Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione della Regione Lazio, in
persona  del  Presidente della Giunta regionale pro tempore Francesco
Storace,  autorizzato  con  delibera  di Giunta regionale n. 1427 del
28 settembre  2001, rappresentato e difeso, come da mandato a margine
del  presente  atto,  dal  Prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto e
presso  il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta
Pinciana, 6;
    Contro  il  Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per
l'annullamento  del  D.P.C.M.  24 maggio  2001,  recante "Linee guida
concernenti  i  protocolli  di  intesa  da  stipulare  tra  regioni e
universita'  per  lo  svolgimento delle attivita' assistenziali delle
universita'  nel quadro della programmazione nazionale e regionale ai
sensi  dell'articolo  1,  co. 2, del D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517.
Intesa,  ai  sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59",
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 184 del 9 agosto 2001, in toto
ed in parte qua in relazione ad alcuni articoli.
                              F a t t o
    Con  il  D.P.C.M.  24 maggio  2001  il  Governo, in attuazione di
quanto  previsto  dall'articolo  1,  co.  2, del D.Lgs. n. 517/99, ha
dettato  "linee guida" per la definizione dei protocolli d'intesa tra
le   regioni   e   le  universita',  finalizzati  a  disciplinare  lo
svolgimento delle attivita' assistenziali dell'universita' nel quadro
della programmazione nazionale e regionale.
    Il D.P.C.M. in esame si compone di 10 articoli, nei quali vengono
fissate  le  "linee guida" alle quali dovranno adeguarsi le regioni e
le universita' nella stipula dei suddetti protocolli.
    Gli  articoli 1 e 2 individuano le modalita' attraverso le quali,
rispettivamente, realizzare forme di partecipazione delle universita'
alla   programmazione   sanitaria   regionale,   e   pervenire   alla
integrazione tra le attivita' assistenziali e le attivita' didattiche
e di ricerca (art. 2).
    Gli  articoli  3,  4  e  5  dettano  disposizioni  ai  fini della
definizione, da parte dei protocolli di intesa, rispettivamente:
        dei   criteri  e  parametri  "delle  attivita'  assistenziali
necessarie  e  non  vicariabili  per le attivita' istituzionali della
facolta' di medicina e chirurgia" (art. 3);
        dell'organizzazione        interna        delle       aziende
ospedaliero-universitarie (art. 4);
        dell'atto  aziendale  e  degli  altri  atti di gestione delle
aziende ospedaliero-universitarie (art. 5).
    Gli  articoli  6  e  7  indicano  i criteri - che dovranno essere
recepiti  dai  protocolli di intesa - sulla base dei quali attuare in
concreto  il  principio  di  leale  collaborazione  tra  il  servizio
sanitario   regionale   e   le   universita'   (art. 6),  nonche'  la
collaborazione  tra  universita' e regione per soddisfare le esigenze
del  servizio  sanitario  regionale  connesse  alla  formazione degli
specializzandi,   alla   formazione  infermieristica,  tecnica,  alla
riabilitazione e alla prevenzione.
    Gli  articoli  8  e  9  dettano, rispettivamente, disposizioni in
ordine  alle  "aziende  ospedaliere  universitarie  integrate  con il
servizio  sanitario  regionale"  (art. 2, co. 2, lett. a), del D.Lgs.
n. 517/99), nonche' norme transitorie e finali.
    L'articolo    10    individua    le    concrete    modalita'   di
compartecipazione  delle  regioni e delle universita' ai risultati di
gestione delle aziende ospedaliero-universitarie.
    Il  D.P.C.M. 24 maggio 2001 risulta lesivo del ruolo riconosciuto
dalla  Costituzione  alle  Regioni  sia  nel suo complesso, in quanto
adottato in violazione del principio di leale collaborazione, sia con
riguardo  ad  alcune  specifiche  disposizioni  in esso contenute, le
quali,  oltre  a  ledere  le  competenze  in  materia  di  assistenza
sanitaria,  attribuite  alle  Regioni dalla Costituzione e confermate
dalla giurisprudenza costituzionale, contraddicono precedenti accordi
intervenuti  -  in attuazione del principio di leale collaborazione -
tra lo Stato e le Regioni e recepiti in atti legislativi successivi a
tali accordi.

                            D i r i t t o

    1. - Violazione   degli   articoli   5,  114,  117  e  118  della
Costituzione in relazione al principio di leale collaborazione tra lo
Stato  e  le  Regioni  e  all'articolo  8  della  L.  n. 59/97 e alla
giurisprudenza costituzionale in materia.
    L'esame  dell'iter  procedurale  che ha condotto all'adozione del
D.P.C.M. impone di ritenere che esso sia stato adottato in violazione
del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni.
    L'epigrafe  del  D.P.C.M.  riassume  chiaramente  l'iter  che  ha
condotto alla sua adozione:
        "Visto  l'art. 1,  co. 2, del decreto legislativo 21 dicembre
1999, n. 517;
        Visto l'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59;
        Considerato che nelle riunioni di Conferenza permanente per i
rapporti  tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano  dell'8 marzo,  del  22 marzo,  del 19 aprile e del 24 aprile
2001  non e' stata raggiunta l'intesa di cui all'art. 8, co. 1, della
citata legge n. 59 del 1997;
        Ritenuto  di  dover  procedere  ai  sensi dell'art. 8, co. 2,
della citata legge n. 59 del 1997;
        Visto il parere della competente Commissione parlamentare per
le questioni regionali, espresso nella seduta del 17 maggio 2001;
        Vista  la  deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata
nella riunione del 17 maggio 2001".
    Il  D.P.C.M.  come  si  evince  dalla  stessa  epigrafe, e' stato
adottato  nelle  forme  e  con  le modalita' previste per gli atti di
indirizzo e coordinamento dall'articolo 8 della L. n. 59/97.
    Nel  caso  di specie, il provvedimento e' stato adottato ai sensi
del  comma  secondo dell'articolo 8 della L. n. 59/97, che disciplina
le  ipotesi  nelle  quali non venga raggiunta la previa intesa con la
Conferenza-Stato-Regioni.
    L'articolo  8,  co. 2, della L. n. 59/97 stabilisce, infatti, che
"qualora   nel   termine   di   quarantacinque   giorni  dalla  prima
consultazione  l'intesa  non  sia stata raggiunta, gli atti di cui al
co.  1 (di indirizzo e coordinamento) sono adottati con deliberazione
del   Consiglio   dei   ministri,  previo  parere  della  Commissione
parlamentare  per  le  questioni  regionali da esprimere entro trenta
giorni dalla richiesta".
    Nel  caso di specie, come risulta dalla stessa epigrafe, l'intesa
con  la  Conferenza  non e' stata raggiunta ed il Governo ha adottato
comunque  il  D.P.C.M.,  seguendo  la procedura delineata dal comma 2
dell'articolo 8 della L. n. 59/97.
    Il D.P.C.M., infatti, ha avuto la ferma opposizione delle Regioni
in   quanto   definisce   in  modo  dettagliato  automatismi  per  la
individuazione  del  numero  e  caratteristiche delle strutture e del
personale, che dovranno, sulla base dei protocolli di intesa, fornire
l'attivita'  assistenziale  necessaria per lo svolgimento dei compiti
istituzionali di didattica e di ricerca delle universita'.
    Nell'esercizio   dei   poteri   conferitigli  dal  secondo  comma
dell'articolo  8,  tuttavia,  il  Governo non e' stato rispettoso del
principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni.
    In   proposito   nel   verbale   della  seduta  della  Conferenza
Stato-regioni  del  25 maggio  2001 si legge che "Le Regioni, infine,
hanno  lamentato  che  il  Governo,  approvando  lo schema di atto di
indirizzo  e  coordinamento  concernete  le  linee  guida relative ai
protocolli  d'intesa  da  stipulare tra Regioni ed Universita' per lo
svolgimento  delle  attivita'  assistenziali  il  17 maggio  2001, e'
venuto  meno ad una prassi. Sulla scorta di quest'ultima, infatti, il
termine  previsto  dall'art. 8  della  legge n. 59/1997 decorre dalla
seduta  in cui e' stata constatata la mancata intesa, 19 aprile 2001,
e  non  gia',  da  quella  in  cui  e'  stato  intrapreso l'esame del
provvedimento (8 marzo 2001)".
