ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  dell'art. 1  del decreto del Ministro dell'interno
n. 1070/M/22(6)  Gab.  del  4 marzo 2000, relativo alla delegabilita'
delle  attivita'  di  polizia  giudiziaria  ai servizi centrali delle
varie  forze  di  polizia  da parte dei Procuratori della Repubblica,
promosso  con  ricorso  del Procuratore distrettuale della Repubblica
presso  il  Tribunale  di  Napoli,  notificato  il  30 novembre 2000,
depositato in cancelleria il 13 dicembre 2000 e iscritto al n. 60 del
registro conflitti 2000.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2001 il giudice relatore
Gustavo Zagrebelsky;
    Uditi   il  Sostituto  Procuratore  della  Repubblica  presso  il
Tribunale  di  Napoli dott. Raffaele Cantone e l'avvocato dello Stato
Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. -   Il  Procuratore  della  Repubblica  presso il Tribunale di
Napoli,  quale  Procuratore  distrettuale a norma dell'art. 51, comma
3-bis,  cod.  proc. pen., con ricorso depositato l'11 maggio 2000, ha
sollevato  conflitto  di  attribuzione  fra  poteri  dello  Stato nei
confronti  del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al
decreto  del  Ministro  dell'interno  4 marzo  2000, n. 1070/M/22 (6)
Gab.,   assumendo  la  lesione  delle  attribuzioni  riconosciute  al
pubblico ministero dagli artt. 109 e 112 della Costituzione.
    2.1.  -  Premesse  talune  argomentazioni (a) quanto alla propria
legittimazione  attiva,  (b)  quanto  alla legittimazione passiva del
Governo e, per esso, del Presidente del Consiglio dei ministri, e (c)
quanto  all'interesse  attuale  alla  proposizione  del conflitto, il
ricorrente  Procuratore della Repubblica muove dalla norma primaria -
richiamata  espressamente  dalle  premesse  del  decreto ministeriale
impugnato   -  della  quale  quest'ultimo  costituisce  attuazione  e
svolgimento,  cioe'  dall'art. 12  del  d.l. 13 maggio  1991,  n. 152
(Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata
e  di  trasparenza  e  buon andamento dell'attivita' amministrativa),
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
    Questa  disposizione,  ricompresa  in un contesto di legislazione
speciale   degli   anni   1991-1992   finalizzata  a  contrastare  la
criminalita'  organizzata, e' contenuta in un capo del decreto-legge,
il VI, intitolato "Coordinamento dei servizi di polizia giudiziaria",
e  cio'  ne  illustra  gia'  -  sottolinea  il  ricorrente - la ratio
legislativa.  L'articolo  12  citato  prevede:  (a)  al  comma  1, la
costituzione  di servizi centrali e interprovinciali della Polizia di
Stato,  dell'Arma  dei  Carabinieri  e  del  Corpo  della  Guardia di
Finanza,    "per   assicurare   il   collegamento   delle   attivita'
investigative relative a delitti di criminalita' organizzata"; (b) al
comma  2,  la  possibilita' che in determinate aree e per determinate
esigenze  siano  costituiti  servizi  interforze;  (c) al comma 3, la
possibilita'  di un coordinamento dei nuovi servizi con altri servizi
di  polizia  giudiziaria, oltre che con organi di polizia esteri; (d)
al comma 4, infine, la facolta' per il pubblico ministero che procede
per  delitti  di  criminalita'  organizzata  di avvalersi "di regola,
congiuntamente, dei servizi di polizia giudiziaria" ai quali, secondo
i  commi  1  e 2 sopra detti, e' attribuito il compito di svolgere le
indagini relative a tale categoria di delitti.
    Dalla  disposizione  risulta dunque - osserva il ricorrente - che
il  pubblico  ministero  puo' avvalersi, per le proprie indagini, sia
dei  servizi  centrali  e interprovinciali (comma 1), sia dei servizi
interforze, qualora istituiti (comma 2), e che non puo' sorgere alcun
dubbio circa la qualifica di organi di polizia giudiziaria di tutte e
tre  le  tipologie di servizi sopra dette: in tal senso orientano sia
la  ricordata  rubrica del capo, sia la possibilita' di coordinamento
con  "altri"  servizi (comma 3) di polizia giudiziaria, sia infine la
natura dell'attivita' in vista della quale gli organi sono istituiti,
consistente   in   compiti   -  delegati  dal  pubblico  ministero  -
riconducibili  alla  funzione  di  polizia  giudiziaria,  a norma del
codice di procedura penale.
    Una  volta  inquadrate  le  strutture  in esame nell'ambito degli
organi  che  esercitano funzioni di polizia giudiziaria - prosegue il
ricorrente  -  ne  deriva  che  i  servizi cui ha riguardo il decreto
ministeriale,  alla  luce  dell'art. 109  della Costituzione, debbono
essere  (senza  eccezioni,  secondo  quanto  affermato nella sentenza
n. 122  del  1971  della Corte costituzionale) a diretta disposizione
dell'autorita'  giudiziaria, e in particolare del pubblico ministero,
conformemente  a  quanto  stabilito dall'art. 58, comma 3, cod. proc.
pen.,   che  rappresenta  una  "diretta  esplicazione  del  principio
costituzionale".
