IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 716 del 2000, proposto da Sozio Antonino, rappresentato e difeso dagli avv. Mariella Antonilli e Antonio Scuncio, con domicilio eletto in Campobasso, via Garibaldi n. 9, presso lo studio legale Pizzuti; contro l'Azienda sanitaria locale n. 2 "Pentria" di Isernia, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Umberto Paolo Bevacqua, con domicilio presso la segreteria di questo Tribunale amministrativo regionale; la Regione Molise, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso la cui sede, in Campobasso, via Garibaldi n. 124, e' domiciliata e nei confronti di Di Fiore Bernardino, controinteressato, rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Colalillo, presso il cui studio in Campobasso, Corso Umberto I n. 43, ha eletto domicilio, per l'annullamento previa sospensione dell'esecuzione, del verbale del Comitato del dipartimento di prevenzione presso la A.U.S.L. di Isernia datato 13 luglio 2000, della delibera A.U.S.L. n. 661 del 12 agosto 1999, del provvedimento n. 286 del 31 luglio 2000, della delibera n. 358 del 13 maggio 1999, nonche' di ogni altro provvedimento connesso o consequenziale, ancorche' di data ed estremi sconosciuti; Visto il ricorso con i relativi allegati, nonche' l'istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati presentata in via incidentale dal ricorrente; Visti gli atti di costituzione e le memorie delle amministrazioni intimate e della parte controinteressata; Visti gli atti tutti della causa; Udita, nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001, la relazione del referendario Orazio Ciliberti; Udite, altresi', le parti, come da verbale di camera di consiglio; Ritenuto, in fatto e in diritto, quanto segue. Fatto e diritto I. - Il ricorrente impugna la delibera n. 286 del 31 luglio 2000, con la quale la A.U.S.L. n. 2 "Pentria" di Isernia ha affidato, in via provvisoria, al dirigente sanitario controinteressato, l'incarico di responsabile del dipartimento di prevenzione, nonche' di tutti gli atti preordinati e presupposti inerenti l'articolazione organizzativa del dipartimento medesimo (cosiddetto D.I.P.) e di quelli che disciplinano il procedimento di scelta della figura apicale chiamata a dirigere la struttura dipartimentale. Deduce la violazione degli art. 5 e 17 della legge regionale n. 2/1997, degli artt. 7-quater e 17-bis del d.lgs. n. 502/1992, della deliberazione G.R. n. 1096/1997 e dell'art. 3 della legge n. 241/1990, il difetto di motivazione e varie figure dell'eccesso di potere, in quanto il ricorrente assume di essere stato illegittimamente pretermesso in fase di formazione della terna nell'ambito della quale la A.U.S.L. ha operato la scelta del dirigente apicale del D.I.P., ancorche' il ricorrente stesso dirigesse da oltre cinque anni l'unita' operativa di sanita' animale, facente parte integrante del dipartimento, e tale incarico gli desse diritto a candidarsi per la posizione apicale. Si costituiscono in giudizio la A.U.S.L., la Regione Molise e la parte controinteressata, eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione di questo Tribunale amministrativo regionale in quanto l'art. 68 comma primo del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, come sostituito dall'art. 29 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 e modificato dall'art. 18 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387, devolva al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni "incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilita' dirigenziale". II. - La norma dell'art. 18 del d.lgs. n. 387/1998, emanata in forza della legge delega 15 marzo 1997 n. 59, presenta, ad avviso di questo collegio, profili di illegittimita' costituzionale, peraltro gia' rilevati dall'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, emessa il 22 settembre 2000 dal tribunale di Genova, in un procedimento civile. Infatti, gli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali rivestono natura di provvedimenti amministrativi. La tesi che li configura quali atti negoziali paritetici non e' condivisibile e contrasta con la stessa legge. L'attuale disciplina dell'accesso al ruolo dirigenziale vede tipicamente scissi il profilo dell'instaurazione del rapporto di lavoro da quello del conferimento di funzioni dirigenziali. Mentre nel rapporto di lavoro del dirigente privato i due aspetti normalmente coincidono, nel settore pubblico tali momenti sono separati, atteso che il dirigente accede al ruolo attraverso un concorso per esami, ma l'assunzione alle dipendenze di un'amministrazione non comporta di per se' l'attribuzione dell'incarico dirigenziale. La qualifica dirigenziale, specie dopo la ricomposizione unitaria della dirigenza operata dal d.lgs. n. 80 