IL TRIBUNALE Nella procedura n. 1325/2001 R.G. promossa da Claudio Cressati contro Caterina Brindisi ex art. 612 c.p.c., cui e' stata riunita la procedura n. 1444/2001 promossa da Caterina Brindisi contro Claudio Cressati con altro ricorso ex art. 612 c.p.c.; a scioglimento della riserva d'udienza e spirato il termine concesso alle parti, esaminati gli ulteriori scritti difensivi, il g.e. ha pronunciata la seguente ordinanza; Premesso che A. - Con ricorso 24 luglio 2001 svolto ex art. 612 c.p.c. Claudio Cressati, coniuge separato di Caterina Brindisi, magistrato esercente le funzioni presso il tribunale di Gorizia (dunque nell'ambito del distretto di Trieste), chiedeva al tribunale di Bologna, quale giudice dell'esecuzione forzata di cui all'art. 26 comma 3 c.p.c., la determinazione delle modalita' di esecuzione del provvedimento assunto in sede di separazione dei coniugi dal tribunale di Bologna, con ordinanza presidenziale emessa ex art. 708 c.p.c. il 30 maggio 2001; in tale provvedimento, tra le altre, si adottava una delle prescrizioni conformative dell'abitazione gia' proposte, e sia pur in via subordinata, dallo stesso Cressati: la concessione al marito di separare completamente, a proprie cura e spese, un appartamento interno alla piu' ampia (circa 1300 mq) villa tipizzante la casa coniugale, cosi' potendo tornarvi per l'abitazione, una volta finiti i lavori: intimata con precetto l'esecuzione spontanea di tale disposizione in data 9 luglio 2001, dato atto che essa non era stata preceduta da un ingresso assentito nell'immobile per l'inizio dei lavori, si instava direttamente al g.e. con l'odierno ricorso; B. - Parimenti, con separato ricorso depositato l'8 agosto 2001, anche la moglie separata Brindisi instava avanti al tribunale di Bologna in funzione di g.e., e dunque ex art. 612 c.p.c. chiedendo la determinazione delle modalita' di prelievo forzoso delle "cose personali" che, dalla villa di abitazione, il marito Cressati non aveva nel frattempo, e nonostante speculare precetto lasciato inadempiuto (e notificato il 24 luglio 2001), provveduto a ritirare; all'udienza 9 agosto 2001 il g.e. dava atto alle parti del deposito anche di questo secondo ricorso, riunito preliminarmente al primo ed oggetto di trattazione congiunta, sulla non opposizione di entrambe le parti; C. - All'unica udienza dunque convocata per e tenuta il 9 agosto 2001, sulla base della ritenuta urgenza ex art. 92 ord. giud., statuita in calce al primo ricorso con decreto del Presidente del tribunale di Bologna del 3 agosto 2001, il g.e. prendeva atto che, come dichiarato preliminarmente dal ricorrente nell'atto introduttivo e confermato dalla difesa della resistente, lo parte obbligata era all'epoca della proposizione del ricorso (data di deposito in cancelleria: 24 luglio 2001) ed e' attualmente magistrato esercente le funzioni presso il tribunale di Gorizia; la stessa parte, per quanto premesso, e' la creditrice alla prestazione vanamente intimata ed oggetto del secondo ricorso promosso ex art. 6l2 c.p.c. (n. 1444/2001); tale circostanza di per se' rende tale fattispecie diversa da quella, gia' considerata in sede di ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale pronunciata da trib. Bologna - g.e. il 3 dicembre 1999, che ha intercettato recente negativo accoglimento da parte della Consulta; nel caso considerato (condominio piazza Monzoni, n. 3 di Carrara (MS) contro l'esecutato Federico Governatori in un pignoramento presso terzi) il debitore aveva svolto le funzioni di magistrato (presso la Pretura di Bologna) ed alla data dell'udienza (la seconda fissata avanti al g.e., in fatto la prima in cui era resa la dichiarazione di terzo) lo stesso non era piu' appartenente alla correlativa pubblica amministrazione, per pensionamento intervenuto il 2 ottobre 1999; pur dandosi atto da parte del g.e. che in virtu' del principio di cui all'art. 5 c.p.c. la proprio competenza andava comunque stabilita in ragione dello stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e con riguardo alla legge in allora vigente, veniva rilevata d'ufficio la questione della eventuale incompetenza del g.e. stesso ex art. 30-bis c.p.c.; tale disposizione, infatti, entrata in vigore nei termini ordinari e dopo la sua introduzione con l'art. 9 della legge 2 dicembre 1998, n. 420, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 7 dicembre 1998, n. 286 e considerando perfezionato il pignoramento, al piu', al