LA CORTE D'APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa al n. R.G.
916/2001  -  ric. sez. 29/2001 avente ad oggetto: sospensione ex art.
351 c.p.c. promossa da SITAF S.p.a, con sede in Torino, via Lamarmora
n. 18,  in  persona del Presidente legale rappresentante pro tempore,
prof. Felice Santonastaso, rappresentata e difesa, come da mandato in
data  14  maggio  2001  dagli  avvocati Mario Vecchione, prof. Sergio
Scotti  Camuzzi,  Fabrizio Magri' e Domenico Prato e presso lo studio
del  primo in Torino, c.so Vittorio Emanuele II, n. 82, elettivamente
domiciliata, ricorrente;
    Contro  FININC  S.p.a.  divisione impresa Italo Bartoletti S.p.a.
ora I.N.C. General Contractor S.p.a., con sede in Torino, via Invorio
24/A  in  proprio  e  quale  capogruppo mandataria del Raggruppamento
temporaneo  d'Impresa  formato  dalla stessa e dalle imprese Lungarni
Alfredo  e  Figli  s.n.c.,  Itinera  S.p.a.  (ora  Impresa  Grassetto
S.p.a.),  Torri S.p.a., INC S.p.a (ora INC General Contractor S.p.a.)
e   Fratelli   Poscio   S.p.a.,   mandanti,  in  persona  del  legale
rappresentante    pro   tempore   della   mandataria,   elettivamente
domiciliata  in  Torino,  c.so Matteotti n. 0, presso lo studio degli
avv. Sergio Aragona e Fabrizio Torcellan, restistente;
    Contro  BENTLEY  S.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore,  con  sede  in  Torino, via della Rocca n. 45, elettivamente
domiciliata  in  Torino,  c.so  Duca  degli  Abruzzi n. 15, presso lo
studio dell'avv. Gianantonio Dionisio, resistente;
    Contro  ing. Marascio Peppino, residente in Roma, viale B. Buozzi
n. 49,  elettivamente  domiciliata  in  Torino, via Piffetti n. 7-bis
presso lo studio dell'avv. Natale Mangano, resistente;
    Contro ANAS - Ente Nazionale per le Strade, con sede in Roma, via
Monzambano   n. 10,   in   persona  dell'amministratore  pro-tempore,
elettivamente  domiciliata  in  Torino,  via Casalis n. 28, presso lo
studio dell'avv. Giuseppe Salvini, resistente.
    Udienza in camera di consiglio del 20 giugno 2001.
    La  Corte  d'appello  ritenuto che all'udienza del 20 giugno 2001
fissata per provvedere alla sospensione dell'efficacia della sentenza
prima dell'udienza di comparizione (art. 351 c.p.c.) sono comparse la
parte  istante,  avv.  Vecchione  e  Scotti Camuzzi in rappresentanza
della  SITAF  S.p.a.,  e la parte resistente, che ha chiesto di poter
esplicare  le  sue  difese in rappresentanza di FININC S.p.a. ora INC
General  Contractor  S.p.a.  BENTLEY S.r.l., ing. Marascio Peppino ed
ANAS;
    Rilevato  che  per  rispondere  alla  richiesta di partecipazione
attiva  alla discussione, diretta all'emanazione del provvedimento di
sospensione,  occorre esaminare la disciplina positiva onde accertare
se   la  legge  permette  la  partecipazione  al  giudizio  senza  la
costituzione della parte resistente nella causa di merito;
    Osservato   che   per   procedere  a  tale  accertamento  risulta
necessario effettuare le seguenti considerazioni:
        come e' noto il principio del doppio grado puo' essere inteso
in due modi completamente diversi dal punto di vista dei rapporti fra
il  primo e il secondo giudizio. In dottrina, a tale proposito, si e'
precisato  che  un primo modo e' quello di considerare il processo di
appello  come  un  novum judicium cioe' come un giudizio nel quale le
parti  possono  liberamente  dedurre,  entro  i  limiti segnati dalla
domanda,  nuove  difese,  nuove  eccezioni,  nuove  prove.  Sempre in
dottrina  si  e'  notato  che,  secondo  tale concezione, la causa e'
devoluta  al  giudice superiore (effetto devolutivo dell'appello), il
quale  ha  cognizione  piena,  cosi' che la sua decisione puo' essere
difforme  da  quella  del primo giudice indipendentemente dall'errore
che  questi abbia commesso, per effetto del nuovo materiale apportato
nel  processo  (beneficium  nondum  deducta deducendi, nondum probata
probandi).  Cosicche'  i  limiti  della  nuova  indagine sono segnati
solamente dalle preclusioni verificatesi nel precedente giudizio.
