IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi nn. 4371, 4372, 5146, 6816, 11521, 12419, 13618/1998 e 15534\1999 reg. gen., proposti rispettivamente: il n. 4371, da Conti Ida ed altri (vedi elenco allegato); il n. 4372, da Rivarossa Maria ed altri (vedi elenco allegato); il n. 5146, da Molino Valeria ed altri (vedi elenco allegato); il n. 6816, da Tella Anna Maria ed altri (vedi elenco allegato); il n. 11521, da La Vaccara Paolo ed altri (vedi elenco allegato); il n. 12419, da Antonucci Paola ed altri (vedi elenco allegato); n. 13618/1998, da Barbaro Caterina ed altri (vedi elenco allegato); il n. 15534/1999, da Bello Antonio ed altri (vedi elenco allegato); tutti rappresentati e difesi dall'avv. Mario Occhipinti ed eletivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, via Belsiana, 71; Contro: la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero del tesoro, l'Avvocatura generale dello Stato, il Ministero dell'interno, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, il Ministero di grazia e giustizia, il Ministero della difesa, il Ministero delle finanze, il Ministero della sanita', il Ministero dei lavori pubblici, il Ministero delle comunicazioni, il Ministero dei trasporti e della navigazione, il Ministero dei beni culturali e ambientali ed il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato; Per l'accertamento del diritto dei ricorrenti al conseguimento delle richieste maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita' sino al 31 dicembre 1993, o meglio fino al maggio 1995, e quindi, ciascuno per quanto maturato, alla percezione delle corrispondenti differenze economiche, comprensive di interessi e rivalutazione monetaria, con la relativa pronuncia di condanna a carico delle amministrazioni di appartenenza; Nonche' per l'annullamento: delle note reiettive del Ministero di grazia e giustizia del 10 luglio 1998, della Presidenza del Consiglio dei ministri del 23 luglio 1998 e del Ministero dei beni culturali ed ambientali del 4 agosto 1998, nonche' del silenzio serbato dalle rimanenti amministrazioni intimate sull'atto di diffida e messa in mora notificato dai ricorrenti da loro rispettivamente dipendenti; di ogni altro atto comunque inerente o connesso, preparatorio e/o conseguenziale. Visti i ricorsi ed i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Viste le memorie presentate dalle medesime a sostegno delle loro difese; Visti gli atti tutti di causa: Uditi alla pubblica udienza del 31 gennaio 2001 il relatore ed altresi' gli avv. Occhipinti e Gentili; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o I ricorsi in epigrafe, dipendenti di diverse amministrazioni statali, agiscono per ottenere l'accertamento del diritto al conseguimento delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita' (R.I.A.) di cui all'art. 9 del d.P.R. n. 44 del 17 gennaio 1990 che sarebbero state da loro maturate con il progredire dell'anzianita' di servizio fino alla data del 31 dicembre 1993 (recte, fino al maggio del 1995), con interessi e rivalutazione monetaria. Impugnano, a tal fine, il silenzio serbato dalle rispettive ammistrazioni di appartenenza sulle loro diffide a cio' rivolte, oppure le note reiettive espresse che taluna delle amministrazioni ha emesso. Si costituivano in giudizio in resistenza ai gravami le amministrazioni intimate, le quali deducevano l'infondatezza delle doglianze avversarie e concludevano per la reiezione dei ricorsi. Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2001 le cause sono state trattenute in decisione. D i r i t t o I ricorsi in epigrafe devono essere preliminarmente riuniti, data la loro evidente connessione, per poter essere definiti mediante un'unica decisione. 