momento dell'esaurimento delle notifiche di cui all'art. 543 c.p.c., cioe' al 12 luglio 1999, avrebbe giustificato l'applicazione diretta della novella codicistica alla fattispecie; Corte costituzionale, con ordinanza n. 235 del 6 luglio 2001, ha peraltro dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione stessa avendo deciso che il principio di cui all'art. 5 c.p.c. "e' inapplicabile ove un mutamento dello stato di fatto (nella specie, la cessazione del magistrato dal servizio) faccia sopravvenire la competenza del giudice adito quando competente non era"; l'applicazione della menzionata regola di diritto vivente (della c.d. competenza sopravvenuta) non si attaglia pero' al caso in esame: la vicenda non si e' ripetuta nella fattispecie e pur tuttavia i dubbi di legittimita' costituzionale della norma di spostamento della competenza del foro dell'esecuzione forzata residuano quali intatti; in fatto e in diritto 1. - Invero, interpretando "il momento di proposizione della domanda" di cui all'art. 30-bis c.p.c. come equivalente all'atto introduttivo dell'esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare (la data del deposito del ricorso in cancelleria), questo giudice del tribunale di Bologna ravvisa in tale sequenza il riscontro del primo presupposto, di carattere temporale non limitato, di cui all'art. 5 c.p.c.; la novita' introdotta poi dal legislatore del 1998 si correla sia alla soppressione del referente della reciprocita' quale modello di individuazione del giudice competente sia all'estensione altresi' al giudizio civile di un nuovo schema designativo precostituente giudici diversi; se e' vero che la legge 420/98 ha infatti, modificando l'art. 11 c.p.p., predeterminato ex novo il giudice naturale del processo penale per il caso in cui sia persona sottoposta ad indagini o imputato o persona offesa o danneggiata un magistrato e nell'eventualita' che la competenza ordinaria si debba, in mancanza, radicare avanti a giudice dello stesso distretto giudiziario (salvo l'ulteriore spostamento per funzioni venute ad esercitare anche nel nuovo distretto, ex art. 30-bis comma 2 c.p.c.), meno agevole e' l'identificazione razionale del presupposto di spostamento di competenza riferito ai vari tipi di giudizio civile; per esso la novella ha infatti usato l'espressione "cause in cui sono comunque parti magistrati" e, al secondo comma, evoca la "chiamata in giudizio" quale atto cui riferirsi per determinare un secondo spostamento di competenza; 2. - Ritiene questo giudice che la dizione impiegata non possa, allo stato della interpretazione possibile e senza delimitazioni normative quali pur evocate in via ipotetica da recenti arresti degli stessi giudici costituzionali per la legislazione previgente, escludere che tuttavia anche il processo dell'esecuzione forzata imponga un mutamento di competenza con devoluzione del relativo procedimento, nella vicenda de qua, proprio al tribunale di Bologna in funzione di giudice dell'esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare (secondo la tabella "A" annessa alla legge 420/98 e non piu' in ragione del luogo ove dovrebbe essere adempiuto, ex art. 26 comma 3 c.p.c.); cio' deriva dallo stesso dato testuale dell'art. 30-bis c.p.c. che, nel riferirsi a "cause [...] che secondo le norme del presente capo sarebbero attribuite alla competenza" di un dato giudice opera un sicuro richiamo agli istituti dell'esecuzione forzata, appunto ricompresi - quanto alle regole di competenza - nel capo Io ("del giudice") del titolo Io ("degli organi giudiziari") del libro Io del c.p.c.; 3. - La presunta estraneita' dell'art. 3-bis c.p.c. ai casi di competenza territoriale non derogabile di cui all'art. 28 c.p.c.: trattasi, quanto a tale seconda disposizione, di disciplina che contempla, tra gli altri, il foro dell'esecuzione forzata che, proprio in base al primo comma dell'art. 38 c.p.c., vincola al rilievo officioso all'inizio del processo, evento (a volerne l'assimilazione al processo esecutivo) verificatosi essendo stata sottoposta la questione alle parti all'udienza del 9 agosto 2001 ed anzi essendosi riservato il g.e., dopo il contraddittorio anche su tale punto, di eventualmente esplicitare subito e in via definitiva la propria non competenza: contestualmente va dubitato che un'interpretazione siffatta dell'art. 30-bis c.p.c. possa dirsi costituzionalmente coerente con un ragionevole assetto regolativo di altri interessi parimenti