ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 4,
della  legge  della  Regione  Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988,
n. 65  (Modifiche  ed  integrazioni  alla  legge regionale 7 novembre
1987,  n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti
solidi),  come  autenticamente  interpretato dall'art. 29 della legge
della  Regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche
alla  legge  regionale 7 settembre 1987, n. 30, ed ulteriori norme in
materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attivita' estrattive),
promosso  con  ordinanza  emessa  il  14 gennaio  2000 dal Tar per il
Friuli-Venezia Giulia sul ricorso proposto da Gesteco S.p.a. ed altra
contro  la  Provincia  di  Udine  ed  altra,  iscritta  al n. 412 del
registro  ordinanze  2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 29, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  costituzione  della  Gesteco  S.p.a. ed altra,
nonche' l'atto di intervento della Regione FriuliVenezia Giulia;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  10 luglio  2001  il  giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Uditi  gli  avvocati  Bruno  Barel,  Nicola  Corbo per la Gesteco
S.p.a.  ed  altra  e  l'avv. Gino Marzi per la Regione Friuli-Venezia
Giulia.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  instaurato  da due imprese -
esercenti  l'una, "una discarica per rifiuti solidi urbani e speciali
assimilabili  ...  ed  entrambe una discarica di rifiuti speciali non
tossici e non nocivi" - contro il decreto assessorile che aveva fatto
loro  divieto  di  smaltire rifiuti di provenienza extraregionale, il
Tar  per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 14 gennaio 2000,
ha  sollevato  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16,
comma  4,  della  legge  del  Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988,
n. 65  (Modifiche  ed  integrazioni  alla  legge regionale 7 novembre
1987,  n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti
solidi),  come  autenticamente  interpretato dall'art. 29 della legge
regionale  14 giugno  1996,  n. 22  (Modifiche  alla  legge regionale
7 settembre 1987, n. 30, ed ulteriori norme in materia di smaltimento
dei  rifiuti  solidi  e  di  attivita' estrattive).     Ad avviso del
rimettente,  il  combinato delle due disposizioni impugnate, vietando
il  conferimento  nelle discariche della Regione dei rifiuti prodotti
al  di fuori della Regione medesima, violerebbe gli articoli 4, 5 e 6
dello  statuto  speciale  della Regione, nonche' gli articoli 3, 41 e
120 della Costituzione.
    Il  Tar  premette di aver gia' sollevato la medesima questione di
costituzionalita'  nel  corso  dello  stesso giudizio, e che la Corte
costituzionale,  con  ordinanza  22 novembre 1999 n. 442, ha disposto
che  gli  fossero  restituiti  gli  atti  del processo in ragione del
sopravvenuto  art. 6  della  legge  regionale 9 novembre 1998, n. 13,
recante  una  nuova  disciplina delle autorizzazioni allo svolgimento
dell'attivita'  di  smaltimento  dei  rifiuti. Detta disposizione non
implicherebbe  pero',  ad  avviso  del  Tar,  il  venire  meno  della
rilevanza  della questione, poiche' "ha come destinatari soltanto gli
impianti  che  necessitano  di  autorizzazione  alla  realizzazione o
all'esercizio",  e  "non  contempla  affatto  quei  gestori,  come le
societa'  ricorrenti,  che sono gia' titolari di autorizzazioni e non
intendono modificare le condizioni di esercizio dei loro impianti".