    Sebbene,   infatti,   l'articolo  8,  co.  2,  della  L. n. 59/97
stabilisca  che  il  Governo,  in  caso  di  mancata  intesa  con  la
Conferenza,   puo'   comunque   adottare  gli  atti  di  indirizzo  e
coordinamento  nel  termine di 45 giorni "dalla prima consultazione",
nella prassi dei rapporti tra lo Stato e le Regioni tale disposizione
e'  stata  costantemente interpretata nel senso che il termine dei 45
giorni decorre dalla seduta in cui viene constatata la mancata intesa
e non dalla seduta in cui viene intrapreso l'esame del provvedimento.
    Nel caso di specie, come risulta dalla stessa epigrafe, l'atto di
indirizzo  e  coordinamento  e'  stato adottato molto tempo prima (il
17 maggio 2001) del termine di 45 giorni dalla seduta in cui e' stata
constatata la mancata intesa (19 aprile 2001).
    Con  riguardo  alla  giurisprudenza costituzionale sul punto, per
quanto   codesta   Ecc.ma  Corte,  con  sentenza  n. 408/98,  si  sia
pronunciata  nel  senso  di  considerare  legittima la previsione del
comma  2  dell'articolo  8  della  L. n. 59/97, e' pur vero che nella
stessa  decisione,  ha  precisato  che:  "l'ipotesi  che  il  Governo
utilizzi    questa    sua   facolta'   (il   potere   di   provvedere
unilateralmente) per svuotare di senso la prescrizione dell'intesa, o
non  rispetti  l'esigenza di esplorare effettivamente le possibilita'
di accordo, attiene alla sfera delle eventualita' di fatto, frutto di
una  patologia  costituzionale, sempre suscettibili di controllo e di
rimedio  ove  si  tenga  conto che il principio di leale cooperazione
deve  in  ogni  caso  informare,  ancorche'  non  sia  esplicitamente
richiamato  dalla  legge,  i  rapporti reciproci fra Stato e Regioni"
(cfr. anche Corte cost. 110 e 206/01).
    Nel  caso di specie, la circostanza che il Consiglio dei Ministri
si  sia "precipitato" ad approvare il D.P.C.M. e non abbia atteso che
trascorressero  almeno  45  giorni  dalla constatazione della mancata
intesa  con  la  Conferenza  denota  chiaramente l'assenza del minimo
intento  di  quest'ultimo di esplorare la possibilita' di un accordo,
con  evidente violazione del principio di leale collaborazione tra lo
Stato e le Regioni.
    A  cio'  si aggiunga che anche la Commissione parlamentare per le
questioni  regionali, chiamata ad esprimere parere sul provvedimento,
non ha manifestato un'adesione incondizionata.
    Nel  parere  reso in data 17 maggio 2001, infatti, la Commissione
manifesta  perplessita' proprio su alcune delle norme che non avevano
ricevuto il consenso delle Regioni.
    Nel parere citato, in proposito, si legge:
        "considerata  l'opportunita'  di  realizzare un coordinamento
efficace tra il sistema regionale sanitario e le universita';
        rilevata  l'opportunita'  di considerare, all'articolo 4, co.
6,  lett.  f),  secondo  periodo,  che  la  nomina  del direttore sia
effettuata non solo fra i professori universitari;
        esprime  parere  favorevole  con  la  seguente  osservazione:
valuti   il   Governo  l'opportunita'  di  specificare  puntualmente,
all'articolo  10,  co.  2, secondo periodo, le ulteriori modalita' di
compartecipazione delle regioni e delle universita'".
    Nonostante  le osservazioni della Commissione parlamentare per le
questioni  regionali,  il  Governo  ha proceduto all'approvazione del
provvedimento  nello stesso giorno in cui la Commissione parlamentare
ha rilasciato il parere.
    La    ricostruzione    storica    dell'iter   che   ha   condotto
all'approvazione    del   D.P.C.M.,   la   costante   interpretazione
dell'articolo  8,  co. 2, della L. n. 59/97 nella prassi dei rapporti
tra  lo  Stato  e le Regioni e l'orientamento assunto sulla questione
dalla  giurisprudenza  costituzionale  impongono  di  ritenere che il
Governo,  nell'approvare  il  D.P.C.M.  in  data 17 maggio 2001 abbia
violato, non concedendo concretamente alle regioni la possibilita' di
pervenire  ad un accordo, il principio di leale collaborazione tra lo
Stato   e  le  Regioni,  cosi'  come  costantemente  affermato  dalla
giurisprudenza  di questa Corte (cfr. in proposito Corte Cost. sentt.
359/85;  151  e  153/86;  214/88;  101  e  138/89; 21 e 351/91; 389 e
520/95; 393/99).
    2. - Violazione  degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione
in  relazione  al  D.Lgs.  n. 502/92, al D.Lgs. n. 517/99 e al D.Lgs.
n. 112/98.  Violazione  degli  articoli  5,  114,  117  e  118  della
Costituzione in relazione al principio di leale collaborazione tra lo
Stato  e le Regioni, al D.Lgs. n. 281/97, articoli 1 e 4, all'Accordo
tra il Governo, le Regioni e le Province autonome dell'8 agosto 2001,
nonche'   al  Decreto  legge  18 settembre  2001,  n. 347,  da  parte
dell'articolo  1,  commi  2  e 4; dell'articolo 2, comma 3, lett. b);
dell'articolo 3, commi 1 e 8; dell'articolo 4, commi 3 e 7, lett. f);
e dell'articolo 10, commi 2 e 6.
    L'esatta   comprensione   della   lesione  della  sfera  e  delle
competenze  costituzionalmente  riconosciute  alle Regioni realizzata
dalle singole norme del D.P.C.M. richiede una breve premessa.
    Va  preliminarmente  precisato, infatti, che il D.P.C.M., oggetto
del presente conflitto, pur essendo stato approvato dal Consiglio dei
Ministri  in data 17 maggio 2001, e' stato adottato in data 24 maggio
2001 ed e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale solo nell'agosto
del 2001 (n. 184 del 9 agosto 2001).
    Prima  della  pubblicazione,  e quindi dell'entrata in vigore del
D.P.C.M.,  e'  intervenuto  l'Accordo tra il Governo, le Regioni e le
Province  autonome,  recante  "integrazioni  e modifiche agli accordi
sanciti  il  3 agosto  2000  e il 22 marzo 2001 in materia sanitaria"
dell'8 agosto    2001.    I   contenuti   dell'Accordo   sono   stati
successivamente  recepiti dal D.L. 18 settembre 2001, n. 347, recante
"Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria".
    Sia  l'Accordo  che  il  D.L.  n. 347/01  intervengono su aspetti
disciplinati  dal  D.P.C.M. 24 maggio 2001 operando, tuttavia, in una
direzione opposta al D.P.C.M.
    1. - L'Accordo   Stato-Regioni   dell'8 agosto   2001  integra  e
modifica   gli  accordi  del  3 agosto  2000  e  del  22 marzo  2001,
intervenuti   tra  i  Ministri  del  Tesoro,  del  bilancio  e  della
programmazione  economica,  le  Regioni  e  le  Provincie autonome in
materia di spesa sanitaria.
    Con  tale  accordo,  da  un  lato,  il Governo si e' impegnato ad
incrementare  il concorso dello Stato al finanziamento del S.S.N. per
l'anno 2001, con riferimento ad un livello di spesa pari a L. 138.000
miliardi, dall'altro, le Regioni si sono impegnate, per le ipotesi di
emersione  di  disavanzi rispetto a tale somma, ad assumere a proprio
carico  la  copertura  dei relativi oneri, nonche' al rispetto di una
serie di condizioni indicate al punto 2 dell'Accordo.
    In particolare, in relazione all'"obiettivo di una evoluzione dei
finanziamenti che mantenga un quadro stabile nel tempo", l'Accordo ha
definito,   per   il   triennio   2002-2004,  il  quadro  finanziario
complessivo  ed  esaustivo  delle  risorse  statali  utilizzabili per
finanziare  la spesa sanitaria pubblica - nel quale si fa riferimento
alla  quota  per  il 2001 incrementata, di anno in anno, in relazione
all'andamento   del  PIL  previsto  nel  DPEF  2002/2004"  -,  ed  ha
individuato,  anno per anno, le risorse da destinare al finanziamento
del S.S.N. per gli anni dal 2002 al 2004 (par. 6).
