secondo il quale "la funzione di indirizzo e coordinamento delle attivita' amministrative delle regioni in materia sanitaria, ... spetta allo Stato e viene esercitata, fuori dei casi in cui si provveda con legge o con atto avente forza di legge, mediante deliberazioni del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, d'intesa con il Ministro della sanita', sentito il Consiglio sanitario nazionale". L'atto si sarebbe dunque dovuto fondare su una proposta del Presidente del Consiglio, sulla quale avrebbe dovuto essere acquisita l'intesa del Ministro della sanita', e avrebbe dovuto essere emanato con decreto del Presidente della Repubblica, secondo la regola generale di cui all'art. 1, comma 1, lett. ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13. Si e' trattato invece, come risulta dall'intitolazione dell'atto e dal preambolo, di un decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro della sanita', previa deliberazione del Consiglio dei ministri. E' evidente non solo la non corrispondenza formale dell'atto allo schema normativo, ma altresi', come si dira', l'alterazione sostanziale del processo decisionale. In primo luogo, l'atto di indirizzo deliberato dal Consiglio dei ministri e' stato "tradotto" in un decreto del Presidente del Consiglio. A quello che risulta, cio' corrisponde alla prassi degli atti di indirizzo e coordinamento adottati dal 1997 in poi: ma tale prassi appare attualmente contraria al diritto positivo. Essa si spiega, probabilmente, per il fatto che l'art. 1, comma 1, lett. hh), della legge n. 13 del 1991, che prevedeva specificamente l'emanazione degli atti di indirizzo e coordinamento con decreto del Presidente della Repubblica, e' stato abrogato dalla legge n. 59 del 1997, abrogazione a sua volta collegata al venire meno per effetto dell'art. 8, legge n. 59 del 1997 - della competenza generale del Consiglio dei ministri. In quella situazione, l'iniputazione dell'atto di indirizzo al Presidente del Consiglio poteva apparire il solo modo di sottolineare la natura "generale" dell'atto, la sua non imputabilita' ad una amministrazione di settore: di qui, si ritiene, la prassi che dal 1997 vede la sostituzione del d.P.C.m. al d.P.R. quale forma di emanazione degli atti di indirizzo. Tuttavia, la situazione giuridica attuale non giustifica affatto tale prassi. Va rilevato, in particolare, che la competenza del Consiglio dei ministri (che peraltro nel caso specifico e' gia' fondata sull'art. 5 della legge n. 833 del 1978) e' stata anche in generale "ripristinata" dalla sent. n. 408 del 1998 di codesta Corte costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma della legge n. 59/1997 abrogativa dell'art. 2, comma 3, lett. d), legge n. 400/1988. A seguito di tale sentenza si ripristina anche la competenza del Presidente della Repubblica ad emanare gli atti di indirizzo e coordinamento, per effetto del gia' citato art. 1, comma 1, lett. ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13, e dell'art. 5, comma 1, lett. d), della legge n. 400/1988 (che presuppone chiaramente l'emanazione con d.P.R. di tutti gli atti per i quali sia intervenuta delibera del Consiglio dei ministri). Risulta ad avviso della ricorrente Provincia cosi' illustrato come la prassi della emanazione degli atti di indirizzo e coordinamento con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sia oramai contra legem. A smentire tale conclusione non basta certo, a questo punto, l'avvenuta abrogazione della specifica regola gia' posta dal ricordato art. 1, comma 1, lett. hh), della legge n. 13 del 1991, dato che il luogo di questa e' ora tenuto dalla regola generale sopra citata. L'aver tradotto, nel caso di cui al presente ricorso, la deliberazione di base in un atto del Presidente del Consiglio, anziche' del Presidente della Repubblica, altera dunque l'ordine delle competenze, assegnando al Presidente del Consiglio un potere che non gli spetta, ne' in relazione alla disciplina degli atti di indirizzo e coordinamento ne' in relazione agli atti del Consiglio dei ministri in genere. Inoltre - ed e' cio' che qui piu' conta - tale indebita "trasposizione" della deliberazione collegiale in atto del Presidente del Consiglio sottrae alla Provincia la garanzia (sicuramente di livello costituzionale) che nel procedimento di emanazione dell'atto di indirizzo intervenga un organo rappresentante dell'unita' nazionale nel suo complesso, un organo in grado di formulare, al momento dell'emanazione, i rilievi eventualmente necessari sulla legittimita' sull'atto emanando. Nel caso specifico, inoltre, l'alterazione delle competenze all'emanazione ha comportato un'ulteriore alterazione del processo decisionale, in quanto il Presidente del Consiglio, dovendo emanare l'atto, non ha svolto alcun ruolo nella determinazione del contenuto dell'atto, che avrebbe invece dovuto proporre. L'art. 5 della legge di riforma sanitaria affida la proposta al Presidente del Consiglio, e non all'amministrazione competente per materia, all'evidente scopo di mantenere la funzione generale dell'atto, e di evitarne lo scadimento ad espressione degli interessi dell'amministrazione piu' direttamente coinvolta: alla quale e' stato affidato dunque un ruolo secondo, consistente nel potere di intesa, ma non un ruolo di prima individuazione del contenuto propositivo. Di qui una generale ragione di illegittimita' dell'atto, che si traduce anch'essa, rapportata al contenuto lesivo dell'art. 3, in una violazione delle prerogative costituzionali della ricorrente Provincia.