    2.  - Per quanto attiene al merito della questione, il rimettente
considera  che  il  divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza
extraregionale   si  porrebbe  in  contrasto  con  i  principi  della
legislazione  statale  posti  dagli  articoli  1,  4, lettera h) e 6,
lettera  b)  del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre
1982,  n. 915  (Attuazione  delle direttiva CEE n. 75/442 relativa ai
rifiuti,  n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e
dei  policlorotrifenili  e  n. 78/319  relativa  ai rifiuti tossici e
nocivi)  -  applicabile  al  giudizio principale ratione temporis - i
quali  impongono il perseguimento delle finalita' "di evitare danni e
pericoli  per  la  salute  nonche'  inquinamenti  di  ogni  tipo e di
salvaguardare   l'ambiente  e  il  paesaggio",  nonche'  stabiliscono
"poteri  statali  di  coordinamento  interregionale".  Ad  avviso del
rimettente,  "le  norme  sospettate  di incostituzionalita', infatti,
rendono  indisponibile  il  territorio  della Regione alle iniziative
(...)  che  lo  Stato, a mezzo del Ministero dell'ambiente (...) deve
apprestare,  per garantire anche a livello nazionale il conseguimento
delle  finalita' predette". Sarebbe leso anche un interesse nazionale
infrazionabile,  in  quanto  lo  smaltimento di rifiuti in discariche
situate   in   ambito  regionale  diverso  da  quello  di  produzione
costituirebbe  in  determinati  casi una necessita' non eludibile, la
quale  andrebbe  "soddisfatta  in  via d'emergenza", fenomeno che non
sarebbe governabile da alcuna regione, ma "unicamente dallo Stato".
    Secondo    il    rimettente,    inoltre,   le   norme   impugnate
contrasterebbero  con gli articoli 3 e 41 della Costituzione, a causa
del  deteriore  trattamento  previsto  per le imprese che smaltiscono
rifiuti   nella  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  e  per  l'indebita
restrizione  alla  liberta'  di  iniziativa  economica; ed ancora con
l'art. 120,  per  la limitazione alla libera circolazione di cose fra
le  Regioni  nonche' al libero esercizio da parte dei cittadini della
loro professione nel territorio nazionale.
    Neppure    inciderebbero   sui   termini   della   questione   di
costituzionalita',  secondo  il  rimettente, le innovazioni apportate
dal successivo decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione
delle  direttive  91/156/CEE  sui  rifiuti,  91/689/CEE  sui  rifiuti
pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio),
in  quanto  l'art. 5  del  decreto  stabilisce  un divieto "analogo a
quello   stabilito   dalle   leggi   regionali  contestate",  ma  con
riferimento  ai soli rifiuti urbani, mentre il giudizio a quo avrebbe
ad  oggetto  lo  "smaltimento di rifiuti speciali". Lo stesso art. 5,
prosegue il Tar, confermerebbe "la necessita' del ricorso ad una rete
integrata  di  smaltimento  dei  rifiuti",  anche  al fine di poterli
smaltire  "in  uno  degli  impianti appropriati piu' vicini". Infine,
anche  il  decreto legislativo n. 22 del 1997 prevede il mantenimento
del catasto nazionale dei rifiuti, disponendone agli articoli 11 e 18
la  riorganizzazione  e la tenuta ad opera dello Stato, e mantiene in
forza  dell'art. 13  e  dello  stesso articolo 18 funzioni statali di
indirizzo  e coordinamento nonche' di intervento in via d'urgenza, in
caso di inerzia delle Regioni.
    3. - E' intervenuta in giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia,
deducendo l'irrilevanza della questione di costituzionalita'. Secondo
la  Regione,  difatti,  la  legge  regionale  n. 13  del 1998 avrebbe
implicitamente  abrogato  l'art. 29  della  legge regionale n. 22 del
1996,  oggetto  del  giudizio, ed avrebbe altresi' stabilito un nuovo
regime  autorizzatorio delle discariche di rifiuti operante anche per
le  strutture  "in  esercizio  od  autorizzate",  come  quelle cui il
giudizio principale si riferisce.
    Nel merito, la difesa della Regione ricorda la natura transitoria
della  disciplina regionale impugnata, finalizzata a fronteggiare una
situazione   contingente   di  emergenza  nell'attesa  dei  piani  di
smaltimento  e  nega che dal decreto presidenziale n. 915 del 1982 si
possa  ricavare "un principio di libera circolazione dei rifiuti". In
particolare  la  difesa regionale osserva che l'art. 6 del decreto ha
previsto  un  potere  di  pianificazione  delle Regioni in materia di
impianti  di smaltimento, potere confermato dal d.-l. 31 agosto 1987,
n. 361  e  dalla relativa legge di conversione, nonche' attuato dalla
disciplina  secondaria,  che  ha  imposto di tenere conto tanto della
quantita'  dei  rifiuti  prodotti  in  ciascuna regione, quanto della
popolazione   ivi   residente.   Tale   funzione  sarebbe  del  tutto
vanificata,  ad avviso dell'intervenuta, ove negli impianti regionali
potessero  "essere  riversate  quantita'  incontrollabili  di rifiuti
provenienti da ambiti territoriali ... esterni alla Regione".
