IL TRIBUNALE In merito alla eccezione di legittimita' dell'art. 458, comma 1 c.p.p., in relazione all'art. 24 della Costituzione, sollevata dal Collegio nel corso dell'udienza 11 aprile 2001 nel proc. r.g. trib. n. 162/01 a carico dell'imputato Carnazza Marco, osserva Sulla rilevanza In data 6 novembre 2000 veniva emesso nei confronti di Carnazza Marco decreto di giudizio immediato per l'udienza del 13 dicembre 2000, notificato all'imputato il 9 novembre 2000; l'avviso relativo alla data fissata per il giudizio immediato veniva notificato al difensore, avv. A. Mencobello, il 15 novembre 2000. In data 18 novembre 2000 il Carnazza avanzava istanza di definizione con rito abbreviato, ma la richiesta veniva dichiarata inammissibile dal g.i.p. presso il tribunale di Savona, con ordinanza 2 febbraio 2001, in quanto proposta oltre il termine di sette giorni (e precisamente l'ottavo giorno) - decorrenti dalla notificazione del decreto di giudizio immediato - previsto, a pena di decadenza, dall'art. 458, comma 1 c.p.p. Il g.i.p., peraltro, senza che la cancelleria trasmettesse il fascicolo al giudice del dibattimento, provvedeva sulla richiesta di giudizio abbreviato in data successiva a quella fissata per l'udienza dibattimentale - che percio' non veniva celebrata - e il 15 febbraio 2001 emetteva un secondo decreto di giudizio immediato per l'udienza dibattimentale del 4 aprile 2001, decreto che veniva notificato all'imputato il 14 febbraio 2001; il Carnazza avanzava, questa volta tempestivamente, il 15 febbraio 2001, nuova istanza di rito abbreviato. Il tribunale, con ordinanza a verbale di udienza 11 aprile 2001, qualificava il secondo decreto come atto abnorme, essendo il g.i.p. sprovvisto di poteri processuali al riguardo, e giudicava priva di effetti la richiesta di rito abbreviato formulata in rapporto ad esso, ritenendo, percio', che la comparizione dell'imputato, presente in aula, e del difensore dovessero ricondursi al decreto del 6 novembre 2000. Dal momento che, nelle more del giudizio, e' entrata in vigore la legge 1 marzo 2001, n. 63, che, all'art. 14 comma 2, modifica il termine di sette giorni previsto dall'art. 458 c.p.p., estendendolo a giorni quindici, la difesa ha sostenuto che, alla luce dell'art. 26 comma 1, secondo cui le disposizioni della nuova normativa si applicano ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore della stessa, il termine quindicinale dovrebbe valere anche nel caso di specie, con la conseguenza che l'istanza di rito abbreviato formulata il 18 novembre 2000 non sarebbe da considerarsi tardiva. Questo tribunale ritiene che l'art. 26 della suddetta legge debba essere interpretato nel rispetto del principio generale del tempus regit actum, secondo cui non puo' essere applicata ad un atto processuale una normativa che non era in vigore nel momento in cui l'atto e' stato compiuto: percio', le disposizioni di cui alla legge 63/2001 andranno applicate con riferimento ad ogni, distinta fase processuale, senza che sia consentito riaprire o incrementare nel dibattimento termini che concernono, invece, fasi precedenti, gia' concluse. Pertanto, la normativa che deve trovare applicazione nel caso di specie e' rappresentata dall'art. 458 c.p.p. nella sua formulazione antecedente alle ultime modifiche. Conseguentemente, l'imputato non ha rispettato il termine di sette giorni dalla notifica dell'unico valido decreto di giudizio immediato ed e' decaduto dalla facolta' di avvalersi del rito abbreviato. Peraltro, laddove il termine di decadenza non fosse fatto decorrere dalla data di notificazione del decreto all'imputato, bensi' dalla comunicazione al difensore dell'avviso della udienza di giudizio immediato, il Carnazza sarebbe stato nei termini per accedere al rito alternativo, avendo presentato istanza il 18 novembre 2000, ossia tre giorni dopo la notifica del decreto al difensore. La questione di legittimita' dell'art. 458 comma 1 c.p.p., nella parte in cui non prevede che il termine per richiedere l'abbreviato decorra dalla notifica dell'avviso al difensore, e', percio', rilevante nel presente giudizio, dal momento che dalla soluzione della stessa dipende la possibilita' per il Carnazza di usufruire di un rito alternativo che comporta un trattamento peculiare sotto molteplici profili, in primis quello del trattamento sanzionatorio. Sulla non manifesta infondatezza La legittimita costituzionale dell'art. 458, comma 1 c.p.p. viene contestata alla luce del disposto dell'art. 24, comma 2 della Costituzione, che qualifica la difesa come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. La formulazione estremamente generica della norma porta, inevitabilmente, con se', difficolta' interpretative, che non possono essere risolte attraverso il mero riferimento alla inviolabilita' del diritto, dalla quale nessuno dissente. Nel corpus dell'art. 24 della Costituzione, infatti, la difesa appare come un postulato, di cui si danno per scontati contenuto, struttura e garanzie; viceversa, il diritto si connota diversamente a seconda dell'ordinamento processuale all'interno del quale viene calato. In un sistema accusatorio quale quello attualmente vigente, in cui il legislatore ordinario ha dimostrato in piu' di un'occasione di giudicare essenziale per il corretto svolgimento del rapporto processuale che le parti, accusa e difesa, siano nelle condizioni di agire in pieno contraddittorio e su un piano di sostanziale parita', il diritto di difesa e', senza dubbio, inteso anche come diritto all'assistenza tecnica, ed assume connotazioni particolari, in quanto qualificato come irrinunciabile. La par condicio postula che alla