IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.

                      Svolgimento del processo

    Con  atto  di  citazione  del 13 novembre 1997 Di Bari Pasquale e
Argese   Margherita   proponevano   opposizione  avverso  il  decreto
ingiuntivo  n. 78/1997  emesso dal pretore di Fasano su istanza della
Cassa  di  Risparmio  di  Puglia  S.p.a. per L. 19.373.436 eccependo:
l'erronea    quantificazione    della   debitoria;   la   illegittima
capitalizzazione  trimestrale  degli  interessi in virtu' di clausola
peraltro  non  approvata per iscritto a norma dell'art. 1341 c.c.; la
illegittimita'  del  tasso di interessi applicato, pari al 19,50%, al
contratto  di  finanziamento  "chiediprestito"  in  assenza di valida
pattuizione  in tal senso; che vi era stato un accordo con l'Istituto
di  credito  per  il  pagamento  rateizzato dell'ultima rata di mutuo
mentre  la  Banca ingiungente aveva continuato a richiedere l'intero;
tanto  premesso,  citavano  la Cassa di Risparmio di Puglia S.p.a. in
persona del suo legale rappresentante, dinanzi al pretore di Fasano e
chiedevano  di revocare il decreto ingiuntivo opposto con vittoria di
spese.
    Si  costituiva la Cassa di Risparmio di Puglia eccependo: che gli
interessi  determinati nel contratto erano pienamente legittimi e non
necessitavano di apposita approvazione per iscritto ex art. 1341 c.c.
non trattandosi di clausola vessatoria; che gli opponenti non avevano
ottenuto  alcuna  dilazione nell'adempimento della loro obbligazione;
tanto  premesso,  chiedeva  in  via  preliminare la concessione della
provvisoria  esecuzione del decreto ingiuntivo opposto e, nel rigetto
dell'opposizione con vittoria di spese.
    Con  ordinanza  del  17 dicembre 1998 il pretore non concedeva la
provvisoria  esecuzione  del decreto ingiuntivo e la causa proseguiva
per  il  merito  con  termine  per le richieste istruttorie. Esperita
istruttoria,  nel  corso della quale veniva disposta C.T.U. contabile
al   fine   di   accertare   l'esattezza   dei   conteggi  effettuati
dall'ingiungente   sulla   base  del  tasso  di  interesse  moratorio
pattuito, all'udienza del 20 ottobre 2000 fissata per la precisazione
delle  conclusioni,  in  seguito  al  dichiarato  decesso della parte
Argese Margherita veniva dichiarata l'interruzione del processo.
    Con  comparsa  di  riassunzione  dell'8  novembre  2000 la Intesa
Gestione   Credito   S.p.a.,  Istituto  di  Credito  incorporante  la
Caripuglia  S.p.a., chiedeva di fissare l'udienza per la prosecuzione
del giudizio.
    All'udienza  del  5 febbraio 2001 si costituivano gli eredi della
Argese,  unitamente  al Di Bari Pasquale in proprio, reiterando tutte
le eccezioni formulate nel corso del giudizio.
    Alla  stessa udienza venivano precisate le conclusioni e la causa
veniva trattenuta in decisione con termine per comparse conclusionali
e repliche.
    Alla  luce della questione oggetto di causa appare preliminare ai
fini  della  decisione  proporre, in via incidentale, la questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 1,  comma  1,  del  d.l.  29
dicembre  1999  n. 394  (pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale del 30
dicembre  2000,  n. 303),  convertito in legge 28 febbraio 2001 n. 24
(pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale del 28 febbraio 2001 n. 49) per
le ragioni che di seguito vengono formulate.