    Ad  avviso  della  Regione, infine, non sussiste il contrasto con
gli  articoli  3 e 41 della Costituzione, per il carattere prevalente
della   tutela   della  salute  e  dell'ambiente  sulla  liberta'  di
iniziativa  economica  privata,  e  neanche vi sarebbe violazione del
principio  di  uguaglianza,  in ragione sia del carattere transitorio
della  disciplina regionale, sia delle sue finalita' "palesi, logiche
e giustificate".
    Per  quanto attiene al principio di libera circolazione stabilito
dall'art. 120  della Costituzione, la previsione andrebbe considerata
"alla  luce  del criterio generale della ragionevolezza", non essendo
precluso  al  legislatore  regionale  adottare  misure limitative per
ragioni di pubblico interesse.
    4. - Si sono costituite in giudizio le Societa' Gesteco e Prefir,
ricorrenti nel giudizio principale, svolgendo argomentazioni a favore
dell'accoglimento della questione.
    Secondo  le  parti  private, dal decreto presidenziale n. 915 del
1982,  dal  successivo d.l. 9 settembre 1988, n. 397 e dalla relativa
legge  di  conversione  si  ricaverebbe  il  principio dell'"efficace
smaltimento  dei rifiuti prodotti nel territorio nazionale a garanzia
dell'ambiente  e della salute pubblica", cosicche' il sistema sarebbe
fondato  sul  presupposto  che "il rifiuto debba poter "circolare" se
necessario, per essere smaltito adeguatamente".
    In   particolare  il  decreto  n. 915  del  1982  recherebbe  una
disciplina  differenziata  per  la gestione dei rifiuti urbani, da un
lato,  e  la  gestione  dei rifiuti speciali e pericolosi, dall'altro
lato.  Per  i primi varrebbe il principio dello smaltimento in ambiti
territoriali  delimitati  ed  autosufficienti, per i secondi, invece,
"il  principio della autosufficienza "nazionale" nello smaltimento, a
tutela dell'ambiente e della salute pubblica", con la conseguenza che
il  loro  smaltimento,  ove necessario, debba poter avvenire anche in
regioni diverse da quelle di produzione.
    Le  predette conclusioni non muterebbero a causa del sopravvenuto
decreto  legislativo  n. 22 del 1997, il quale, ad avviso delle parti
private,  mentre  non pone alcun limite alla circolazione dei rifiuti
speciali,  il  cui  smaltimento  continua  ad  affidare  alla  libera
iniziativa economica, riferisce ai soli rifiuti urbani non pericolosi
il divieto di smaltimento in regioni diverse da quelle di produzione.
Per  tutte  le  altre  categorie  di  rifiuti  la  disciplina statale
sopravvenuta   attuerebbe   invece   il   principio  comunitario  "di
correzione,  anzitutto  alla  fonte, dei danni causati all'ambiente",
confermando il principio della prossimita' nello smaltimento.
    Le  parti  private,  infine,  sottolineano che le norme impugnate
colpiscono  "in  modo  diretto  ed  esclusivo  gli  imprenditori" del
Friuli-Venezia  Giulia,  "sia  in  sede  di produzione che in sede di
smaltimento dei rifiuti", con conseguente violazione degli articoli 3
e 41 della Costituzione.
    5.  -  In  prossimita' dell'udienza, le societa' costituite hanno
depositato   una   memoria   difensiva,  nella  quale  insistono  per
l'accoglimento  delle  conclusioni  gia'  formulate,  contestando  in
particolare  che  la  norma  impugnata  possa  dirsi  transitoria,  e
deducendone   l'illegittimita'   proprio   in  quanto  essa  dichiara
espressamente   di  operare  nelle  more  dell'esercizio  del  potere
regionale di pianificazione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
Tar per il Friuli-Venezia Giulia con l'ordinanza indicata in epigrafe
concerne l'art. 16, comma 4, della legge regionale del Friuli-Venezia
Giulia    28 novembre    1988,   n. 65,   cosi'   come   interpretato
autenticamente  dall'art. 29  della  legge  regionale 14 giugno 1996,
n. 22,  nella  parte  in  cui  "nell'impedire  che sia autorizzato lo
smaltimento  di  rifiuti  eccedenti  il  fabbisogno calcolato su base
regionale  e  nel  consentire  che  essi siano conferiti in discarica
soltanto  se di provenienza regionale" viola gli artt. 4, 5 e 6 dello
statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, nonche' gli artt. 3, 41 e
120 della Costituzione.