tutelati nell'ambito dell'esecuzione forzata ed il cui ingiustificato sacrificio sembra derivare da una assoluta prevalenza data al foro derogatorio fissato in via generale ed all'apparenza cogente dall'art. 11 c.p.p, cui rinvia appunto l'art. 30-bis c.p.c.; e cio' nonostante l'intera vicenda processuale contrapponente i coniugi Cressati-Brindisi sia stata finora, per scelta della magistrato-Brindisi in sede di separazione e per elezione processuale del marito-Cressati in sede di esecuzione forzata (e poi della stessa Brindisi) quella di investire delle "cause" il tribunale di Bologna: pari efficacia preclusiva viene inoltre qui negata al provvedimento presidenziale del 30 maggio 2001 che infatti, sul punto, non esplicita alcun avviso, nemmeno adesivo alla qualificazione di competenza indicata da parte ricorrente: Osserva invero questo g.e. che: a. - Il legislatore penale storicamente per primo ha inteso assicurare l'esigenza generale di estraneita' effettiva ed apparente del magistrato rispetto agli interessi del processo, tutelando, attraverso la previsione di uno deroga all'unico foro di cui all'art. 8 c.p.p., uno spostamento dell'attivita' giudiziaria anche distante dal luogo della commissione del reato; essendo invero il processo penale deputato essenzialmente all'accertamento di esso, e' stata ritenuta prevalente sul criterio generale individuativo della competenza per territorio la piu' apprezzabile esigenza di neutralizzare il rischio, cosi' censito dal legislatore, di una qualche influenza proprio sulla genuinita' dell'accertamento del fatto ascritto all'imputato (quando tale sia il magistrato o questo abbia assunto la veste di danneggiato o parte offesa) quale vi potrebbe essere in correlazione ai rapporti sussistenti all'interno dell'organizzazione giudiziaria tra organi e singoli componenti di essi; il prestigio e l'indipendenza della magistratura (e della funzione giurisdizionale) sono dunque garantiti assicurando in primo luogo che il convincimento giudiziale alla base del processo penale si formi al di fuori del contesto operativo in cui esercita o e' venuto ad esercitare le funzioni il magistrato imputato o parte offesa; b. - Se tale assetto e' stato piu' volte ritenuto compatibile costituzionalmente con gli artt. 3 e 25 della Costituzione e, soprattutto, non incoerente con la omessa previsione di una regola omologa altresi' per il processo civile (almeno fino alla legge 420/1998), cio' e' parso agli stessi giudici costituzionali (ed ancora recentemente) il frutto di alcune differenze di fondo tra queste due partizioni dell'attivita' giurisdizionale; si e' infatti osservato (Corte costituzione 12 marzo 1998, n. 51 e 6 novembre 1998, n. 370) che la pluralita' dei fori sussistente in genere nel processo civile rinvia ad una "molteplicita' di interessi, riguardanti persone e cose, che vengono in considerazione relativamente alle varie liti", esprimendosi la medesima esigenza di imparzialita' e terzieta' del giudice secondo modalita' attuative "non necessariamente identiche a quelle previste per il processo penale"; nel processo civile, anzi, la stessa "formazione del convincimento del giudice" appare orientata da un apprezzabile e determinante "impulso paritario delle parti"; c. - Di regola, nell'ambito del processo civile, le esigenze di non condizionamento del giudice sono dunque assolte con la ordinaria previsione degli istituti dell'astensione e della ricusazione ex artt. 51-52 c.p.c.; quando il legislatore ha ritenuto che, in relazione alla materia dell'accertamento, concorressero altre cautele la cui osservanza non poteva dirsi sicuramente assolto mediante il ricorso ai subprocedimenti descritti ha fissato la singola deroga con apposita legge: cio' e' avvenuto per i giudizi di responsabilita' connessa ai danni recati dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, in cui proprio il diverso foro di cui all'art. 11 c.p.p. e' stato prescelto quale necessario dalla legge 13 aprile 1988, n. 117; cio' non e' invece avvenuto, dunque confermandosi l'ordinarieta' del rimedio dell'astensione-ricusazione nei giudizi civili, e pur con riguardo al solo parametro della "terzieta'" del giudice ex art. 111 Cost., in rapporto ad altre fasi dello stesso processo e non a una diversa ragione di collegamento con la competenza, per l'esclusione di alcuna "forza di prevenzione" impeditiva delle funzioni complesse del giudice delegato ai fallimenti, assommanti dunque