IL TRIBUNALE

    Sciogliendo  la  riserva  espressa  all'udienza del 5 marzo 2001,
osserva quanto segue.
    Il  ricorso  evidenzia la sussistenza di situazioni personali del
ricorrente,  caratterizzate  dalla  disponibilita' di un imprenditore
alla  sua  assunzione  e  dalla  disponibilita'  di  un alloggio, che
sarebbero  astrattamente idonei, nell'ambito delle quote di ingresso,
a legittimare la sua presenza in Italia.
    Va  anzitutto  rilevato  che  il  dato  normativo non consente di
ritenere esistente un potere discrezionale del prefetto in materia di
espulsioni,  nel  senso che, accertato il verificarsi dei presupposti
previsti  dall'art. 13  testo  unico  di  cui  al decreto legislativo
n. 286/1998  (d'ora  in avanti testo unico), l'emanazione del decreto
di espulsione deve considerarsi automatica.
    In  questo  senso va fatto riferimento non solo alla formulazione
letterale  della norma e dalla differenza tra la previsione del comma
1,  che,  relativamente  alla  espulsione  disposta  dal ministro per
motivi  di  ordine pubblico o di sicurezza, prevede espressamente che
l'espulsione "puo'" essere disposta, e quella del comma 2, che invece
si  esprime  in  termini di automatismo e assenza di discrezionalita'
("l'espulsione   e'   disposta   dal   prefetto"),   ma   anche  alla
interpretazione   della   giurisprudenza   di  legittimita',  che  in
motivazione  si  esprime per il carattere automatico della espulsione
prevista  dal  comma  2  dell'art. 13  (cfr.  Cass.  23  giugno 1999,
n. 6374).
    Si  tratta  peraltro  di una lettura compatibile con le finalita'
del  provvedimento  espulsivo,  che  consegue  all'accertamento della
violazione delle norme dettate in materia di ingresso e permanenza in
Italia, evitando valutazioni caso per caso con una sostanziale delega
alle  prefetture  della  gestione  della immigrazione e con rischi di
gestione  non  unitaria  e frammentata nel territorio a seconda delle
esigenze specifiche della zona di riferimento.
    La natura vincolata del decreto di espulsione del prefetto non e'
contraddetta  dall'obbligo  di  motivazione,  ove si consideri che la
motivazione  ha  lo  scopo di assicurare la verifica della congruenza
tra presupposti e conclusioni adottate dalla autorita' competente.
    In  questo  senso,  si ritiene estraneo all'ambito di valutazione
demandato   al  prefetto  il  giudizio  di  non  meritevolezza  dello
straniero a permanere nel territorio dello Stato.
    In  questo  senso,  anche  la motivazione della sentenza della SC
richiamata riferisce tale valutazione ad un momento diverso da quello
preso  in  considerazione  dal ricorso, e piu' precisamente sul piano
della  interpretazione  della  norma  per  le  ipotesi  di espulsione
motivata  dal  ritardo  nella  richiesta  di  rinnovo del permesso di
soggiorno,  nel senso di tenere conto delle differenti situazioni che
originano  la  fattispecie della omessa richiesta e la distinguono da
quella del semplice ritardo.
    La  situazione  prospettata  dal  ricorrente  conduce  tuttavia a
evidenziare  aspetti  della  disciplina  dettata  dal testo unico che
contrastano   con   principi   costituzionali,   incidendo   in  modo
ingiustificato   sulla   effettivita'   dell'  esercizio  di  diritti
costituzionalmente garantiti.
    In  realta',  e'  proprio  l'automaticita'  della  emanazione del
decreto  di  espulsione che impedisce di tenere conto dei principi di
solidarieta'  e  accoglienza che costituiscono l'approccio principale
del sistema normativo, che affronta il tema della immigrazione non in
termini  di  ordine  pubblico  ma  valorizzando  l'inserimento  e  il
riconoscimento   di  diritti  fondamentali  e  di  partecipazione  ai
cittadini  stranieri  che  non  si pongono in contrasto con il nostro
ordinamento.
    In  questo  senso,  la  mancata  previsione  di attenuazioni alla
automaticita'  della  espulsione  nonostante  il  cittadino straniero
abbia  dimostrato  una situazione che ne legittimerebbe la permanenza
in  Italia,  viene  a  contrastare  con  i  principi  di solidarieta'
enunciati  dall'art. 2 della Costituzione e con quello di uguaglianza
enunciato  dall'art. 3  della  Costituzione,  per  cui  il  cittadino
straniero  in  possesso dei requisiti per la concessione del permesso
di  soggiorno  al  momento  della pronuncia del decreto di espulsione
subisce  un  trattamento  diverso  e peggiore rispetto a colui che si
trova  nella  stessa  situazione  di fatto ma ha a monte il titolo di
permanenza.
    In   questo  modo,  l'espulsione  automatica  viene  ad  incidere
direttamente  su  altri  diritti costituzionalmente garantiti, come i
diritti  che  spettano  a  ogni lavoratore in forza di un rapporto di
lavoro  subordinato,  che  lo straniero espulso verrebbe pregiudicati
(si   pensi   alle   implicazioni  degli  art. 35  e  seguenti  della
Costituzione   sugli  specifici  diritti  alla  retribuzione  o  alla
stabilita'  del posto di lavoro, compromessi a causa della espulsione
e del divieto di dentro nel territorio italiano ai sensi dell'art. 11
commi 13 e 14 del testo unico).
    Si  ritiene  che  il  contrasto  tra  la  norma  richiamata  e le
disposizioni  costituzionali non possa essere superato attraverso una
interpretazione  adeguatrice, non sussistendo margini per una lettura
diversa  da  quella  che  si  e'  data nella prima parte del presente
provvedimento.
    La  questione di costituzionalita' si presenta rilevante nel caso
di  specie,  considerando  che  il  ricorrente  e'  nel  possesso dei
requisiti  abitativi  e di lavoro che ne legittimerebbero il regolare
ingresso  nel  territorio  dello  Stato  ai  sensi  dell'art. 4  e il
successivo  rilascio  del  permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 5
del  testo  unico  e  che  tale situazione deve rientrare nell'ambito
delle  valutazioni  operate  dalla  autorita'  amministrativa ai fini
della emanazione del decreto di espulsione e deve essere valutata dal
giudice al fine di verificare la legittimita' del decreto opposto.