IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio, sciogliendo la riserva di cui al separato verbale in atti, ha pronunciato la seguente ordinanza in merito all'atto di appello proposto nell'interesse di Bongiorno Fabio nato il 22 luglio 1976, imputato per il delitto di cui agli artt. 416 c.p.; 81 cpv., 110 e 459 c.p. in relazione al 453 c.p., avverso l'ordinanza del 23 gennaio 2001 con la quale il giudice delle indagini preliminari di Palermo respingeva l'istanza di restituzione dei locali e dei macchinari della tipografia sita in Partinico, via Fermi n. 31, letti gli atti e udito il difensore; O s s e r v a 1. - La difesa di Buongiorno Fabio, imputato per i delitti indicati in epigrafe, deducendo che il p.m. aveva gia' chiesto l'emissione del decreto che dispone il giudizio, chiedeva al g.i.p. procedente la restituzione dei beni sottoposti a sequestro probatorio nella fase delle indagini preliminari (il sequestro operato d'iniziativa ex art. 354 c.p.p. era stato convalidato con decreto del p.m. ex art. 355 c.p.p.). Il g.i.p. competente a pronunciarsi sull'istanza di restituzione in quanto era stata gia' richiesta in data 10 novembre 1998 l'emissione del decreto che dispone il giudizio ed aveva la disponibilita' del fascicolo, respingeva l'istanza di restituzione ritenendo che " ... si tratta di beni dei quali puo' essere disposta la confisca". Il difensore dell'imputato avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione proponeva appello al tribunale della liberta'. 2. - Rileva il tribunale che, mentre avverso i provvedimenti di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo il legislatore, ha previsto la possibilita', con la procedura contemplata dall'art. 310 c.p.p., di adire, ex art. 322-bis c.p.p., in veste di giudice di appello il c.d. tribunale della liberta' (ovviamente da identificarsi non come il "tribunale distrettuale" di cui al comma 7 dell'art. 309 c.p.p., bensi' come il "tribunale provinciale" di cui al comma 1-bis dell'art. 322-bis c.p.p.) e, quindi, ai sensi dell'art. 325 c.p.p., anche per saltum, di proporre ricorso per cassazione, analoga facolta' e procedura di impugnazione non e' prevista in caso di rigetto della richiesta di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio. Nonostante l'identita' degli effetti, la privazione della disponibilita', e spesso la spoliazione, di un bene al detentore dello stesso, la diversa natura e funzione delle due tipologie di sequestro, probatorio e preventivo, giustificano la diversita' di disciplina prevista dal legislatore (che, tra l'altro, non riguarda solo il profilo delle impugnazioni). Il sequestro preventivo, appartenente al genus delle misure cautelari di cui al libro IV e alla species delle misure cautelari reali di cui al titolo II del libro IV del codice di procedura penale, conosce una estensione integrale del regime delle impugnazioni cautelari, essendo prevista la possibilita' di gravame al tribunale della liberta', inteso come "tribunale provinciale", e, quindi, del ricorso per cassazione, sia avverso i provvedimenti genetici (di adozione o di rigetto della richiesta di adozione del decreto di sequestro preventivo), sia avverso i provvedimenti successivi (di rigetto della richiesta di revoca o di revoca del sequestro preventivo). Il sequestro probatorio costituisce un mezzo di ricerca della prova, e solo avverso il provvedimento impositivo del vincolo probatorio - sia che trattasi del decreto di sequestro adottato dal p.m. (art. 253 c.p.p.), sia che trattasi del decreto di convalida del p.m. (art. 355 c.p.p.) del sequestro operato d'iniziativa dalla polizia giudiziaria art. 354 c.p.p.) - e' prevista dagli artt. 257 e 355 comma 3 del codice di rito la facolta' della parte incisa dal provvedimento di sequestro probatorio di chiedere il riesame innanzi al tribunale della liberta' a norma dell'art. 324 c.p.p., ovvero la medesima procedura contemplata per il riesame delle misure cautelari reali (sequestro preventivo e sequestro conservativo). La competenza del tribunale della liberta' in materia di sequestro probatorio deve quindi limitarsi al riesame del provvedimento genetico impositivo del vincolo reale, dopo di che il principio di tassativita' delle impugnazioni fissato dal comma 1 dell'art. 568 c.p.p., inibisce di configurare ulteriori casi di impugnazione non previsti dalla legge. Dopo