legittimamente sia le funzioni di possibile autore dei provvedimenti cautelari ex art. 146 l.fall. e giudice della causa di responsabilita' sociale prima autorizzata (cosi' Corte costituzione 31 maggio 2001, n. 176) sia quelle di giudice dell'accertamento sommario del passivo e poi istruttore e codecisore nel successivo giudizio di opposizione ex artt. 98-99 l.fall. (cosi' Corte costituzione 28 maggio 2001, n. 167); proprio tali due precedenti, tra l'altro, sembrano confermare la profonda diversita' di parametro individuativa della"funzione" del giudice civile, pur trattandosi di vicende estranee alla materia della "competenza per territorio" e tuttavia accomunabili per la riflessione sul collegamento del "giusto processo" (perche' diretto da giudice terzo ed imparziale) rispetto all'esecuzione forzata; d. - Stesso tentativo di provocare un allargamento di tale breccia ha trovato, come ricordato sopra, puntuale non accoglimento presso la Consulta che non ha mancato, fino alla stessa prossimita' della legge 420/1998, di specificare che "solo il legislatore puo' stabilire, nell'esercizio del suo potere discrezionale, quando ricorra quell'identita' di ratio che imponga l'estensione pura e semplice del criterio di cu all'art. 11 c.p.p. [...] e quando, invece, quella ratio non ricorra affatto o sia realizzabile attraverso la previsione di un foro derogatorio appropriato alla specifica materia. Cosi' da evitare che vengano sacrificati altri interessi e valori costituzionalmente rilevanti, come potrebbe accadere ove, ad esempio, per un'esecuzione forzata - specie concorsuale --, o per una causa divisorio, o per un regolamento di confini, finisse col diventare competente il giudice di un distretto assai lontano dal foro attualmente singulatim, previsto nel codice di rito civile, quale sarebbe quello risultante dal nuovo testo dell'art. 11 c.p.p. gia' approvato da uno dei rami del Parlamento" (Corte Cost. 51/1998); tale identita' di ratio e' stata incidentalmente ritenuta compatibile con le previsioni derogatorie dei giudizi di responsabilita' professionale del magistrato ex l. 117/1998 (cosi' anche Corte Cost. 370/1998); e. - In realta' la dizione usata dal legislatore all'art. 30-bis c.p.c., riferendosi indifferentemente a tutte "le cause in cui i magistrati sono comunque parti", non permette, gia' in via interpretativa, di rinvenire singole partizioni del processo civile nelle quali l'esigenza di radicare il processo presso il foro naturale codicistico sia prevalente rispetto a quella fissata in via generale dall'art. 30-bis c.p.c. ed a sua volta annulla, in un indistinguibile coacervo richiamante tutti i processi civili, di cognizione ordinaria e di esecuzione forzata, le differenze di necessario trattamento gia' cospicuamente rilevate dalla stessa Corte costituzionale (almeno nei due precedenti citati del 1998); tale osservazione, semmai, puo' maturare un convincimento di dubbio sulla logicita' e ragionevolezza della nuova scelta operata dal legislatore del 1998, ma non sembra permettere al giudice una propria, sicura, ricognizione della natura cosi' speciale di talune materie da giustificare, per come disciplinate in via legislativa anteriore alla legge 420/1998, una deroga alla successiva norma che fissa, ora in via generale, lo spostamento di competenza anche per i giudizi civili in cui sia parte il magistrato: cio' invero ha fondato il corretto radicamento, de jure condito, del ricorso ex art. 612 c.p.c. avanti al tribunale di Bologna da parte di Cressati: ne' e' possibile, come detto, qualificare come soggetto diverso dalla "parte" il debitore o comunque la parte obbligata nei procedimenti di esecuzione forzata, semmai riservando tale qualifica al medesimo solo nei giudizi incidentali nascenti eventualmente da essi (ad es. l'opposizione all'esecuzione forzata od agli atti esecutivi o di terzo o le controversie ex art. 512 c.p.c. o la divisione ex artt. 599-601 c.p.c.); puo' convenirsi infatti sulla attenuazione che, nell'espropriazione privata, lo statuto della "parte" tipizzante il processo di cognizione registra, ma proprio l'impiego (in innumerevoli norme: ad es. l'art. 485 c.p.c. che contrappone "parti" ad "interessati", l'art. 495 c.p.c. che impone di decidere sulla conversione dopo aver sentito le parti, gli artt. 530 e 569 c.p.c. che prevedono l'udienza per l'audizione delle parti prima di emanare l'ordinanza di vendita, l'art. 548 c.p.c. che condiziona l'inizio