    2.2 - E' alla stregua di questa premessa, prosegue il ricorrente,
che  deve essere valutato l'intervento dell'esecutivo che, attraverso
il  decreto  ministeriale  del 4 marzo 2000, disciplina i compiti dei
servizi centrali e interprovinciali.
    A  tale  riguardo,  benche'  a  una prima lettura dell'art. 1 del
decreto ministeriale possa sembrare che ai servizi centrali non siano
riconosciuti  poteri  di  indagine,  essendo  l'accento  collocato su
"compiti   di   analisi,   di  raccordo  informativo  e  di  supporto
tecnico-logistico  relativamente  alle attivita' investigative svolte
dai   servizi   interprovinciali   in   materia  di  contrasto  della
criminalita'  organizzata"  [secondo  quanto recita l'art. 1, lettera
a),  primo  periodo,  del decreto], tuttavia la medesima disposizione
attribuisce  ai responsabili dei servizi interprovinciali la facolta'
di   segnalare   ai  Procuratori  della  Repubblica  distrettuali  la
necessita'  di  richiedere  il  "concorso"  dei servizi centrali alle
attivita'  di indagine in presenza di certe condizioni e cioe' quando
si  tratti  di  indagini da svolgersi nei confronti di organizzazioni
criminali   che   operano   nell'ambito   di  piu'  distretti  o  con
collegamenti  internazionali  e  il suddetto "concorso" investigativo
sia  ritenuto  utile  ai  fini  dello svolgimento di accertamenti che
richiedono  il  supporto  di  speciali  risorse investigative umane e
materiali,  quali  sono  disponibili  dai  servizi  centrali medesimi
[lettera a), secondo periodo].
    La  disposizione  in  esame,  dunque, anziche' presupporre in via
generale  i  poteri investigativi dei servizi centrali, li disciplina
in  collegamento  con  specifiche  fattispecie  -  caratterizzate  da
particolare  gravita'  e  da  esigenze  di  ampliamento del quadro di
investigazione   -  nelle  quali  assume  rilievo  la  valutazione  e
l'iniziativa  -  la  "segnalazione" al Procuratore distrettuale della
Repubblica - da parte dei servizi interprovinciali.
    L'esposta  disciplina, afferma ancora il ricorrente, non potrebbe
poi,  sotto  altro  profilo, essere interpretata nel senso che, prima
delle  "segnalazioni"  sopra  ricordate,  ai servizi centrali non sia
affidato  alcun  potere  investigativo  e che pertanto, prima di quel
momento,  l'autorita'  giudiziaria  non  possa  dolersi della lesione
delle  proprie prerogative costituzionali in materia di utilizzazione
e disponibilita' della polizia giudiziaria. Ad avviso del Procuratore
della  Repubblica di Napoli, infatti, il decreto del 4 marzo 2000 per
il  quale  e'  promosso il conflitto ha voluto proprio ripristinare i
poteri  investigativi  dei servizi centrali, poteri che erano stati -
secondo  il  ricorrente in modo illegittimo, perche' in contrasto con
la  disposizione  di  rango  legislativo  -  esclusi  dall'originaria
versione   dell'art. 1,   lettera   a),   del  decreto  del  Ministro
dell'interno  25 marzo  1998  [n. 1070/M/22 (4) Gab.], ora sostituito
con  l'atto impugnato. La tesi contraria, oltre a essere contraddetta
dalla   lettera  dell'art. 12  del  decreto-legge  n. 152  del  1991,
condurrebbe   alla   irragionevole  configurazione  di  una  potesta'
investigativa  esercitabile solo in modo "intermittente" da parte dei
servizi   centrali,   in   quanto   condizionata   da  una  sorta  di
pregiudiziale  attivazione dei servizi interprovinciali, con evidenti
ricadute  negative  proprio  rispetto  alle  esigenze  di  efficienza
operativa e di tempestivita' che giustificano l'intervento dei primi.
    In  definitiva,  il  Procuratore ricorrente ritiene che i servizi
centrali  siano titolari di poteri di investigazione propri, che essi
mettono  in  opera quando, in presenza delle segnalazioni dei servizi
interprovinciali e all'esito dello svolgimento delle proprie funzioni
di  analisi  e raccordo informativo, emergano le condizioni richieste
dalla   normativa   (carattere   pluridistrettuale  o  internazionale
dell'indagine  sui  delitti  di  criminalita'  organizzata,  a  norma
dell'art. 51,  comma  3-bis,  cod.  proc.  pen.,  e necessita' di uno
speciale supporto operativo o di tecnologie d'avanguardia).