l'adozione del provvedimento genetico applicativo del vincolo reale probatorio - sia esso imposto, con il procedimento bifasico o a formazione progressiva contemplato dal combinato disposto dagli artt. 354 e 355 c.p.p. (sequestro operato d'iniziativa dalla polizia giudiziaria e convalida del sequestro da parte del pubblico ministero), o con decreto del pubblico ministero adottato ai sensi dell'art. 253 c.p.p. - le vicende inerenti la restituzione delle cose sequestrate sono state considerate e disciplinate dal legislatore all'art. 263 c.p.p., la cui rubrica, per l'appunto, e' stata intitolata "procedimento per la restituzione delle cose sequestrate". Ad avviso del collegio la lettura e l'interpretazione corrente dell'art. 263 c.p.p. e delle norme collegate al contenuto dello stesso, consentono di individuare dei punti fermi e, conseguentemente, di poter affermare che sulla richiesta di restituzione delle cose sequestrate: nella fase delle indagini preliminari provvede, con decreto motivato, il pubblico ministero, e contro il provvedimento di rigetto o di restituzione, l'interessato puo' proporre opposizione al g.i.p. che decide con le forme del procedimento camerale contemplato dall'art. 127 c.p.p.; dopo la chiusura delle indagini preliminari e fino al passaggio in giudicato della sentenza provvede il giudice che procede con ordinanza disposta de plano o, qualora le cose sono state sequestrate presso un terzo, emessa dopo l'audizione, in camera di consiglio con le forme dell'art. 127 c.p.p., del soggetto terzo non richiedente la restituzione; dopo il passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 676 e 667 comma 4 c.p.p., provvede il giudice dell'esecuzione con ordinanza emessa de plano ("senza formalita'"), avverso la quale (oltre che il pubblico ministero) il difensore e l'interessato possono proporre opposizione allo stesso giudice dell'esecuzione che, in tal caso, dopo aver instaurato la procedura camerale prevista dai commi 3 e 4 dell'art. 666 c.p.p, provvede con ordinanza ricorribile per cassazione, come stabilito dal comma 6 del medesimo art. 666. 2.1. - Orbene nella fattispecie in esame il difensore dell'imputato ha impugnato innanzi al tribunale della liberta', adito come giudice di appello, l'ordinanza di rigetto dell'istanza di restituzione di un bene sottoposto a sequestro probatorio emessa dopo la chiusura delle indagini preliminari e prima che vi sia una sentenza definitiva dagli atti, e da quanto dichiarato in sede di udienza camerale dal difensore, non risulta che sia stata ancora emessa la pronuncia di merito, risultando fissata solo la data dell'udienza preliminare). Come si e' accennato, nessuna norma prevede il rimedio dell'appello al tribunale della liberta' avverso il provvedimento rigetto dell'istanza di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio e deve ritenersi pacifica l'incompetenza di questo collegio. Nella prassi giudiziaria non e' infrequente, tuttavia, che il provvedimento di rigetto dell'istanza restituzione di un bene sottoposto a sequestro probatorio sia stato impugnato innanzi al tribunale della liberta', tant'e' che sul punto si rinvengono varie pronunce della suprema Corte. L'esame della giurisprudenza di legittimita' consente di distinguere le ipotesi afferenti al rigetto dell'istanza di dissequestro nella fase delle indagini preliminari, da quelle in cui detta fase era stata superata, come nella fattispecie concreta in esame ove e' pendente il procedimento per decreto disciplinato dagli artt. 459 e ss. c.p.p. Nel caso in cui veniva impugnato innanzi al tribunale della liberta' (spesso indicato anche come tribunale del riesame) il provvedimento di rigetto del g.i.p. adito come giudice dell'opposizione ai sensi dell'art. 263 comma 5 c.p.p., la suprema Corte, ribadendo sempre e comunque l'incompetenza del tribunale della liberta' per il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione, ha ritenuto che avverso il provvedimento adottato dal g.i.p. come giudice dell'opposizione l'unico rimedio fosso il ricorso per cassazione, ai sensi del comma 7 dell'art. 127 c.p.p. per vizi ai carattere procedurale inerenti il mancato rispetto delle forme ed il principio del contraddittorio, stabiliti a pena di nullita' dal comma 5 del medesimo art. 127. (cfr. in C.E.D: sez III n. 414/1992, Accinni G; sez. III n. 3143/1993, De Nictolis; sez. I