    Nell'ambito  dell'Accordo,  inoltre,  il  Governo,  "al  fine  di
consentire  alle  regioni  di  mantenere  i  tetti prefissati", si e'
assunto  l'impegno di adottare, con appositi strumenti legislativi di
urgenza  o  con corsia preferenziale, una serie di misure indirizzate
tra le altre:
        a)  alla  definizione  di  meccanismi  di  contenimento della
spesa;
        b)    all'attribuzione   alle   Regioni   di   una   potesta'
autorizzatoria  in  materia di sperimentazioni gestionali ex articolo
9-bis del D.Lgs. n. 502/92;
        c)  all'attribuzione  alle  Regioni  della  piena potesta' di
riconoscimento   ai  presidi  ospedalieri  dello  status  di  azienda
ospedaliera, con modifica dell'art. 4 del D.Lgs. n. 502/92;
        d) all'adeguamento  delle previsioni normative concernenti la
dotazione  dei  posti  letto  ospedalieri per acuti fissando il nuovo
parametro di 4 posti letto per mille abitanti;
        e) alla  definizione  di  misure  di contenimento della spesa
farmaceutica. (par. 9)
        Sempre al par. 9 dell'Accordo, il Governo si e' impegnato "ad
attribuire  alle  Regioni, fermo restando quanto gia' richiamato alle
lett.   b)   e   c)   del   presente  punto,  autonomia  nel  settore
dell'organizzazione della Sanita'".
    Sempre nell'ambito del suddetto Accordo, il Governo si e' assunto
l'impegno   ad  emanare  "previa  intesa  con  le  Regioni  entro  il
31 dicembre  2001,  tutti i provvedimenti necessari a riconfermare la
piena riconduzione delle attivita' assistenziali svolte dalle Aziende
Ospedaliere universitarie (miste e/o policlinici) alla programmazione
regionale, prevedendo un'adeguata corresponsabilizzazione finanziaria
delle Universita' per la loro parte".
    Conclude  l'Accordo,  infine,  l'impegno del Governo "ad adottare
ogni   provvedimento   normativo   e/o   amministrativo,   necessario
all'attuazione del presente Accordo, anche a modifica, integrazione o
abrogazione  di  norme vigenti incompatibili con quanto convenuto col
presente Accordo".
    2. - In attuazione di tale accordo, e' stato emanato recentemente
il  D.L.  18 settembre  2001,  n. 347, recante "Interventi urgenti in
materia di spesa sanitaria".
    All'articolo  1,  recante "Patto di stabilita' interno", il D.L.,
in  relazione  alla finalita' "del concorso delle autonomie regionali
al  rispetto  degli  obblighi  comunitari  della  Repubblica  ed alla
conseguente  realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il
triennio  2002-2004", stabilisce che l'ammontare delle spese correnti
per  l'esercizio  2002,  al  netto delle spese per interessi passivi,
delle spese finanziate da programmi comunitari e delle spese relative
all'assistenza  sanitaria delle regioni a statuto ordinario, non puo'
superare   l'ammontare   degli   impegni   a   tale  titolo  relativi
all'esercizio  2000,  aumentati  del  4,5 per cento. Per gli esercizi
2003  e 2004, il D.L. prevede l'applicazione di un incremento pari al
tasso   di   inflazione   programmato   indicato   dal  documento  di
programmazione economico finanziaria.
    Con  riguardo  alle  spese  per  l'assistenza  sanitaria, il D.L.
stabilisce  che  l'ammontare  di  tali  spese resta regolato, sino al
2004,  nei  termini  stabiliti  dall'accordo Stato-regioni, approvato
l'8 agosto  2001  dalla  Conferenza  permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome (art. 1, co. 1).
    L'articolo  3, recante "Disposizioni in materia di equilibrio dei
Presidi  ospedalieri  e  di  sperimentazioni gestionali", al comma 2,
prevede  che  le  regioni adottano le disposizioni necessarie: a) per
stabilire   l'obbligo  delle  aziende  sanitarie  ed  ospedaliere  di
garantire  l'equilibrio economico dei singoli presidi ospedalieri; b)
per   individuare  le  tipologie  degli  eventuali  provvedimenti  di
riequilibrio;  c)  per  determinare  le misure a carico dei direttori
generali   nell'ipotesi  di  mancato  raggiungimento  dell'equilibrio
economico.
    Il  comma  6  dell'articolo  3, sempre in attuazione dell'Accordo
Stato-Regioni,  modifica  l'articolo  9-bis  del D.Lgs. n. 502/92, in
materia  di  sperimentazioni  gestionali, nel senso dell'attribuzione
alle  Regioni,  anziche' alla Conferenza Stato-Regioni, del potere di
autorizzare i programmi di sperimentazione gestionale.
    Il  comma  1  dell'articolo  3, inoltre, introduce una importante
modifica  al  D.Lgs.  n. 502/92,  nella parte in cui, nell'aggiungere
all'articolo  19  il  comma  2-bis,  prevede  che: "Non costituiscono
principi fondamentali, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione,
le materie di cui agli articoli 4, co. 1-bis, e 9-bis".
    In  proposito, l'articolo 19 del D.Lgs. n. 502/92 qualifica tutte
le  norme  contenute  nel  D.Lgs. n. 502/92 "principi fondamentali ai
sensi  dell'art. 117  della  Costituzione":  a seguito della modifica
introdotta  dal D.L. n. 347/01 non costituiscono invece piu' principi
fondamentali  le  disposizioni  dettate dagli articoli 4, co. 1-bis e
quelle di cui al 9-bis del D.Lgs. n. 502/92.
    Si  tratta  di  una modifica di un'importanza considerevole se si
tiene  a  mente,  in  particolare,  che  l'articolo 4 comma 1-bis del
D.Lgs.  n. 502/92,  come introdotto dal D.Lgs. n. 229/99, individua i
requisiti  cui  viene  subordinata,  di  fatto,  la costituzione o la
conferma in azienda ospedaliera dei presidi ospedalieri. Il risultato
e'   quello   di   un   considerevole   ampliamento   della  potesta'
organizzativa delle Regioni in materia.
    Per  effetto  di  tale norma, inoltre, non costituiscono principi
fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione neppure le
norme  dettate dall'articolo 9-bis del D.Lgs. n. 502/92 in materia di
sperimentazioni gestionali.
    Il  comma  3 dell'articolo 3, infine, precisa che "Fino alla data
di  entrata  in  vigore  delle  leggi  regionali  o dei provvedimenti
adottati in applicazione dei commi 1 (4, co. 1-bis e 9-bis del D.Lgs.
n. 502/92  non  piu' principi fondamentali) e 2 (poteri delle regioni
in  materia  di  equilibrio  economico  delle  A.O.),  continuano  ad
applicarsi tutte le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 502/92, come
modificate dal presente articolo".
    Il comma 5 dell'articolo 3 del D.L. stabilisce, inoltre, che "gli
effetti  finanziari  positivi  o  negativi  derivanti dall'entrata in
vigore  delle  leggi  o dei provvedimenti regionali adottate ai sensi
del  presente  decreto  sono  acquisiti  o ricadono sui bilanci delle
singole regioni".
    L'articolo  4  del  D.L.  n. 347/01, infine, nel dettare norme in
materia  di  "Accertamento  e  copertura  dei disavanzi", al comma 3,
stabilisce  che  "gli  eventuali  disavanzi  di  gestione accertati o
stimati,  nel  rispetto dell'accordo Stato-regioni 2001, sono coperti
dalle  regioni  con  le  modalita'  stabilite  da norme regionali che
prevedano alternativamente o cumulativamente l'introduzione di:
        a) misure  di  compartecipazione  alla  spesa  sanitaria, ivi
inclusa   l'introduzione  di  forme  di  corresponsabilizzazione  dei
principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa;
        b) variazioni    dell'aliquota   dell'addizionale   regionale
all'imposta  sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali
previste nella normativa vigente;
        c) altre  misure  idonee  a  contene  la  spesa,  ivi inclusa
l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci.
    L'articolo  12  del  D.L.  n. 347/01  stabilisce,  infine,  che i
principi   desumibili   dal   presente  decreto  costituiscono  norme
fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica.
    Le  disposizioni  del D.P.C.M. censurate in questa sede, oltre ad
essere  lesive  delle  competenze  costituzionalmente attribuite alle
Regioni,  si pongono in aperto contrasto con i contenuti dell'Accordo
Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 e del Decreto legge n. 347/01.
    Ora se si tiene a mente, come gia' anticipato, che il D.P.C.M. e'
stato   pubblicato  in  data  9 agosto  2001,  ossia  dopo  l'Accordo
intervenuto  tra lo Stato e le Regioni e in contrasto con i contenuti
di  tale  Accordo,  risulta  evidente la violazione degli articoli 5,
114,  117 e 118 della Costituzione in relazione al principio di leale
collaborazione  tra  lo  Stato  e  le Regioni come attuato dal D.Lgs.
