IL TRIBUNALE Letti gli atti del proc. n. 907/1999 RG Pret., osserva quanto segue. L'attore, di professione maestro liutaio, premesso di aver prestato al convenuto il violino contrassegnato dal n. 01/1975, di sua proprieta', lo evocava in giudizio per sentirlo condannare alla restituzione, oppure, in subordine, al pagamento del suo valore, pari a L. 15.000.000; oltre, in ogni caso, al risarcimento del danno, in quanto nel comportamento del convenuto dovevano ravvisarsi gli estremi del reato di appropriazione indebita, per il quale egli aveva gia' proposto rituale querela. Il convenuto contestava la fondatezza della domanda negando di aver ricevuto in prestito il predetto violino n. 01/1975, del quale egli non avrebbe avuto alcun bisogno, atteso che suo padre gli aveva regalato il violino contrassegnato dal n. 01/1976, fabbricato sempre dall'attore e a costui regolarmente pagato. Espletati gli incombenti previsti dall'art. 183 c.p.c. con ordinanza del 9 marzo 2001 veniva respinta la nuova istanza di sospensione del giudizio proposta dal convenuto ai sensi dell'art. 295 c.p.c. e contestualmente rigettate le istanze istruttorie orali dedotte da entrambe le parti. All'udienza di precisazione delle conclusioni del 10 maggio 2001, l'attore non compariva. Nella comparsa conclusionale depositata il 24 maggio 2001, egli esponeva peraltro di essersi tempestivamente costituito parte civile nel procedimento penale pendente contro il convenuto (nel frattempo rinviato a giudizio). Chiedeva pertanto che il procedimento civile fosse dichiarato estinto ai sensi dell'art. 75 c.p.p., senza alcuna liquidazione delle spese del giudizio, essendo essa di competenza del giudice penale. Tutto cio' premesso, osserva il giudicante che l'art. 75 c.p.p. del 1988, nel disciplinare i rapporti tra azione civile e azione penale, al primo comma prevede che "L'azione civile proposta davanti al giudice civile puo' essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito, anche non passata in giudicato. L'esercizio di tale facolta' comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile". Come emerge dal tenore letterale della disposizione, il trasferimento dell'azione civile dal processo civile al processo penale costituisce un atto volontario unilaterale di natura potestativa, in ordine al quale il convenuto non ha alcun potere di opporsi. La norma, infatti, ricollega ii trasferimento dell'azione alla mera volonta' dell'attore senza neppure prendere in considerazione il convenuto. La costituzione di parte civile prima che sia stata pronunziata la sentenza di merito in sede civile, e' necessaria e sufficiente a determinare l'estinzione del processo civile. Posto che nella fattispecie concreta la rilevanza del cit. art. 75 c.p.p. e pacifica (poiche' alla stregua di tale norma il presente procedimento dovrebbe concludersi con la predetta declaratoria di improseguibilita), ritiene il giudicante che la norma confligga con gli artt. 3, 24 e 25 Cost. Non e' infatti chiaro per quale ragione l'ordinamento da un lato permetta all'attore di instaurare un giudizio civile al fine di esercitare un'azione risarcitoria derivante dalla commissione di un fatto costituente reato; e dall'altro contemporaneamente gli consenta, ad libitum, di non far proseguire il giudizio civile da lui stesso instaurato e di ri-iniziarne un altro, identico, in sede penale. Sembra intuitivo il vantaggio ingiusto attribuito in tal modo all'attore a totale discapito del convenuto. Il primo inizialmente costringe il secondo a difendersi nel procedimento civile; ma successivamente, dopo aver magari ritenuto svantaggioso l'esito della fase istruttoria, appena prima della pronunzia della sentenza di merito provvede a trasferire l'azione civile nel processo penale, ponendo inesorabilmente termine al processo civile e confidando nella nuova attivita' istruttoria che verra' presumibilmente svolta ex novo nel processo penale. Quest'ultimo giudizio - va evidenziato - avra' ad oggetto non solo la responsabilita' penale dell'imputato, ma anche la stessa identica azione civile risarcitoria inizialmente proposta nel processo civile. Tutto questo accade senza che il convenuto abbia la benche' minima possibilita' di interloquire. Egli e' infatti costretto a subire passivamente l'iniziativa attorea (che, si osservi, puo avvenire fino alla pronunzia della sentenza di merito, come e' accaduto nella fattispecie concreta) e a difendersi nuovamente in sede penale dalla stessa azione civile contro di lui gia' proposta in sede civile. L'attore e' quindi libero di instaurare