    In  secondo  modo,  si  precisa  in dottrina, e' invece quello di
considerare   il   processo  di  appello  come  una  revisio  prioris
instantiae e cioe' un riesame delle sole questioni trattate nel primo
grado  di  giudizio,  con  esclusione  di  nuove eccezioni e di nuove
prove.
    La giustificazione politica di questa concezione sta nella tutela
della  buona  fede  e  della  fedelta'  processuale, che impongono di
manifestare  apertamente,  fin  dal  primo  momento, tutti i mezzi di
difesa  e  di offesa ai quali si affidano le rispettive domande delle
parti.
    Appare ovvio considerare che entrambi questi sistemi presentano i
loro vantaggi e correlativi svantaggi.
    Il secondo, gia' accolto dal c.p.c. del 1940 (in contrasto con il
c.p.c.  del  1865),  sia  pure  con  qualche  temperamento, era stato
decisamente  rifiutato  dalle  norme  modificatrici  introdotte dalla
legge n. 581/1950.
    La  riforma  introdotta  dalla  legge  n. 353/1990  ha restaurato
l'architettura  originaria  del  c.p.c. del 1940, dalla quale emerge,
senza  ombra  di  dubbio,  la  struttura  dell'appello  quale revisio
prioris instantiae.
    La   struttura   tipica  di  questo  appello  presenta  una  fase
preparatoria,   con   eventuali   incidenti  relativi  all'esecuzione
provvisoria, una di trattazione vera e propria, con un'eventuale fase
istruttoria e una fase decisoria.
    Contenuto della fase preparatoria:
        a)  il  giudice  verifica  se sussistono le condizioni per la
procedibilita'  dell'appello (costituzione nei termini e comparizione
nella prima udienza dell'appellante art. 348;
        b)  in  difetto di tali condizioni dichiara, anche d'ufficio,
con  ordinanza  la  improcedibilita'  dell'appello; ovvero in caso di
mancata   comparizione   dell'appellante,   rinvia   la  causa  e  se
l'appellante  non  compare  alla nuova udienza dichiara improcedibile
l'appello.
    In   questa   fase   verifica   la   regolare   costituzione  del
contraddittorio  nelle  due  ipotesi di causa inscindibile e di cause
scindibili.  E  se  rileva  un  vizio  di  notificazione dell'atto di
appello, dispone la rinnovazione della notifica.
    Verificata   la   procedibilita'   dell'appello   e  la  regolare
costituzione  del contraddittorio, il collegio dichiara la contumacia
dell'appellato,  che  non si sia costituito, e provvede alla riunione
degli appelli proposti contro la stessa sentenza.
    Alla  fase  preparatoria  segue  la  fase  detta degli "eventuali
incidenti  relativi alla sospensione dell'esecuzione". Questa fase e'
esclusivamente,   endoprocessuale,  tanto  e'  vero  che  il  giudice
(collegio)   puo'  procedere  all'esame  dell'istanza  inerente  alla
esecuzione   provvisoria   solo   se   non   ravvisi   un   vizio  di
inammissibilita'  o di improcedibilita'. E la legge (art. 351 c.p.c.)
dispone  che  sull'istanza prevista dall'art. 283 il giudice provvede
con ordinanza nella prima udienza, cioe' a contraddittorio pieno : a)
costituzione  del  rapporto  processuale tra appellante e appellato e
parti   chiamate   in   integrazione,  e  costituzione  del  rapporto
processuale  tra  le  parti e il giudice, mediante la costituzione in
giudizio  o  mediante  la  declaratoria  di  contumacia  da parte del
giudice di alcuna delle parti appellate.
    Si  noti  che  in  questa  fase (fase seconda, dopo la prima fase
detta  preparatoria)  non  e'  possibile  scambiare  memorie scritte,
perche'  la fase necessaria di trattazione scritta, che inizia quando
il  giudice  concede  il "termine perentorio di sessanta giorni dalla
rimessione  della  causa  al  collegio ai sensi dell'art. 190 c.p.c."
("deposito delle difese scritte") presuppone che le difese precedenti
debbano necessariamente essere orali: art. 352 c.p.c.
