IL TRIBUNALE

    Riunito  in camera di consiglio, sciogliendo la riserva di cui al
separato  verbale  in  atti,  ha pronunciato la seguente ordinanza in
merito all'atto di appello proposto nell'interesse di Bongiorno Fabio
nato il 22 luglio 1976, imputato per il delitto di cui agli artt. 416
c.p.;  81  cpv.,  110  e  459  c.p. in relazione al 453 c.p., avverso
l'ordinanza  del  23  gennaio  2001  con  la  quale  il giudice delle
indagini  preliminari di Palermo respingeva l'istanza di restituzione
dei  locali  e dei macchinari della tipografia sita in Partinico, via
Fermi n. 31, letti gli atti e udito il difensore;

                            O s s e r v a
    1.  -  La  difesa  di  Buongiorno  Fabio,  imputato per i delitti
indicati  in  epigrafe,  deducendo  che  il  p.m.  aveva gia' chiesto
l'emissione  del  decreto che dispone il giudizio, chiedeva al g.i.p.
procedente la restituzione dei beni sottoposti a sequestro probatorio
nella   fase   delle   indagini  preliminari  (il  sequestro  operato
d'iniziativa ex art. 354 c.p.p. era stato convalidato con decreto del
p.m. ex art. 355 c.p.p.).
    Il  g.i.p. competente a pronunciarsi sull'istanza di restituzione
in  quanto  era  stata  gia'  richiesta  in  data  10  novembre  1998
l'emissione   del  decreto  che  dispone  il  giudizio  ed  aveva  la
disponibilita'  del  fascicolo,  respingeva l'istanza di restituzione
ritenendo  che " ... si tratta di beni dei quali puo' essere disposta
la confisca".
    Il  difensore  dell'imputato  avverso il provvedimento di rigetto
dell'istanza  di  restituzione  proponeva  appello al tribunale della
liberta'.
    2.  -  Rileva il tribunale che, mentre avverso i provvedimenti di
rigetto  della  richiesta  di  revoca  del  sequestro  preventivo  il
legislatore,   ha   previsto   la   possibilita',  con  la  procedura
contemplata  dall'art.  310 c.p.p., di adire, ex art. 322-bis c.p.p.,
in  veste  di  giudice  di  appello  il c.d. tribunale della liberta'
(ovviamente  da identificarsi non come il "tribunale distrettuale" di
cui  al  comma  7  dell'art.  309  c.p.p.,  bensi' come il "tribunale
provinciale"  di  cui  al  comma  1-bis  dell'art. 322-bis c.p.p.) e,
quindi,  ai sensi dell'art. 325 c.p.p., anche per saltum, di proporre
ricorso  per cassazione, analoga facolta' e procedura di impugnazione
non e' prevista in caso di rigetto della richiesta di restituzione di
beni sottoposti a sequestro probatorio.
    Nonostante   l'identita'   degli  effetti,  la  privazione  della
disponibilita',  e  spesso  la  spoliazione,  di un bene al detentore
dello  stesso,  la  diversa  natura e funzione delle due tipologie di
sequestro,  probatorio  e  preventivo,  giustificano la diversita' di
disciplina  prevista  dal legislatore (che, tra l'altro, non riguarda
solo il profilo delle impugnazioni).
    Il  sequestro  preventivo,  appartenente  al  genus  delle misure
cautelari  di  cui  al libro IV e alla species delle misure cautelari
reali  di  cui  al  titolo  II  del  libro IV del codice di procedura
penale,   conosce   una   estensione   integrale   del  regime  delle
impugnazioni  cautelari,  essendo prevista la possibilita' di gravame
al  tribunale della liberta', inteso come "tribunale provinciale", e,
quindi,  del  ricorso  per  cassazione,  sia  avverso i provvedimenti
genetici  (di  adozione  o di rigetto della richiesta di adozione del
decreto   di  sequestro  preventivo),  sia  avverso  i  provvedimenti
successivi  (di  rigetto  della  richiesta  di revoca o di revoca del
sequestro preventivo).