del 1998, costituisce un presupposto per lo svolgimento della funzione di direzione, che necessita dell'assegnazione dell'incarico. A mente dell'art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993, nella vigente versione, l'incarico dirigenziale pubblico e' frutto del concorso tra atto unilaterale della amministrazione, con il quale l'incarico viene conferito, e contratto stipulato con il dirigente, destinato a definire l'oggetto, gli obiettivi da conseguire, la durata dell'incarico ed il corrispondente trattamento economico. La nuova disciplina distingue chiaramente la fase del conferimento dell'incarico da quella della determinazione dei contenuti specifici dell'incarico e delle condizioni richieste per lo svolgimento. Invero, un'autorevole giurisprudenza amministrativa, anche dopo la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, ha continuato a sostenere che gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali restano provvedimenti amministrativi e non atti negoziali espressione dell'autonomia contrattuale (Tribunale amministrativo regionale Lecce I 6 febbraio 1999 n. 271; Tribunale amministrativo regionale Milano II 21 gennaio 1999 n. 160; contra: Tribunale amministrativo regionale Catania ordinanza 17 maggio 1999 n. 1043). Per gli incarichi attribuibili a dirigenti dello Stato, nell'art. 19 commi terzo e quinto del d.lgs. n. 80/1998 si prevede espressamente che quelli apicali siano conferiti con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e con decreto del dirigente generale quelli di fascia inferiore. Orbene, se l'incarico dirigenziale non avesse una natura giuridica ed una funzione diverse da quelle del contratto tra amministrazione e dirigente, non si spiegherebbero ne' le particolari formalita' di cui viene rivestito l'atto di incarico, ne' la necessita' di tenerlo distinto dall'atto di natura privatistica al quale si accompagna. Cio' che in sostanza si ritiene di poter sostenere e' che la distinzione delle fasi provvedimentale e negoziale deriva esplicitamente dal dettato normativo, la qual cosa consente di concludere per la natura di provvedimento amministrativo dell'atto di conferimento dell'incarico, potendosi qualificare il contratto come accessivo al provvedimento. Da tale considerazione discendono i fondati dubbi di legittimita' costituzionale della normativa di cui al citato art. 18 del d.lgs. n. 387/1998, nella parte in cui espressamente attribuisce al giudice ordinario le controversie concernenti il conferimento degli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni. L'impianto normativo contenuto nell'art. 68 del d.lgs. n. 29/1993 (significativamente modificato dalla legge delega n. 59/1997 e dai relativi d.lgs. n. 80/1998 e 387/1998) configura, in tema di contenzioso promosso dai dipendenti di pubbliche amministrazioni, una bipartizione in base alla quale gli atti relativi all'organizzazione della p.a. (o almeno quelli attinenti alle linee generali dell'organizzazione stessa, come le definisce l'art. 2 comma primo del d.lgs. n. 29 citato) sono provvedimenti presupposti degli specifici atti di gestione dei rapporti di pubblico impiego, che invece hanno natura paritetica (art. 4). L'atto privatistico di gestione e' quello che incide direttamente sul rapporto e che viene direttamente conosciuto dal giudice ordinario, mentre i provvedimenti amministrativi di organizzazione, in quanto atti presupposti, vengono conosciuti in via incidentale e, se ritenuti illegittimi, disapplicati dal giudice ordinario. Tale impianto, nella versione precedente alla modifica dell'art. 18 del d.lgs. n. 387/1998, non poneva particolari problemi di conformita' della legge alla Costituzione, in quanto gli atti amministrativi di natura organizzativa che incidono dall'esterno e di riflesso sul rapporto di lavoro, non appartengono all'oggetto della domanda, rilevando ai fini della decisione solo come presupposto e non come fonte diretta della lesione lamentata. Invece, il richiamato art. 18 del d.lgs n. 387/1998, nella parte in cui devolve al giudice ordinario anche le controversie in tema di conferimento (o revoca) di incarichi dirigenziali, a prescindere dai sottostanti atti di gestione, lo investe direttamente della cognizione di interessi legittimi, vale a dire configura nella materia del pubblico impiego una giurisdizione esclusiva in capo all'a.g.o. Il collegio rileva che il legislatore delegato, con il d.lgs. n. 387/1998, ha violato gli art. 76 e 77 della Costituzione, laddove ha investito l'a.g.o. di giurisdizione esclusiva su una determinata materia, non solo in difetto di una espressa delega in tal senso, ma addirittura in presenza nella legge delega medesima di una riaffermazione del principio del riparto di giurisdizione nella materia. Infatti, la lettera