    2.3.   -  Su  queste  premesse,  il  ricorrente  ricostruisce  la
possibilita',  per l'autorita' giudiziaria, di avvalersi dell'apporto
dei  servizi  centrali,  quale  delineata  dall'impugnato decreto del
Ministro  dell'interno,  secondo un complesso iter procedurale, cosi'
sintetizzabile:  (a)  il  Procuratore  distrettuale  della Repubblica
investe     ("eventualmente")     delle    indagini    un    servizio
interprovinciale;  (b)  il responsabile di quest'ultimo servizio puo'
segnalare al Procuratore della Repubblica la necessita' di richiedere
il  "concorso"  alle  attivita'  di indagine dei servizi centrali, se
ricorrono   congiuntamente  le  condizioni  richieste  ("indagini  da
svolgersi  nei  confronti  di  organizzazioni  criminali  che operano
nell'ambito  di  piu' distretti di Corte d'Appello o con collegamenti
internazionali";  utilita' dell'apporto dei servizi centrali "ai fini
dello   svolgimento   di  accertamenti  che  richiedono  il  supporto
operativo di speciali risorse investigative ovvero l'impiego di mezzi
tecnologici  d'avanguardia");  (c)  il Procuratore distrettuale della
Repubblica, destinatario della segnalazione di cui sopra, "inoltra" -
senza   apparenti   margini  di  discrezionalita -  la  richiesta  di
"concorso" investigativo, e dunque la delega di indagini, al servizio
centrale,  sempre  per  il tramite del servizio interprovinciale; (d)
inoltre,  prima  di  inviare  la  "richiesta"  -  cioe'  la delega di
indagini  -  il  Procuratore distrettuale della Repubblica deve anche
tenere  conto  delle  indicazioni  offerte  dal Procuratore nazionale
antimafia,  secondo quanto prescrive il terzo alinea della lettera a)
dell'art. 1 del decreto ministeriale in argomento.
    2.4. - Ad avviso del ricorrente, il sistema sopra esposto lede le
attribuzioni  costituzionali  del  pubblico ministero, in primo luogo
perche'  sottrae alla diretta disponibilita' di quest'ultimo un corpo
-  il servizio centrale di cui all'art. 12 del d.l. n. 152 del 1991 -
che,  come  rilevato  nelle premesse sopra dette, e' inquadrato nella
polizia giudiziaria.
    Il   ricorso   al   servizio  di  polizia  giudiziaria  da  parte
dell'autorita'  giudiziaria,  infatti, in contrasto con la disciplina
legislativa del processo (artt. 56, 58, comma 3, 327 e 370 cod. proc.
pen.)  e  quindi  con  lo stesso art. 109 della Costituzione, viene a
essere  subordinato alle valutazioni effettuate, con notevoli profili
di discrezionalita', da altri soggetti, inquadrati nelle strutture di
un  altro  potere  dello  Stato,  e precisamente dal responsabile del
servizio  interprovinciale,  cui e' affidato l'apprezzamento circa la
sussistenza  dei  presupposti  richiesti  dalla disciplina per potere
attivare  l'intervento  del  servizio.  E  sotto  questo  profilo una
riprova della lesione delle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria -
aggiunge   il   ricorrente  -  e'  anche  nella  circostanza  che  il
Procuratore  nazionale  antimafia,  con  propri  atti, ha manifestato
l'intento  di  esercitare  i  poteri  di  "indicazione"  dei quali e'
menzione   nel  decreto  impugnato,  non  gia'  attraverso  direttive
generali, bensi' con specifiche valutazioni, di volta in volta, delle
singole segnalazioni dei servizi interprovinciali.
    Un   ulteriore  profilo  di  conflitto,  poi,  e'  ravvisato  nel
necessario   "passaggio"   attraverso   i  servizi  periferici  delle
richieste  del  Procuratore  della  Repubblica indirizzate ai servizi
centrali,  escludendosi  la possibilita' per il pubblico ministero di
investire  direttamente  questi ultimi senza che ne siano informati i
servizi   periferici:   cio',  oltre  a  vulnerare  ulteriormente  la
potesta',  costituzionalmente  garantita,  di  disporre autonomamente
della   polizia   giudiziaria,   arreca   violazione   al  potere  di
autodeterminazione   del   pubblico   ministero   circa  l'ambito  di
segretezza  delle  attivita'  di indagine (art. 329 cod. proc. pen.),
valevole anche nei riguardi di altri apparati istituzionali.
    Inoltre,  ulteriore specifico profilo di censura e' formulato dal
ricorrente   in   relazione   alla   preclusione   -   alla   stregua
dell'anzidetta ricostruzione della disciplina contenuta nel decreto -
per  il  Procuratore della Repubblica di investire i servizi centrali
di richieste investigative connesse a indagini che abbiano estensione
infradistrettuale,  cio'  che ulteriormente si pone in contraddizione
con   le   prerogative   costituzionali   di   diretta   e   autonoma
disponibilita' della polizia giudiziaria.
    Con  l'impostazione  recata  dal  decreto  impugnato,  afferma in
conclusione   il  ricorrente,  si  sovverte,  creando  un  pericoloso
precedente,  il  rapporto  tra Procuratore della Repubblica e polizia
giudiziaria:  almeno  quando il pubblico ministero intenda utilizzare
il  servizio  di  polizia  giudiziaria indicato nell'art. 12 del d.l.
n. 152,  non  e'  questa  a  essere  subordinata  al  primo, ma e' il
contrario. E anche a voler ritenere - ma contro l'interpretazione che
il  ricorrente  ritiene,  come detto sopra, l'unica possibile - che i
poteri  di  investigazione  dei servizi centrali non preesistano alle
"segnalazioni"  dei  servizi  periferici,  ma  a  queste  conseguano,
comunque  una  cosi'  anomala  articolazione tra autorita' di polizia
periferiche  e centrali non puo', conclude il Procuratore, risolversi
in  danno  delle attribuzioni riconosciute al pubblico ministero: (a)
dall'art. 109  della  Costituzione, per la sottrazione dei servizi di
cui si tratta alla diretta disponibilita' dell'autorita' giudiziaria,
e  (b)  dall'art. 112  della  Costituzione, poiche' solo la anzidetta
disponibilita',  senza  interferenze  da  parte del potere esecutivo,
garantisce  l'esercizio  obbligatorio  dell'azione  penale  (sentenza
n. 114 del 1968).