n. 4468/1994, Turchetta; sez. VI n. 521/1995 Hochstalff; sez. V n. 18/1996, Telleri); in taluni casi e' stato affermato che il tribunale della liberta' adito erroneamente doveva riqualificare l'impugnazione, ai sensi del comma 5 dell'art. 568 c.p.p., e trasmetterla al giudice competente, per l'appunto la Corte di cassazione (cfr. sez. VI 521/1995 Hochstalff, cit.). Nell'ipotesi, analoga alla fattispecie in esame, in cui l'istanza di dissequestro veniva respinta dal giudice dopo la chiusura delle indagini preliminari, la suprema Corte, pur ribadendo pacificamente l'incompetenza del tribunale della liberta' adito dal destinatario del provvedimento di rigetto, ha espresso due orientamenti diversi. Secondo un orientamento piu' datato, gia' adottato dalla quinta sezione e seguito dalla sezione sesta della Corte di cassazione, "Avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione delle cose sequestrate emesso dal giudice nel corso del giudizio di cognizione ai sensi dell'art. 263 n. 1 cod. proc. pen., e' possibile esperire l'opposizione prevista per gli incidenti di esecuzione dall'art. 667 n. 4, cui fa rinvio l'art. 676 cod. proc. pen. Tale mezzo di impugnazione deve infatti essere esteso in via analogica poiche' l'esigenza di tutela sostanziale dei diritti degli interessati deve essere salvaguardato, anche in assenza di una esplicita previsione del legislatore, con la possibilita' di proporre successivamente opposizione davanti allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento de plano (cosi' da ultimo sez. VI, n. 20296/1995, Mancini, RV 202975; analogamente, cfr. sez. V, n. 3018/1993, Bartke, RV 195238, in C.E.D). In entrambi casi i giudici di legittimita' procedendo alla riqualificazione dell'impugnazione, ai sensi del comma 4 dell'art. 568 c.p.p., hanno trasmesso gli atti al collegio di cognizione affinche' si pronunciasse in opposizione, sulla richiesta di restituzione, come giudice dell'esecuzione. Di contrario avviso la giurisprudenza piu' recente della sezione seconda della suprema Corte, secondo cui "avverso la decisione del giudice del dibattimento che rigetta l'istanza di restituzione delle cose sequestrate e' ammessa esclusivamente l'impugnazione insieme della sentenza; non puo' infatti ipotizzarsi ne la ricorribilita' per cassazione di tale provvedimenti in applicazione della disciplina del procedimento camerale prevista dall'art. 127 cod. proc. pen., in quanto l'art. 263 cod. proc. pen., che regola la speciale procedura per la restituzione delle cose sequestrate, rinvia alle forme previste dal predetto art. 127 soltanto con riferimento alla fase delle indagini preliminari e non del giudizio, ove e' gia' instaurato un pieno contraddittorio; ne' l'esperibilita' dell'incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 666, terzo comma, cod. proc. pen., poiche' il medesimo art. 263 cod. proc. pen. contempla tale procedura soltanto nell'ipotesi di "sentenza non piu' soggetta ad impugnazione" (cfr. sez. II, n. 605, Di Rosa, RV 204263, in C.E.D). 2.2. - Ritiene il collegio di non poter condividere l'orientamento che facendo ricorso all'analogia, reinveste il giudice di cognizione come giudice di esecuzione. Detta soluzione, individuata dai giudici di legittimita' per conciliare la carenza legislativa di un mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di dissequestro da parte del giudice di cognizione con la " ... esigenza di tutela sostanziale dei diritti degli interessati ... " (v. pag. 3 motivazione della sentenza sez. VI, n. 20296/1995, Mancini, sopra cit.), non appare in sintonia con l'ordine normativo vigente, infatti: in un sistema processuale improntato al principio di tassativita' dei provvedimenti soggetti a gravame, all'interpretazione analogica non puo' affidarsi unefficacia "creativa" di un grado di impugnazione non previsto dal legislatore; il procedimento di esecuzione presuppone il passaggio in giudicato della sentenza e tale presupposto e' incompatibile con il procedimento di cognizione; il giudizio di opposizione del procedimento di esecuzione disciplinato dal combinato disposto dagli artt. 667 comma 4 e 666 c.p.p., prevede una procedura camerale a partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero (comma 4 dell'art. 666 c.p.p.) e con potesta' istruttorie del giudice (comma 5 dell'art. 666 c.p.p.) molto piu' incisiva e pregnante