IL TRIBUNALE

    Riunito  in  camera  di  consiglio  per il procedimento di cui al
n. 4898  R.G. fallimentare relativo alla richiesta dell'avv. Giovanni
Strippoli  curatore  del fallimento di Bombini Tommaso titolare della
TI.EMME.GI.  di  estendere il fallimento ex art. 147 l. f. ai soci di
fatto Bombini Sergio e Di Benedetto Dilva;
    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Sciogliendo la riserva;

                            O s s e r v a

    Il  procedimento  sottoposto  all'esame del tribunale riguarda la
legittimita'  della  estensione  del  fallimento  di  un imprenditore
individuale al socio occulto illimitatamente responsabile, effettuata
ai sensi dell'art. 147, comma secondo, legge fallimentare.
    I  dati cronologici della vicenda all'esame del tribunale possono
essere  qui  brevemente riepilogati: Bombini Tommaso nato a Bisceglie
il  27  aprile  1975, titolare della TI.EMME.GI., impresa individuale
con  sede  in  Bisceglie  alla  via Finizia n. 51/A veniva dichiarato
fallito  da  questo  tribunale  con  sentenza  del  2  febbraio 2000.
Successivamente  il curatore del fallimento avv. Strippoli, ritenendo
che l'attivita' svolta dal fallito fosse stata esercitata di fatto da
una  societa',  formulava  istanza di estensione del fallimento anche
nei  confronti dei genitori dello stesso ovvero Bombini Sergio nato a
Bisceglie  il  2 ottobre 1948 e Di Benedetto Dilva nata a Melfi il 12
settembre 1951.
    E'  nota l'evoluzione giurisprudenziale che in questi ultimissimi
anni   si  e'  avuta  in  tema  di  dichiarazione  di  fallimento  in
estensione.
    Brevemente,  e' appena il caso di ricordare che fino a poco tempo
fa era assolutamente consolidato in giurisprudenza l'orientamento che
riteneva  che  la  sfera  applicativa  degli  articoli 10  e 11 legge
fallimentare    fosse    ristretta    all'ipotesi   dell'imprenditore
individuale.  Questo  principio,  che  pure aveva incontrato notevoli
critiche  in dottrina, si e' mantenuto inalterato, fino a quando, con
sentenza   interpretativa   8-12   marzo   1999,   n. 66,   la  Corte
costituzionale,  ebbe ad affermare che la disposizione dell'art. 147,
commi  1  e  2,  l.f.  "va  interpretata  nel senso che a seguito del
fallimento  della  societa' commerciale di persone, il fallimento dei
soci  illimitatamente  responsabili  defunti  o rispetto ai quali sia
comunque  venuta  meno  l'appartenenza  alla  compagine  sociale puo'
essere  dichiarata  solo entro il termine fissato dagli articoli 10 e
11  della  legge  fallimentare  di  un  anno  dallo  scioglimento del
rapporto  sociale".  All'indomani di quella pronunzia costituzionale,
in  dottrina  e  giurisprudenza  si discuteva dei riflessi che quella
sentenza,  interpretativa,  dovesse  avere  sui fallimenti in corso e
sulla   congruita'   del   termine   annuale   indicato  dalla  Corte
costituzionale   anche   per   l'impresa   collettiva   (in   realta'
l'indicazione gia' risiedeva nella legge fallimentare - art. 10 - sia
pur  limitatamente  all'imprenditore  individuale) per procedere alla
dichiarazione  di  fallimento in estensione del socio illimitatamente
responsabile.  Era  altresi'  discusso  il  momento  dal  quale  fare
decorrere il termine annuale.
    La   questione  e'  stata  definitivamente  risolta  dalla  Corte
costituzionale,  chiamata  nuovamente a pronunciarsi dai tribunali di
Milano,  Palermo  e  Bologna,  i  quali  ne  avevano  sostanzialmente
sollecitato  un  intervento  chiarificatore, non ritenendo risolto il
problema innescato dalla precedente pronunzia.