    2.5.  -  Per  tali  rilievi,  il  Procuratore  distrettuale della
Repubblica presso il Tribunale di Napoli, promuovendo il conflitto in
relazione  al  decreto del Ministro dell'interno 4 marzo 2000, chiede
alla  Corte  costituzionale di dichiarare che non spetta al Governo -
e,  per  esso,  al  Ministro  dell'interno  -  disporre:  (a)  che la
richiesta   di   concorso  investigativo  dei  servizi  centrali  sia
subordinata alla segnalazione dei servizi periferici, anziche' essere
attivabile   in  via  autonoma  dal  Procuratore  distrettuale  della
Repubblica;  (b)  che  la  segnalazione  dei servizi periferici renda
obbligatoria  la  richiesta  del Procuratore distrettuale; (c) che la
richiesta  al  Procuratore  distrettuale  debba  essere  inoltrata ai
servizi centrali tramite i servizi periferici; (d) che il Procuratore
distrettuale della Repubblica non possa utilizzare i servizi centrali
per   attivita'   di   indagine   di   estensione  infradistrettuale;
conseguentemente,   chiede   di  annullare  il  decreto  nelle  parti
correlative.
    3. - Il conflitto cosi' promosso nei confronti del Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e'  stato  dichiarato ammissibile da questa
Corte,  a  norma  dell'art. 37,  terzo  e  quarto  comma, della legge
11 marzo  1953,  n. 87,  con  ordinanza  n. 521 del 2000. Il ricorso,
unitamente  all'ordinanza, e' stato notificato al Governo, a cura del
ricorrente,  nel  termine  assegnato,  e  quindi  depositato  in data
13 dicembre  2000,  entro  il  termine  stabilito dall'art. 26, terzo
comma,  delle  norme  integrative  per  i  giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
    4.1. - Nel giudizio cosi' promosso si e' costituito il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  tramite  l'Avvocatura  generale dello
Stato.
    Nell'atto  di  costituzione  in  giudizio,  il Governo resistente
osserva  che,  secondo  l'art. 109  della  Costituzione,  l'autorita'
giudiziaria  dispone  direttamente della polizia giudiziaria, con una
statuizione  cui  si ricollega la disposizione dell'art. 12, comma 5,
del  decreto-legge  n. 152  del  1991, convertito in legge n. 203 del
1991,  e  che  il decreto per il quale e' stato promosso il conflitto
non  pregiudica  in  alcun  modo  tale  disponibilita';  ma  - rileva
l'Avvocatura  -  non  potrebbe  da  cio'  desumersi che all'autorita'
giudiziaria  spetti  anche  disporre sulla polizia giudiziaria, cioe'
relativamente  all'organizzazione  e  alle  procedure  che concernono
quest'ultima.
    Dopo   l'istituzione   dei   servizi  a  norma  dell'art. 12  del
decreto-legge  n. 152 del 1991, sia centrali che interprovinciali, e'
sorta,  in  concreto,  l'esigenza di ripartire e coordinare il lavoro
investigativo,   in   particolare  per  evitare  un  sovraccarico  di
richieste  e  di ordini diretti al servizio centrale per compiti piu'
agevolmente  eseguibili  dai  servizi  interprovinciali.  A fronte di
questo rilievo, espressivo delle normali esigenze organizzative di un
qualsiasi ufficio, la rivendicazione del ricorrente Procuratore della
Repubblica  di  Napoli  di  esercitare un potere totalmente libero di
attivare  l'una o l'altra delle strutture investigative create con la
normativa  del  1991  risulterebbe,  secondo  l'Avvocatura,  priva di
fondamento, giacche' la mancanza di una regolazione delle procedure e
il  sovrapporsi  casuale  di  richieste  rivolte  ai  servizi possono
determinare   effetti   controproducenti  per  la  funzionalita'  dei
medesimi,  pur  messi "a disposizione" dell'autorita' giudiziaria. Il
ricorso  per  conflitto  appare  dunque  impostato, per l'Avvocatura,
secondo  una  logica  sia  di  impropria  dilatazione  del  parametro
invocato  (art. 109),  sia  di  incompleta  considerazione di tutti i
poteri implicati, e di esso il Governo resistente chiede il rigetto.
    4.2.  L'Avvocatura  dello Stato ha successivamente depositato una
memoria,  nella  quale  prospetta una lettura complessiva del decreto
ministeriale  impugnato diversa da quella da cui muove il ricorrente,
tale da assegnare all'atto portata e contenuto differenti e dunque da
fare venir meno le premesse delle censure.