dell'istruzione della causa alla istanza di parte rivolta al g.e., lo stesso art. 612 c.p.c. che prescrive di acquisire l'avviso della parte tenuta al facere o al non facere, ecc.) ancora di questa dizione implica solo una diversa allocazione delle facolta' connesse al contraddittorio ed ai poteri di controllo della inevitabile scansione che conduce alla realizzazione del compendio pignorato o all'attuazione del titolo esecutivo senza la cooperazione del debitore; tale distinzione, invece, non vale ad escludere che essa, gia' per previsione normativa, non possa essere abbracciata da una disciplina, come quella dettata dall'art. 30-bis c.p.c., che appare perentoria nel riferirsi ad ogni causa ed all'essere il magistrato comunque parte nel processo civile (quale, del tutto ovviamente, non puo non essere considerato anche il processo esecutivo): f. - Cio' premesso appare a questo g.e. che l'estensione altresi' ai giudizi dell'esecuzione forzata, ed in particolare all'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, non possa essere qualificato, sebbene discendente dall'attuale art. 30-bis c.p.c., disposizione compatibile con gli artt. 3, 24-25, 97, 101, 111 Cost.; la questione, gia' sollevata dal tribunale di Torino con ord. 26 luglio 1999 e non accolta (Corte Cost. 4 luglio 2001, n. 215) con riferimento ad un giudizio civile dedotto con riguardo ad obbligazioni di un magistrato non connesse all'esercizio dell'attivita' professionale, trova con tale precedente questo punto di contatto: si condivide invero il giudizio di apparente irragionevole necessita' normativa di derogare, rispetto ad ogni altra controversia civile, il principio del giudice naturale precostituito per legge cosi' aggravando le condizioni della difesa (artt. 24-25 Cost.), nonche' di instaurare una disparita' di trattamento rispetto agli altri cittadini (art. 3 Cost.); la vicenda torinese, peraltro, non ha rinvenuto recezione diretta presso la Corte costituzionale in quanto lo stesso giudice remittente ha posto nei lavori parlamentari alla legge 420/1998 la fonte di una diversa interpretazione, di diritto positivo, della novella di cui all'art. 30-bis c.p.c, finendo cosi' con l'ammettere la propria non competenza quale discendente da un'interpretazione della legge, intesa come allo stato di per se' restrittivamente circoscrivibile siccome disciplina derogatoria per i soli casi gia' ipotizzati dall'art. 11 c.p.p. (cioe' i risarcimenti dei danni, ex art. 4 legge 117/88); nella presente fattispecie bolognese, invece, la premessa da cui muove questo giudice e' che l'art. 30-bis c.p.c. non sia interpretabile in alcun senso restrittivo, cioe' non vi sia spazio alcuno, ovviamente nemmeno ricollocabile in una impropria devoluzione validativa ermeneutica rimessa alla Corte costituzionale, per discernere singoli casi di aggancio della diversa competenza ex art. 11 c.p.p. selezionati in relazione alla "materia" o al tipo di "responsabilita'" del magistrato; g. - Si osserva inoltre che anche Corte costituzione 4 luglio 2001, n. 216 ha parimenti rigettato altre cinque questioni rispettivamente sollevate da App.Milano 27 ottobre 1999, trib.Rimini 17 gennaio 2000 (in funzione di g.i. e con due ordinanze), trib.Rimini 17 gennaio 2000 (in funzione di presidente), ancora App.Milano 8 marzo 2000, senza tuttavia dover entrare approfonditamente nel "merito" della norma impugnata, perche' altri parametri sono stati pregiudizialmente elevati a ragione delle rispettive decisioni; cosi' le prime tre non hanno trovato accoglimento in quanto il dubbio, ex Corte costituzionale n. 216/2001, di fatto verteva sul mancato assoggettamento alla nuova disciplina di giudizi gia' pendenti al momento di entrata in vigore della legge 420/98 che, radicando solo per l'avvenire e avanti a giudici diversi ex art. 30-bis c.p.c. le cause, e stata ritenuta il frutto di una legittima scelta discrezionale del legislatore, sia quanto all'art. 3 Costituzione sia per il rispetto del giusto processo, invocato ex art. 111 Cost.; l'ord. Pres.trib.Rimini 17 gennaio 2000 e' stata ritenuta inammissibile poiche' sollevata nel corso di un procedimento per la richiesta di astensione c.d. discrezionale ex art. 51 comma 2 c.p.c., avente natura amministrativa e non giurisdizionale; App. Milano 8 marzo 2000 e' stata infine ritenuta irricevibile perche' con essa il giudice remittente si era solo limitato a richiamare la pendenza della precedente questione gia' sollevata, senza