    Da  questa  struttura  emerge  che la pronunzia sulla sospensione
implica  che  il contraddittorio (rapporto processuale costituito tra
le  parti e tra le parti ed il giudice) sia completo, con la presenza
di  tutte  le  parti  costituite  e  la  pronunciata dichiarazione di
contumacia   delle   parti  non  costituite,  non  essendo  possibile
pronunciare  un  provvedimento  di  sospensione della efficacia della
sentenza,  che  implica  la delibazione di non manifesta infondatezza
dell'appello  e  la  sussistenza o insussistenza del pericolo ("gravi
motivi")  nel  creditore  o  nel  debitore  o  in  entrambi, senza la
costituzione  in  giudizio  di  una  delle  parti o della pronunciata
dichiarazione di contumacia della stessa.
    Necessariamente tale "situazione" deve sussistere anche quando la
sospensione  in  pubblica  udienza  non  e'  la  forma ordinaria, che
prevede  l'emanazione  dell'ordinanza  (di  accoglimento o di rigetto
dell'istanza)  nella  prima  udienza,  ma la sospensione in camera di
consiglio,  che  integra  la forma eccezionale alla quale si fa luogo
quando   la   parte,   che   ha  proposto  l'istanza  di  sospensione
nell'impugnazione  principale  o  in  quella  incidentale,  proponga,
anteriormente  alla  prima udienza di comparizione, ricorso ad hoc al
Presidente del collegio. Il che vuol dire che la parte resistente, se
vuole  contrastare  il  provvedimento di sospensione deve gia' essere
costituita nella causa di merito.
    Infatti  con  la novella del 1990 il legislatore non ha costruito
un procedimento relativo alla sospensione avulso dalle fasi di merito
ed  in cui non vi e' bisogno di costituirsi, ma piu' semplicemente ha
previsto  la  comparizione  delle parti costituite davanti al giudice
della causa di merito.
    Il   legislatore,   che   ha   introdotto   un  appello  limitato
(devoluzione parziale o totale, ma "specifica"), volto a pervenire al
piu'  presto  possibile  alla  formazione del giudicato formale della
sentenza  di  primo  grado,  gia'  di  per se' esecutiva, si e' cosi'
espresso: "La parte (ovviamente gia' costituita) puo', con ricorso al
giudice,  chiedere che la decisione sulla sospensione sia pronunciata
prima  dell'udienza  di  comparizione.  Dopo di che il Presidente del
collegio  gia'  individuato  in  base  al  nuovo  sistema,  deve  far
comparire  le  parti  [ovviamente  gia' costituite, atteso che non si
puo'  individuare  la  parte,  alla  quale  notificare  il decreto di
fissazione  dell'udienza  in  camera  di consiglio, in base a criteri
esterni  all'appello  medesimo,  salvo  a  ritenere  che la parte non
costituita  riceva  un  altro  atto  del  processo nella stessa forma
dell'atto  di  citazione  d'appello, che non la legittima a comparire
all'udienza  di  sospensione  anticipata,  ma  solo  ed  ovviamente a
costituirsi in giudizio, atteso che prima della costituzione non puo'
compiere  nessun  atto  processuale  in  un rapporto processuale gia'
regolarmente  costituito  tra  le parti e tra una delle parti (quella
istante) ed il giudice]".
    Alla   luce   delle  considerazioni  che  precedono  deve  quindi
ritenersi  che  il nostro diritto positivo imponga necessariamente di
giungere alla conclusione che non e' consentito alla parte non ancora
ritualmente   costituita  nel  giudizio  di  appello  di  intervenire
all'udienza  camerale  fissata  ai  sensi dell'art. 351 c.p.c, per la
decisione   anticipata  dell'istanza  di  sospensione  dell'efficacia
esecutiva  ovvero dell'esecuzione della sentenza impugnata, senza che
sia    possibile    ipotizzare    una   interpretazione   alternativa
costituzionalmente compatibile.
    Si  e' visto altresi' che tale soluzione vale tanto per l'ipotesi
che  l'istante  sia  la  parte  appellante,  quanto per l'ipotesi che
l'istante sia la parte appellata - appellante incidentale.
    L'assetto   che  ne  deriva  si  pone  in  termini  difficilmente
compatibili con i principi costituzionali.
    L'art. 24, secondo comma, della Costituzione, sancisce infatti il
principio  dell'inviolabilita'  del diritto di difesa in ogni stato e
grado del procedimento.