    Il  sequestro  probatorio  costituisce  un mezzo di ricerca della
prova,  e  solo  avverso  il  provvedimento  impositivo  del  vincolo
probatorio  -  sia che trattasi del decreto di sequestro adottato dal
p.m. (art. 253 c.p.p.), sia che trattasi del decreto di convalida del
p.m.  (art. 355  c.p.p.)  del  sequestro  operato  d'iniziativa dalla
polizia  giudiziaria art. 354 c.p.p.) - e' prevista dagli artt. 257 e
355  comma  3  del  codice di rito la facolta' della parte incisa dal
provvedimento  di sequestro probatorio di chiedere il riesame innanzi
al  tribunale  della liberta' a norma dell'art. 324 c.p.p., ovvero la
medesima  procedura contemplata per il riesame delle misure cautelari
reali (sequestro preventivo e sequestro conservativo).
    La   competenza  del  tribunale  della  liberta'  in  materia  di
sequestro   probatorio   deve   quindi   limitarsi   al  riesame  del
provvedimento  genetico  impositivo del vincolo reale, dopo di che il
principio  di  tassativita'  delle  impugnazioni  fissato dal comma 1
dell'art.  568  c.p.p.,  inibisce  di  configurare  ulteriori casi di
impugnazione non previsti dalla legge.
    Dopo   l'adozione  del  provvedimento  genetico  applicativo  del
vincolo  reale  probatorio  -  sia  esso imposto, con il procedimento
bifasico   o  a  formazione  progressiva  contemplato  dal  combinato
disposto dagli artt. 354 e 355 c.p.p. (sequestro operato d'iniziativa
dalla  polizia  giudiziaria  e  convalida  del sequestro da parte del
pubblico ministero), o con decreto del pubblico ministero adottato ai
sensi  dell'art.  253  c.p.p.  -  le vicende inerenti la restituzione
delle  cose  sequestrate  sono  state  considerate e disciplinate dal
legislatore  all'art.  263  c.p.p., la cui rubrica, per l'appunto, e'
stata   intitolata  "procedimento  per  la  restituzione  delle  cose
sequestrate".  Ad  avviso del collegio la lettura e l'interpretazione
corrente  dell'art.  263  c.p.p. e delle norme collegate al contenuto
dello   stesso,   consentono   di  individuare  dei  punti  fermi  e,
conseguentemente,   di   poter   affermare  che  sulla  richiesta  di
restituzione delle cose sequestrate:
        nella  fase  delle indagini preliminari provvede, con decreto
motivato, il pubblico ministero, e contro il provvedimento di rigetto
o  di restituzione, l'interessato puo' proporre opposizione al g.i.p.
che  decide  con  le  forme  del  procedimento  camerale  contemplato
dall'art. 127 c.p.p.;
        dopo  la  chiusura  delle  indagini  preliminari  e  fino  al
passaggio in giudicato della sentenza provvede il giudice che procede
con  ordinanza  disposta  de  plano  o,  qualora  le  cose sono state
sequestrate  presso  un  terzo, emessa dopo l'audizione, in camera di
consiglio  con  le forme dell'art. 127 c.p.p., del soggetto terzo non
richiedente la restituzione;
        dopo  il  passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi del
combinato  disposto dagli artt. 676 e 667 comma 4 c.p.p., provvede il
giudice   dell'esecuzione  con  ordinanza  emessa  de  plano  ("senza
formalita'"),  avverso  la quale (oltre che il pubblico ministero) il
difensore  e  l'interessato  possono proporre opposizione allo stesso
giudice  dell'esecuzione  che,  in  tal caso, dopo aver instaurato la
procedura  camerale  prevista  dai  commi  3 e 4 dell'art. 666 c.p.p,
provvede con ordinanza ricorribile per cassazione, come stabilito dal
comma 6 del medesimo art. 666.

    2.1.   - Orbene   nella   fattispecie   in   esame  il  difensore
dell'imputato ha impugnato innanzi al tribunale della liberta', adito
come  giudice  di  appello,  l'ordinanza  di  rigetto dell'istanza di
restituzione di un bene sottoposto a sequestro probatorio emessa dopo
la  chiusura  delle  indagini  preliminari  e  prima  che  vi sia una
sentenza  definitiva  dagli  atti,  e da quanto dichiarato in sede di
udienza  camerale  dal  difensore,  non  risulta che sia stata ancora
emessa  la  pronuncia  di  merito,  risultando  fissata  solo la data
dell'udienza preliminare).
    Come   si   e'   accennato,  nessuna  norma  prevede  il  rimedio
dell'appello  al  tribunale  della  liberta' avverso il provvedimento
rigetto  dell'istanza  di restituzione di beni sottoposti a sequestro
probatorio   e  deve  ritenersi  pacifica  l'incompetenza  di  questo
collegio.