    Il  decreto  -  osserva l'Avvocatura - e' finalizzato al migliore
utilizzo  delle  risorse  specialistiche  di cui dispongono i servizi
centrali,  per  fornire  il  piu'  efficace  supporto  alle attivita'
investigative  affidate  ai servizi interprovinciali: esso, pertanto,
e'  un  atto  di  organizzazione  indirizzato ai servizi, come e' del
resto  fatto  palese  in  una  delle  premesse,  che  tiene ferme "le
competenze  attribuite  alle  autorita'  giudiziarie  dal  codice  di
procedura penale".
    Muovendo  da  questo  presupposto,  nulla  esclude,  nel  decreto
impugnato,  che  il  Procuratore  distrettuale della Repubblica possa
richiedere   autonomamente  il  concorso  investigativo  dei  servizi
centrali, ne' per converso puo' riconoscersi - come invece afferma il
ricorrente  - un autonomo ed esclusivo potere di valutazione da parte
dei servizi interprovinciali circa la ricorrenza delle condizioni per
richiedere  l'anzidetto  apporto:  nel sistema delineato dal decreto,
per   il   coinvolgimento  dei  servizi  centrali  nell'attivita'  di
indagine, si presuppone pur sempre una valutazione positiva, da parte
dell'autorita'   giudiziaria,   dell'esigenza  espressa  dai  servizi
interprovinciali, i quali potranno inoltrare le richieste se e quando
il  Procuratore  distrettuale  lo  ritenga  opportuno.  Ne',  ancora,
potrebbe   desumersi,   dal   testo  del  decreto  impugnato,  alcuna
preclusione   per   il   Procuratore   distrettuale   di  richiedere,
direttamente  e  autonomamente,  attivita' di investigazione anche di
estensione  infradistrettuale.  Infine, quanto al richiamo, contenuto
nel  decreto, alle "indicazioni" del Procuratore nazionale antimafia,
si  tratterebbe,  per  l'Avvocatura,  di  una  disposizione puramente
ricognitiva  della  disciplina  legislativa  (art. 371-bis cod. proc.
pen.).
    Il  decreto  ministeriale,  da  interpretare  nel  modo esposto e
dunque   secondo   una   lettura   non  restrittiva  ne'  rigidamente
prescrittiva  delle procedure ivi delineate, si collega ai poteri, di
coordinamento  investigativo e operativo tra i diversi organismi, che
sono  attribuiti  al  Procuratore  distrettuale  della Repubblica, al
quale  soltanto  compete  definire  modi e ambiti dell'intervento dei
servizi:  una  potesta'  di  direzione  e  coordinamento che, osserva
ulteriormente l'Avvocatura, non richiede una esplicita enunciazione e
che  e'  presupposta  dal  decreto, il quale deve essere inserito nel
contesto della normativa vigente.
    Una  volta  che  sia  escluso,  alla stregua delle considerazioni
sopra  dette,  che  il  decreto  rivesta  i caratteri che a esso sono
attribuiti  dal  ricorrente,  e  valutata  la  sua  natura di atto di
indirizzo  che,  come  tale,  non potrebbe comunque introdurre limiti
quanto alla diretta disponibilita' della polizia giudiziaria da parte
del  pubblico  ministero,  se  ne  trae la conclusione secondo cui la
disciplina  recata  dal decreto medesimo e' semplicemente da inserire
nell'alveo   della   ripartizione   di   compiti   e   negli   schemi
procedimentali   altrove  (codice  di  procedura  penale)  delineati,
relativamente   all'acquisizione   delle  notizie  di  reato  e  allo
svolgimento   delle  indagini  di  polizia  giudiziaria;  il  Governo
resistente chiede quindi una pronuncia di rigetto del ricorso.

                       Considerato in diritto

    1. -   Il  Procuratore  della  Repubblica  presso il Tribunale di
Napoli, in qualita' di Procuratore distrettuale (art. 51, comma 3-bis
cod. proc. pen.), solleva conflitto di attribuzione nei confronti del
Presidente  del  Consiglio dei ministri, relativamente al decreto del
Ministro  dell'interno  4 marzo 2000, con riferimento ad alcune parti
di  esso  che,  ad  avviso del ricorrente, conterrebbero prescrizioni
lesive  delle  competenze  costituzionalmente  spettanti  al pubblico
ministero, alla stregua degli artt. 109 e 112 della Costituzione.