    Tale  principio  risulta  chiaramente vulnerato da una disciplina
positiva,  quale quella sopra ricostruita, che priva una parte in una
specifica  fase processuale (sia pur di contenuto e oggetto limitato)
del potere di interloquire dinanzi al giudice nel contraddittorio con
la controparte, promotrice dell'iniziativa.
    E'  pur vero che il diritto di difesa non e' radicalmente escluso
e  che  la  parte  nei  cui  confronti e' stata promossa l'iniziativa
diretta  alla  sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza in
via   anticipata   ha  pur  sempre  la  possibilita'  di  esercitarlo
compiutamente  a patto che si costituisca ritualmente nel giudizio di
merito.
    Si  e'  visto  peraltro  che  non e' possibile separare le difese
della  fase  relativa alla sospensione dell'efficacia esecutiva dalle
difese inerenti il merito dell'appello.
    In  particolare  la parte resistente che sia, come e' normale, la
parte  appellata,  ha  l'onere  di  costituirsi  con  la  comparsa di
costituzione  e  risposta,  ai  sensi  degli  artt. 347 e 166 c.p.c.,
proponendo se del caso anche l'appello incidentale ex art. 343 c.p.c.
(cfr.  Cass.  14  maggio  1981 n. 3166, secondo cui, relativamente al
procedimento  di inibitoria ex art. 351 c.p.c. anteriore alla Novella
del 1990, pur caratterizzato da autonomia rispetto al procedimento di
appello,  "nel  procedimento  di  appello, qualora nell'udienza per i
provvedimenti  sull'esecuzione  provvisoria,  fissata anticipatamente
rispetto  alla prima udienza di trattazione l'appellato non si limiti
a  dedurre  su detta questione, ma replichi al gravame avversario con
comparsa   di  costituzione  e  risposta,  la  facolta'  di  proporre
impugnazione   incidentale  puo'  essere  esercitata  solo  con  tale
comparsa  a  norma  dell'artt.  343  c.p.c.  e non anche pertanto con
ulteriore comparsa nella successiva udienza di trattazione.").
    In   altri   termini,   la  parte  aggredita  dall'iniziativa  di
sospensione   anticipata   dell'efficacia  esecutiva  ha  l'onere  di
costituirsi  anticipatamente nel giudizio di secondo grado, svolgendo
tutte  le  difese  ed  eccezioni  e  riproponendo  tutte  le  domande
assorbite e dispiegando tutte le impugnazioni incidentali che ritenga
di svolgere.
    Cio'  tuttavia  comporta  che  la  parte appellata resistente sia
posta nell'alternativa:
        di rinunciare all'integrale godimento dei termini a comparire
a  curato dal combinato disposto degli artt. 342, secondo comma, 347,
166 e 163-bis c.p.c.;
        di  rinunciare  al diritto di contraddire nel procedimento di
inibitoria;
        ed  appare  evidente  che siffatta compressione pregiudica il
diritto  di difesa dal momento che la parte si trova nella necessita'
per  esercitare  compiutamente  il  proprio  diritto  in  una  sede a
comprometterlo nell'altra.
    Il  rilievo  appare  tanto  piu'  grave in quanto l'attuale testo
dell'art. 351  c.p.c.  (a differenza del previgente terzo comma dello
stesso  articolo  che  conteneva l'inciso "se riconosce che ricorrono
giusti  motivi  d'urgenza")  non  consente al presidente del collegio
alcuna   valutazione,   pur  sommaria,  dell'urgenza  ai  fini  della
anticipazione  (" il Presidente del collegio, con decreto in calce al
ricorso, ordina la comparizione delle parti ... ").
    E'  cosi'  chiaro  che  il  sistema (privo com'e' di un potere di
controllo  in  capo  al Presidente del collegio sui motivi di urgenza
proposti  dall'istante  per  ottenere  l'anticipazione  dell'udienza)
attribuisce - a sua discrezione - ad una parte (quella ricorrente per
la  sospensione)  il  potere di privare l'altra (quella resistente in
sospensione) del termine a comparire o di costringerla a rinunciare a
coltivare le proprie difese in punto inibitoria.
    Si  tratta  proprio  del grave rischio delineato nella autorevole
pronuncia  della suprema Corte del 1972 (Cass. 21 luglio 1972 n. 2497
)    come    elemento    integrativo    da    considerare   ai   fini
dell'interpretazione  del  previgente  diritto  positivo, peraltro in
relazione alla disciplina anteriore caratterizzata, come si e' detto,
dall'autonomia  del  procedimento di sospensione rispetto al giudizio
di appello a cui si riferiva.