    Nella  prassi  giudiziaria  non  e' infrequente, tuttavia, che il
provvedimento   di  rigetto  dell'istanza  restituzione  di  un  bene
sottoposto  a  sequestro  probatorio  sia  stato impugnato innanzi al
tribunale  della  liberta', tant'e' che sul punto si rinvengono varie
pronunce della suprema Corte.
    L'esame   della   giurisprudenza   di  legittimita'  consente  di
distinguere   le   ipotesi   afferenti  al  rigetto  dell'istanza  di
dissequestro  nella fase delle indagini preliminari, da quelle in cui
detta  fase  era  stata  superata, come nella fattispecie concreta in
esame  ove e' pendente il procedimento per decreto disciplinato dagli
artt. 459  e  ss.  c.p.p. Nel caso in cui veniva impugnato innanzi al
tribunale  della  liberta'  (spesso indicato anche come tribunale del
riesame)  il  provvedimento  di rigetto del g.i.p. adito come giudice
dell'opposizione  ai  sensi  dell'art. 263 comma 5 c.p.p., la suprema
Corte, ribadendo sempre e comunque l'incompetenza del tribunale della
liberta'  per il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione,
ha  ritenuto  che  avverso  il provvedimento adottato dal g.i.p. come
giudice   dell'opposizione  l'unico  rimedio  fosso  il  ricorso  per
cassazione,  ai  sensi  del  comma 7 dell'art. 127 c.p.p. per vizi ai
carattere  procedurale inerenti il mancato rispetto delle forme ed il
principio del contraddittorio, stabiliti a pena di nullita' dal comma
5 del medesimo art. 127. (cfr. in C.E.D: sez III n. 414/1992, Accinni
G;   sez.   III  n. 3143/1993,  De  Nictolis;  sez.  I  n. 4468/1994,
Turchetta;   sez.  VI  n. 521/1995  Hochstalff;  sez.  V  n. 18/1996,
Telleri);  in  taluni  casi e' stato affermato che il tribunale della
liberta'  adito  erroneamente doveva riqualificare l'impugnazione, ai
sensi  del  comma  5  dell'art. 568 c.p.p., e trasmetterla al giudice
competente,  per  l'appunto  la  Corte  di  cassazione  (cfr. sez. VI
521/1995 Hochstalff, cit.).
    Nell'ipotesi, analoga alla fattispecie in esame, in cui l'istanza
di  dissequestro  veniva  respinta dal giudice dopo la chiusura delle
indagini  preliminari,  la suprema Corte, pur ribadendo pacificamente
l'incompetenza  del  tribunale  della liberta' adito dal destinatario
del provvedimento di rigetto, ha espresso due orientamenti diversi.
    Secondo  un  orientamento piu' datato, gia' adottato dalla quinta
sezione  e  seguito  dalla  sezione  sesta della Corte di cassazione,
"Avverso  il  provvedimento  di  rigetto dell'istanza di restituzione
delle  cose  sequestrate emesso dal giudice nel corso del giudizio di
cognizione  ai sensi dell'art. 263 n. 1 cod. proc. pen., e' possibile
esperire  l'opposizione  prevista  per  gli  incidenti  di esecuzione
dall'art.  667  n. 4,  cui  fa rinvio l'art. 676 cod. proc. pen. Tale
mezzo  di  impugnazione  deve  infatti essere esteso in via analogica
poiche'   l'esigenza   di   tutela   sostanziale  dei  diritti  degli
interessati  deve  essere  salvaguardato,  anche  in  assenza  di una
esplicita previsione del legislatore, con la possibilita' di proporre
successivamente opposizione davanti allo stesso giudice che ha emesso
il  provvedimento  de  plano (cosi' da ultimo sez. VI, n. 20296/1995,
Mancini,  RV 202975; analogamente, cfr. sez. V, n. 3018/1993, Bartke,
RV 195238, in C.E.D).
    In  entrambi  casi  i  giudici  di  legittimita'  procedendo alla
riqualificazione  dell'impugnazione,  ai  sensi del comma 4 dell'art.
568  c.p.p.,  hanno  trasmesso  gli  atti  al  collegio di cognizione
affinche'   si   pronunciasse  in  opposizione,  sulla  richiesta  di
restituzione, come giudice dell'esecuzione.
