IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento n. 299/1997 r.g., a carico di
Amendola Francesco + 13.;
    Premesso  che  nell'ambito  del  processo sono state acquisite le
dichiarazioni  rese  nella  fase investigativa dall'imputato Marrazzo
Ciro, il quale ha rifiutato l'esame;
        che  in  mancanza  del  consenso  degli  altri  imputati tali
dichiarazioni non possono essere utilizzate a fini eteroaccusatori;
        che  il  p.m.  ha  dubitato della legittimita' costituzionale
dell'art. 503  c.p.p.,  in relazione all'art. 513 c.p.p., nella parte
in  cui  -  ammettendo  il diritto al silenzio dell'imputato anche su
circostanze  che  non  coinvolgono una sua diretta responsabilita', e
sulle  quali  l'interessato  abbia  gia'  deposto  nella  fase  delle
indagini preliminari - ne esclude l'utizzabilita' a fini di prova;

                            O s s e r v a

    La  questione  proposta  e'  innanzitutto rilevante ai fini della
decisione:  le  dichiarazioni  di  Marrazzo costituiscono, secondo la
prospettazione  della  stessa  pubblica accusa, elemento fondamentale
nell'ambito  del  presente  procedimento  ai fini dell'individuazione
delle  responsabilita'  non  soltanto dello stesso Marrazzo, ma anche
dei coimputati.
    Se   dunque   da   una   parte   l'inutilizzabilita'   di   dette
dichiarazioni,  in  senso eteroaccusatorio, costituisce grave lesione
del  principio  di  ricerca  della  verita'  materiale  che  regge il
procedimento  penale,  occorre  anche  presumere,  dall'altro, che in
presenza di un obbligo di deporre l'imputato non avrebbe prescelto un
atteggiamento processuale illegittimo.
    La questione, inoltre, e' anche non manifestamente infondata alla
luce dei nuovi principi costituzionali contenuti nell'art. 111 Cost.,
come recentemente novellato.
    In  sintesi,  fissando  il principio secondo cui "la colpevolezza
dell'imputato  non  puo'  essere  provata sulla base di dichiarazioni
rese  da chi per libera scelta si e' sempre volontariamente sottratto
all'interrogatorio  da  parte  dell'imputato o del suo difensore", la
norma  costituzionale  ha reso non solo illegittima ma anche inutile,
in   quanto   inutilizzabile,   qualsiasi  acquisizione  avvenuta  in
violazione del principio medesimo.
    In  linea  generale  sono  evidenti  i valori a cui la novella si
ispira:  la tutela costituzionale e' rivolta non tanto e non soltanto
all'inviolabilita'   del   diritto   di  difesa,  gia'  espressamente
garantito  dall'art. 24  Cost., quanto piuttosto alla salvaguardia di
un metodo.
    Premesso  infatti  che non puo' ritenersi modificato il principio
generale   secondo   il   quale   il  processo  penale  deve  tendere
all'accertamento   della   verita'   materiale   (v.  sentenze  Corte
costituzionale  nn. 254  e  255  del 1992), la novella costituzionale
impone   il   metodo   dialettico  come  strumento  di  elezione  nel
perseguimento  di quel fine, rendendo esplicita la scelta secondo cui
il  contraddittorio  tra  le  parti  e'  da considerarsi come il solo
metodo probatorio idoneo ad eruendam veritatem.
    Se cosi' e', peraltro, non sono compatibili con la scelta operata
regole che limitino la pienezza e l'effettivita' del contraddittorio,
laddove  si tratti di limitazioni non giustificate da principi a loro
volta di rango costituzionale.
    In  particolare,  non  ha  alcuna  ragionevole  legittimazione il
diritto  al  silenzio dell'imputato che abbia gia' reso dichiarazioni
sulle  posizioni  altrui, proprio in quanto suscettivo di impedire la
formazione  della  prova  in  modo  dialettico  e non giustificato da
principi di pari valore costituzionale.
    E'   pur   vero   che  il  riconoscimento  del  diritto  discende
dall'esigenza  di  tutelare  la  difesa  dell'imputato,  che potrebbe
essere pregiudicata anche dall'obbligo di deporre su posizioni altrui
quando inscindibilmente connesse con quella del dichiarante.
    Tuttavia,  proprio il fatto che lo stesso art. 513 c.p.p. preveda
l'utilizzabilita'   delle   dichiarazioni   dell'imputato  che  abbia
volontariamente  scelto  di  non  avvalersi  della  facolta'  di  non
rispondere  nella  fase investigativa, dimostra come il principio del
contraddittorio,   nella  fase  dibattimentale,  prevalga  anche  sul
diritto di difesa quando gia' salvaguardato nella fase investigativa.
    Se  dunque  l'art. 111  Cost.  intende  tutelare  la pienezza del
contraddittorio,   devono   ritenersi   incostituzionali   le  regole
processuali  che  estendono il diritto al silenzio anche in relazione
alle dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal coimputato.
    Al  riguardo,  non  e'  ultroneo  il  rilievo  che  rispetto alle
posizioni  altrui le dichiarazioni dell'imputato sono sostanzialmente
indistinguibili dalle deposizioni testimoniali.
    Sembra  dunque  irragionevole la disparita' di trattamento che da
una  parte  impone  al teste un obbligo di verita' e di completezza e
dall'altro  consente  all'imputato  di  tacere anche su aspetti della
vicenda processuale che non lo riguardano personalmente.
    In  definitiva,  sembra  al  tribunale  che la regola processuale
risultante dal combinato disposto degli artt. 64, 503, 513 c.p.p. sia
in  contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione nella parte in
cui garantisce il diritto al silenzio del coimputato anche rispetto a
posizioni  altrui  e non consente la sua sostanziale equiparazione al
testimone,   legittimando   l'introduzione   del   meccanismo   delle
contestazioni a fini probatori.