281/97  (cfr.  in  proposito Corte Cost. sentt. 359/85; 151 e 153/86;
214/88;  101  e  138/89;  21  e  351/91;  389 e 520/95; 393/99; 110 e
206/01).
    A cio' si aggiunga che il D.P.C.M. e' stato adottato ai sensi del
secondo  comma  dell'articolo  8 della L. n. 59/97, ossia a fronte di
una  mancata  intesa con le Regioni, mentre i contenuti dell'Accordo,
essendo  stati  concordati  tra  lo  Stato  e  le Regioni, sono stati
adottati nel pieno rispetto di tale principio.
    A  tale principio fa riferimento lo stesso accordo nella parte in
cui   richiama   la  legislazione  ai  sensi  della  quale  e'  stato
sottoscritto.
    Si  tratta,  in  particolare,  dell'articolo 2, co. 1, del D.Lgs.
n. 281/97, ai sensi del quale "al fine di garantire la partecipazione
delle   regioni   e  delle  province  autonome  a  tutti  i  processi
decisionali di interesse regionale, interregionale ed infraregionale,
la  Conferenza  Stato  -  regioni, promuove e sancisce accordi di cui
all'articolo 4"; e dell'articolo 4 del D.Lgs. n. 281/97, ai sensi del
quale  "Governo,  regioni  e  province  autonome,  in  attuazione del
principio di leale collaborazione e nel perseguimento di obiettivi di
funzionalita',  economicita' ed efficacia dell'azione amministrativa,
possono  concludere in sede di Conferenza Stato - regioni accordi, al
fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere
attivita'  di  interesse  comune.  Gli  accordi  si  perfezionano con
l'espressione dell'assenso del Governo e dei Presidenti delle regioni
e delle province autonome di Trento e di Bolzano".
    A cio' si aggiunga che, a fronte dell'impegno assunto dal Governo
nell'Accordo   ad   "adottare   ogni   provvedimento   normativo  e/o
amministrativo, necessario all'attuazione del presente Accordo, anche
a modifica, integrazione o abrogazione di norme vigenti incompatibili
con  quanto  convenuto  col  presente Accordo", il D.P.C.M. 24 maggio
2001  detta  disposizioni  chiaramente  incompatibili con i contenuti
dell'Accordo stesso.
    Con  riguardo al D.L. n. 347/01, inoltre, che costituisce diretta
attuazione  dell'Accordo  dell'agosto  2001, il D.P.C.M. si pone, dal
punto  di  vista  formale,  come una fonte di grado inferiore, e, dal
punto  di  vista  sostanziale,  come fonte superata dai contenuti del
Decreto legge.
    In considerazione del ruolo e delle competenze costituzionalmente
riconosciute  alle  Regioni  dagli  articoli  117,  118  e  119 della
Costituzione,  del  principio  costituzionale di leale collaborazione
tra  lo  Stato  e  le  Regioni, come concretamente attuato dal D.Lgs.
n. 281/97  e  dall'Accordo  dell'8 agosto  2001  e  recepito dal D.L.
n. 347/01,  deve  ragionevolmente ritenersi che non spetta allo Stato
dettare  le  seguenti  disposizioni del D.P.C.M. oggetto del presente
conflitto.
    2.1. - Articolo 1, commi 2 e 4.
    1. - L'articolo  1  del  D.P.C.M.,  nel  disciplinare le forme di
partecipazione  delle  universita'  alla programmazione sanitaria, al
comma  2,  prevede  che  "prima  dell'adozione o dell'adeguamento del
piano   sanitario  regionale,  le  regioni  e  le  province  autonome
acquisiscono  formalmente, in ordine alle materie di cui al co. 1, il
parere  delle universita' sedi della facolta' di medicina e chirurgia
ubicate   nel   proprio   territorio.  ...........  Il  parere  delle
universita'  e'  reso  direttamente  e  puo'  anche  essere  espresso
attraverso  il  comitato regionale di coordinamento delle universita'
di  cui all'art. 3 del D.P.R. n. 25/98. Il parere si intende espresso
in  senso  favorevole  qualora non pervenga entro sessanta giorni dal
ricevimento della richiesta".
    Sempre  nell'ottica  della  partecipazione delle universita' alla
programmazione  sanitaria,  al comma 4, l'articolo 1 prevede che "per
le  materie che implicano l'integrazione tra attivita' assistenziali,
didattiche  e  di  ricerca, i protocolli d'intesa tra la regione o la
provincia autonoma e le universita' prevedono forme di collaborazione
nell'elaborazione e nella stesura di proposte per la formulazione del
piano sanitario regionale o di altri documenti o progetti concernenti
la  programmazione  attuativa  regionale  e locale, tenendo conto dei
programmi  di  sviluppo  delle  facolta'  di  medicina  e  chirurgia,
deliberati dalle stesse e approvati dagli organi dell'ateneo ...".
    Tali  disposizioni  risultano  chiaramente  lesive dell'autonomia
regionale  in  materia  di  programmazione  ed indirizzo: e' doveroso
precisare  che  la Regione potra' autonomamente, richiedere il parere
sugli  atti  programmatori  del settore socio-sanitario non solo alle
universita'  ma  anche  a  tutti  i soggetti che, a qualsiasi titolo,
saranno ritenuti portatori di interessi in quest'ambito.
    Prevedere, tuttavia, la richiesta di un parere obbligatorio, e il
termine  di  60  giorni  per  l'espressione dello stesso, e precisare
nell'atto   di   indirizzo  e  coordinamento  la  procedura  prevista
dall'articolo  1,  co.  14, del D.Lgs.n. 502/92, cosi' come novellato
dal  D.Lgs. n. 229/99 non fa che confermare l'invasivita' nella sfera
regionale del livello centrale.
    I  commi  1  e  4  dell'articolo  1,  nel dettare le disposizioni
indicate,  risultano,  pertanto, fortemente invasivi delle competenze
riconosciute  alle  Regioni  in materia di assistenza sanitaria dagli
articoli 117 e 118 della Costituzione e, particolare delle competenze
regionali  in materia di programmazione sanitaria, come concretamente
disciplinate dagli articoli 1 e 2 del D.Lgs. n. 502/92.
    A  cio'  si  aggiunga che anche il D.Lgs. n. 112/98, all'articolo
115, co. 2, lett. a), ha espressamente previsto il trasferimento alle
Regioni  delle  funzioni e dei compiti relativi "all'approvazione dei
piani  e  dei  programmi di settore non aventi rilievo e applicazione
nazionale".
    2. - Va, inoltre, segnalato che tali disposizioni contrastano con
lo  stesso  D.Lgs.  n. 517/99  del  quale  il D.P.C.M. 24 maggio 2001
costituisce  attuazione.  L'articolo  2,  co. 1, lett. c), del D.Lgs.
n. 517/99  si  limita  infatti, a prevedere, tra i criteri da porre a
fondamento  dell'atto  di  indirizzo  e coordinamento, la definizione
"delle  linee  generali  della  partecipazione delle universita' alla
programmazione   sanitaria   regionale".   Sarebbe  stato,  pertanto,
sufficiente  fissare  nel  D.P.C.M. il principio della partecipazione
delle  Universita'  alla  programmazione  sanitaria  e  lasciare alle
Regioni,   nell'esercizio  della  potesta'  di  programmazione  e  di
organizzazione,  delle  quali  sono  titolari,  la  definizione delle
modalita' concrete di tale partecipazione.
    3. - A  cio'  si  aggiunga  che  dall'Accordo  dell'8 agosto 2001
proviene  una indicazione di segno opposto: nell'ambito dell'Accordo,
infatti,  il Governo si e' impegnato ad emanare provvedimenti diretti
alla riconduzione "piena" delle attivita' assistenziali delle aziende
ospedaliere  alla programmazione regionale non, invece, ad assicurare
la partecipazione delle universita' alla programmazione regionale.
    I  commi 2 e 4 dell'articolo 1, pertanto, contraddicono anche gli
impegni  assunti dal Governo nell'Accordo Stato-Regioni dell'8 agosto
2001,  in  violazione  del  principio  di leale collaborazione tra lo
Stato  e  le  Regioni  cosi'  come  concretamente  attuato dal D.Lgs.
n. 281/97.