impugnare specifiche (anche le stesse) norme avanti alla Corte costituzionale; h. - Permangono dunque, in ragione della inesistenza del limite della competenza sopravvenuta di cui all'art. 5 c.p.c. gia' elevato da Corte Cost. n. 235/2001 a causa di inammissibilita' della questione sollevata da tribunale di Bologna 3 dicembre 1999, le stesse argomentazioni di dubbio (semmai rafforzate dall'introduzione del novellato art. 111 Cost.): la disparita' di trattamento (ex art. 3 Cost.) e l'aggravamento delle condizioni di esercizio della difesa (ex art. 24 Cost.) concernono in primo luogo il creditore (del facere o del non facere) che promuove l'esecuzione forzata: gia' distanziandosi l'oggetto dell'attivita' giurisdizionale da un vero e proprio accertamento in sede contenziosa delle pretese obbligazioni civili (e non derivanti da attivita' professionale) verso il magistrato o del magistrato-creditore verso un comune debitore, l'espropriazione forzata e' processo che, per definizione, presuppone il titolo esecutivo e, con esso, puo' prescindere, pur senza divenire attivita' amministrativa, dal rito ordinario o speciale che contrapponga un terzo al magistrato (e viceversa) nella contestazione in ordine alla affermazione del diritto di credito; in ogni caso la relazione processuale fra le "parti" del processo esecutivo non risulta di regola (ed in particolare nel caso de quo) in alcun modo incisa dalla qualita' di magistrato della obbligata, chiamata a subire l'eventuale dictum, del g.e. in ragione dell'inadempimento di un obbligo fungibile comune, in cui cioe' e' assente qualunque riflesso della predetta condizione professionale, come non puo' non dirsi quando il debitore sia tale per prestazioni a contenuto patrimoniale inerenti allo status di coniuge separato; tuttavia lo stesso svolgimento ancora processuale dell'esecuzione, l'esercizio dei poteri ablatori del g.e. sui beni dell'esecutato, i poteri di intervento coattivo nei luoghi del debitore e la finalizzazione satisfattiva degli atti implicano il rispetto, indistintamente, di norme che, nel modo piu' celere ed efficace possibile, dunque davanti al giudice naturale precostituito per legge ex art. 25 Cost., consentano al creditore il soddisfacimento della propria pretesa; da questo punto di vista proprio l'inizio dell'espropriazione, in caso di applicazione letterale dell'art. 30-bis c.p.c., altererebbe in modo rilevante il corretto e tempestivo incardinamento del processo; infatti nell'esecuzione mobiliare (art. 518 c.p.c.) ed immobiliare (art. 557 c.p.c.) l'ufficiale giudiziario deposita in cancelleria l'atto di pignoramento, originando cosi' l'inizio della sequenza degli adempimenti endoprocessuali che, culminando nella nomina del g.e., concorrono ad individuare (confermandola) la competenza del l'ufficio: anche dovendosi applicare l'art. 30-bis c.p.c. e non volendo immaginare un passaggio sistematico di rilievo officioso dell'incompetenza ex art. 28 e 38 c.p.c. da parte del g.e., occorrerebbe congegnare, proprio per garantire il fisiologico funzionamento della norma, che gia' con il primo atto del processo (deposito in cancelleria del pignoramento) l'ufficiale giudiziario provveda a concorrere all'esatto incardinamento del medesimo avanti al g.e. per territorio competente ovvero la parte depositi il ricorso avanti al giudice della sede capoluogo della corte d'appello individuata ex art. 11 c.p.p.: ora, tale eventualita' e' assolutamente improbabile, non derivando (a parte i provvedimenti connessi alla responsabilita' professionale e sempre che il titolo esecutivo lo riporti esplicitamente) dal titolo esecutivo nella generalita' dei casi la qualita' di magistrato della parte esecutata o comunque cio' essendo del tutto casuale; ne' puo' dirsi che tale cognizione sia o debba essere presente in capo al creditore del magistrato, tanto piu' quando - come nella fattispecie - il debito sia di natura privata, cioe' non professionale, per cui le obbligazioni assunte (o poste giudizialmente) in sede di separazione fra coniugi non onorate ed oggetto di riscontro nell'ordinanza resa ex art. 708 c.p.c. hanno reso possibile in via di mero fatto la cognizione della qualita' di magistrato della debitrice, senza pero' che cio' dovesse risultare dalla modulazione indefettibile degli atti del processo, come in pratica sarebbe proprio del solo giudizio di responsabilita' ex legge 13 aprile l988, n. 117; va poi ricordato che ne' esiste