                              Rilevanza

    Il  d.l. n. 394/2000, convertito con modificazioni dalla legge 28
febbraio   2001,   n. 24,   al   comma   1   prevede   che  "ai  fini
dell'applicazione  dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, comma 2, c.c.
si  intendono  usurari gli interessi che superano il limite stabilito
dalla  legge  nel  momento  in  cui  essi  sono  promessi  o comunque
convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro
pagamento".
    Nella  presente  causa  si  discute,  tra  l'altro,  anche  della
nullita'  degli  interessi  ultralegali  contenuta  nel  contratto di
finanziamento  sottoscritto  dagli odierni opponenti in data 2 maggio
1988.  Sulla  scorta  della  giurisprudenza  di  legittimita',  ed in
particolare  delle  sentenze  della Corte di cassazione n. 14899/2000
(che  richiama  le  precedenti pronunce n. 5286/2000 e 1126/2000), il
giudice  ha  il  potere di dichiarare anche di ufficio la nullita' di
una  clausola  del  contratto di mutuo, ai sensi dell'art. 1421 c.c.,
anche  se  la  relativa  pattuizione  e'  stata  stipulata  in  epoca
anteriore  all'entrata  in  vigore  della legge n. 108/1996; e questo
perche'  "ai  fini  della  qualificazione usuraria degli interessi il
momento  rilevante e' la dazione e non la stipula del contratto, come
si evince anche dall'art. 644-ter c.p. (introdotto dall'art. 11 legge
n. 108/1996)  e,  pertanto, l'inserimento ex art. 1339 c.c. del nuovo
tasso  di  interesse  (non  usurario)  incontra l'unico limite che si
tratti di prestazioni non ancora eseguite, in tutto o in parte".
    Nel   caso   di   specie,  il  contratto  di  finanziamento  (cd.
"chiediprestito")  e'  stato  stipulato  il  2 maggio 1988, quindi in
epoca  anteriore  all'entrata  in  vigore della legge n. 108/1996; il
tasso di interesse pattuito ammonta al 17,50% maggiorato di due punti
in caso di mora, e quindi al 19,50%; inoltre, nella certificazione ex
art. 50  legge  n. 385/1990  rilasciata  dal  direttore  della  banca
istante  in  data  22  settembre  1992  risulta applicato un tasso di
interesse debitore pari al 25,25%.
    Dalle  rilevazioni  trimestrali  effettuate  a  norma dell'art. 2
della  legge  n. 108/1996,  maggiorate  della  meta', dall'entrata in
vigore  della  predetta  legge,  si  evince che il tasso di interesse
moratorio del 19,50 % risulta maggiore di quello massimo previsto per
i  mutui  e maggiore, in determinati periodi, di quello massimo (c.d.
"tasso  soglia") previsto per i finanziamenti personali alle famiglie
che, soprattutto dall'ottobre 1998 e fino al 2001, si attesta intorno
al 15-16%.
    Ne  consegue  che  il  tasso  di  interesse  moratorio  applicato
dall'Istituto  di  Credito, almeno a partire dal 1998 (e qualificando
il prestito come finanziamento e non come mutuo) risulta superiore al
c.d. tasso soglia e quindi usurario.
    Ne  consegue altresi' che la decisione relativa alla legittimita'
dell'art. 1,  d.l.  394/2000 e' pregiudiziale rispetto alla decisione
della  questione  in  quanto  la  validita'  del tasso applicato alla
debitoria   (e,  quindi,  del  decreto  ingiuntivo  opposto)  dipende
direttamente  dalla  validita' della pattuizione degli interessi (cd.
usurari)  in  quanto  stipulata  anteriormente  all'entrata in vigore
della legge n. 108/1996 come sancito dall'art. 1 del d.l. 394/2000.