    La suprema Corte in tale pronuncia, relativa al sistema anteriore
alla  Novella del 1990, rispondendo (negativamente) all'interrogativo
se  lo  svolgimento  di  attivita'  difensiva  a mezzo di procuratore
dinanzi  al  Presidente  del  collegio  in  sede  di  procedimento di
inibitoria  importasse per il resistente costituzione nel giudizio di
appello, osservava, fra l'altro, che la soluzione affermativa avrebbe
comportato   per   il   resistente,   di   regola   l'appellato,   un
ingiustificato  accorciamento  dello  spatium deliberandi concessogli
per  la  costituzione  in giudizio e per la proposizione dell'appello
incidentale.
    Il   dubbio   di   legittimita'  costituzionale  si  profila  non
manifestamente  infondato  anche  in  relazione  al secondo comma del
novellato  art. 111  della Costituzione (introdotto dalla legge Cost.
23  novembre  1999  n. 2)  secondo  cui  "ogni processo si svolge nel
contraddittorio  delle  parti,  in  condizioni  di parita', davanti a
giudice terzo e imparziale".
    La  disciplina positiva sopra analizzata appare incompatibile sia
con  la  piena  esplicazione  del  costituzionalizzato  principio del
contraddittorio, che non tollera il condizionamento da parte di oneri
che  ne  rendano  troppo  disagevole  l'esercizio,  sia con una reale
situazione   di   parita'   delle   parti   processuali,  sicuramente
compromessa   dall'evidenziato   squilibrio   a  carico  della  parte
appellata  resistente  in  inibitoria  (costretta  a scegliere fra la
rinuncia alla difesa nel sub-procedimento di sospensiva e la rinuncia
al termine a comparire).
    Infine  la  disciplina  ricostruita appare in contrasto anche con
l'art. 3,   primo   comma,  della  Costituzione  per  l'irragionevole
discriminazione  di  trattamento in ordine al termine a comparire che
la legge introduce:
        tra  parti  appellate  resistenti  in  inibitoria  non ancora
costituite,   a   seconda   dell'irragionevole   elemento  discretivo
rappresentato dal fatto che la controparte discrezionalmente proponga
o meno istanza ai sensi dell'art. 351 c.p.c.;
        tra  la  palle  appellata resistente in inibitoria non ancora
costituita  (esposta  al  pesante  sacrificio  del  vitale  termine a
comparire)  e la parte appellante resistente in inibitoria non ancora
costituita  (esposta  tuttalpiu'  alla  rinuncia alla possibilita' di
costituzione tardiva ai sensi del combinato disposto degli artt. 347,
165 e 171 c.p.c.).
    La  Corte  ritiene  pertanto ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo
1953   n. 87   per  tutti  i  motivi  esposti  che  la  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 351 c.p.c., nella parte in cui
condiziona  l'esercizio  del diritto di difesa della parte resistente
all'onere  della preventiva costituzione rituale in giudizio, non sia
manifestamente  infondata  con  riferimento  agli  artt. 24,  secondo
comma, 111, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.
    Analogamente  la  Corte  ritiene che il giudizio non possa essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita'  costituzionale,  da  reputarsi  pertanto rilevante, dal
momento  che  nel  presente procedimento e' stato richiesto da alcune
parti  resistenti di interloquire in ordine all'istanza di inibitoria
nell'udienza    fissata   ai   sensi   dell'art. 351   c.p.c.   senza
preventivamente  costituirsi  ritualmente  con  apposita  comparsa di
risposta nel giudizio di appello.
    Pertanto  la  Corte  intende  promuovere  d'ufficio  la  predetta
questione  di  costituzionalita',  come  previsto dal terzo comma del
citato art. 23.
    Il  giudizio  in  corso (ai sensi del secondo comma dell'art. 23)
oggetto  di sospensione non puo' coerentemente che essere il giudizio
di  appello  unitario di cui la fase inibitoria non costituisce, come
si e' detto ed argomentato, che un mero incidente.
    Il  Cancelliere  dovra': notificare la presente ordinanza a tutte
le  parti  in  causa  e  al  Presidente  del  Consiglio dei ministri;
comunicare  la  presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento.