IL TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa in sede di legittimita' iscritta nel ruolo generale dell'anno 1999 al n. 143, tra: Consorzio per l'incremento delle irrigazioni nel territorio cremonese, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Cristina Zavatti di Milano e Giannetto Cavasola di Roma, presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma alla via A. Depretis n. 86, ricorrente in riassunzione, e Comune di Spino d'Adda, in persona del sindaco pro tempore, domiciliato per la carica presso la casa comunale di Spino d'Adda (CR) intimato, non cost. e utenza Roggia Villana Galuppina e Rami, in persona del regolatore in carica arch. Enea Perani, con sede in Lodi alla via Cavour n. 34, intimata, non cost. e comprensori irrigui territoriali, in persona del presidente del direttivo comprensoriale, con sede in Lodi alla via Cavour n. 34, intimato, non cost. e Baronchelli Lorenzo, residente a Lodi, Cascina Porta d'Ore Alto, intimato, non cost. e utenza Roggia Fontana, in persona del regolatore in carica pro tempore, con sede in Lodi, via XX Settembre n. 37, intimata, non cost.; Per l'annullamento dell'ordinanza del sindaco del comune di Spino d'Adda (CR) in data 1 giugno 1993, notificata il 9 giugno 1993, con cui il sindaco medesimo ordinava al Consorzio ricorrente la demolizione del rivestimento in cls. della sponda destra del canale Vacchelli in corrispondenza dei mappali 48-46-95 fg. 4 Comune di Spino d'Adda, con particolare riferimento ai tratti antistanti ai fontanili della Roggia Villana e della Roggia Fontana, nonche' degli atti presupposti, connessi e conseguenti. Considerato in fatto I. - Il consorzio per l'incremento dell'irrigazione nel territorio cremonese e' titolare e gestore del canale Vacchelli (o Marzano), nonche' concessionario della relativa derivazione di acque dell'Adda ad uso irriguo; II. - in localita' Spino d'Adda il canale Vacchelli incrocia una piccola Roggia, denominata Roggia Villana Galuppina, che convoglia acque pubbliche di fontanili e che sottopassa il Vacchelli mediante apposita tomba, poi prosegue verso valle per l'irrigazione dei terreni di competenza. La roggia e' gestita da un regolatore nominato dagli utenti e risulta aver costituito con altre rogge della zona un'associazione di coordinamento tecnico denominata "Comprensori irrigui territoriali"; III. - il Consorzio ricorrente - avendo riscontrato che un tratto di argine del Vacchelli si era deteriorato nel rivestimento interno, con pericolo di cedimento dell'argine stesso - dopo aver chiesto ed ottenuto un sopralluogo del Genio civile di Cremona (che diede il proprio benestare all'intervento) esegui' lavori di risanamento rifacendo il rivestimento in calcestruzzo dell'argine e dando formale comunicazione dell'inizio dei lavori medesimi al Comune di Spino d'Adda in data 7 aprile 1992; IV. - su istanza dei gestori della Roggia Villana Galuppina (che si giovavano delle perdite provenienti dall'adiacente canale Vacchelli) il sindaco del Comune di Spino d'Adda emise l'ordinanza n. 19 del 1 giugno 1993, con la quale, affermando che i lavori, gia' eseguiti nell'aprile 1992, erano stati realizzati in assenza di autorizzazione edilizia nonche' "in disattenzione" delle prescrizioni del piano idrologico intercomunale (PITR), dispose la demolizione del rivestimento in cls. della sponda destra del Vacchelli, con particolare riferimento ai tratti antistanti ai fontanili della Roggia Villana e della Roggia Fontana; V. - con ricorso ex art. 143 t.u. n. 1775 del 1993 il consorzio impugno' la detta ordinanza davanti a questo tribunale superiore delle acque pubbliche, chiedendone l'annullamento sotto vari profili d'incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. Il Comune di Spino d'Adda e l'Utenza Roggia Villana Galuppina e Rami si costituirono per resistere al ricorso; VI. - questo tribunale superiore, con sentenza n. 78 depositata il 24 novembre 1997, ritenendo che il sindaco del Comune di Spino d'Adda avesse esercitato un potere di vigilanza urbanistico-edilizia, rigetto' il ricorso e condanno' il Consorzio al pagamento delle spese del giudizio; VII. - su impugnazione del soccombente la Corte di cassazione a sezioni unite, con