IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE Esaminati gli atti del procedimento penale n. 133/1997 R.G.G.U.P. nei confronti di Z. L.; A scioglimento della riserva di cui al verbale dell'udienza preliminare in data 18 maggio 2001; O s s e r v a Ad avviso del difensore (che nel procedimento in oggetto ha concluso la discussione invocando altresi' il proscioglimento nel merito o, in subordine, per irrilevanza del fatto della citata Z.L.) sussisterebbe un'ipotesi di illegittimita' costituzionale dell'art. 32 decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448, cosi' come novellato dall'art. 22 legge n. 63/2001, per violazione degli artt. 3, 1 comma, 24, secondo comma, e 111 secondo comma della Costituzione nella parte in cui prevede che il consenso dell'imputato costituisce un presupposto indefettibile per la definizione del processo a carico di minorenni nella fase dell'udienza preliminare. Opina, in particolare, l'istante che il richiesto assenso - e la difficolta' di acquisizione dello stesso nei casi di contumacia o assenza - determinerebbe una disparita' di trattamento ingiustificata rispetto all'omologa disciplina dell'udienza preliminare nel processo a carico di maggiorenni, con riferimento specifico alle ipotesi in cui sia possibile emettere sentenze di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. Il predetto difensore rileva, infine, un potenziale contrasto tra il testo dell'art. 32 citato, cosi' come modificato, e il dettato normativo dell'art. 27, comma 4, del medesimo d.P.R. che riconosce al giudice, nel corso dell'udienza preliminare, la facolta' di pronunciare anche d'ufficio sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Orbene, la questione prospettata - certamente incisiva sulla materia del contendere e, pertanto, rilevante, giacche' solo nell'ipotesi di accoglimento questo giudice potrebbe emettere sentenza di proscioglimento con una delle formule suindicate, altrimenti preclusa dalla rilevata contumacia dell'imputata (la quale, peraltro, non ha prestato in precedenza il consenso per la definizione del processo nella fase dell'udienza preliminare) - non e' manifestamente infondata. Per un corretto inquadramento dei termini della questione, occorre prendere le mosse dalla peculiare natura dell'udienza preliminare minorile, che ha condizionato la scelta legislativa di cui si lamenta l'incostituzionalita'. La corte costituzionale ha in piu' occasioni sancito che, a differenza della caratterizzazione esclusivamente processuale dell'udienza preliminare che si svolge nel processo penale ordinario, nell'udienza preliminare del processo penale a carico di imputati minorenni il giudice e' chiamato a una funzione sicuramente qualificabile come "giudizio", poiche' egli puo' adottare un'ampia gamma di pronunce conclusive del processo (sentenze di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto e, finanche, sentenze di condanna, su richiesta del p.m., qualora ritenga applicabile una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva), altrimenti riservate all'organo del dibattimento, alcune delle quali contengono o presuppongono l'affermazione di responsabilita' dell'imputato (cfr. sentenza n. 311 del 1997, punto 3 del diritto). E' dunque in ragione della natura delle decisioni e delle correlative valutazioni affidate al giudice dell'udienza preliminare nel processo minorile che la previsione dell'incompatibilita' contenuta nell'art. 34, comma 2, c.p.p. e' stata estesa - ancor prima della recente modifica legislativa della medesima disposizione - ai rapporti tra giudice per le indagini preliminari che si sia pronunciato in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato e il giudice che successivamente partecipi al collegio costituito per l'udienza preliminare (cfr. sent. n. 311 del 1997) e, in ultimo, ai rapporti tra partecipazione al collegio del riesame (o dell'appello ex art. 310 c.p.p. in determinati casi) e quella successiva al collegio costituito per l'udienza preliminare (cfr. sent. n. 290 del 7-18 luglio 1998). Logico corollario alla riconosciuta funzione di giudizio e' stata, quindi, l'introduzione - mediante la disciplina transitoria attuativa dell'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, in materia di giusto processo - di una norma che prevedeva l'onere per il giudice dell'udienza preliminare minorile, qualora ritenesse di poter decidere allo stato degli atti, di informare l'imputato della possibilita' di consentire che il procedimento a suo carico fosse definito in quella fase. Il novellato comma 1 dell'art. 32 stabilisce ora che "nell'udienza preliminare, prima dell'inizio della discussione, il giudice chiede all'imputato se consente alla definizione del procedimento in quella stessa fase, salvo che il consenso sia stato validamente prestato in precedenza". Il testo della norma prevede poi che "se il consenso e' prestato il giudice, al termine della discussione, pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei casi previsti dall'art. 425 c.p.p. o per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto". La differenza con la pregressa disciplina e' quindi di gran rilievo. La richiesta del consenso si colloca temporalmente prima dell'inizio della discussione e dispiega i suoi effetti su tutti i provvedimenti previsti dall'art. 32, comma 1, d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, giacche' solo se lo stesso e' acquisito il g.u.p. potra' definire il processo in via anticipata e, in tal caso, adottare sentenza di non luogo a procedere con una delle formule suindicate. La conseguenza stigmatizzata di tale rigida disposizione e', pertanto, di palmare evidenza, poiche' qualora il giudice non riesca ad acquisire il consenso (ad esempio per la contumacia o l'assenza dell'imputato) gli sara' preclusa ogni pronuncia che definisca il procedimento allo stato degli atti. Lo stretto collegamento tra il richiesto consenso e la possibilita' di una definizione anticipata del procedimento, nonche' il rinvio - senza discriminazione alcuna - a tutte le ipotesi disciplinate dall'art. 425 