    4. - Con  riguardo  alla recente giurisprudenza costituzionale in
materia  di leale collaborazine tra lo Stato e le Regioni, si segnala
la   sentenza   110/01,   con   la   quale  la  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita'   costituzionale   del   D.Lgs.   n. 96/99,  recante
"Intervento  sostitutivo  del Governo per la ripartizione di funzioni
amministrative  tra Regioni ed enti locali a norma dell'art. 4, comma
5,  della  legge  15 marzo  1997,  n. 59",  nella  parte  in  cui era
applicabile  alla  Regione  Veneto,  con la seguente motivazione: "La
norma delegante stabilisce che l'esercizio del potere sostitutivo del
Governo  deve  avvenire  "sentite  le regioni inadempienti . Ma, alla
stregua  del  materiale  probatorio  prodotto dalle parti e di quello
acquisito  a  seguito  dell'ordinanza istruttoria di questa Corte (di
cui  si  da'  conto  nella  narrativa  in  fatto), risulta che nessun
contatto  diretto  tra  il  Governo  e la Regione Veneto e' stato dal
primo  promosso  al  fine  di acquisire il parere della seconda circa
l'attivazione  del  potere sostitutivo previsto dall'art. 4, comma 5,
della legge n. 59 del 1997".
    Con sentenza n. 206/01, inoltre, la Corte ha accolto la questione
di    costituzionalita'   sollevata   nei   confronti   dell'articolo
dall'art. 3,  co.  1, lett. a), del d.lgs. n. 443 del 1999, censurato
perche'  approvato  dal  Governo  in un testo parzialmente diverso da
quello risultante dall'intesa sancita nella Conferenza Stato-Regioni.
    La  Corte  ha  cosi'  stabilito  che: "la modifica introdotta nel
decreto  base  dall'art. 3,  co.  1,  lett.  a), del d.lgs. n. 443 e'
infatti  difforme  dall'intesa  raggiunta,  e  dunque perviene ad una
definizione dell'area dei compiti di rilievo nazionale, conservati in
capo allo Stato, diversa da quella concordata. Poiche' il Governo non
ha  motivato  specificamente  tale difformita' dal testo dell'intesa,
essa  da'  luogo  a violazione dell'art. 1, co. 4, lett. c), della L.
n. 59/97,  e  dunque, indirettamente, a violazione dell'art. 76 della
Costituzione".
    2.2. - Articoli 2, comma 3, lett. b); e 3, comma 1.
    1. - L'articolo 2 detta disposizioni finalizzate all'integrazione
delle   attivita'   assistenziali   e   di   ricerca  stabilendo,  in
particolare,  al  comma  3,  che,  a  tal fine, i protocolli d'intesa
individuano:
        a) in  conformita' con le scelte definite dal piano sanitario
regionale,  le  aziende  ospedaliero-universitarie  per  le attivita'
assistenziali    necessarie    allo    svolgimento   delle   funzioni
istituzionali di didattica e ricerca dell'universita';
        b) le   modalita'   attraverso  le  quali  le  aziende  e  le
strutture,  di cui al punto a), concorrono sia alla realizzazione dei
compiti  istituzionali  dell'universita'  sia al raggiungimento degli
obiettivi  della  programmazione  sanitaria  nazionale  e  regionale,
attraverso   l'efficace  e  sinergica  integrazione  delle  attivita'
assistenziali  con  quelle  di  formazione e di ricerca. A tale scopo
definiscono  i criteri generali per l'adozione dell'atto aziendale di
cui   all'art. 3,  co. 2,  del  D.Lgs.  n. 517/1999,  individuano  le
attivita'  assistenziali coerenti e necessarie allo svolgimento delle
funzioni  istituzionali  di didattica e di ricerca dell'universita' e
stabiliscono   i   principi   ed   i  criteri  per  la  costituzione,
l'organizzazione  ed  il  funzionamento dei dipartimenti ad attivita'
integrata.
    Il  successivo  articolo  3,  inoltre,  nel  definire  criteri  e
parametri  delle attivita' assistenziali, stabilisce, al primo comma,
che  "nel  protocollo d'intesa le regioni e le province autonome e le
universita'  definiscono  i  parametri, per tipologia e volume, delle
attivita' assistenziali necessarie e non vicariabili per le attivita'
istituzionali  della facolta' di medicina e chirurgia. Tali parametri
sono  rapportati  al  numero programmato degli iscritti al primo anno
del corso di laurea in medicina e chirurgia, salvo quanto previsto al
successivo  articolo  7, tenendo conto dell'indispensabile contributo
delle  strutture  del  S.S.N. alla formazione del personale dell'area
sanitaria  e  degli  specializzandi.  Per le strutture di degenza, il
numero di posti letto messo a disposizione delle facolta' di medicina
e  chirurgia  per  lo  svolgimento  delle  attivita'  didattiche e di
ricerca,  e'  determinato,  di  norma,  in  tre  posti letto per ogni
studente  iscritto  al  primo  anno del corso di laurea in medicina e
chirurgia,  e'  previsto  nei  protocolli  d'intesa,  che  indicano i
criteri   di  assegnazione  tenendo  conto  delle  dimensioni  minime
previste   per   le   strutture   e   della  dotazione  di  personale
universitario ...".
    Le   norme   dettate   dall'articolo   2,   co. 3,  lett.  b),  e
dall'articolo 3,   co. 1,   primo   e   terzo  periodo,  operano  una
illegittima  invasione  delle  competenze  spettanti alle Regioni, in
virtu'  degli  articoli  117 e 118 della Costituzione, in particolare
delle  competenze  in  materia  di  programmazione  ed organizzazione
dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera.
    L'articolo  2, c. 3, lett. b), risulta lesivo in quanto subordina
l'individuazione,  da parte dei protocolli di intesa, delle attivita'
assistenziali  e dei relativi parametri alle esigenze delle attivita'
istituzionali delle facolta' di medicina e chirurgia.
    L'articolo  3,  co.  1, primo e terzo periodo, lede le competenze
regionali in quanto individua, direttamente ed in maniera dettagliata
per  le  strutture  di  degenza,  il  numero  dei posti letto messo a
disposizione delle facolta' di medicina e chirurgia.
    Le  attribuzioni  costituzionali delle regioni in materia trovano
la loro disciplina, a livello legislativo, nell'articolo 2 del D.Lgs.
n. 502/1992  a norma del quale "spettano alle regioni e alle province
autonome,  nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali,
le  funzioni  legislative  ed  amministrative in materia sanitaria ed
ospedaliera",  ed,  in  particolare,  "la determinazione dei principi
sull'organizzazione  dei  servizi  e  sull'attivita'  destinata  alla
tutela  della  salute  e  dei criteri di finanziamento delle u.s.l. e
delle   aziende  ospedaliere,  le  attivita'  di  indirizzo  tecnico,
promozione e supporto nei confronti delle predette u.s.l. ed aziende,
anche  in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della
qualita' delle prestazioni sanitarie".
    La  titolarita' in capo alle Regioni di tali competenze e' stata,
inoltre,     costantemente    riconosciuta    dalla    giurisprudenza
costituzionale  (cfr.  Corte  cost.  n. 74/2001,  272/2001;  63/2000;
408/1998;  156/1996;  274  e  107/1988;  99/1987; 219/1984 ampiamente
citate infra sub par. 2.3.).
    2. - Le disposizioni in questione, inoltre, non risultano neppure
pienamente  coerenti  con il n. 517/1999 di cui il D.P.C.M. 24 maggio
2001  costituisce  attuazione,  che,  al  contrario, nell'indicare al
Governo   i   criteri   per   l'adozione  dell'atto  di  indirizzo  e
coordinamento   appare   rispettoso  delle  competenze  regionali  in
materia.
    In  proposito,  con  riguardo  alla  definizione dei rapporti tra
attivita'  assistenziale  e  attivita'  di  didattica  e  di ricerca,
l'articolo  1  del  D.Lgs.  n. 517/1999,  alla  lett. a), si limita a
indicare  al  Governo  di  "promuovere  e disciplinare l'integrazione
dell'attivita'  assistenziale,  formativa  e  di ricerca del S.S.N. e
universita'".
    L'uso  dell'espressione  "attivita' assistenziali necessarie allo
svolgimento  delle  funzioni  istituzionali di didattica e di ricerca
dell'universita'"  di  cui  all'art. 2, co. 3, lett. b), del D.P.C.M.
denota,   al   contrario,   l'intento   del  Governo  di  subordinare
l'individuazione  delle attivita' assistenziali da svolgere presso le
aziende ospedaliero-universitarie a quelle di didattica e di ricerca,
piu'  che quello di "integrare" i due tipi di attivita' e di renderle
coerenti, secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 517/1999.