    Il  decreto in questione, all'art. 1, detta norme in sostituzione
dell'art. 1,  lettera  a), del decreto ministeriale 25 marzo 1998, in
tema  di organizzazione dei servizi centrali e interprovinciali della
Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia
di  Finanza, istituiti con l'art. 12 del d.-l. 13 maggio 1991, n. 152
(Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata
e  di  trasparenza  e  buon andamento dell'attivita' amministrativa),
convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
Sulla  base della "ravvisata [...] necessita' di introdurre ulteriori
criteri  volti  a  favorire  la  migliore utilizzazione delle risorse
specialistiche    destinate    all'espletamento    delle    attivita'
investigative  relative  ai  delitti indicati nell'articolo 51, comma
3-bis del codice di procedura penale" e "considerata, in particolare,
l'esigenza  di  assicurare,  ferme  restando le competenze attribuite
alle  autorita'  giudiziarie  dal codice di procedura penale, un piu'
efficace  supporto  alle  attivita'  investigative svolte dai servizi
interprovinciali  della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e
del  Corpo  della  Guardia  di  Finanza  attraverso  il  concorso dei
rispettivi  servizi  centrali", la normativa che il Procuratore della
Repubblica  ritiene lesiva delle proprie attribuzioni costituzionali,
dopo  avere  previsto la "attribuzione ai servizi centrali di compiti
di  analisi,  di raccordo informativo e di supporto tecnico-logistico
relativamente   alle   attivita'  investigative  svolte  dai  servizi
interprovinciali   in   materia   di   contrasto  della  criminalita'
organizzata",  stabilisce che "per le indagini di polizia giudiziaria
relative ai delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis del codice
di  procedura  penale,  i  responsabili  dei servizi interprovinciali
possono  segnalare  ai  Procuratori  della Repubblica distrettuali la
necessita'  di  richiedere il concorso alle attivita' di indagine dei
servizi  centrali  qualora  si  tratti  di  indagini da svolgersi nei
confronti di organizzazioni criminali che operano nell'ambito di piu'
distretti  di  Corte d'Appello o con collegamenti internazionali e il
concorso sia ritenuto utile ai fini dello svolgimento di accertamenti
che   richiedono   il   supporto   operativo   di   speciali  risorse
investigative  ovvero  l'impiego di mezzi tecnologici d'avanguardia".
La  disposizione  in  questione prosegue prevedendo che "le richieste
dei  Procuratori  della  Repubblica  distrettuali  sono inoltrate dai
responsabili  dei  servizi  interprovinciali  ai  rispettivi  servizi
centrali,  che  dispongono  i  conseguenti  adempimenti informando, a
seconda della forza di polizia di appartenenza, il Dipartimento della
Pubblica  Sicurezza,  il  Comando  Generale dell'Arma dei Carabinieri
ovvero  della  Guardia  di  Finanza".  Infine, e' previsto che "nella
formulazione delle richieste si tiene conto delle indicazioni offerte
dal   Procuratore  Nazionale  Antimafia  nell'ambito  dei  poteri  di
direttiva  e  di impulso al medesimo attribuiti dall'art. 371-bis del
codice di procedura penale".
    Ad  avviso del ricorrente, la normativa indicata viola le proprie
attribuzioni  costituzionali,  quali  definite  dagli artt. 109 e 112
della  Costituzione, in quanto - secondo il modo d'intenderla ch'esso
fa proprio - prevede:
        (a) che  la  richiesta  di concorso investigativo dei servizi
centrali  sia  subordinata alla segnalazione dei servizi periferici e
non   possa   essere   avanzata   autonomamente  e  direttamente  dal
Procuratore distrettuale della Repubblica;
        (b)   che   la  segnalazione  dei  servizi  periferici  renda
obbligatoria la richiesta del Procuratore distrettuale;
        (c)  che la richiesta del Procuratore distrettuale ai servizi
centrali debba essere inoltrata tramite i servizi periferici, e
        (d)  che i servizi centrali non possano essere utilizzati per
attivita'  d'indagine  di  estensione  infradistrettuale.  Si  chiede
pertanto  a  questa  Corte di dichiarare che non spetta al Governo, e
per  esso  al Ministro dell'interno, disporre nel modo sopra indicato
e, conseguentemente, di annullare il decreto ministeriale nelle parti
relative a tali disposizioni.
    2. - Il  presente  conflitto  di attribuzione e' stato dichiarato
ammissibile  a  norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge
11 marzo  1953,  n. 87,  essendosi riscontrata nella fase preliminare
all'instaurazione  del  contraddittorio  tanto  la legittimazione del
Procuratore   della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Napoli  a
sollevare  il conflitto e del Presidente del Consiglio dei ministri a
resistere,   quanto   l'esistenza  di  una  lamentata  lesione  delle
competenze   costituzionalmente   garantite  al  soggetto  ricorrente
(ordinanza n. 521 del 2000).
    Non  essendo  sorta  contestazione  in  proposito nel seguito del
giudizio  e  non  risultando  ragioni  per rivedere tale conclusione,
l'ammissibilita'  del  conflitto, sotto gli aspetti considerati, deve
essere confermata.
    3. - Il   conflitto  e'  invece  inammissibile  sotto  un  altro,
ulteriore profilo, per le ragioni che si vengono a indicare.
    4. - Il  Procuratore  della  Repubblica  ricorrente  muove  dalla
convinzione  che  il  decreto  ministeriale  impugnato  disciplini  -
limitandoli  -  i  poteri  di disposizione della polizia giudiziaria,
ritenendo  che,  per i suoi specifici contenuti normativi, esso violi
le  attribuzioni  costituzionali  del  pubblico  ministero.  Ma  tale
premessa e' infondata.
    Il  decreto  in  questione puo' essere inteso soltanto quale atto
normativo  di  organizzazione  dettato  dal  Ministro  dell'interno -
secondo   il   preambolo   del  decreto  stesso  -  per  la  migliore
utilizzazione  di  strutture,  quali  i  servizi centrali e i servizi
interprovinciali  della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e
del Corpo della Guardia di Finanza, che fanno parte degli apparati di
polizia dello Stato, inquadrati nelle strutture del potere esecutivo.