un pubblico registro dei magistrati paragonabile al P.R.A. o alla Conservatoria per i beni immobili o al registro delle imprese, ne' e' configurabile un qualche onere della parte procedente ad escludere o conoscere siffatta qualita' prima di promuovere l'esecuzione forzata; dunque lo spostamento al foro di cui all'art. 11 c.p.p. (come integrato dalla tabella di cui all'art. 1 disp.att. c.p.p.), realizza un aggravio delle condizioni difensive del creditore ed un costo ulteriore, quantomeno da un punto di visto temporale, circa il realizzo del credito stesso, con apparente violazione degli art. 3, 24 e 25 della Costituzione (esulando ovviamente da tale rilievo, data la natura officiosa del riscontro, ogni considerazione di mera opportunita' connessa alle aspettative di realizzo del credito dei ricorrenti: il giusto, perche' ragionevolmente durevole, processo, sara' attuato anche ogniqualvolta vi sia sollevata questione di costituzionalita', potere-dovere giudiziale che non e' sacrificabile di per se' da una mera enunciazione del diritto correlativamente posto dall'art. 6 C.E.D.U., dall'art. 111 Cost., dalla l. 89/2001): la considerazione rinviene una sua peculiare e autonoma evidenza proprio nella procedura per obblighi di fare e non fare: qui il distanziamento del giudice dall'attivita' di conformazione con atti esecutivi del titolo non ottemperato spontaneamente e' anche e (ancor piu) visibilmente "fisica", poiche' si storicizza in una separazione territoriale dal luogo in cui l'obbligo andrebbe attuato (ex art. 26 comma 3 c.p.c.) per migrare al luogo legislativamente distante dall'area geografica di operativita' del magistrato-g.e., cio' integrando una lesione direttamente apprezzabile anche dell'art. 111 Cost., non potendosi assicurare una celerita' ed economia di efficacia al processo esecutivo "governato" da giudice di altro distretto rispetto ai luoghi di attuazione del titolo esecutivo azionato: al contempo, ex artt. 3, 24-25, 111, Cost., pari lesione si configura a carico del debitore magistrato, per il quale si riscontra una situazione deteriore di irrazionale trattamento rispetto alla sorte del comune debitore dedotto nell'esecuzione forzata, potendo egli apprestare le proprie difese e, comunque, partecipare al processo esercitando le facolta' ivi previste solo a patto di spostarsi in altro distretto, oltre il luogo in cui si trovano i beni aggrediti (nelle esecuzioni mobiliari ed immobiliari) ovvero, come nel caso, oltre il luogo in cui si dovrebbe attuare l'obbligo inevaso (l'immobile in cui attuare l'ordinanza di separazione e' sito in Farra d'Isonzo, provincia di Gorizia); la stessa non giustificabile disparita' di trattamento e per le stesse ragioni si verifica con riguardo al magistrato creditore, l'esercizio del cui diritto di credito subisce una compressione del tutto speculare e parimenti censurabile; i. - Presente procedura, peraltro, esprime una ulteriore peculiarita', esclusivamente attinente al rito, in quanto ex art. 612 c.p.c. non si ha un atto di ufficiale giudiziario identico al pignoramento su beni, bensi' un mero deposito del ricorso con cui l'avente diritto al facere o al non facere dovrebbe porre la competenza per territorio in una relazione strettamente ancorata, ex art. 26 c.p.c., in ragione del luogo in cui la stessa prestazione, vanamente intimata, non e' stata eseguita: tuttavia la forma di evocazione in giudizio dell'esecutato (ricorso avanti al g.e. del luogo di adempimento predeterminato dell'obbligo) in quanto non simile a quella che coincide con l'inizio dell'ordinario giudizio di cognizione potrebbe far ritenere che, almeno per questo tipo di esecuzione forzata, non ricorra il dubbio di irrazionale trattamento prima tratteggiato; in realta', a parte la irragionevolezza di un'eventuale diversa-disciplina, quanto alla competenza esecutiva, a seconda della sola forma dell'atto introduttivo dell'espropriazione o dell'esecuzione forzata, se si applicasse anche all'esecuzione per obblighi di fare o non fare l'art. 30-bis c.p.c. (come pare ineludibile a questo giudice secondo l'attuale portata della disposizione dubitata di costituzionalita) sarebbe inevitabile il riscontro di una propagazione anche all'ufficio ed alla sua organizzazione amministrativa degli effetti di aggravio delle condizioni processuali di esercizio della funzione giurisdizionale, con cattivo funzionamento dell'amministrazione della giustizia ex art. 97 Cost., dovendo