    Secondo   il  giudice  rimettente,  infatti,  le  predette  norme
regionali   non   si   conformano   ai  principi  fondamentali  posti
dall'allora  vigente  d.P.R.  10 settembre  1982,  n. 915  in quanto,
violando interessi nazionali unitari, ostacolano "il funzionamento di
un'organizzazione  a livello nazionale dello smaltimento che permetta
anche  alle  Regioni la cui produzione di rifiuti ecceda le capacita'
di  smaltimento di collocarli in discariche controllate e non abusive
di  altre Regioni, senza pericoli per la salute pubblica". Inoltre le
stesse  norme  sarebbero in contrasto, secondo il giudice a quo anche
con  gli artt. 3, 41 e 120 della Costituzione a causa dell'arbitraria
ed  "illegittima  imposizione  di  ostacoli  e limitazioni (...) alla
libera  circolazione  di  cose  e all'esercizio della professione" in
danno  degli  esercenti  lo  smaltimento  dei  rifiuti  nella Regione
Friuli-Venezia Giulia.
    2.   -   In   via   preliminare   va   respinta   l'eccezione  di
inammissibilita'    per    irrilevanza    sollevata   dalla   Regione
Friuli-Venezia  Giulia in riferimento alla sopravvenienza della legge
regionale  9 novembre  1998,  n. 13,  che avrebbe introdotto un nuovo
regime  autorizzatorio  delle  discariche  di  rifiuti. Il Tar per il
Friuli-Venezia  Giulia  --  al  quale erano stati, per sopravvenienza
legislativa, restituiti gli atti con ordinanza di questa Corte n. 442
del  1999,  dopo  una  precedente  restituzione disposta, per analogo
motivo,   con   ordinanza   n. 22   del   1998   -   ha  infatti  non
implausibilmente  motivato la permanenza della rilevanza in base alla
circostanza   che   la   normativa   sopravvenuta  non  ha  carattere
retroattivo   e   riguarda   quindi   solo   il  regime  delle  nuove
autorizzazioni.
    3. - La questione e' fondata nei limiti di seguito prospettati.
    Le  censurate  norme  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia, che
sostanzialmente dispongono il divieto di smaltimento nelle discariche
regionali  dei  rifiuti di provenienza extraregionale anche rispetto,
secondo  il  giudice  a  quo  ai  "rifiuti speciali non tossici e non
nocivi",  vanno scrutinate tenendo conto, in particolare, del decreto
legislativo  5 febbraio 1997, n. 22, che ha sostituito, confermandone
peraltro  i  principi,  il  previgente  d.P.R.  n. 915 del 1982 e che
disciplina  la  "gestione  dei  rifiuti" mediante disposizioni che si
autoqualificano  principi fondamentali della legislazione statale, ai
sensi  dell'art. 117  della  Costituzione,  nonche' "norme di riforma
economico-sociale" nei confronti delle regioni a statuto speciale.