sentenza n. 168/1999 s.u. depositata il 22 marzo 1999, casso' la richiamata sentenza n. 78 del 1997, rinviando a questo tribunale superiore; VIII. - il Consorzio per l'incremento della irrigazione nel territorio cremonese ha provveduto a riassumere i giudizio con ricorso notificato il 14-15 settembre 1999. Gli intimati, che gia' nei giudizio davanti alla Corte di cassazione a s.u. non avevano svolto attivita' difensiva, non si sono costituiti. La causa, non richiedente attivita' istruttoria, e' stata rimessa all'esame del collegio che, nell'udienza del 9 maggio 2001, ne ha riservato la decisione. Tanto premesso, Osserva in diritto 1. - Si verte in tema di giudizio in sede di legittimita', promosso davanti a questo tribunale superiore per l'annullamento di un atto amministrativo ai sensi dell'art. 143 regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, reante il t.u. delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici. A norma dell'ultimo comma del citato art. 143, nelle materie indicate in tale articolo "il tribunale superiore decide con sette votanti, cioe' con tre magistrati, con tre consiglieri di Stato e con un tecnico". L'art. 139 dello stesso t.u. disciplina la composizione del tribunale superiore delle acque pubbliche e stabilisce che esso e' composto di un presidente, di quattro consiglieri di Stato, di quattro magistrati scelti fra i consiglieri di cassazione e di tre tecnici, membri effettivi del Consiglio superiore dei lavori pubblici, non aventi funzioni di amministrazione attiva. Con la tabella A, allegata al d.P.R. 30 agosto 1951, n. 757 (emesso in forza della delega di cui alla legge 4 maggio 1951, n. 383), fu istituito il posto di presidente supplente presso il tribunale superiore delle acque pubbliche (attualmente ricoperto da un presidente di sezione della Corte di cassazione). Questo e', dunque, l'organico attuale del tribunale superiore, modificabile soltanto con legge stante la riserva posta dall'art. 108, primo comma, della Costituzione. Nel caso in esame, in base alla citata normativa, il collegio che ha pronunciato la sentenza n. 78 del 1997, poi cassata con rinvio dalla Corte suprema, era costituito da sette votanti, tra i quali tre consiglieri di Stato. Due di questi ultimi (cioe' i consiglieri Chiarenza Millemaggi Cogliani e Pietro Falcone) sono attualmente componenti del tribunale superiore per il quinquennio in corso. Il collegio chiamato a pronunziare la sentenza in sede di rinvio dovra', nella situazione attuale, necessariamente vedere tra i componenti almeno uno dei suddetti giudici (che hanno gia' conosciuto della causa nel precedente giudizio) perche' - essendo prevista la presenza di tre consiglieri di Stato (art. 143, ultimo comma, t.u. cit.) ed essendo contemplato in pianta organica il numero di quattro consiglieri di Stato - dopo aver inserito nel detto collegio gli altri due consiglieri di Stato, dottori Allegretta e Fera, restano soltanto i dottori Millemaggi e Falcone, onde la designazione non puo' che riguardare uno dei due. 3. - Tuttavia, ai sensi dell'art. 51, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. (applicabile anche ai giudizi davanti al tribunale superiore in sede di cognizione diretta, a norma dell'art. 143 t.u. cit., per effetto del rinvio di cui all'art. 208 dello stesso t.u.), il giudice ha l'obbligo di astenersi (tra l'altro) quando ha conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo. Si tratta di istituto fondato sul principio costituzionale d'imparzialita' della funzione giurisdizionale, oggi espresso nell'art. 111, secondo comma della Costituzione (come modificato dalla legge della Costituzione 23 novembre 1999, n. 2). La precedente conoscenza della causa e' indubbia, visto che i due consiglieri di Stato suddetti sono stati membri del collegio che ha adottato la decisione poi cassata. Tra il giudizio concluso con la sentenza cassata e il presente giudizio di legittimita' l'incompatibilita' deve ritenersi sussistente, perche' nella specie si verte in un caso di rinvio c.d. proprio o prosecutorio, ex art. 383 primo comma cod. proc. civ. (v. la sentenza delle s.u.), e non di rinvio per error in procedendo ( v. Cass., 10 agosto 1995, n. 8797), ammesso