1. - Cio' premesso, ai fini di un adeguato inquadramento della problematica che forma oggetto di controversia giova ricordare quanto segue. Il d.P.R. n. 44 del 17 gennaio 1990 (recante il recepimento di un accordo del 26 settembre 1989), fonte disciplinatrice del rapporto di lavoro del personale del comparto dei Ministeri per il triennio 1988/1990, all'art. 9 regolava la c.d. retribuzione individuale di anzianita' (di seguito: R.I.A.) contemplando la previsione di scatti di maggiorazione legati all'anzianita' di servizio (5, 10, 20 anni) maturata dai dipendenti "nell'arco della vigenza contrattuale". Il detto accordo di comparto, scaduto il 31 dicembre 1990, vedeva prorogata la vigenza della propria disciplina fino al 31 dicembre 1993 in forza dell'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito dalla legge n. 438 del 1992. Indi, l'art. 72 del d.lgs. n. 29 del 1993 disponeva la perdurante efficacia, in via transitoria, della normativa derivante dai pregressi accordi sindacali ex lege n. 93/1983 fino alla sottoscrizione dei nuovi accordi collettivi, avvenuta nel maggio del 1995. 2. - Di qui le origini del problema di stabilire se la proroga della vigenza dell'accordo recepito dal d.P.R. n. 44 del 1990 abbia spostato corrispondentemente in avanti anche il termine ultimo utile per la maturazione delle anzianita' di servizio rilevanti ai fini delle maggiorazioni della R.I.A. La tesi sostenuta dai ricorrenti e', naturalmente, affermativa. E su tale presupposto logico i medesimi, premesso di avere maturato nel periodo 1 gennaio 1990-15 maggio 1995 un'anzianita' professionale, a seconda dei casi, quinquennale, decennale o ventenmale, azionano la pretesa all'accertamento del loro diritto alle maggiorazioni della R.I.A. che ne sarebbero conseguentemente scaturite, con le corrispondenti differenze retributive, interessi e rivalutazione monetaria. 3. - Rileva il Tribunale che nelle more del giudizio e' intervenuta sul thema decidendum, tuttavia, la recente legge 23 dicembre 2000 n. 388 (legge finanziaria per il 2001), la quale, all'art. 51, comma 3, dispone quanto segue: "L'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1 gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, gia' stabilita per la maturazione delle anzianita' di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'. E' fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge."; Ora, appare chiaro che la regola di interpretazione autentica in tal modo prescritta condannerebbe i ricorsi in esame alla reiezione. Esistono, peraltro, motivi per dubitare della legittimita' costituzionale della norma appena trascritta, i quali inducono il Tribunale amministrativo regionale a sollevare d'ufficio le relative questioni di costituzionalita'. 4. - Non sembra dubitabile che l'art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, costituisca effettivamente una norma di interpretazione autentica, secondo il tenore letterale del suo testo e l'indicazione offerta dalla rubrica dell'articolo. Come la giurisprudenza costituzionale ha da tempo chiarito, i caratteri della legge interpretativa sussistono quando, "rimanendo immutato il tenore testuale della disposizione interpretata, se ne chiarisca o precisi il significato o si privilegi, rendendola vincolante, una tra le tante interpretazioni possibili", sufficiente essendo che "la scelta ermeneutica imposta dalla legge interpretativa rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato, stabilendo un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto alla legge anteriore" (cfr. le sentenze della Corte costituzionale n. 15 del 19 gennaio 1995 e n. 386 del 5 novembre 1996). Ebbene, questi requisiti sono puntualmente soddisfatti dalla norma in esame. La soluzione ermeneutica imposta attraverso l'art. 51, comma 3, della legge n. 388/2000, infatti, per quanto sia divergente dall'indirizzo giurisprudenziale dominante e consolidato nella materia (come si vedra', non puo' essere ritenuta del tutto incompatibile con il testo interpretato, come emerge dalla circostanza che nella pratica applicativa del passato la stessa interpretazione e' gia' talvolta affiorata (pur essendo sempre stata del tutto minoritaria: si vedano C.d.S., Sez. II, par. n. 2012 del 15 novembre 1995, e Tribunale amministrativo regionale Lazio, III bis, n. 251 del 4 febbraio 1999). 