rispetto al procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 127 c.p.p. e che regola il giudizio di opposizione davanti al g.i.p. nell'ipotesi di rigetto dell'istanza di restituzione nella fase delle indagini preliminari (comma 5 dell'art. 263 c.p.p.); sicche' l'interpretazione analogica avallata dall'orientamento della suprema Corte in esame per colmare il vuoto di tutela individuato dagli stessi giudici di legittimita' finisce per creare una tutela rafforzata nella fase del giudizio di cognizione sicuramente sbilanciata rispetto al sistema di tutela massima prevista dal legislatore avverso il diniego dell'istanza di restituzione nella fase delle indagini preliminari con l'opposizione al g.i.p. disciplinata dalla procedura camerale dell'art. 127 c.p.p. che non prevede, ne' la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore (richiesta, invece, dal comma 4 dell'art. 666 c.p.p.), ne' alcuna facolta' istruttoria del giudice (diversamente da quanto previsto dal comma 5 del l'art. 666 c.p.p.). Ritiene, quindi il collegio, che le superiori considerazioni non consentono di aderire all'orientamento della suprema Corte che per far fronte ad un oggettivo vuoto di tutela, estendendo oltremodo l'interpretazione analogica, ha creato una possibilita' di impugnazione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione da parte del giudice di cognizione non contemplata dal legislatore, tra l'altro, attingendo alla procedura di opposizione riservata al giudizio di esecuzione e ben distante, sia sotto il profilo della disciplina sostanziale, sia da un punto di vista sistematico, dal giudizio di opposizione previsto dal comma 5 dell'art. 263 c.p.p., sia pure solo avverso il decreto di rigetto del pubblico ministero adito come organo di prima istanza nella fase delle indagini preliminari. 2.3. - L'orientamento piu' rigoroso adottato dalla sesta sezione (v. supra sub 2.1.), appare piu' aderente sia alla lettera dell'art. 263 c.p.p., sia al fondamentale principio di tassativita' delle impugnazioni previsto dal comma 1 dell'art. 568 c.p.p., e a sua volta espressione del principio di certezza della situazioni e dei rapporti giuridici immanente all'intero ordinamento giuridico. L'adesione a detto orientamento comporterebbe nella fattispecie in esame, che questo collegio, prendendo atto della carenza di legittimazione al gravame non previsto dalla legge, dichiari l'inammissibilita' dell'appello - ex art. 591 comma 1 lettera a) c.p.p. - proposto avverso l'ordinanza di rigetto emessa dal g.i.p. innanzi al quale pende il procedimento per decreto ai sensi degli artt. 459 e ss. c.p.p. e adito dalla difesa per pronunciarsi sulla richiesta di restituzione dei beni sequestrati (ex artt. 354 e 355 c.p.p.) all'imputato nella fase delle indagini preliminari. Tra l'altro, poiche' l'ordinanza del g.i.p. e' stata adottata de plano - essendo prevista la procedura camerale di cui all'art. 127 c.p.p. solo quando vi e' un rapporto di alterita' tra richiedente la restituzione e soggetto al quale le cose sono state sequestrate (art. 263 comma 2 c.p.p.) - non sarebbe neanche possibile riqualificare l'impugnazione come ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 127 comma 7 c.p.p. e, quindi, trasmettere, ai sensi del comma 5 dell'art. 568 c.p.p., il gravame alla Corte di cassazione competente. 3. - Un provvedimento di declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione, allo stato unica soluzione aderente al sistema normativo vigente, striderebbe oltremodo con la " ... esigenza di tutela sostanziale dei diritti degli interessati ... ", gia' individuata dagli stessi giudici di legittimita' (v. supra sub 2.2.). Avuto riguardo all'indagine normativa e giurisprudenziale sino ad ora espletata, ritiene, pertanto il collegio che ricorrono gli stessi presupposti che hanno recentemente indotto questo tribunale in diversa composizione a sollevare (ord. 202/00 seq del 14/20 Novembre 2000, imputato Luca' Gaetano) di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 263 c.p.p. per violazione degli artt. 3 e 24 della Carta costituzionale. 