Il tribunale, composto dai magistrati: dott. Stefano Meschini, Presidente, dott. Renato Polichetti, giudice, dott. Vittorio Pazienza, giudice; Letti gli atti del procedimento penale n. 2937/98 r.g. trib. a carico di: 1) Sgarbi Vittorio, nato a Ferrara il 18 maggio 1952; 2) Soluri Giuseppe, nato a Catanzaro il 3 febbraio 1952; 3) Caselli Bruno, nato a Roma il 7 agosto 1927, imputati come segue: Sgarbi: A) del reato p. e p. degli artt. 595, primo e terzo comma c.p., 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47, perche', fuori dai casi di ingiuria, comunicando con piu' persone, offendeva la reputazione di Pennisi Roberto - sostituto procuratore della Repubblica presso la d.d.a. di Reggio Calabria, nonche' magistrato inquirente nell'indagine relativa all'omicidio Ligato - mediante le seguenti espressioni: "Pennisi, un nuovo Torquemada, un torturatore", autore di una "vera e propria persecuzione politica (...) non si sottolinea da parte di nessuno il comportamento disumano e persecutorio di Pennisi"; espressioni diffuse tramite un comunicato ANSA e pubblicate sul "Giornale di Calabria" in data 31 maggio 1994; Soluri e Caselli: B) del reato p. e p. dagli artt. 57, 595 c.p., 13 e 21, legge 8 febbraio 1948, n. 47, per avere, nelle loro rispettive qualita' di direttore responsabile del "Giornale di Calabria" e dell'agenzia ANSA, omesso di esercitare il controllo necessario al fine di impedire che con l'articolo e le frasi di cui al capo A) si offendesse la reputazione di Pennisi Roberto. In Catanzaro e Roma il 31 maggio 1994; Osserva quanto segue Gli attuali imputati sono stati tratti a giudizio per rispondere dei reati di cui sopra a seguito delle dichiarazioni sopra specificate - riprese da un comunicato ANSA e pubblicate sul quotidiano "Il Giornale di Calabria" - dell'on. Vittorio Sgarbi, ritenute offensive del proprio onore e della propria reputazione dal dott. Roberto Pennisi, all'epoca dei fatti magistrato in servizio presso la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Quest'ultimo ha proposto rituale querela in data 12 luglio 1994. A seguito dall'instaurazione del procedimento penale, attualmente pendente in fase dibattimentale dinanzi a questo collegio, la Camera dei deputati, investita ai sensi dell'art. 68 della Costituzione dall'imputato Sgarbi, con delibera dell'11 novembre 1999 ha approvato la proposta della giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio, di dichiarare che i fatti per i quali e' in corso il procedimento penale concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell'articolo citato. All'udienza del 14 dicembre 1999 la difesa dello Sgarbi chiedeva l'emissione di sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p. nei riguardi del proprio assistito perche' il fatto non costituisce reato. Il tribunale sollevava conflitto di attribuzioni con ricorso dichiarato inammissibile da codesta Corte con ordinanza in data 11 luglio 2000 per carenza dei requisiti di cui agli artt. 37 e 38, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. La questione appare comunque tuttora rilevante, poiche' riguarda i limiti della giurisdizione penale da un lato e dell'attivita' parlamentare dall'altro: la decisione di insindacabilita' apparendo preclusiva di ogni ulteriore accertamento, da parte di questo tribunale, in ordine all'effettivo carattere diffamatoria delle espressioni sopra riportate. Infatti, nella prospettiva fatta propria dalla predetta decisione, le affermazioni dello Sgarbi, lungi dal poter essere valutate nell'ambito della diffamazione a mezzo stampa, dovrebbero senz'altro essere considerate esplicazione della prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione, secondo il quale i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Per le ragioni che verranno di seguito esposte, la deliberazione della Camera appare peraltro illegittima, e come tale meritevole di annullamento da parte di codesta Corte: il conflitto va dunque riproposto, previa sanatoria delle irregolarita' formali evidenziate nella citata ordinanza 11 luglio 2000. Rilevata il tribunale che la proposta della Giunta si fonda in particolare sul fatto che "le frasi pronunciate dal collega Sgarbi erano in stretta ed immediata connessione con l'esito di un procedimento penale che, all'epoca del suo inizio, aveva gravemente leso la reputazione degli indagati, alcuni ex membri del Parlamento, sottoposti ad una lunga custodia cautelare ed esposti con grande enfasi alla pubblica berlina. Si trattava, dunque, di una critica tutta politica sulla conduzione, da parte dell'accusa, di un procedimento penale nel quale le tesi della medesima si erano rilevate del tutto infondate, non senza aver arrecato, tuttavia, un grave vulnus non solo alla reputazione degli interessati, ma anche al rapporto tra opinione pubblica e classe politica. Cio' sia pure in assenza di un collegamento specifico con atti o documenti