    Esula invece dalla disciplina contenuta in tale decreto qualunque
definizione  vincolante  dei  rapporti  tra tali strutture, in quanto
operanti   quali   organi   di  polizia  giudiziaria,  e  l'autorita'
giudiziaria:  rapporti  che  trovano  gia'  la  loro disciplina nella
legge, secondo quanto specificato di seguito.
    Della    finalizzazione    a    una    disciplina   di   semplice
razionalizzazione  interna  agli apparati investigativi in questione,
da'  atto  lo stesso decreto ministeriale impugnato il quale, come si
e'  dianzi ricordato, in una proposizione del suo preambolo riconosce
espressamente che le competenze attribuite alle autorita' giudiziarie
dal  codice  di  procedura  penale  "restano  ferme".  Il  codice  di
procedura  penale  stabilisce  (art. 58,  comma  3)  che "l'autorita'
giudiziaria  [...]  puo'  [...]  avvalersi  di  ogni servizio o altro
organo  di  polizia  giudiziaria"; attribuisce (art. 327) al pubblico
ministero la direzione delle indagini preliminari e la disponibilita'
diretta della polizia giudiziaria e prevede (art. 56) che le funzioni
di  polizia  giudiziaria  sono  svolte  alle  dipendenze  e  sotto la
direzione  dell'autorita'  giudiziaria  -  oltre che dalle sezioni di
polizia  giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e
dagli  ufficiali  e  dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti
agli  altri  organi  cui  la  legge fa obbligo di compiere indagini a
seguito  di  una notizia di reato [lettere b) e c)] - "dai servizi di
polizia giudiziaria previsti dalla legge" [lettera a)].
    Per  quanto  riguarda  infine specificamente i procedimenti per i
delitti  indicati  dall'art. 51,  comma 3-bis del codice di procedura
penale, il quadro anzidetto si completa con l'art. 371-bis del codice
medesimo,   dettato   allo   scopo   di   istituire  un'attivita'  di
coordinamento  delle indagini relative. A tal fine, si prevede che il
Procuratore  nazionale  antimafia  -  organo  del  pubblico ministero
preposto  alla  Direzione  nazionale  antimafia istituita nell'ambito
della  procura  generale  presso  la  Corte  di  cassazione,  a norma
dell'art. 76-bis   del   r.d.  30 gennaio  1941,  n. 12  (Ordinamento
giudiziario),  introdotto  dall'art. 6  del decreto-legge 20 novembre
1991,  n. 367,  convertito, con modificazioni, dalla legge 20 gennaio
1992,  n. 8  -  dispone della Direzione investigativa antimafia e dei
servizi   centrali  e  interprovinciali  delle  forze  di  polizia  e
impartisce   direttive   intese   a   regolarne   l'impiego   a  fini
investigativi (comma 1) ed esercita funzioni di impulso nei confronti
dei  procuratori  distrettuali,  al  fine  di  rendere  effettivo  il
coordinamento   delle   attivita'   d'indagine,   di   garantire   la
funzionalita'   dell'impiego  della  polizia  giudiziaria  nelle  sue
diverse   articolazioni   e   di   assicurare  la  completezza  e  la
tempestivita'    delle   investigazioni   (comma   2),   secondo   le
specificazioni contenute nel seguito dello stesso articolo.
    Tra   i  servizi  di  polizia  giudiziaria,  di  cui  l'autorita'
giudiziaria  ha  la  disponibilita' alla stregua del quadro normativo
ora   riportato,   indubbiamente   rientrano  i  servizi  centrali  e
interprovinciali  della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e
del  Corpo  della  Guardia  di  Finanza  istituiti  dall'art. 12  del
decreto-legge  n. 152  del  1991 per il "coordinamento dei servizi di
polizia giudiziaria" (secondo la "rubrica" dell'articolo stesso), dei
quali  il  pubblico ministero, "quando procede a indagini per delitti
di    criminalita'   organizzata   [...]   si   avvale   di   regola,
congiuntamente",  impartendo  "le opportune direttive per l'effettivo
coordinamento  investigativo  e  operativo tra i diversi organismi di
polizia giudiziaria" (commi 4 e 5 del medesimo art. 12). Un'ulteriore
conferma della configurazione delle strutture anzidette quali servizi
di   polizia   giudiziaria  si  puo'  trarre  anche  dall'art. 8  del
decreto-legge  15 gennaio  1991,  n. 8  (Nuove  misure  in materia di
sequestri  di  persona  a  scopo di estorsione e per la protezione di
coloro   che   collaborano   con   la   giustizia),  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  15 marzo 1991, n. 82, in relazione alle
indagini  relative  ai  delitti  di  sequestro  di persona a scopo di
estorsione,  nonche'  dall'art. 3  del decreto-legge 29 ottobre 1991,
n. 345  (Disposizioni  urgenti  per  il coordinamento delle attivita'
informative  e  investigative  nella  lotta  contro  la  criminalita'
organizzata),  convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre
1991,   n. 410,  il  quale,  istituendo  la  Direzione  investigativa
antimafia (DIA) con funzioni, oltre che di investigazione preventiva,
anche  di polizia giudiziaria (comma 1), stabilisce che gli ufficiali
e   gli   agenti  di  polizia  giudiziaria  dei  servizi  centrali  e
interprovinciali in questione operino in costante collegamento con la
Direzione  investigativa stessa alla quale, a decorrere dal 1 gennaio
1993  (termine scaduto inutilmente), tale personale - nei contingenti
e   con   i   criteri  e  le  modalita'  determinati  da  un  decreto
interministeriale   -  avrebbe  dovuto  essere  assegnato.  Direzione
investigativa   antimafia  e  servizi  centrali  e  interprovinciali,
infine,  rientrano  nella  disponibilita'  del  Procuratore nazionale
antimafia,  alla  stregua  dell'art. 371-bis  del  codice,  il  quale
conferma cosi' la loro funzione di polizia giudiziaria.