    Di  contrario avviso la giurisprudenza piu' recente della sezione
seconda  della  suprema  Corte, secondo cui "avverso la decisione del
giudice  del dibattimento che rigetta l'istanza di restituzione delle
cose  sequestrate  e'  ammessa  esclusivamente l'impugnazione insieme
della sentenza; non puo' infatti ipotizzarsi ne la ricorribilita' per
cassazione di tale provvedimenti in applicazione della disciplina del
procedimento  camerale  prevista  dall'art.  127  cod. proc. pen., in
quanto  l'art.  263 cod. proc. pen., che regola la speciale procedura
per  la  restituzione  delle  cose  sequestrate,  rinvia  alle  forme
previste  dal  predetto  art. 127  soltanto con riferimento alla fase
delle indagini preliminari e non del giudizio, ove e' gia' instaurato
un  pieno  contraddittorio;  ne'  l'esperibilita'  dell'incidente  di
esecuzione  ai  sensi  dell'art. 666,  terzo  comma, cod. proc. pen.,
poiche' il medesimo art. 263 cod. proc. pen. contempla tale procedura
soltanto nell'ipotesi di "sentenza non piu' soggetta ad impugnazione"
(cfr. sez. II, n. 605, Di Rosa, RV 204263, in C.E.D).
    2.2.   -   Ritiene   il   collegio   di   non  poter  condividere
l'orientamento che facendo ricorso all'analogia, reinveste il giudice
di cognizione come giudice di esecuzione.
    Detta  soluzione,  individuata  dai  giudici  di legittimita' per
conciliare la carenza legislativa di un mezzo di impugnazione avverso
il provvedimento di rigetto dell'istanza di dissequestro da parte del
giudice di cognizione con la " ... esigenza di tutela sostanziale dei
diritti degli interessati ... " (v. pag. 3 motivazione della sentenza
sez.  VI, n. 20296/1995, Mancini, sopra cit.), non appare in sintonia
con l'ordine normativo vigente, infatti:
        in   un   sistema  processuale  improntato  al  principio  di
tassativita'     dei     provvedimenti     soggetti     a    gravame,
all'interpretazione   analogica   non   puo'   affidarsi  unefficacia
"creativa" di un grado di impugnazione non previsto dal legislatore;
        il  procedimento  di  esecuzione  presuppone  il passaggio in
giudicato  della  sentenza e tale presupposto e' incompatibile con il
procedimento di cognizione;
        il  giudizio  di  opposizione  del procedimento di esecuzione
disciplinato  dal  combinato  disposto  dagli artt. 667 comma 4 e 666
c.p.p.,  prevede  una  procedura camerale a partecipazione necessaria
del difensore e del pubblico ministero (comma 4 dell'art. 666 c.p.p.)
e con potesta' istruttorie del giudice (comma 5 dell'art. 666 c.p.p.)
molto piu' incisiva e pregnante rispetto al procedimento in camera di
consiglio  di  cui  all'art.  127  c.p.p. e che regola il giudizio di
opposizione davanti al g.i.p. nell'ipotesi di rigetto dell'istanza di
restituzione nella fase delle indagini preliminari (comma 5 dell'art.
263    c.p.p.);    sicche'   l'interpretazione   analogica   avallata
dall'orientamento  della  suprema Corte in esame per colmare il vuoto
di  tutela  individuato  dagli stessi giudici di legittimita' finisce
per   creare  una  tutela  rafforzata  nella  fase  del  giudizio  di
cognizione  sicuramente  sbilanciata  rispetto  al  sistema di tutela
massima  prevista  dal legislatore avverso il diniego dell'istanza di
restituzione  nella fase delle indagini preliminari con l'opposizione
al  g.i.p. disciplinata dalla procedura camerale dell'art. 127 c.p.p.
che  non  prevede,  ne'  la  partecipazione  necessaria  del pubblico
ministero  e  del difensore (richiesta, invece, dal comma 4 dell'art.
666   c.p.p.),   ne'   alcuna   facolta'   istruttoria   del  giudice
(diversamente da quanto previsto dal comma 5 del l'art. 666 c.p.p.).