                     Non manifesta infondatezza

    Contrasto    con    l'art. 3    Cost.    -   Irragionevolezza   e
contraddittorieta'.
    La  norma  censurata  e'  stata qualificata come "interpretazione
autentica"   della   legge  n. 108/1996  e,  pertanto,  ne  e'  stata
riconosciuta  efficacia  retroattiva.  Tale  valenza  interpretativa,
peraltro,  e'  soltanto  dichiarata,  posto che la norma censurata ha
profondamente  innovato nel sistema legislativo attribuendo rilevanza
penale   al   momento   della  pattuizione  degli  interessi  usurari
indipendentemente dal momento del loro pagamento. E questo in assenza
di  un  contrasto  giurisprudenziale  sul punto in quanto le sentenze
della Corte di cassazione prima citate erano univoche nel riconoscere
rilevanza  al  momento  della dazione degli interessi (come si evince
dall'art. 644-ter c.p. introdotto dall'art. 11 legge 108/1996). A tal
fine,  vi era l'avallo anche della giurisprudenza penale della stessa
Corte  di  cassazione  secondo  cui  la  dazione  degli interessi non
costituisce  un  post  factum non punibile ma fa parte a pieno titolo
del fatto lesivo penalmente rilevante.
    Pertanto,  non soltanto la norma censurata ha innovato il sistema
legislativo abrogando il reato di usura nella parte in cui consisteva
nel  farsi "dare" anziche' promettere interessi, ma tanto ha fatto in
assenza di un contrasto giurisprudenziale.
    Questo  giudice  e'  a  conoscenza  che  con sentenza della Corte
costituzionale  n. 123  del 2 febbraio 1988 e' stata riconosciuta non
incostituzionale,  sotto  il profilo degli artt. 101, secondo comma e
104 primo comma Cost., una norma (nella specie, l'art. unico, legge 9
maggio   1984,   n. 118   la   quale,   intitolata   come   legge  di
interpretazione   autentica  della  legge  24  maggio  1970,  n. 336,
dichiarava  applicabili i benefici combattentistici con effetto dalla
data  stabilita  dalle norme istitutive di benefici stessi, anche nei
confronti  dei  trattamenti  a carico dell'assicurazione generale per
invalidita',  vecchiaia  e  superstiti),  nonostante  il ricorso allo
strumento  dell'interpretazione  autentica (pertanto, conferendo alla
norma  efficacia  retroattiva)  in  una  situazione  di  mancanza  di
interpretazioni  discordanti;  infatti  -  anche  a prescindere dalla
considerazione  che  nella specie la linea interpretativa della corte
suprema  di  cassazione  era  stata  spesso  disattesa dai giudici di
merito, sicche' il contrasto interpretativo poteva al piu' costituire
un  indice  di  riconoscimento  della legge come interpretativa - "la
sussistenza   di  orientamenti  giurisprudenziali  in  senso  opposto
all'interpretazione   autentica   non  impedisce  al  legislatore  di
imporre, in base a determinate scelte politiche, un certo significato
normativo   a   precedenti   disposizioni   e   cio'   anche  per  la
considerazione  che  la  legge  di  interpretazione  autentica non si
distingue dalla legge innovativa con effetto retroattivo, e questa e'
costituzionalmente  legittima,  quando  non superi i limiti stabiliti
dall'art. 25  della  Costituzione  in materia penale o da altre norme
costituzionali".
    Pertanto,   la   stessa   Corte   costituzionale   ha  ravvisato,
nell'attivita'   innovativa  del  legislatore  cui  viene  attribuita
efficacia  retroattiva, il limite imposto dalle norme costituzionali,
primo fra tutti il canone della ragionevolezza "che assume in materia
valore  particolarmente stringente perche' riferito alla certezza dei
rapporti  preteriti,  nonche'  al  legittimo affidamento dei soggetti
interessati": Corte costituzionale n. 432 del 1997.
    Nel  caso di specie, il provvedimento si presenta irragionevole e
contraddittorio,  determinando  quindi  disparita' di trattamento tra
situazioni analoghe, sotto diversi profili:
        1)  viene  abrogata  la  rilevanza  penale  del  "farsi dare"
interessi     superiori     al     tasso     soglia     mentre     si
mantiene-contraddittoriamente-rilevanza  penale  al farsi dare "altri
vantaggi usurari";
        2)  la  dazione di interessi in tema di usura conserva, ancor
oggi,  rilevanza  penale  al fine della decorrenza della prescrizione
del reato ex art. 644-ter;
        3) viene a creare irragionevole disparita' di trattamento tra
chi   continuerebbe   a  percepire  un  interesse,  inizialmente  non
usurario, in un tempo in cui e' diventato usurario e chi incorrerebbe
nella  sanzione  civile  di  nullita'  per avere pattuito e percepito
l'interesse in epoca successiva all'entrata in vigore della legge; in
altri  termini,  si  consentirebbe  la  sopravvivenza  di clausole di
interesse  che in un dato momento risultano in contrasto con le norme
imperative  dettate  in  tema  di  usura,  in  dispregio  al generale
principio  di  eterointegrazione  di  cui  all'art. 1339 c.c. e della
stessa  ratio  della  legge  n. 108/1996 che aveva inteso arginare il
grave  fenomeno dell'usura individuando parametri oggettivi al di la'
dei quali i tassi di interesse sono sempre da considerarsi usurai;
        4)   viene  cancellata,  per  atto  dell'esecutivo,  la  piu'
efficace    delle    sanzioni   a   livello   privatistico,   sanando
irragionevolmente  e  retroattivamente il pregresso senza distinzione
in  base  al  tempo  di  stipula  del  contratto, tra vizi genetici e
funzionali  del  rapporto di mutuo, tra rapporti esauriti, non ancora
esauriti o in pendenza di giudizio;
        5)   l'abrogazione  della  fattispecie  della  dazione  degli
interessi  usurari  dalla fattispecie del reato di usura, limitata al
farsi  promettere  interessi  usurai,  crea disparita' di trattamento
anche  in  relazione  a  quei contratti di finanziamento nei quali il
tasso  di  interesse  e'  soggetto  allo ius variandi, da parte della
banca,  che  non rientra nella "promessa" dell'interesse usurario ne'
nella  "dazione"  ma  e'  il  risultato  di  un  unilaterale  potere,
riconosciuto  al  mutuante,  di  modificare  il tasso di interesse in
epoca  successiva  alla  pattuizione  anche, in ipotesi, superando il
limite del cd. tasso soglia.
    Contrasto con l'art. 24 della Costituzione violazione del diritto
di difesa.
    La  norma  censurata e' stata emessa, come si evince dalla stessa
relazione  al  d.l. 394/2000, in seguito alla sentenza della Corte di
cassazione  n. 14899/2000  in materia di usura ed al fine di arginare
taluni     effetti     negativi     derivanti    dall'interpretazione
giurisprudenziale in materia di tassi usurari sia sul credito sia sul
debito  pubblico.  Tale  intervento  ha  peraltro  eluso  in  maniera
incisiva  il  legittimo  affidamento  sulla certezza delle situazioni
giuridiche  (basata  sul  diritto,  univocamente  interpretato,  fino
allora  vigente)  di  quanti  hanno fatto valere in via giudiziale la
nullita'  di  un rapporto (non ancora esaurito e quindi ancora valido
ed  efficace)  obiettivamente  in  contrasto  con le norme imperative
dettate   dalla   legge   n. 108/1996,   consentendo   ex   post   il
consolidamento  di  aree  di  illecito  negoziale in capo al soggetto
mutuante  contestualmente alla eliminazione dei rimedi a disposizione
del  mutuatario  per  la  eliminazione  di  patologie  funzionali del
rapporto contrattuale.