    La  Corte  costituzionale  ha ritenuto opportuno questa volta non
limitarsi  ad  una  mera  interpretazione  delle  norme oggetto delle
censure  d'incostituzionalita',  ma  ne  ha  dichiarato  parzialmente
l'illegittimita'.   Piu'   esattamente,   la   Corte   ha  dichiarato
illegittimo  l'art. 10  della  legge fallimentare "nella parte in cui
non prevede che il termine di un anno dalla cessazione dell'esercizio
dell'impresa  collettiva  per  la  dichiarazione  di fallimento della
societa'  decorra  dalla  cancellazione  della  societa'  stessa  dal
registro  delle  imprese"  e  dell'art. 147 legge fallimentare "nella
parte  in  cui  prevede  che il fallimento dei soci a responsabilita'
illimitata  di  societa'  fallita  possa  essere  dichiarato  dopo il
decorso  di  un  anno  dal  momento  in  cui  essi abbiano perso, per
qualsiasi causa, la responsabilita' illimitata".
    A  questo  punto,  ad avviso del tribunale appare discriminata la
posizione  del  socio occulto nei confronti del quale sembrerebbe non
sussistere alcun limite temporale per l'estensione del fallimento.
    Nessun dubbio interpretativo avrebbe potuto resistere, qualora la
pronunzia  di  incostituzionalita',  che  ha  investito  il  comma  1
dell'art. 147 legge fallimentare, fosse stata estesa anche al comma 2
e  cioe'  se  fosse  stato  previsto  espressamente che, anche per la
dichiarazione  in estensione, per i soci illimitatamente responsabili
di  cui risulti l'esistenza dopo la dichiarazione di fallimento della
societa',  fosse  applicabile  il termine annuale di cui all'art. 10,
gia' esteso al comma 1 dell'art. 147.
    In  realta',  alle medesime conclusioni probabilmente si porrebbe
gia'  pervenire  in via di interpretazione analogica, quando si pensi
alla   ratio,   che   ha  ispirato  il  legislatore  prima  (sia  pur
limitatamente all'imprenditore individuale) e la Corte costituzionale
poi (con l'estensione anche al socio receduto o cessato) nel limitare
ad  un  anno  dalla  cessazione  dell'attivita' di impresa il termine
entro cui procedere alla dichiarazione di fallimento.
    La  decisione  del  giudice  delle  leggi  si  fonda sui seguenti
principi.  L'assoggettabilita' a fallimento dell'imprenditore cessato
postula  la  fissazione  di un limite temporale certo entro cui possa
essere pronunciato il fallimento.
    L'imposizione  di tale limite appare ancor tanto piu' necessario,
tenuto conto che le conseguenze del fallimento generalmente ricadono,
non  soltanto  sull'imprenditore,  ma  anche  sui  terzi  che con lui
abbiano  avuto a che fare. L'art. 10 legge fallimentare contempera le
opposte  esigenze  di  tutela  dei  creditori  e  di  certezza  delle
situazioni giuridiche, fissando detto termine in un anno.
    L'art. 147   legge   fallimentare   prevede   il  fallimento  per
ripercussione  del  socio  illimitatamente  responsabile  e  non puo'
dubitarsi  che  anche  in  tal  caso  ricorrano le stesse esigenze di
tutela   a   cui  risponde  l'art. 10  legge  fallimentare,  sicche',
simmetricamente,  fa  soggezione  al  fallimento  del  socio  che sia
receduto  dalla  societa'  va  circoscritta  entro un rigoroso limite
temporale,   che,   non   risultando   fissato   dall'art. 147  legge
fallimentare,   deve  essere  rinvenuto  all'interno  del  sistema  e
precisamente   nella   stessa   norma   dettata   dall'art. 10  legge
fallimentare,    che,    come    osserva   correttamente   la   Corte
costituzionale,  "in  considerazione  della  sua  ratio,  assume  una
portata  generale  ed  e',  in  quanto  tale,  applicabile  anche  al
fallimento degli ex soci".
    Questo  tribunale,  come  detto,  si trova a dover affrontare una
fattispecie  diversa da quelle espressamente affrontate con le citate
pronunzie costituzionali, anche se non puo' negarsi che l'esigenza di
tutela del principio di certezza delle situazioni giuridiche dovrebbe
ispirare   anche  l'applicazione  del  comma  2  dell'art. 147  legge
fallimentare.
    Anzi,  a  ben  guardare, tale esigenza e' ancora piu' sentita nel
caso  di  estensione al socio occulto, rispetto al quale, proprio per
il   carattere  per  cosi'  dire  silente  della  sua  partecipazione
societaria  -  minore  o  addirittura  insussistente e' l'esigenza di
tutela  dei  creditori,  che  in  ipotesi  neppure  conoscono  la sua
qualita'.
    Il  socio  occulto, che non recede ufficialmente dalla societa' e
non  puo'  ad  esempio  esternare detto evento con le forme legali di
pubblicita',  si  vedrebbe  soggetto alla dichiarazione di fallimento
per  un tempo illimitato, passando all'analisi giuridica, il punto di
partenza, ovviamente, non puo' che essere rappresentato dal testo del
comma  2  dell'art. 147  legge  fallimentare,  che, non essendo stato
direttamente  modificato  dalla  pronunzia  costituzionale del luglio
2000,   non  indica  alcun  limite  temporale  per  l'estensione  del
fallimento ai soci, la cui illimitata responsabilita' sia emersa dopo
la dichiarazione di fallimento della societa'.
    Occorre preliminarmente verificare se le differenze esistenti tra
il  caso  del socio receduto o del socio che perda la responsabilita'
illimitata  a seguito di trasformazione del tipo sociale e quella del
socio   la  cui  qualita'  si  manifesti  dopo  la  dichiarazione  di
fallimento della societa', siano cosi' nette da rendere fuor di luogo
l'applicazione   alla   seconda   fattispecie  del  limite  temporale
introdotto nel comma 1 dell'art. 147 legge fallimentare
    La  situazione  del  recesso  e/o della trasformazione rispetto a
quello del socio occulto sono giuridicamente ben diverse, come appare
fin  troppo ovvio, il punto e' che la differenza dovrebbe essere tale
da   giustificare  una  disparita'  di  trattamento  in  vista  della
soggezione al fallimento.
    In  altri termini, bisognerebbe ritenere ragionevole che, dopo il
decorso  di un anno il socio receduto sia esonerato sempre e comunque
dal   fallimento,   mentre   il  socio  occulto  continui  a  restare
assoggettabile alla procedura concorsuale, nonostante che sia decorso
oltre un anno dalla dichiarazione di fallimento della societa' di cui
avrebbe  fatto  parte.  Tale  specifica  differenza funzionale non si
riesce a cogliere.
    Il  dubbio che la mancata previsione di un limite temporale anche
per  l'estensione del fallimento al socio occulto, la cui qualita' di
socio  si sia manifestata ai creditori, al curatore o al p.m. dopo la
dichiarazione  di  fallimento  della  societa' e soprattutto che, una
volta  ritenuto applicabile il detto termine, che lo stesso non debba
decorrere  al  piu'  tardi  a  partire  dalla  prima dichiarazione di
fallimento  leda  principi  costituzionali  non puo' dunque ritenersi
manifestamente infondato.
    Si tratta semmai di verificare se tale dubbio sia rimediabile per
via   interpretativa,   in   particolare   servendosi  analogicamente
dell'art. 10  legge  fallimentare  e  del comma 1 dell'art. 147 legge
fallimentare.
    Effettivamente, come gia' si e' avuto modo di verificare innanzi,
il  dubbio  maggiore  non  riguarda  la  concreta  applicabilita' del
termine  annuale  anche al socio occulto quanto quello di individuare
un momento preciso da cui fare decorrere il termine suddetto.
    Una   simile   soluzione   eviterebbe   il  rischio  di  lasciare
all'interprete  il  compito  di verificare non soltanto la ricorrenza
dei  presupposti  giuridici  e  di  fatto  che consentano di ritenere
l'esistenza  del  rapporto  societario, ma anche quello, spesso ancor
piu'   arduo,   di   verificare  se  e  quando  questo  rapporto  sia
eventualmente  venuto  meno,  qualora  si  dovesse  ammettere  che la
dichiarazione di fallimento della societa' non costituisca di per se'
causa  di scioglimento del rapporto societario (palese od occulto che
sia) ovvero momento in cui viene meno la responsabilita' illimitata.
    L'art. 147  legge fallimentare, a ben vedere, contiene un accenno
al  fattore  cronologico che non puo' essere dimenticato. Il comma 2,
in  particolare,  prende  in  considerazione  l'eventualita'  che  la
posizione   di   socio   illimitatamente   responsabile   emerga  non
contestualmente,   bensi'  "dopo"  la  dichiarazione  del  fallimento
sociale,  eppure nonostante la recente modifica del comma 1, continua
a  non  porre alcun limite al sopravvenire della pronuncia estensiva,
autorizzando  quei  dubbi  interpretativi che il tribunale ha innanzi
esposto.
    Invero,   sarebbe   assurdo  lasciar  "consolidare"  in  un  anno
l'esonero  dal fallimento del socio receduto e tenere indefinitamente
nell'incertezza  il  destino del socio occulto, dopo che egli, se non
altro  perche'  e'  intervenuta la dichiarazione di fallimento con la
conseguente nomina del curatore e degli altri organi fallimentari, ha
comunque   perduto  ogni  dominio  sull'impresa.  Anzi,  la  nettezza
dell'interruzione    del   rapporto   sociale   rappresentata   dalla
dichiarazione  del  fallimento  principale combinata con l'intrinseca
esigenza  di  concentrazione  della  procedura concorsuale dovrebbero
imporre  a  maggior  ragione il rispetto di un termine perentorio per
definire la posizione del socio. L'omessa determinazione di un limite
al  sopravvento  della  pronuncia estensiva dopo la dichiarazione del
fallimento  sociale  urta dunque, non solo l'esigenza di perequare la
posizione  del socio rispetto a quella dell'imprenditore individuale,
non solo l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, ma anche
l'esigenza  di  garantire ai creditori un accesso certo ed efficiente
alla  tutela  giudiziaria,  nonche'  a  tutti  i  cittadini una buona
amministrazione   della  giustizia.  Queste  riflessioni  inducono  a
ritenere  che,  se  occorre stabilire un termine per l'estensione del
fallimento   al  socio,  questo  andrebbe  innanzi  tutto  fissato  a
decorrere dalla dichiarazione del fallimento principale ed e' il caso
di  sottolineare  che  tale  profilo  potrebbe  assumere  autonoma  e
concreta  rilevanza  nella  decisione  del caso di specie, laddove la
pronuncia  estensiva  interverrebbe a distanza di oltre un anno dalla
dichiarazione del fallimento dell'impresa.
    In  conclusione, si deve ribadire che la mancata previsione di un
ragionevole limite temporale nell'art. 147 comma 2 legge fallimentare
per  l'estensione  del fallimento al socio la cui responsabilita' sia
emersa  dopo  la dichiarazione di fallimento e soprattutto che questo
termine,  proprio per la peculiarita' del caso del socio occulto, non
inizi   a   decorrere   al  piu'  tardi  dalla  data  della  sentenza
dichiarativa    del    fallimento   principale   suscita   dubbi   di
costituzionalita',    in   quanto   lascia   indefinitamente   aperta
l'assoggettabilita'  del  socio  occulto  alla procedura concorsuale,
dando  luogo  ad  un'inaccettabile differenza rispetto alla posizione
dell'imprenditore   individuale  o  di  quello  sociale  palese,  con
un'evidente  lesione  dell'interesse  generale  alla  certezza  delle
situazioni  giuridiche, non diversamente da come rilevato dalla Corte
costituzionale  per  il caso del socio receduto e per tutti gli altri
casi di perdita della responsabilita' illimitata.
    Pertanto,  non resta che rimettere la questione alla stessa Corte
costituzionale per le determinazioni di competenza.