5. - L'intervento legislativo in esame, benche' qualificabile come norma di interpretazione autentica, non per questo, tuttavia, e' al riparo da ogni possibilita' di censura. Nemmeno l'interpretazione autentica del legislatore, difatti, si sottrae "all'esigenza di rispettare il principio generale di ragionevolezza e gli altri precetti costituzionali" (C. Cost., n. 15/1995 cit.). Piu' articolatamente, i limiti alla potesta' di emanazione di leggi interpretative individuati dalla giurisprudenza costituzionale si riconducono, oltre che alla necessaria ragionevolezza della scelta legislativa, al divieto di ingiustificate disparita' di trattamento, all'esigenza di coerenza e certezza del diritto, ed infine al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenze n. 376 del 25 luglio 1995 e n. 397 del 23 novembre 1994). 6. - I limiti appena indicati, corrispondenti ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Carta, manterrebbero inalterata la loro rilevanza anche ove, seguendo un approccio teorico rinvenibile in numerosi precedenti della Corte (C. costituzionale n. 432 del 23 dicembre 1997 e n. 136 del 17 maggio 2001), si dovesse ritenere irrilevante, nel giudizio di costituzionalita', il verificare se una norma abbia carattere interpretativo ovvero portata innovativa con effetti retroattivi. In entrambi i casi, come e' stato detto, la legge e' pur sempre soggetta al controllo di conformita' al canone generale di ragionevolezza, particolarmente stringente in quanto riferito alla certezza dei rapporti preteriti ed al legittimo affidamento dei soggetti interessati (sentenza n. 432\1997). 7. - Tutto cio' posto, e' necessario ricordare che la tematica che forma oggetto dell'intervento di interpretazione attuato con l'art. 51, comma 3 della legge n. 388/2000 aveva gia' trovato nella giurisprudenza amministrativa, dopo le iniziali incertezze ricordate, una precisa soluzione, ben diversa da quella ora imposta dal legislatore. Nella giurisprudenza del massimo giudice amministrativo si era rapidamente consolidato, invero, il convincimento che l'anzianita' di servizio utile al conseguimento dei benefici della maggiorazione della R.I.A. di cui all'art. 9 del d.P.R. n. 44/1990 poteva essere utilmente maturata anche oltre la data del 31 dicembre 1990 (grazie alla proroga sancita dall'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384/1992), ma comunque entro il 31 dicembre del 1992 (per effetto del blocco degli automatismi stipendiali stabilito dal comma 3 dello stesso art. 7 d.l. cit.) (C.d.S., Comm. spec., par. n. 409 del 13 luglio 1998; III, par. n. 1188/2000 del 20 giugno 2000; VI, n. 2451 del 20 aprile 2000; IV. n. 1856 del 13 dicembre 1999; n. 446 del 28 gennaio 2000, n. 3727 del 5 luglio 2000, n. 5522 del 17 ottobre 2000; n. 6310 del 27 novembre 2000 e n. 6947 del 28 dicembre 2000). 8. - In considerazione di tale consolidato orientamento (ormai, diritto vivente) non puo' non essere avvertita, quindi, la problematicita' della relazione in cui si pone l'art. 51, comma 3, della legge n. 388/2000 rispetto ai valori costituzionalmente rilevanti ricordati nel precedente paragr. 5. Con riferimento, in particolare, al rapporto tra l'interpretazione autentica e la funzione giurisdizionale, puo' essere rilevato quanto appresso. La Corte costituzionale ha reiteratamente insegnato che la legge interpretativa, pur avendo il fine di imporre all'interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata, non incide sulla potesta' di giudicare, ma opera sul diverso piano che e' proprio delle fonti normative (precisando la regola ed il modello di decisione cui l'esercizio della potesta' di giudicare deve attenersi). La legge interpretativa, pertanto, non lede la funzione giurisdizionale, a meno che non violi il giudicato, o non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui concreti giudizi