il magistrato coordinare e conformare obblighi da un sito manifestamente distante da quello che invece, in ragione di territorio, configura per tradizione e base normative la sua relazione con i vari tipi di esecuzione forzata (lex rei sitae e, per l'espropriazione presso terzi, il luogo in cui ha residenza il debitor debitoris, tutti fori selezionati attentamente con riguardo all'attivita' materiale in cui si declinera' la potesta' esecutiva dello Stato, rimedio alla vietata autotutela): l'incaricato del giudice, l'ufficiale giudiziario, nello fattispecie attivata ex art. 612 c.p.c. dovrebbe recarsi a Gorizia per sovrintendere ai lavori di conformazione di un'unita' autonoma abitativa nella piu' ampia proprieta' immobiliare oggetto di assegnazione in sede di separazione ovvero per curare la cernita e l'asporto dei beni personali al Cressati; parimenti le stesse persone nominabili (quali ad es. tecnici, periti, imprese, depositari) dal g.e. in ausilio del medesimo ufficiale giudiziario dovrebbero essere coordinate ancora da Bologna per attivita' materiali da compiersi nel distretto triestino; inoltre le stesse "difficolta'" di cui fa menzione il successivo art. 613 c.p.c., spesso involgenti sopralluoghi diretti di tecnici designati dal g.e. o talora di quest'ultimo, dovrebbero essere prontamente decise in termini vieppiu' problematici, dunque in relazione critica, oltre che con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., anche con l'art. 111 Cost. per l'ordinata, efficace e sollecita attuazione del titolo esecutivo, in un ambito organizzativo di evidente irragionevole previsione conformativa, rispetto al luogo di cui all'art. 26 comma 3 c.p.c., rispetto alla durata ragionevole del processo, anche come recepita ex L. 89/2001 nell'ambito del precetto di cui all'art. 6 C.E.D.U. e come voluta dall'autonomo parametro costituzionale; cio' permette di aggiungere l'ulteriore dubbio circa la coerenza di siffatta norma, cosi' interpretata, con il principio dell'unitarieta' della giurisdizione che ex art. 101 Cost. dovrebbe assicurare pari condizioni di accesso alla tutela giurisdizionale del credito, senza ingiustificati allontanamenti dal foro previsto in via generale per una pronta soddisfazione dello stesso in via di esecuzione forzata; va inoltre rilevato che l'intento legislativo, volto ad evitare che il magistrato sia parte di un processo affidato al "collega della porta accanto", rivela, pur nel programmatico presidio del valore dello terzieta' ed imparzialita' del giudice, una manifesta illogicita', allorche' il c.d. costo della lontananza sia sopportato in ogni caso in cui il magistrato esercita le funzioni all'interno della medesima unita' territoriale, il distretto di corte d'appello, geograficamente assai vasta: all'infuori della responsabilita' di cui alla legge 117/1988, l'estensione dell'art. 30-bis c.p.c. ad ogni procedimento civile e, tra questi, altresi' all'esecuzione forzata, in cui il legame del foro competente con il territorio e' del tutto caratterizzante, non pare altrettanto razionale, omettendo di considerare che la presunzione di attenuata imparzialita' altrimenti presente presso tutti i giudici del medesimo distretto non apprezza la peculiare iniziativa delle parti anche nel processo dell'esecuzione forzata e comunque la connotazione essenzialmente finalistica e meno (ovvero diversamente e solo sommariamente) accertativa di esso rispetto al comune giudizio ordinario civile di cognizione; j. - E' dunque l'intera esecuzione forzata (in cui e' possibile, tra l'altro, intervenire ad opera di un terzo, la cui qualita' di magistrato incrementerebbe la doverosa traslazione del foro competente ex art. 11 c.p.p.) che, pianamente sussumibile nell'ampia espressione impiegata dall'art. 30-bis c.p.c., esige un controllo di compatibilita' costituzionale quanto alla competenza di un giudice diversa da quello di cui all'art. 26 (e comunque comma 3) c.p.c., apparendo la questione non manifestamente infondata; la questione, nella presente vicenda, si palesa come rilevante, non potendo questo g.e. proseguire nelle attivita' di giudice preposto all'esecuzione forzata contro un magistrato ovvero all'esecuzione promossa da un magistrato, dunque definire i procedimenti, se la norma che ne presuppone la competenza, qui ravvisata preliminarmente in contrasto con plurime disposizioni costituzionali, non sia stata in via pregiudiziale riscontrata per tale coerenza o meno;