    Considerazioni  analoghe  valgono  per  la disposizione contenuta
nell'articolo  3,  co. 1,  primo  periodo,  del  D.P.C.M. a fronte di
quanto  stabilito  sul  punto  dall'articolo 1,  co. 2, lett. d), del
D.Lgs.   n. 517/1999.  Mentre,  infatti,  il  D.lgs.  n. 517/1999  si
limitava  a  prevedere  che  il  Governo  avrebbe  dovuto  indicare i
parametri   delle   attivita'   assistenziali   "secondo  criteri  di
funzionalita'  e coerenza con le esigenze di ricerca e di didattica",
l'articolo 3,  co. 1, del D.P.C.M., nel dare attuazione a tale norma,
compie  un'evidente forzatura stabilendo che i protocolli definiscano
i   parametri   "delle   attivita'  assistenziali  necessarie  e  non
vicariabili per le attivita' istituzionali delle facolta' di medicina
e chirurgia".
    Con    riguardo,    infine,    alla   individuazione   da   parte
dell'articolo 3,  co. 1,  terzo periodo, del D.P.C.M., del numero dei
posti  letto  messo  a  disposizione  delle  facolta'  di  medicina e
chirurgia possono farsi analoghe considerazioni.
    Le  indicazioni  fornite al Governo dal D.Lgs. n. 517/1999 erano,
infatti,  cosi'  circoscritte:  individuazione  del numero massimo di
posti  letto  "anche in rapporto al numero degli studenti iscritti ai
corsi  di  laurea  della  facolta'  di  medicina  e chirurgia ed alle
esigenze  della  ricerca, prevedendo inoltre i criteri e le modalita'
per il progressivo adeguamento agli standard fissati e la contestuale
riduzione  dei  posti  letto, anche in attuazione del Piano sanitario
regionale".
    3. - A cio' si aggiunga che, a seguito delle modifiche introdotte
dal  D.L.  n. 347/2001 all'articolo 19 del D.Lgs. n. 502/1992 - nella
parte   in   cui  si  stabilisce  che:  "Non  costituiscono  principi
fondamentali,  ai  sensi dell'art. 117 della Costituzione, le materie
di  cui agli articoli 4, co. 1-bis, e 9-bis" - i poteri delle Regioni
nella  definizione dei requisiti delle Aziende ospedaliere sono stati
ulteriormente ampliati.
    Tale  modifica  legislativa  si  riflette  anche sulle competenze
regionali  in materia di Aziende ospedaliero-universitarie, in virtu'
dell'applicabilita'    alle    stesse    della   disciplina   dettata
dall'articolo 4  del  D.Lgs.  n. 502/1992,  per espressa previsione e
dello  stesso  articolo 4  del D.Lgs. n. 502/1992 dell'articolo 2 del
D.Lgs. n. 517/1999.
    Con  riguardo  a  tali aziende, infatti, l'articolo 4, co. 1, del
D.Lgs.   n. 502/1992  ha  stabilito  che:  "per  specifiche  esigenze
assistenziali,  di  ricerca  scientifica,  nonche'  di  didattica del
S.S.N.,  nel  rispetto  dei  criteri  e  delle  modalita'  di  cui ai
co. 1-bis  e  seguenti,  possono  essere  costituiti  o confermati in
aziende    ...    le    aziende    di    cui    all'art. 6   (Aziende
ospedaliero-universitarie)   della   L.   n. 419/1998,   secondo   le
specifiche  disposizioni  definite in sede di attuazione della delega
ivi  prevista  ... Le disposizioni del presente decreto, salvo quanto
in  esso  diversamente  disposto,  non  si  applicano  ai policlinici
universitari  e  alle aziende ove insistono le facolta' di medicina e
chirurgia  prima  della  data  indicata  dalle disposizioni attuative
della  delega prevista dall'articolo 6 della L. n. 419/1998; ove tale
data  non sia prevista, dette disposizioni si applicano a partire dal
1 aprile 2000".
    Il D.Lgs. n. 517/1999, attuativo della delega di cui all'articolo
6  della  L. n. 419/1998,  a  sua volta, all'articolo 2, commi 7 e 8,
richiama   la   disciplina  dettata  dal  D.Lgs.  n. 502/1992  e,  in
particolare,  dall'articolo 4, estendendone l'applicazione anche alle
aziende  ospedaliero-universitarie, salvo le diverse disposizioni ivi
previste.
    Il  risultato  di  tali modifiche introdotte dal D.L. n. 347/2001
e',  pertanto,  quello di un considerevole ampliamento della potesta'
organizzativa  delle  Regioni  anche  con riguardo all'organizzazione
della Aziende ospedaliero-universitarie.
    Anche  alla luce dei recenti interventi legislativi, pertanto, il
D.P.C.M.   24 maggio  2001,  nel  dettare  disposizioni  estremamente
dettagliate,  viola  profondamente le competenze regionali in materia
di assistenza ospedaliera.
    4. - Le  norme  dettate  dagli  articoli 2, co. 3, lett. b); e 3,
co. 1,  integrano,  infine,  una  violazione  del  principio di leale
collaborazione  tra  lo Stato e le Regioni, in relazione agli impegni
assunti dal Governo nell'Accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 "di
attribuire  alle  Regioni  autonomia  nel settore dell'organizzazione
della  Sanita'"  e  di  emanare  i provvedimenti necessari alla piena
riconduzione  delle  attivita'  assistenziali  svolte  dalle  aziende
ospedaliero-universitarie alla programmazione regionale.
    Tali  norme, inoltre, realizzano una contraddizione in termini in
ragione  dei  vincoli  di  spesa oggettivi che sussistono nel settore
sanitario  e  che  sono  stati  concordati nell'Accordo Stato-Regioni
8 agosto  2001  e  confermati  dal  D.L.  n. 347/2001,  per la chiara
individuazione  dei quali si rinvia a quanto ampiamente esposto infra
sub par. 2.4.
    5. - In  relazione  alle considerazioni che precedono va, infine,
precisato  che,  in  questa  sede,  non  si  intende  disconoscere la
necessita'  che  vi  sia  coerenza  e  funzionalita' tra le attivita'
assistenziali  e  quelle  di  ricerca e di didattica svolte presso le
aziende   ospedaliero-universitarie;   si   contesta,   tuttavia,  la
rigidita'  con  la quale viene configurato il rapporto tra i due tipi
di  attivita'  e la totale estromissione delle Regioni, vere titolari
della   programmazione   e   della   organizzazione   dell'assistenza
ospedaliera regionale nonche' responsabili dei costi della stessa.
    2.3. - Articoli 3, comma 8; 4, comma 3 e comma 7, lett. f).
    1. - L'articolo  3 del D.P.C.M. al comma 7, fissa il principio in
base  al  quale  le attivita' e le strutture assistenziali complesse,
funzionali  alle  esigenze di didattica e di ricerca sono individuate
sulla  base  di  soglie  operative, indicate nei protocolli d'intesa,
consistenti in livelli minimi di attivita'.
    Una  volta  stabilito  tale  principio,  al  successivo  comma 8,
l'articolo  3  precisa  che  "per  le  attivita'  assistenziali, tali
livelli  sono  rappresentati dal numero minimo di casi trattati o dai
volumi  minimi  di attivita' richiesti dalla programmazione regionale
per  garantire  l'adeguata  qualificazione  della  struttura.  Per le
esigenze  della  didattica  e  della  ricerca  sono rappresentati dal
numero  di  professori  e  ricercatori  universitari  assegnati  alla
struttura,   nonche'   dal  numero  medio  di  allievi  che  ad  essa
ordinariamente afferiscono".
    Il   successivo   articolo   4,   nel   dettare   indirizzi   per
l'organizzazione  interna delle aziende ospedaliere universitarie, al
comma 3,  prevede  che i protocolli d'intesa individuano le strutture
assistenziali  complesse  essenziali  alle esigenze di didattica e di
ricerca  dei  corsi  di laurea in medicina e chirurgia, attenendosi a
quanto  previsto  all'articolo 3  ed  ai seguenti criteri: a) livello
minimo   di   attivita'   necessaria   per   garantire  una  adeguata
qualificazione della struttura in relazione ai compiti assistenziali;
b)  rispetto  dei volumi e delle tipologie previsti nei piani annuali
di  attivita'  e  negli accordi di fornitura; c) adeguata presenza di
professori   e  ricercatori  universitari  nella  dotazione  organica
dell'unita' operativa".
    Al  comma 7,  l'articolo 4 stabilisce, inoltre, che "i protocolli
d'intesa,  nel  rispetto  delle  previsioni  dell'atto di indirizzo e
coordinamento di cui all'art. 8-quater, co. 3, del D.Lgs. n. 502/1992
definiscono    i    criteri    di    attuazione   dell'organizzazione
dipartimentale", ed individua alle lett. da a) ad f), i criteri cui i
protocolli stessi dovranno attenersi.