un giudizio civile, di farlo istruire, di abbandonarlo a sua discrezione prima della pronunzia della sentenza, e di riproporre quindi la stessa domanda civile nel processo penale ricominciando da zero, senza che il convenuto possa dire nulla. Non si puo' certo dire che in un processo civile del genere attore e convenuto godano degli stessi diritti. Il principio costituzionale della cosiddetta parita' delle armi sembra vulnerato. L'art. 75, primo comma, c.p.p. appare dunque in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., perche' irragionevolmente consente all'attore di sottrarsi ad libitum all' esito del giudizio civile da lui stesso instaurato e irragionevolmente costringe il convenuto a difendersi due volte dalla stessa azione civile, prima in sede civile, poi in sede penale. Ne' tale irragionevolezza puo' ritenersi esclusa dal potere attribuito al giudice penale di provvedere sulle spese del procedimento civile. La questione non riguarda infatti le spese, ma - ben piu' pregnantemenente - il diritto del convenuto di ottenere dal giudice civile una pronunzia di merito sulla domanda proposta dall'attore. Nel processo civile il convenuto non e' una parte senza diritti. Il suo diritto di ottenere giustizia e' perfettamente uguale a quello dell'attore, anche se quest'ultimo deduce in giudizio un fatto che puo' costituire reato ed anche se il pubblico ministero ritiene di esercitare l'azione penale. Il mero fatto dell'esercizio dell'azione penale non puo' sopprimere il diritto di difesa del convenuto. Il diritto di quest'ultimo ad una pronuncia di merito del giudice civile, null'altro e' che uno degli aspetti del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost.. Non va poi dimenticato che attribuendo all'attore il diritto potestativo di sottrarsi all'esito del giudizio civile da lui stesso instaurato, gli si consente anche di scegliersi il giudice - civile o penale - che piu' gli aggrada, in violazione dell'art. 25 Cost., primo comma, che sancisce il principio del giudice naturale precostituito. Ne' appare invocabile l'esigenza di coordinamento tra l'esito dell'azione civile e quello dell'azione penale. E' infatti noto che il cosiddetto principio della pregiudizialita' penale, previsto dagli artt. 3, comma secondo, e 24, capoverso, del c.p.p. abrog., non vige piu' nell'ordinamento attuale (per tutte, v. Cass. 14 settembre 2000, n. 12141). L'attore e' indubbiamente libero di instaurare un procedimento civile per ottenere le pronunzie restitutorie - risarcitorie derivanti da un fatto costituente reato; ma se egli ritiene di adire tale via (electa una via), non sembra giusto consentirgli di abbandonarla poi - a sua discrezione - senza il consenso del convenuto, ledendo il diritto di quest'ultimo di ottenere una pronunzia giudiziale di merito e costringendolo a difendersi nuovamente dalla stessa azione (civile) riproposta poi in sede penale. Un irrinunciabile principio di auto-responsabilita' sembra esigere che l'attore, salvo che il convenuto vi consenta, non possa sottrarsi, ma debba invece sottostare all'esito del giudizio civile da lui stesso volontariamente instaurato. Non va infatti trascurato che nessuna norma sembra imporre a colui che si ritiene danneggiato da un reato l'obbligo od anche solo l'onere di istaurare il giudizio civile. Si tratta di una scelta del tutto volontaria. Ed allora, rimettere l'estinzione del giudizio civile al mero arbitrio del soggetto che ha ritenuto di instaurarlo, lede irreparabilmente il diritto del convenuto ad ottenere una pronuncia giudiziale di merito sull'azione proposta nei suoi confronti. Gia' nel 1923, riferendosi alla rinuncia agli atti del giudizio disciplinata dagli artt. 343 e ss. c.p.c. abr., uno studioso, dopo aver evidenziato che l'attore poteva rinunciare agli atti del giudizio in qualunque stato e grado della causa, si affrettava subito a precisare: "Ma non deve dipendere dalla volonta' unilaterale dell'attore la cessazione del rapporto processuale in cui, come sappiamo, il convenuto ha diritti uguali all'attore, in particolare il diritto di chiedere una sentenza di merito". E' passato molto tempo da allora, ma la regola non puo' che essere ancora la stessa. L'art. 75, primo comma, c.p.p. sembra quindi incostituzionale, per violazione degli artt. 3, 24 e 25 Cost. nella parte in cui non prevede, analogamente all'art. 306. primo comma, c.p.c., che il trasferimento dell'azione civile nel processo penale avvenga solo si vi e' l'accettazione delle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione del giudizio.