    Il  decreto  impugnato,  a  sua  volta, non contraddice la natura
delle  funzioni  dei  servizi,  quali  configurati  dall'art. 12  del
decreto-legge  n. 152  del  1991  e  dalle  altre  norme citate. Esso
prevede  l'attivita' d'indagine di polizia giudiziaria, relativamente
ai delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis cod. proc. pen., svolta
dai  servizi  interprovinciali  e  l'eventualita'  della richiesta ai
servizi  centrali  di  "concorso"  a tali indagini, qualora si tratti
d'indagini   aventi   caratteristiche  di  particolare  complessita',
specificate  nel  decreto. In questo modo, viene confermata la natura
di  polizia  giudiziaria,  gia'  prevista  dalla  legge, non solo dei
servizi  interprovinciali ma anche del servizio centrale, superandosi
cosi'   i  dubbi  interpretativi,  e  anche  di  legittimita',  sorti
relativamente  alla  configurazione  di  quest'ultimo quale struttura
adibita esclusivamente a compiti "di analisi, di raccordo informativo
e   di   supporto   tecnico-logistico  relativamente  alle  attivita'
investigative   svolte  dai  servizi  interprovinciali",  secondo  la
formulazione   dell'art. 1,   lettera a),   del   precedente  decreto
ministeriale 25 marzo 1998.
    In  quanto  servizi  di polizia giudiziaria, dunque, i servizi in
questione  e  i  poteri dell'autorita' giudiziaria di avvalersi degli
stessi  ricadono  pienamente  nella  vigente  disciplina,  generale e
speciale,  dettata nel codice di procedura penale: una disciplina che
-  soprattutto  in relazione ai rapporti tra i poteri del Procuratore
nazionale  antimafia e gli altri organi del pubblico ministero - puo'
dare   luogo  a  problemi  interpretativi  ma  la  cui  ricostruzione
sistematica  esula  dai  limiti  del  presente giudizio, nel quale si
tratta   esclusivamente  di  stabilire  se  il  decreto  ministeriale
impugnato  ha  inciso, contro gli artt. 109 e 112 della Costituzione,
sui poteri del pubblico ministero.
    5. - La  normativa dettata nel decreto ministeriale - come dianzi
detto  -  mira a predisporre criteri di razionale utilizzazione delle
strutture investigative dei servizi, onde evitare sovrapposizioni tra
quello centrale e quelli periferici nonche' il sovraccarico del primo
nei  casi  in cui l'attivita' d'indagine richiesta puo' essere svolta
dai  secondi.  A  tal  fine,  quando si tratta di indagini di polizia
giudiziaria,    si   prevede   che   i   responsabili   dei   servizi
interprovinciali  "possono segnalare" ai Procuratori della Repubblica
distrettuali  la  necessita' di richiedere il concorso alle attivita'
di  indagine dei servizi centrali e che le richieste dei Procuratori,
in   tal   caso,   sono   inoltrate   dai  responsabili  dei  servizi
interprovinciali  ai  rispettivi servizi centrali. L'intera procedura
prevista   configura   evidentemente,   secondo   la  stessa  formula
utilizzata  dal  decreto,  una  delle possibilita' che non esclude le
altre,  previste  dalla  legislazione  vigente.  In  particolare, non
esclude  l'esercizio da parte dei Procuratori della Repubblica, nelle
indagini  per i delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis cod. proc.
pen., dei poteri di utilizzazione dei servizi di polizia giudiziaria,
secondo le norme del codice di procedura penale gia' ricordate.
    Il   decreto   ministeriale  impugnato,  dunque,  contiene  norme
imperative  per  i  servizi, conformemente alla sua natura e alla sua
dichiarata   finalita';   ma,   nella  parte  in  cui  la  disciplina
dell'attivita'  dei  servizi  stessi  -  quali  strutture  di polizia
giudiziaria  -  incontra  i  poteri  dell'autorita' giudiziaria, esso
finisce  per  configurarsi  come  l'indicazione  di una possibile via
collaborativa ma non imperativa ne' esclusiva.
    6. - Da   quanto   precede,  risulta  che  il  Procuratore  della
Repubblica  di Napoli gia' dispone pienamente dei poteri di avvalersi
dei  servizi  di  polizia  giudiziaria,  quali previsti dal codice di
procedura  penale,  i  quali  non  sono  compromessi  dalla normativa
contenuta  nel  decreto  ministeriale impugnato. Pertanto, essendo il
conflitto  orientato  a  rivendicare  attribuzioni sulle quali l'atto
impugnato  non  incide  e  delle quali il ricorrente gia' dispone, il
ricorso deve essere dichiarato inammissibile.