    Alla  lett.  f),  in  particolare,  il  comma 7  prevede  che "il
direttore  del  dipartimento  ad  attivita' integrata e' nominato dal
direttore  generale  d'intesa  con  il  rettore... Per i dipartimenti
individuati   nella   programmazione   concertata   delle   attivita'
assistenziali,  didattiche  e di ricerca, qualificati come essenziali
ai fini dell'espletamento delle funzioni assistenziali della facolta'
di   medicina   correlate  ai  settori  scientifico-disciplinari,  il
direttore  e'  scelto  fra  i  professori universitari, salvo diverse
determinazioni previste nei protocolli di intesa, per specifici casi,
ferma  restando  comunque  la  titolarita'  dell'universita'  per  la
didattica e la ricerca".
    Anche con riguardo alle norme di cui agli articoli 3, comma 8, 4,
comma 3  e  comma 7,  lett. f), il Governo ha operato una illegittima
invasione  della  sfera  dei poteri spettanti alle Regioni, incidendo
sulle  competenze organizzative e programmatorie di cui queste ultime
sono titolari in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera.
    In  particolare,  l'articolo 3,  comma 8,  invade  le  competenze
regionali  in  quanto  individua  direttamente  e  dettagliatamente i
livelli   minimi   di  attivita'  sia  con  riguardo  alle  strutture
assistenziali  complesse  funzionali  alle esigenze di didattica e di
ricerca  sia  con  riguardo  alle  esigenze  della  didattica e della
ricerca.  L'articolo  4,  comma  3  risulta  lesivo in quanto prevede
l'individuazione  da  parte  dei protocolli di intesa delle strutture
assistenziali  complesse  "essenziali alle esigenze di didattica e di
ricerca  dei  corsi  di laurea di medicina e chirurgia", e definisce,
alle  lett.  a), b), e c), "criteri" molto dettagliati. L'articolo 4,
comma 7,  lett. f),  viola  la  potesta' organizzativa regionale e la
stessa  autonomia  aziendale  in quanto, da un lato, prevede l'intesa
con  il  rettore  per la nomina, da parte del Direttore Generale, del
direttore   di   dipartimento  ad  attivita'  integrata,  dall'altro,
stabilisce   che  il  direttore  dei  dipartimenti  individuati  come
essenziali  per  l'espletamento  delle  funzioni  assistenziali della
facolta' di medicina, sia scelto fra i professori universitari.
    Gli   articoli  richiamati  introducono  criteri  strutturali  ed
organizzativi  che  definiscono un modello rigido a livello nazionale
non  lasciando spazio alla autonoma definizione regionale, esautorano
l'autonomia  organizzativa  delle aziende ospedaliere di riferimento,
predeterminandone  perfino  tipologie  e  volumi  di  attivita'.  Gli
automatismi previsti per la determinazione delle strutture semplici e
complesse, inoltre, favoriscono proliferazioni non sostenute da reali
necessita'  assistenziali  e  didattiche  e  di  cui non e' possibile
valutare l'impatto economico per la regione.
    Il  risultato,  di  nuovo, e' quello di una illegittima invasione
delle  competenze  riconosciute alle Regioni dagli articoli 117 e 118
della  Costituzione in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera
ed,  in  particolare,  della  potesta'  organizzativa regionale. Tali
norme  realizzano,  inoltre, una lesione dell'autonomia aziendale, in
netto  contrasto con le stesse previsioni del D.Lgs. n. 502/1992 come
modificato dal D.Lgs. n. 229/1992.
    2. - Con  riguardo  alla  potesta' organizzativa delle Regioni in
materia,   la   giurisprudenza   costituzionale   si  e'  pronunciata
costantemente  nel senso del riconoscimento della stessa in capo alle
Regioni.
    In  proposito nella sentenza 156 del 1996, si legge: "la potesta'
di emanare norme per l'organizzazione, la gestione e il funzionamento
delle  U.S.L.  e  dei  loro servizi, come anche il generale potere di
vigilanza   sulle   stesse   strutture,   rientrano   nella   materia
dell'"assistenza  sanitaria e ospedaliera" di competenza regionale ex
art. 117 Cost.".
    Di  recente,  la  Corte,  con  la  sentenza  n. 63  del  2000, ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo 4, co. 1,
D.L.  n. 175/1997,  nella  parte  in cui demandava al Ministero della
sanita',    di    emanare   le   "linee   guida   dell'organizzazione
dell'attivita'   libero-professionale  intramuraria",  in  quanto  la
materia oggetto dell'atto ministeriale riguardava la competenza delle
Regioni in ordine alla organizzazione del servizio sanitario.
    Nella  motivazione, la Corte ha precisato che "l'intervento dello
Stato  in  questa  ultima  materia  non puo' quindi esplicarsi se non
nelle  forme  e  nei  limiti  propri  delle  materie  attribuite alle
Regioni,  cioe' attraverso la legislazione di principio o di riforma,
o attraverso l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento"
(cfr. anche Corte cost. n. 272/2000). Ora e' si vero che, nel caso di
specie, lo Stato e' intervenuto a disciplinare la materia con un atto
di indirizzo e coordinamento, ma e' anche vero che, nell'esercizio di
tale  funzione,  il Governo non si e' limitato a fissare principi, ma
ha  dettato  norme  estremamente dettagliate e in quanto tali, lesive
delle competenze regionali in materia.
    In  proposito,  la  Corte  ha piu' volte ribadito il principio in
base  al  quale  le disposizioni dirette a porre principi concernenti
l'organizzazione delle unita' sanitarie locali vanno considerate come
norme   fondamentali   di  riforma  economico  sociale  (sent. 274  e
107/1988).  Ma,  nell'ambito di questo orientamento, ha precisato che
neppure una riforma economico-sociale puo' integralmente estromettere
le regioni dalle materie di loro competenza (sent. 219/1984) e che le
eventuali  disposizioni  di  dettaglio,  che accompagnino le predette
norme   fondamentali,   sono  tali  da  vincolare  l'esercizio  delle
competenze  regionali  soltanto ove siano legate con i principi della
riforma   da   un   rapporto   di  coessenzialita'  e  di  necessaria
integrazione (sent. 99/1987).
    Recentemente,   la   Corte,  con  sentenza  n. 74  del  2001,  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di alcune norme del D.Lgs.
n. 469/1997  proprio  perche'  lesive  della  potesta'  organizzativa
regionale.
    Nella  decisione  menzionata  si  legge,  in particolare che: "il
coinvolgimento di competenze proprie, postula che sia conservata alle
Regioni quella discrezionalita' organizzativa che deve essere ad esse
riconosciuta  nelle  materie  e  per le funzioni di cui all'art. 117,
primo  comma,  Cost.  Non  puo'  essere  infatti  consentito, in tali
materie,  ridurre  l'ambito  della  scelta  politica  del legislatore
regionale  ad  una  attivita'  di  pura  esecuzione di una disciplina
statale  di  dettaglio  ...  ferma  la  possibilita'  per lo Stato di
delineare  il  modello  organizzativo  con disposizioni di principio,
deve  residuare  alla  Regione  uno spazio di libera scelta in ordine
alla  disciplina  dell'organizzazione,  che non puo' essere compresso
senza pregiudicarne lo statuto costituzionale di autonomia.
    3. - Le  norme  dettate  dagli  articoli 3, comma 8; 4, comma 3 e
comma 7,  lett. f), poi, si pongono in aperto contrasto con l'accordo
Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 e, con gli impegni assunti in quella
sede dal Governo.
    In particolare, esse contraddicono apertamente, in violazione del
principio   di   leale   collaborazione   come   attuato  dal  D.Lgs.
n. 281/1997,   l'impegno  del  Governo  di  attribuire  alle  Regioni
autonomia organizzativa nel settore dell'organizzazione della sanita'
(par.  9) nonche' quello di emanare tutti i provvedimenti necessari a
riconfermare  la  piena  riconduzione  delle  attivita'  svolte dalle
Aziende ospedaliero-universitarie alla programmazione regionale (par.
13).