    La  giurisprudenza  costituzionale  si e' occupata piu' volte del
problema,  posto dalla legislazione regionale, relativo al divieto di
smaltimento   in   ambito   regionale   di   rifiuti  di  provenienza
extraregionale,  pervenendo  sostanzialmente ad una duplice soluzione
in  relazione  alla  tipologia  dei rifiuti in questione. Da un lato,
infatti,  si  e'  statuito,  proprio in riferimento alle stesse norme
regionali  in esame, che alla luce del principio dell'autosufficienza
-  stabilito  espressamente  dall'art. 5,  comma  3,  lettera  a) del
decreto  n. 22  del  1997  - il divieto di smaltimento dei rifiuti di
produzione extraregionale e' pienamente applicabile ai rifiuti urbani
non  pericolosi  nonche'  ai  rifiuti speciali assimilabili (sentenza
n. 196  del  1998);  dall'altro  lato,  si  e' invece statuito che il
principio  dell'autosufficienza  locale  ed  il  connesso  divieto di
smaltimento  dei  rifiuti  di  provenienza extraregionale non possono
valere per quelli "pericolosi" - comprensivi quindi anche, secondo la
disciplina  introdotta  dal  decreto n. 22 del 1997, di quelli che la
previgente  normativa  del d.P.R. n. 915 del 1982 definiva "tossici e
nocivi - i quali necessitano di processi di smaltimento appropriati e
specializzati (sentenza n. 281 del 2000).
    E'    pertanto    nell'ambito   di   questa   duplice   soluzione
giurisprudenziale  che  va  inquadrata  la  questione  in  esame  che
riguarda   i  rifiuti  "speciali"  non  pericolosi,  antecedentemente
definiti  "non  tossici  e  non  nocivi",  per i quali occorre dunque
verificare   se   valga   o   meno   il  criterio  prioritario  della
autosufficienza  nello  smaltimento,  tenendo conto che la disciplina
legislativa    dei    conferimenti   nelle   discariche   prende   in
considerazione  sia  il luogo di produzione sia le caratteristiche di
pericolosita' dei rifiuti.
    Ed  invero  il criterio del luogo d'origine, valutato insieme con
l'assenza   di  elementi  di  pericolosita',  e'  stato  seguito  nei
confronti  dei  rifiuti  urbani  non  pericolosi,  rispetto  ai quali
"l'ambito  territoriale  ottimale  per lo smaltimento" e' considerato
"logicamente  limitato  e  predeterminabile in relazione ai luoghi di
produzione",  stabilendo infatti l'art. 23 del decreto n. 22 che esso
coincida  di  regola  con  il  territorio  provinciale,  in  modo  da
garantire   al   suo   interno  l'autosufficienza  dello  smaltimento
(sentenza n. 281 del 2000). Invece il criterio della pericolosita' e'
stato  ritenuto  prevalente rispetto a quello del luogo di produzione
in  riferimento  ai  rifiuti che si definiscono appunto "pericolosi",
giacche'  per  il  loro  smaltimento,  date  le loro caratteristiche,
appare  prioritaria,  alla luce del principio desumibile dall'art. 5,
comma  3,  lettere  b)  e c) del decreto n. 22 l'esigenza di impianti
appropriati  e  specializzati  e  di  tecnologie idonee; esigenza che
contrasta  con  una  rigida  predeterminazione di ambiti territoriali
ottimali e con la connessa previsione di autosufficienza locale nello
smaltimento.
    Cio'  premesso, va ricordato che i rifiuti "speciali", secondo la
classificazione  dell'art. 7  del citato decreto n. 22, costituiscono
una    variegata    tipologia    comprensiva,    prescindendo   dalle
caratteristiche di eventuale pericolosita', di ben dieci categorie di
rifiuti  di  diversa  origine.  La  loro  produzione  e' generalmente
connessa   ad  attivita'  lavorative:  di  tipo  agricolo,  edilizio,
industriale, artigianale, commerciale, sanitario e cosi' via, sicche'
la  loro  localizzazione  normalmente  non  e'  distribuita  in  modo
omogeneo    sul    territorio    e   comunque   non   e'   facilmente
predeterminabile,   cosi'  come  non  e'  facilmente  prevedibile  la
dimensione  quantitativa  e qualitativa del materiale da smaltire. Va
inoltre  considerata,  in relazione a questa tipologia di rifiuti che
presentano  caratteristiche  cosi' diverse tra di loro, la necessita'
che   siano   utilizzati   impianti   di  smaltimento  appropriati  o
addirittura, per qualcuna delle categorie indicate, come ad esempio i
rifiuti  sanitari  o  i  veicoli  a motore, impianti "specializzati",
secondo  quanto  appunto  prevede  l'art. 5, comma 3, lettera b), del
decreto  n. 22  del  1997,  che,  sul  punto,  oltre  tutto, conferma
l'impianto del previgente d.P.R. n. 915 del 1982.