che la distinzione tra rinvio prosecutorio e restitutorio - gia' ripudiata da una parte della giurisprudenza - trovi ancora spazio dopo la riforma dell'art. 111 della Costituzione. Peraltro, anche il legislatore ordinario, nel processo civile, tende ad estendere i casi in cui il giudice che ha emesso un provvedimento oggetto di reclamo non puo' far parte del collegio chiamato a provvedere sul reclamo medesimo (cfr. art. 669-terdecies, secondo comma, art. 749, terzo comma, cod. proc. civ.), il che contribuisce ad orientare per una interpretazione estensiva del citato art. 51, a tutela del principio (imparzialita' della funzione giurisdizionale) che ne costituisce il fondamento. Vero e', poi, che - per costante giurisprudenza - in mancanza d'istanza di ricusazione la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi per avere conosciuto della causa in un precedente grado del processo non determina nullita' della sentenza e non e' deducibile come motivo d'impugnazione. Ma, in primo luogo, la nuova formulazione dell'art. 111 (secondo comma) della Costituzione potrebbe imporre un riesame di tale indirizzo. In secondo luogo non pare esigibile che un giudice, per assicurare la formazione del collegio, debba esporsi non soltanto ad essere ricusato, ma debba coscientemente violare un obbligo che gli e' imposto dalla legge. 4. - La situazione determinatasi, dunque, non e' allo stato superabile se non imponendo al collegio di emettere una decisione che, ancorche' non viziata sul piano processuale (non configurandosi una nullita' deducibile in sede d'impugnazione, in difetto di un'istanza di ricusazione) si collocherebbe in un quadro di non conformita' al diritto, in relazione ad un delicato valore costituzionale. D'altro canto, la dichiarazione di astensione dei due consiglieri di Stato, i quali hanno conosciuto della causa come componenti del collegio che ha emesso la sentenza cassata, impedirebbe perfino di costituire il collegio per emettere una pronuncia di tipo ordinatorio. La determinazione per legge (nei sensi suddetti) della pianta organica e l'assenza di membri supplenti, unitamente alla riserva di legge ex art. 108 Cost., non consentono interventi di natura amministrativa (applicazioni o supplenze). Ma le parti hanno diritto ad una decisione, come espressione del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (artt. 24, primo comma, e 113 Cost.), l'esercizio della funzione giurisdizionale deve essere assicurato (artt. 102 e 103 Cost.), e tale esercizio deve attuarsi mediante un giusto processo regolato dalla legge (art. 111, primo comma, Cost.), davanti a un giudice che non soltanto sia ma si presenti anche imparziale (art. 111, secondo comma, Cost.). 5. - Da quanto esposto consegue: a) che, sulla base delle suddette considerazioni, appare rilevante la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 139 e 143, terzo comma, del Regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, in relazione alle norme costituzionali citate, nella parte in cui le norme denunziate non prevedono la nomina di uno o piu' supplenti destinati a sostituire i membri effettivi del tribunale superiore delle acque pubbliche, qualora uno o piu' di tali membri effettivi siano obbligati ad astenersi in presenza di un motivo di astensione obbligatoria. La rilevanza risulta in re ipsa perche' l'accoglimento della questione qui sollevata consentirebbe di superare la situazione di blocco determinatasi per quanto esposto al precedente punto 4, situazione che non appare altrimenti evitabile; b) che detta questione non e' manifestamente infondata, e merita di essere sottoposta al vaglio del giudice delle leggi. Si profila, infatti, la violazione dei citati precetti costituzionali, perche' l'impossibilita' di comporre il collegio giudicante secondo diritto si traduce in un vulnus per il corretto esercizio della giurisdizione, incidendo sia sul diritto di agire in giudizio (privato di contenuto se non puo' condurre alla tutela della situazione giuridica azionata), sia sull'attuazione della funzione giurisdizionale mediante un giusto processo regolato dalla legge, nel rispetto delle condizioni di cui all'art. 111, secondo comma, della Costituzione (testo vigente).