3.1. - Invero, mentre se il pubblico ministero respinge la richiesta di restituzione, ai sensi del comma 5 dell'art. 263 c.p.p., i soggetti interessati possono immediatamente adire il g.i.p., ai medesimi soggetti il legislatore nell'architettura dell'art. 263 c.p.p. non ha assicurato alcun tempestivo rimedio di merito avverso l'ordinanza di rigetto disposta dal giudice adito dalla richiesta di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio avanzata dopo la chiusura delle indagini preliminari e prima del passaggio in giudicato della sentenza, o, comunque, come nel caso di specie, prima che venga emesso o, comunque, diventi definitivo il decreto penale di condanna. Ritiene questo collegio che l'interesse alla restituzione del bene sequestrato da parte degli interessati (siano essi l'indagato/imputato, la persona offesa dal reato e/o l'avente diritto alla restituzione) e', e rimane ontologicamente identico, per cui il mero passaggio dalla fase delle indagini preliminari alla fase del giudizio, costituendo un evento fisiologico al "divenire" dell'iter procedimentale, non giustifica minimamente una diversita' di trattamento tra le diverse fasi del procedimento. Non si rinviene alcuna ragione che possa giustificare una tutela minor, nella fase di cognizione e durante l'espletamento dei procedimenti speciali contemplati nel libro VI del codice di rito, dell'aspirazione a rientrare nella disponibilita' del bene sottoposto a vincolo reale probatorio, rispetto alla doppia e immediata tutela di merito assicurata nella fase delle indagini preliminari con il giudizio di opposizione. Ne', d'altro canto, la diversita' di tutela appare trovare alcuna logica giustificazione nel mutamento dello status all'interno del procedimento, da soggetto sottoposto ad indagini ad imputato. In sostanza nell'art. 263 c.p.p. si rinviene una ingiustificata disparita' di trattamento tra il soggetto che chiede la restituzione nella fase delle indagini preliminari e dopo il passaggio in giudicato della sentenza, al quale - sia pur, come si e' detto sub 2.2, con le diverse procedure camerali previste nell'un caso dall'art. 127 c.p.p. e nell'altro dall'art. 666 c.p.p. - e' assicurato un tempestivo giudizio di opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione, ed il soggetto che vede respinta l'istanza di restituzione dopo la chiusura delle indagini preliminari al quale non e' consentito di proporre alcuna tempestiva opposizione. La lacuna legislativa in esame oltre che comportare una disparita' di trattamento contrastante con il principio di ragionevolezza espresso dall'art. 3 della Costituzione, a parere del collegio, si risolve anche in una violazione del diritto di difesa contemplato dall'art. 24 della Costituzione, non potendo l'imputato dopo la chiusura delle indagini preliminari difendere la propria istanza di restituzione mediante adeguata e tempestiva facolta' di gravame, assicuratagli, invece, come piu' volte si e' detto, sia nella fase delle indagini, sia dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Ritiene, quindi, il collegio che "il procedimento per la restituzione ... " disciplinato dall'art. 263 c.p.p., sarebbe apparso, oltre che piu' equilibrato da un punto di vista sistematico, in piena armonia con i parametri costituzionali previsti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, qualora il legislatore al comma 5 o in altra disposizione dell'art. 263 c.p.p. avesse previsto in caso di rigetto dell'istanza di restituzione da parte del giudice di cognizione la facolta' di proporre opposizione innanzi al medesimo giudice a norma dell'art. 127 c.p.p. (si e' gia' detto, sub 2.2., come il contraddittorio camerale rafforzato previsto dall'art. 666 c.p.p., creerebbe nella fase di cognizione una tutela sbilanciata rispetto a quella prevista nella fase delle indagini preliminari). Tra l'altro l'opposizione al medesimo giudice non si risolverebbe in un rimedio defatigatorio o superfluo. Invero, sia in dottrina che in giurisprudenza si e' affermata la natura devolutiva dell'opposizione, per cui dopo il rigetto della prima istanza, il giudice di cognizione si pronuncerebbe su specifiche doglianze degli interessati e non solo su una mera riproposizione della richiesta gia' respinta. 4. - La questione di legittimita' costituzionale appare rilevante poiche' qualora venisse accolta, l'impugnazione della difesa proposta a questo collegio, anziche' dichiararsi meramente inammissibile, potrebbe essere riqualificata e trasmessa, ai sensi del comma 5 dell'art. 568 c.p.p., al giudice procedente, per il giudizio di opposizione da esperire a norma dell'art. 127 c.p.p.