c.p.p., imporrebbe, infatti, al g.u.p l'obbligo di disporre il giudizio dibattimentale anche quando ricorrano gli estremi, all' esito della discussione, per un proscioglimento nel merito o per motivi di rito. La scelta di garantire comunque il pieno contraddittorio si risolve dunque in un paradosso, che e' quello di provocare la dialettica dibattimentale anche nelle ipotesi in cui l'imputato potrebbe ottenere - come nel caso in argomento - una formula (sicuramente piu' favorevole ) di proscioglimento, e cio' a detrimento delle finalita' deflattive riservate all'udienza preliminare nonche', piu' in generale, di quelle educative (vedasi l'art. 1 del d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448) perseguite dal processo penale minorile. In altri termini, l'attuale impianto normativo sembra privilegiare - nel caso di una mancata acquisizione del consenso per la contumacia o l'assenza dell'imputato - la tutela delle mere strategie tecnico-difensive individuali (che potrebbero appieno esplicarsi nella successiva fase processuale ) a discapito della possibilita' di un'immediata fuoriuscita dal circuito penale; opzione che sicuramente pregiudica - per le implicazioni connesse all'ulteriore corso del processo - le esigenze educative del minore, in stridente contrasto con il principio di tutela (c.d. favor minoris) affermato dall'art. 31 Cost. L'incongruenza lamentata e' inoltre esaltata dalla mancata previsione, forse per un difetto di coordinamento tra le disposizioni, del consenso dell'imputato anche nei casi disciplinati dal comma 2 del citato art. 32 d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, che vincola in apparenza solo alla richiesta del p.m. la pronuncia di sentenze di condanna alla pena pecuniaria o ad una sanzione sostitutiva. La questione prospettata non e', pertanto, manifestamente infondata, atteso che la lettera della norma suindicata ed il contesto in cui essa e' inserita non lasciano spazio ad ipotesi alternative di interpretazione. E' palese, invero, che la necessita' di acquisire il consenso - condivisibile laddove sia possibile emettere, allo stato degli atti, una sentenza di non luogo a procedere che comunque presupponga l'affermazione di colpevolezza e comporti la relativa iscrizione nel casellario giudiziale (perdono giudiziale), dovendosi riconoscere in tali casi il diritto dell'imputato ad esplicare la propria strategia difensiva nel corso del dibattimento (con la formazione della prova in contraddittorio tra le parti) per il conseguimento di una formula assolutiva piu' favorevole - determini nelle ipotesi sopra prospettate una disparita' di trattamento legata all'eta', ingiustificata e irragionevole, non potendo il giudice dell'udienza preliminare minorile - a differenza del g.u.p. nel processo ordinario - prosciogliere ex art. 425 primo comma c.p.p. o quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Evidente e' poi la difficolta' di una coordinata interpretazione con l'art. 129 c.p.p. che, pur sempre nel rispetto del contraddittorio e dei diritti delle parti (v. cass. pen. sez. IV, sent. 03237 del 4 luglio 2000), impone al giudice - obbligato comunque a fissare l'udienza preliminare nell'impossibilita' di adottare provvedimenti de plano - l'immediata declaratoria ex officio e in ogni stato e grado del processo di determinate cause di non punibilita'. La norma in questione, che e' applicabile al processo minorile in virtu' del richiamo operato dall'art. 1 del d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 ("Nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale"), consentirebbe invero di eludere il rigoroso limite previsto dall'art. 32 comma 1 d.P.R. allorche', all'esito della discussione (e non prima secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia), il g.u.p. riconosca la sussistenza di determinate cause di non punibilita'. Analogamente condivisibile e', infine, la tesi concernente il ravvisato contrasto tra la disciplina prevista dall'art. 32, comma 1, cosi' come modificato, e la disposizione dell'art. 27, comma 4, del medesimo d.P.R. che riconosce al giudice, nel corso dell'udienza preliminare, la possibilita' di pronunciare anche d'ufficio - e quindi senza il preventivo consenso dell'imputato - sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. E' talmente palese ed insuperabile il conflitto letterale tra le due norme, dalle quali discendono esiti processuali contraddittori a fronte di identiche situazioni, che ogni commento al riguardo risulta superfluo. Le superiori considerazioni impongono pertanto di considerare ravvisabile, nel caso di cui all'odierno procedimento (le cui risultanze potrebbero suggerire una delle soluzioni di merito elencate dall'art. 425, commi primo e terzo, c.p.p. o, in alternativa, la formula di proscioglimento per irrilevanza del fatto in virtu' del modesto allarme sociale procurato e dell'occasionalita' del comportamento), un'ipotesi di dubbia legittimita' costituzionale dell'art. 32 comma 1 del d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 per violazione degli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 31, secondo comma, e 111 secondo comma Cost. nella parte in cui richiede il consenso dell'imputato ai fini della pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere nei casi indicati dall'art. 425 c.p.p. o per irrilevanza del fatto. La norma appare viziata da irragionevolezza in quanto non si comprende per quale motivo debba riservare un trattamento deteriore rispetto al maggiorenne in casi analoghi e disciplinare in modo contrastante con altre disposizioni del medesimo ordinamento (d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448) situazioni identiche, con indubbio pregiudizio alle esigenze sostanziali di tutela del minorenne (che imporrebbero una rapida risoluzione del procedimento e l'immediata eliminazione del carico pendente) e in palese violazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, che nelle ipotesi prospettate di mancata acquisizione del consenso avrebbe uno strascico dibattimentale superfluo. Visto l'art. 23 legge n. 87 dell'11 marzo 1953,