parlamentari, che comunque deve ritenersi implicito, attesa l'ampiezza e la diffusione che ebbe a suo tempo la discussione tanto sugli organi di stampa quanto, in generale, nel dibattito politico. Inoltre, le frasi vanno inquadrate nel contesto della costante ed intensa battaglia politica che il collega Sgarbi svolge, in Parlamento e al di fuori di esso, contro l'uso distorto degli strumenti giudiziari". Peraltro, alla luce della piu' recente giurisprudenza della Corte costituzionale, "il divieto di chiamare a rispondere i membri del Parlamento per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni non si atteggia, dunque, come un privilegio personale, ma configura una garanzia per il libero esercizio della funzione parlamentare. Ma perche' la immunita' non si trasformi, da esenzione da responsabilita' legata alla funzione, in condizione personale, essa deve trovare il suo limite nella stessa ragione che la giustifica: tra l'altro o le opinioni per le quali non si puo' essere chiamati a rispondere devono integrare manifestazioni dell'esercizio di funzioni parlamentari, le quali non si estrinsecano in ogni attivita', sia essa pure politica, del soggetto titolare di quelle funzioni (sentenze n. 375 del 1997 e n. 289 del 1998). Cio' implica e presuppone, come indispensabile, perche' immunita' possa esservi, il collegamento tra la manifestazione dell'opinione e la funzione parlamentare; collegamento che, se non di pene da criteri formali, propri dell'atto nel quale la opinione si manifesta, d'altro lato non sussiste per ogni dichiarazione, giudizio o critica che abbia una connotazione politica (da ultimo, sentenza n. 329 del 1999)" (Corte cost., 4 novembre 1999, n. 417). Ancor piu' recentemente, la Corte costituzionale ha ribadito che, mentre e' pacifico che ricorre il nesso funzionale per le opinioni manifestate nel corso dei lavori della Camera o dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti anche individuali costituenti estrinsecazioni delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea, non puo' invece "dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma della Costituzione, l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito" (Corte costituzionale n. 10 del 2000). Con riferimento al caso concreto, osserva il tribunale che la motivazione addotta dalla giunta e recepita dall'assemblea parlamentare, non evidenzia sufficientemente i profili dell'asserito collegamento tra l'espletamento, da parte dell'on. Sgarbi, della funzione parlamentare e l'attivita' politica svolta dallo stesso mediante la divulgazione delle frasi per cui e' causa: la giunta stessa ha anzi puntualizzato che la critica dell'imputato e' avvenuta "in assenza di un collegamento specifico con atti o documenti parlamentari", aggiungendo che ci si troverebbe in presenza di un collegamento "implicito"; affermazione, quest'ultima, fondata solo su un generico rinvio a discussioni su organi di stampa e al generale dibattito politico sulla vicenda. Ne' puo' considerarsi sufficiente il residuale richiamo, operato nella suddetta variazione, al generico inquadramento delle frasi in questione nel contesto della battaglia politica portata avanti dallo Sgarbi, in Parlamento e al di fuori di esso, contro l'uso improprio degli strumenti giurisdizionali: posto che, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 289 del 1998, se e' vero che la funzione parlamentare non si estrinseca solo negli atti tipici (potendo ricomprendere anche quanto sia presupposto o conseguenza di questi ultimi), cio' nondimeno ad essa non puo' essere ricollegata automaticamente l'"intera" attivita' politica svolta dal parlamentare, in quanto cio' comporterebbe la trasformazione della prerogativa parlamentare in privilegio personale. A tale specifico riguardo, la Corte costituzionale ha ulteriormente chiarito che "si debbono ritenere, in linea di principio, sindacabili, tutte quelle dichiarazioni che fuoriescono dal campo applicativo del "diritto parlamentare e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari anche se siano caratterizzate da un asserito "contesto politico " (Corte costituzionale n. 11/2000). La delibera della Camera dei deputati suindicata, per i motivi esposti, sembra integrare una menomazione delle attribuzioni costituzionali del potere giudiziario: imponendosi cosi', ad avviso di questo tribunale, il ricorso al giudizio della Corte costituzionale, deputata a pronunciarsi sui conflitti tra poteri dello Stato (da un lato quello ex art. 68 della Costituzione e dall'altro quello garantito dagli artt. 101 e sgg. della Costituzione). Non appare opportuna la separazione delle posizioni processuali degli imputati Soluri Giuseppe e Caselli Bruno, che nelle rispettive qualita' sopraindicate diffusero le dichiarazioni in esame, stante la necessita' che esse vengano definite unitamente a quella dell'autore e senza pregiudizio alcuno sul merito del processo.