    Ritiene,  quindi il collegio, che le superiori considerazioni non
consentono  di  aderire  all'orientamento della suprema Corte che per
far  fronte  ad  un  oggettivo  vuoto di tutela, estendendo oltremodo
l'interpretazione   analogica,   ha   creato   una   possibilita'  di
impugnazione  avverso  il  provvedimento  di  rigetto dell'istanza di
restituzione  da  parte del giudice di cognizione non contemplata dal
legislatore,  tra  l'altro,  attingendo alla procedura di opposizione
riservata  al  giudizio  di  esecuzione  e ben distante, sia sotto il
profilo  della  disciplina  sostanziale,  sia  da  un  punto di vista
sistematico,  dal  giudizio  di  opposizione  previsto  dal  comma  5
dell'art. 263 c.p.p., sia pure solo avverso il decreto di rigetto del
pubblico  ministero  adito  come  organo  di prima istanza nella fase
delle indagini preliminari.
    2.3.  - L'orientamento piu' rigoroso adottato dalla sesta sezione
(v.  supra sub 2.1.), appare piu' aderente sia alla lettera dell'art.
263  c.p.p.,  sia  al  fondamentale  principio  di tassativita' delle
impugnazioni previsto dal comma 1 dell'art. 568 c.p.p., e a sua volta
espressione del principio di certezza della situazioni e dei rapporti
giuridici immanente all'intero ordinamento giuridico.
    L'adesione  a  detto orientamento comporterebbe nella fattispecie
in  esame,  che  questo  collegio,  prendendo  atto  della carenza di
legittimazione   al   gravame  non  previsto  dalla  legge,  dichiari
l'inammissibilita'  dell'appello  -  ex  art.  591 comma 1 lettera a)
c.p.p.  -  proposto  avverso l'ordinanza di rigetto emessa dal g.i.p.
innanzi  al  quale  pende  il procedimento per decreto ai sensi degli
artt.  459  e  ss. c.p.p. e adito dalla difesa per pronunciarsi sulla
richiesta  di  restituzione  dei beni sequestrati (ex artt. 354 e 355
c.p.p.) all'imputato nella fase delle indagini preliminari.
    Tra  l'altro, poiche' l'ordinanza del g.i.p. e' stata adottata de
plano  -  essendo  prevista la procedura camerale di cui all'art. 127
c.p.p.  solo quando vi e' un rapporto di alterita' tra richiedente la
restituzione  e  soggetto  al  quale  le  cose sono state sequestrate
(art. 263   comma   2   c.p.p.)   -  non  sarebbe  neanche  possibile
riqualificare  l'impugnazione  come  ricorso  per cassazione ai sensi
dell'art.  127  comma  7  c.p.p. e, quindi, trasmettere, ai sensi del
comma  5  dell'art.  568  c.p.p., il gravame alla Corte di cassazione
competente.
    3.   -  Un  provvedimento  di  declaratoria  di  inammissibilita'
dell'impugnazione,  allo  stato  unica  soluzione aderente al sistema
normativo  vigente,  striderebbe  oltremodo  con la " ... esigenza di
tutela   sostanziale  dei  diritti  degli  interessati  ...  ",  gia'
individuata dagli stessi giudici di legittimita' (v. supra sub 2.2.).
    Avuto riguardo all'indagine normativa e giurisprudenziale sino ad
ora espletata, ritiene, pertanto il collegio che ricorrono gli stessi
presupposti  che  hanno  recentemente  indotto  questo  tribunale  in
diversa  composizione a sollevare (ord. 202/00 seq del 14/20 Novembre
2000, imputato Luca' Gaetano) di ufficio la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 263 c.p.p. per violazione degli artt. 3 e 24
della Carta costituzionale.
    3.1.  -  Invero,  mentre  se  il  pubblico  ministero respinge la
richiesta di restituzione, ai sensi del comma 5 dell'art. 263 c.p.p.,
i  soggetti  interessati  possono  immediatamente adire il g.i.p., ai
medesimi  soggetti  il  legislatore  nell'architettura  dell'art. 263
c.p.p.  non  ha assicurato alcun tempestivo rimedio di merito avverso
l'ordinanza  di rigetto disposta dal giudice adito dalla richiesta di
restituzione  di beni sottoposti a sequestro probatorio avanzata dopo
la  chiusura  delle  indagini  preliminari  e  prima del passaggio in
giudicato della sentenza, o, comunque, come nel caso di specie, prima
che venga emesso o, comunque, diventi definitivo il decreto penale di
condanna.
    Ritiene  questo  collegio  che  l'interesse alla restituzione del
bene   sequestrato   da   parte   degli   interessati   (siano   essi
l'indagato/imputato, la persona offesa dal reato e/o l'avente diritto
alla  restituzione) e', e rimane ontologicamente identico, per cui il
mero  passaggio  dalla  fase delle indagini preliminari alla fase del
giudizio,  costituendo  un evento fisiologico al "divenire" dell'iter
procedimentale,   non   giustifica   minimamente  una  diversita'  di
trattamento tra le diverse fasi del procedimento.
    Non  si rinviene alcuna ragione che possa giustificare una tutela
minor,   nella  fase  di  cognizione  e  durante  l'espletamento  dei
procedimenti  speciali  contemplati  nel libro VI del codice di rito,
dell'aspirazione a rientrare nella disponibilita' del bene sottoposto
a  vincolo  reale probatorio, rispetto alla doppia e immediata tutela
di  merito  assicurata  nella  fase delle indagini preliminari con il
giudizio di opposizione.
    Ne', d'altro canto, la diversita' di tutela appare trovare alcuna
logica  giustificazione  nel  mutamento  dello status all'interno del
procedimento, da soggetto sottoposto ad indagini ad imputato.
    In  sostanza  nell'art. 263 c.p.p. si rinviene una ingiustificata
disparita'  di trattamento tra il soggetto che chiede la restituzione
nella  fase  delle  indagini  preliminari  e  dopo  il  passaggio  in
giudicato  della  sentenza,  al quale - sia pur, come si e' detto sub
2.2,   con  le  diverse  procedure  camerali  previste  nell'un  caso
dall'art.   127  c.p.p.  e  nell'altro  dall'art.  666  c.p.p.  -  e'
assicurato   un   tempestivo   giudizio  di  opposizione  avverso  il
provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione, ed il soggetto
che  vede  respinta  l'istanza di restituzione dopo la chiusura delle
indagini  preliminari  al  quale non e' consentito di proporre alcuna
tempestiva opposizione.
    La   lacuna   legislativa  in  esame  oltre  che  comportare  una
disparita'   di   trattamento   contrastante   con  il  principio  di
ragionevolezza  espresso dall'art. 3 della Costituzione, a parere del
collegio,  si  risolve  anche in una violazione del diritto di difesa
contemplato  dall'art.  24 della Costituzione, non potendo l'imputato
dopo  la  chiusura  delle  indagini  preliminari difendere la propria
istanza  di  restituzione  mediante adeguata e tempestiva facolta' di
gravame,  assicuratagli,  invece,  come  piu'  volte si e' detto, sia
nella  fase  delle indagini, sia dopo il passaggio in giudicato della
sentenza.
    Ritiene,   quindi,  il  collegio  che  "il  procedimento  per  la
restituzione   ...  "  disciplinato  dall'art.  263  c.p.p.,  sarebbe
apparso, oltre che piu' equilibrato da un punto di vista sistematico,
in  piena armonia con i parametri costituzionali previsti dagli artt.
3  e  24  della  Costituzione, qualora il legislatore al comma 5 o in
altra  disposizione  dell'art.  263 c.p.p. avesse previsto in caso di
rigetto   dell'istanza  di  restituzione  da  parte  del  giudice  di
cognizione  la  facolta'  di proporre opposizione innanzi al medesimo
giudice  a  norma  dell'art.  127 c.p.p. (si e' gia' detto, sub 2.2.,
come  il  contraddittorio  camerale rafforzato previsto dall'art. 666
c.p.p.,  creerebbe  nella  fase  di cognizione una tutela sbilanciata
rispetto a quella prevista nella fase delle indagini preliminari).
    Tra l'altro l'opposizione al medesimo giudice non si risolverebbe
in un rimedio defatigatorio o superfluo.
    Invero,  sia in dottrina che in giurisprudenza si e' affermata la
natura  devolutiva  dell'opposizione,  per  cui dopo il rigetto della
prima   istanza,   il  giudice  di  cognizione  si  pronuncerebbe  su
specifiche  doglianze  degli  interessati  e  non  solo  su  una mera
riproposizione della richiesta gia' respinta.
    4. - La questione di legittimita' costituzionale appare rilevante
poiche' qualora venisse accolta, l'impugnazione della difesa proposta
a  questo  collegio,  anziche'  dichiararsi  meramente inammissibile,
potrebbe  essere  riqualificata  e  trasmessa,  ai  sensi del comma 5
dell'art.  568  c.p.p.,  al  giudice  procedente,  per il giudizio di
opposizione da esperire a norma dell'art. 127 c.p.p.