    4. - Con  riguardo,  infine, alla norma [art. 4, co. 7, lett. f),
secondo  periodo],  che  disciplina  le  modalita'  della  nomina del
direttore   dei   dipartimenti   individuati   come   essenziali  per
l'espletamento   delle   funzioni  assistenziali  della  facolta'  di
medicina, si ricorda, inoltre, che, nel parere reso dalla Commissione
parlamentare  per  le  questioni regionali in data 17 maggio 2001, la
Commissione,  rilevava  "l'opportunita'  di  considerare  all'art. 4,
co. 6,  lett.  f),  secondo  periodo, che la nomina del direttore sia
effettuata non solo fra i professori universitari".
    2.4. - Articolo 10, commi 2 e 6.
    1.  -  L'articolo 10 del D.P.C.M. disciplina la compartecipazione
delle  regioni  e  delle  universita'  ai risultati di gestione delle
aziende  ospedaliero-universitarie  stabilendo, al primo comma, che a
decorrere     dalla     data     di     costituzione     dell'azienda
ospedaliero-universitaria,  la regione e l'universita' compartecipano
ai  risultati  della  gestione  per quote percentuali determinate nei
protocolli d'intesa.
    Il  comma 2  dell'articolo  10,  nell'individuare l'apporto delle
universita',  prevede che l'universita' realizza la compartecipazione
di  cui  al  comma 1  con  l'apporto  di:  a) personale docente e non
docente; b) beni mobili e immobili.
    Il  successivo  comma  6 dell'articolo 10 prevede che "In caso di
risultati finanziari negativi nella gestione dell'azienda, la regione
e  l'universita'  concordano appositi piani di rientro poliennali ...
In  caso di mancato accordo la regione, sentito il comitato regionale
di coordinamento delle universita' di cui D.P.R. n. 25/1998, disdetta
(sic!)  il  protocollo  d'intesa  per  la parte concernente l'azienda
interessata  attuando  le  previsioni  dell'art. 4, co. 3, del D.Lgs.
n. 502/1992".
    Le  disposizioni  dettate  dai  commi 2 e 6 dell'articolo 10, nel
prevedere,   da  un  lato,  un  contributo  solo  "in  natura"  delle
universita'    al    sostenimento    dei    "costi"   delle   aziende
ospedaliero-universitarie  e, dall'altro, l'obbligo per la Regione di
concordare,  in  caso  di  disavanzi nella gestione delle aziende, il
piano   poliennale  di  rientro,  interferiscono  pesantemente  sulle
competenze  assicurate  alle  Regioni  dagli  articoli 117, 118 e 119
della Costituzione.
    Tali  norme,  infatti,  da  un  lato,  definiscono  un livello di
partecipazione  delle  universita' ai costi assolutamente inadeguato,
dall'altro,   nell'imporre   alla   Regione   -   alla  quale  spetta
concretamente  il  ripiano  dei  disavanzi  -  di  concordare  con le
universita'  i  piani  di  rientro,  limitano  fortemente la potesta'
organizzativa  e  la  potesta'  in  materia  di  spesa spettanti alle
Regioni  in  materia  di  assistenza  sanitaria  ed ospedaliera, come
attuate    dalla    legislazione   statale   e   riconosciute   dalla
giurisprudenza costituzionale.
    2. - Va,  inoltre, rilevato che neppure il D.Lgs. n. 517/1999, di
cui  il  D.P.C.M.  24 maggio  2001 costituisce attuazione, esclude la
possibilita'  di  un contributo finanziario delle Regioni ai costi di
gestione   delle  Aziende  ospedaliero-universitarie.  In  proposito,
l'articolo  7,  primo  comma,  del  D.Lgs.  n. 517/1999  prevede  che
"Regioni   ed   universita'   concorrono   con  propri  finanziamenti
all'attuazione  di  programmi di rilevante interesse per la Regione e
l'universita' definiti d'intesa".
    3. - Tali   disposizioni,   inoltre,  sono  in  contrasto  con  i
contenuti     dell'Accordo    Stato-Regioni    dell'8 agosto    2001,
successivamente     recepiti     nel    D.L. n. 347/2001,    violando
conseguentemente,  anche  il principio di leale collaborazione tra lo
Stato e le Regioni.
    Contraddicono,  in  particolare,  l'impegno,  assunto dal Governo
nell'Accordo,  ad  emanare,  "previa  intesa  con le Regioni entro il
31 dicembre  2001,  tutti i provvedimenti necessari a riconfermare la
piena riconduzione delle attivita' assistenziali svolte dalle Aziende
Ospedaliere universitarie (miste e/o policlinici) alla programmazione
regionale, prevedendo un'adeguata corresponsabilizzazione finanziaria
delle Universita' per la loro parte".
    Sono in contrasto, inoltre, con il potere attribuito alle Regioni
dall'articolo 3,  co. 2,  del  D.L. n. 347/2001, di adottare tutte le
disposizioni  necessarie:  "a)  per stabilire l'obbligo delle aziende
sanitarie  ed  ospedaliere  di  garantire  l'equilibrio economico dei
singoli  presidi  ospedalieri;  b) per individuare le tipologie degli
eventuali provvedimenti di riequilibrio; c) per determinare le misure
a   carico   dei   direttori   generali   nell'ipotesi   di   mancato
raggiungimento dell'equilibrio economico (co. 2)".
    A  cio' si aggiunga che, ai sensi del comma 5 dell'articolo 3 del
D.L.  n. 347:  "gli  effetti finanziari positivi o negativi derivanti
dall'entrata  in  vigore  delle  leggi  o dei provvedimenti regionali
adottate  ai sensi del presente decreto sono acquisiti o ricadono sui
bilanci delle singole regioni".
    Ne  consegue  una situazione ai limiti del paradosso: da un lato,
le  Regioni,  in  funzione  di  un preciso Accordo intervenuto con lo
Stato  e  prima  delle  pubblicazione del D.P.C.M., e successivamente
recepito  in  un D.L., si sono impegnate, per le ipotesi di emersione
di  disavanzi  rispetto  a  finanziamenti  assicurati dallo Stato, ad
assumere a proprio carico la copertura dei relativi oneri, sono state
autorizzate  dallo  Stato  adottare  tutti  i  provvedimenti - sia di
natura  organizzativa,  che  di  natura  finanziaria  -  necessari  a
mantenere tali impegni, e sono state responsabilizzate in ordine agli
effetti  finanziari  di  tali provvedimenti; dall'altro, si trovano a
dover  attuare  un  D.P.C.M.  pienamente contrastante con gli impegni
assunti e con i poteri loro conferiti.
    4. - La  lesione  delle  competenze  recentemente attribuite alle
Regioni  e'  ancora  piu'  evidente  a  fronte  di  quanto  stabilito
dall'articolo 4    del    D.L.    n. 347/2001   proprio   in   ordine
all'Accertamento e (alla) copertura dei disavanzi".
    Il comma 3 dell'articolo 4 attribuisce, infatti, alle Regioni non
solo  l'onere  di  coprire,  nel  rispetto dell'accordo Stato-regioni
2001,  gli  eventuali  disavanzi  di gestione accertati o stimati, ma
anche il potere di stabilire le modalita' attraverso le quali coprire
tali  disavanzi, con norme regionali che prevedano alternativamente o
cumulativamente  l'introduzione  di:  a)  misure di compartecipazione
alla   spesa  sanitaria,  ivi  inclusa  l'introduzione  di  forme  di
corresponsabilizzazione  dei  principali soggetti che concorrono alla
determinazione    della    spesa;    b)    variazioni   dell'aliquota
dell'addizionale  regionale  all'imposta  sul  reddito  delle persone
fisiche  o  altre misure fiscali previste nella normativa vigente; c)
altre  misure  idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l'adozione di
interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci.
    5. - Non  puo',  inoltre, non essere rilevata la scarsa chiarezza
della  disposizione  dettata dal comma 4 dell'articolo 10 nella parte
in  cui  prevede  che, in caso di mancato accordo tra le Regioni e le
universita'  nella  definizione  dei  piani poliennali di rientro, la
Regione  disdice  il  protocollo  d'intesa  per  la parte concernente
l'azienda interessata "attuando le previsioni dell'articolo 4, co. 3,
del  D.Lgs.  n. 502/1992.  Se,  infatti,  con  tale  disposizione  si
riconosce  implicitamente che spetta alla Regione la decisione finale
in   ordine   alle   modalita'   di   ripiano,   privo  di  senso  ed
incomprensibile  appare  il richiamo all'articolo 4, co. 3 del D.Lgs.
n. 502/1992.   Tale   disposizione  stabilisce,  infatti,  che  "sono
ospedali   di   rilievo   nazionale  e  di  alta  specializzazione  i
policlinici  universitari,  che devono essere inseriti nel sistema di
emergenza sanitaria di cui al D.P.R. 27 marzo 1992".