    Risulta  dunque  evidente  la ragione per cui anche per i rifiuti
"speciali",  al pari di quelli pericolosi, il legislatore statale non
predetermina  un  ambito territoriale ottimale, che valga a garantire
l'obiettivo specifico dell'autosufficienza nello smaltimento, fissato
in  modo  espresso dall'art. 5, comma 3, lettera a) del decreto n. 22
per  i  soli  rifiuti  urbani non pericolosi. In questa ottica appare
quindi   incongruo   il  divieto  di  conferimento  nelle  discariche
regionali,   imposto  dalle  norme  censurate,  di  rifiuti  speciali
provenienti  da  altre  regioni, in quanto tale divieto non solo puo'
pregiudicare  il  conseguimento  della  finalita'  di  consentire  lo
smaltimento  di  tali rifiuti "in uno degli impianti appropriati piu'
vicini"  (art. 5,  comma 3, lettera b del decreto n. 22 del 1997), ma
introduce    addirittura,   in   contrasto   con   l'art. 120   della
Costituzione,  un  ostacolo  alla  libera circolazione di cose tra le
regioni,  senza  che  sussistano  ragioni giustificatrici, neppure di
ordine  sanitario o ambientale (cfr. sentenze n. 207 del 2001, n. 362
del 1998 e n. 264 del 1996).
    Del resto, anche alla luce della normativa comunitaria il rifiuto
e'  pur  sempre considerato un "prodotto", in quanto tale fruente, in
via  di  principio  e  salvo  specifiche  eccezioni,  della  generale
liberta'   di  circolazione  delle  merci.  In  questo  senso  va  in
particolare  segnalato  che  la  Corte  di  giustizia delle comunita'
europee ancora recentemente ha statuito, a proposito di certi rifiuti
speciali  non  pericolosi, che l'art. 34 del Trattato CE (ora art. 29
CE)  si  oppone  ad  un  sistema di raccolta e di presa in carico che
costituisca,  di  fatto  o  di diritto, un ostacolo all'esportazione;
"tale  ostacolo  non  puo' essere giustificato alla luce dell'art. 36
del  Trattato  CE  [divenuto,  in  seguito a modifica, art. 30 CE], o
mediante  il  richiamo  a finalita' di tutela dell'ambiente (...), in
mancanza  di  qualsiasi  indizio  di pericolo per la salute o la vita
delle  persone  o  degli animali, o per la preservazione delle specie
vegetali,  ovvero  di  pericolo  per l'ambiente" (Corte di giustizia,
sentenza 23 maggio 2000, causa C-209/1998).
    Va  quindi  esclusa  la  possibilita'  di  estensione  ai rifiuti
diversi  da  quelli  urbani  non  pericolosi  del principio specifico
dell'autosufficienza locale nello smaltimento e va invece applicato -
come  questa  Corte  ebbe modo di affermare nella ricordata decisione
n. 281  del  2000  a  proposito  dei  rifiuti  "pericolosi - anche ai
rifiuti  "speciali" non pericolosi il diverso criterio, pure previsto
dal  legislatore, della specializzazione dell'impianto di smaltimento
integrato  dal  criterio  della  prossimita', considerato il contesto
geografico,  al  luogo  di  produzione  in  modo  da  ridurre il piu'
possibile  la  movimentazione  dei  rifiuti,  secondo  la  previsione
dell'art. 22, comma 3, lettera c) del citato decreto n. 22 del 1997.
    In  definitiva, le argomentazioni che precedono dimostrano che il
divieto  di  smaltimento  nelle  discariche  regionali  di rifiuti di
provenienza   extraregionale  contenuto  nelle  norme  della  Regione
Friuli-Venezia  Giulia  denunciate  contrasta,  nella  parte  in  cui
riguarda  i  rifiuti  diversi  da  quelli  urbani non pericolosi, con
l'art. 120  della  Costituzione  ed inoltre non si adegua alle citate
norme  di riforma economico-sociale introdotte in materia dal decreto
n. 22  del  1997.  Restano  cosi'  assorbiti gli ulteriori profili di
censura.