g) dell'art. 11 della legge delega n. 59/1997 devolve al giudice ordinario "tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorche' concernenti in via incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione ...". Emerge con chiarezza che il legislatore delegante abbia voluto prevedere espressamente nella materia del pubblico impiego la devoluzione alla giurisdizione ordinaria delle sole controversie concernenti diritti soggettivi, lasciando al giudice amministrativo la cognizione degli interessi legittimi. L'espresso richiamo alla cognizione degli atti amministrativi in via incidentale ed al limitato fine della disapplicazione ha senso solo nel quadro di una giurisdizione del giudice ordinario non estesa agli interessi legittimi e non comprensiva del potere di annullamento del provvedimento amministrativo. L'art. 103 della Costituzione consente al legislatore ordinario di istituire, in una determinata materia, una giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia amimnistrativa, per la tutela di diritti ed interessi legittimi, ed, in via generale, attribuisce ad essi la tutela degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione. Tale criterio generale di riparto della giurisdizione ha origine dall'evoluzione storica degli istituti di giustizia amministrativa e dalla particolare natura delle funzioni giurisdizionali svolte dal complesso Consiglio di Stato - tt.aa.rr., che, per definizione della stessa Costituzione (art. 100 primo comma), sono funzioni di tutela della giustizia nell'amministrazione. Non vi e' una norma costituzionale che, viceversa, attribuisca o riconosca all'a.g.o. una giurisdizione esclusiva per materia nei confronti della p.a., anche se l'art. 113 prevede, generalizzando, che "contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa" e che "la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa". La Costituzione, pertanto, ha espressamente previsto che il legislatore possa demandare al giudice ordinario il potere di disporre l'annullamento di atti dell'amministrazione pubblica, e tuttavia finora si e' ritenuta vigente nell'ordinamento una regola generale, ricavabile dal divieto esplicito di sentenze costitutive (di annullamento di atti o di condanna ad un facere) del giudice ordinario nei confronti dell'amministrazione pubblica, contenuto negli artt. 4 comma secondo e 5 della cosiddetta legge abolitrice del contenzioso amministrativo (Legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E). Si deve quindi concludere che l'art. 18 del d.lgs. n. 387/1998, nella parte in cui demanda al giudice ordinario la cognizione delle controversie in tema di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, presenti profili di contrasto con gli art. 76 e 77 della Costituzione, per almeno tre ordini di ragioni: 1) perche' costituisce in capo all'a.g.o. in materia di controversie promosse dai dipendenti pubblici, una giurisdizione esclusiva, non solo in difetto di una espressa delega, ma in contrasto con i principi espressi dallo stesso legislatore delegante; 2) perche', attribuendo al giudice ordinario, che e' giudice dei diritti, la cognizione sugli atti formali di incarico dirigenziale, pone il dilemma se tali atti abbiano attitudine a determinare una degradazione di posizioni di diritto in interesse legittimo, ovvero siano atti non provvedimentali e, nell'uno e nell'altro caso, la cosa si porrebbe in contrasto con principi vigenti nell'ordinamento (quello cosiddetto della degradazione dei diritti soggettivi e quello delle particolari formalita' del provvedimento), senza che vi sia espressa delega della legge in tal senso; 3) perche' la cognizione diretta e non incidentale da pane dell'a.g.o. di un provvedimento amministrativo non puo' che risolversi nell'implicito riconoscimento, in capo a quel giudice, di un nuovo potere decisorio diverso dalla disapplicazione, vale a dire di un potere di annullamento degli atti amministrativi, in palese contrasto con il principio sancito dall'art. 5 della legge n. 2248/1865 all. E, ed in difetto di una espressa delega legislativa in tal senso. Nelle suesposte argomentazioni il collegio ritiene quindi di poter condividere in toto l'impostazione data alla questione di costituzionalita' dal citato precedente del tribunale di Genova. III. - In conclusione, il collegio ravvisa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18 del d.lgs. n. 387/1998, nella parte in cui demanda al giudice ordinario le controversie concernenti il conferimento degli incarichi dirigenziali, per contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione. IV. - Va pertanto disposta, ai sensi degli art. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, oltre agli ulteriori adempimenti di legge meglio indicati nel dispositivo.