capacita' professionale della pubblica accusa venga contrapposta l'uguale competenza professionale di un difensore tecnico, che affianchi l'imputato per tutto il corso del processo. Se e' vero che il diritto di difesa significa, in primis, diritto all'autodifesa, che si realizza attraverso la possibilita' di effettiva ed attiva presenza dell'imputato alle attivita' processuali, e' anche vero che la massima esplicazione del diritto all'autodifesa puo' aversi laddove all'imputato sia dato conoscere i diritti e le facolta' che a lui competono, in modo da porlo nelle condizioni di scegliere la strategia processuale piu' adatta. La funzione del difensore tecnico e', percio', anche quella di rendere edotto il proprio assistito sulle differenti opzioni difensive, cosi' da garantirgli di scegliere coscientemente e con cognizione la linea piu' confacente ai propri interessi. La disposizione dell'art. 458, comma 1 c.p.p., nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza per la presentazione della richiesta di abbreviato dalla data della notifica all'imputato del decreto di giudizio immediato anziche' dalla comunicazione al difensore della data fissata per l'udienza di immediato, vanifica il diritto di difesa proprio sotto il profilo del diritto all'assistenza tecnica, in quanto non consente all'imputato la scelta consapevole di un rito alternativo che comporta conseguenze di rilievo e consente un notevole abbattimento di pena. La norma codicistica, infatti, pare partire dal presupposto che ogni imputato non solo sia in grado di leggere il decreto di citazione che gli viene notificato e capirne la terminologia ed il contenuto, ma sia anche a conoscenza delle regole del codice di rito, ossia di che cosa significhi "rito abbreviato" e di quali conseguenze implichi la scelta di tale soluzione. In realta', la migliore strategia processuale puo' essere scientemente scelta dall'imputato, cui tale scelta spetta in proprio, solo laddove sia posto nelle condizioni di conoscerne i presupposti e le conseguenze e non si puo' presumere che l'uomo comune possegga nozioni di diritto processuale ed abbia dimestichezza con concetti a volte di difficile interpretazione anche per esperti di diritto. La effettivita' del diritto di difesa viene assicurata solo laddove il difensore sia posto nelle condizioni di prospettare all'assistito le iniziative tecniche piu' convenienti, e cio' vale a maggior ragione laddove si tratti di optare per un rito speciale, quale l'abbreviato, per cui e' prevista una disciplina particolare sotto il profilo del materiale utilizzabile ai fini probatori, del trattamento sanzionatorio e dei limiti all'appello. Questo tribunale e' consapevole che la questione qui proposta e' gia' stata affrontata in passato dalla Corte Costituzionale e dichiarata manifestamente infondata con le ordinanze n. 588/1990, 225/1991, 355/1991 e 36/1994; peraltro, si ritiene di dover dissentire dall'argomento a suo tempo sostenuto dal giudice delle leggi, secondo cui non sussisterebbe alcuna lesione del diritto di cui all'art. 24, comma 2 della Costituzione poiche' il decreto che dispone il giudizio immediato, e contenente l'avviso che l'imputato puo' richiedere il rito abbreviato, viene notificato all'imputato almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio dinanzi al tribunale, ed entro lo stesso termine viene anche notificato al difensore il relativo avviso, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui il decreto di citazione sia notificato prima dell'avviso, l'imputato puo, comunque, informare della citazione il proprio avvocato, entro un termine all'epoca di sette giorni, oggi di quindici, adeguato all'esercizio del diritto di difesa. Quest'argomento aggira il problema di fondo: nonostante il decreto di giudizio immediato e l'avviso della relativa udienza debbano essere notificati almeno venti giorni prima dell'udienza rispettivamente ad imputato e difensore, cio' non significa affatto che le notifiche vengano effettuate a distanza di un breve lasso di tempo l'una dall'altra, in modo da consentire al primo di conferire con il secondo, con la conseguenza che la comunicazione al difensore potrebbe avvenire quando e' gia' scaduto il termine per la richiesta di riti alternativi. Resta il fatto che il termine di decadenza decorre, comunque, dalla notifica all'imputato, a nulla rilevando, sotto questo profilo, la comunicazione al difensore, e che il primo potrebbe non essere in grado di comprendere il contenuto del documento notificatogli e quindi potrebbe sottovalutare l'importanza di avvertire immediatamente colui che, solo, e' in grado di consigliare la strategia processuale piu' adatta (e che potrebbe non essere piu' nelle condizioni di farlo, a causa della decorrenza del termine prescritto dal codice). Il far decorrere il termine entro cui puo' essere richiesto il rito abbreviato dalla notificazione all'imputato del decreto di giudizio immediato comporta una violazione del diritto di difesa, in quanto non consente il corretto esplicarsi della difesa tecnica ed il corretto esercizio, da parte dell'avvocato, dei poteri-doveri di assistenza, con inevitabili ripercussioni sull'esercizio del diritto di autodifesa da parte dell'imputato. Cio' vale anche sotto la vigenza della nuova normativa, che ha inciso esclusivamente sulla durata del termine - peraltro sempre estremamente breve - e non ha in alcun modo affrontato il profilo qui censurato. Per tutte le sopraesposte ragioni la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 458, comma 1 c.p.p. per contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione deve ritenersi non manifestamente infondata.