in corso per determinarne gli esiti (cfr., tra le altre, le sentenze n. 155 del 4 aprile 1990 e 15 del 19 gennaio 1995). Ora, e' sotto quest'ultimo profilo che l'art. 51, comma 3 cit. desta perplessita', in quanto si presenta proprio quale intervento oggettivamente diretto (ed idoneo) ad interferire sull'esercizio della funzione giurisdizionale influenzando le sorti dei giudizi in corso, allo specifico fine di sottrarli agli esiti che gli stessi, altrimenti, data la presenza dell'orientamento giurisprudenziale anzidetto, avrebbero verosimilmente raggiunto (si veda in questo senso la eloquente relazione illustrativa al disegno di legge, in cui la norma in questione figurava all'art. 33, comma 2). Negli orientamenti della Corte, per la verita', pur essendo stato piu' volte enunciato in via di principio il limite (appena ricordato) della inammissibilita' di norme di interpretazione autentica intenzionalmente dirette ad incidere sui giudizi in corso, a livello operativo si e' poi generalmente concluso per l'immunita' da vizi dei singoli interventi legislativi sub judice argomentando, sul piano della logica astratta, nel senso che il carattere di interpretazione autentica di una norma farebbe escludere (in sostanza, gia) per definizione che la stessa possa interferire sulla funzione giurisdizionale: cio' in quanto altro e' il piano delle fonti normative, e altro e' quello proprio della funzione giudiziaria, la quale consiste nell'adozione di decisioni vincolate all'ordinamento normativo (sentenza n. 15/1995 cit., paragrafo 7; nello stesso senso cfr. anche la n. 386 del 5 novembre 1996). La possibilita', pero', di assegnare al limite anzidetto un ruolo piu' incisivo e un'effettiva funzione sembra affiorare da un passaggio della successiva sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Consulta. In tale occasione la Corte non si e' limitata, per escludere l'esistenza di una lesione a carico del principio della divisione dei poteri, ad argomentare sul piano della distinzione astratta tra l'attivita' legislativa e l'attivita' giurisdizionale, ma si e' avvalsa anche - benche' solo a titolo rafforzativo - di un'argomentazione ulteriore: ha negato che la funzione giurisdizionale fosse stata violata, cioe', anche in base alla ragione che nella materia interessata dall'interpretazione autentica non esisteva una "giurisprudenza consolidata" (con la quale l'intervento legislativo potesse collidere). Orbene, come si e' visto al paragrafo 7, nella fattispecie in esame questo estremo della presenza di una giurisprudenza consolidata risulta, invece, ricorrere. Da cio' consegue la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3 della legge n. 388/2000 per conflitto con gli artt. 24, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Carta, poiche' il primo sembra sostanziarsi in una interferenza di dubbia ammissibilita' rispetto all'esplicazione della funzione giurisdizionale e al diritto di agire e di difendersi in giudizio. Di qui anche la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' della stessa norma in relazione ai parametri costituiti dagli artt. 3, 24 e 97 della Carta, in quanto l'interpretazione autentica di cui si discute, ribaltando con effetti retroattivi un'interpretazione giurisprudenziale consolidata, appare collidere con i principi della necessaria ragionevolezza delle scelte legislative, del divieto di ingiustificate disparita' di trattamento, della tutela dell'affidamento dei consociati e della certezza del diritto. La rilevanza delle questioni illustrate rispetto ai giudizi in corso e' gia' emersa in precedenza, allorche' e' stato evidenziato che la norma della cui costituzionalita' si dubita imporrebbe la reiezione di domande giudiziali che, in base alla giurisprudenza preesistente, risulterebbero almeno parzialmente fondate. Il giudizio va, dunque, sospeso, in attesa della soluzione da parte della Corte costituzionale delle questioni sollevate mediante la presente ordinanza.