ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 8 della legge
della  Regione  Piemonte  8 luglio  1999,  n. 19 (Norme in materia di
edilizia  e  modifiche  alla  legge  regionale 5 dicembre 1977, n. 56
"Tutela  ed  uso  del  suolo"),  promosso  con  ordinanza  emessa  il
21 dicembre  2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte
sul ricorso proposto da Trombetta Francesco ed altra contro il Comune
di  Domodossola,  iscritta  al  n. 95  del  registro ordinanze 2001 e
pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, 1a serie
speciale, dell'anno 2001.
    Visto l'atto di intervento della Regione Piemonte;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 10 ottobre 2001 il Giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto   che  con  ordinanza  emessa  il  21 dicembre  2000  il
Tribunale  regionale  amministrativo  del  Piemonte,  nel corso di un
giudizio,  in  cui  era  stata  impugnata una ordinanza del Comune di
Domodossola  26 settembre  2000,  n. 159,  contenente  ingiunzione ai
ricorrenti    di   ripristinare   l'originaria   destinazione   d'uso
direzionale  di un immobile (realizzato in base ad un piano esecutivo
convenzionato)   illegittimamente  adibito  ad  uso  residenziale  in
assenza della concessione edilizia prescritta dall'art. 8 della legge
regionale Piemonte 8 luglio 1999, n. 19 (Norme in materia di edilizia
e  modifiche  alla  legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 "Tutela ed
uso   del   suolo"),   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale della predetta disposizione normativa;
        che   la   questione  e'  proposta  sotto  il  profilo  della
violazione  dell'art. 117  Costituzione, in quanto la norma regionale
imporrebbe   che  i  cambiamenti  di  destinazione  d'uso,  ancorche'
eseguiti  senza  opere,  siano  subordinati  al previo rilascio di un
titolo  concessorio,  in  contrasto con il principio fondamentale che
sarebbe  sancito  dall'art. 25  della legge statale 28 febbraio 1985,
n. 47    (Norme    in    materia    di    controllo    dell'attivita'
urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
edilizie),  "a  norma  del  quale  -  scrive  testualmente il giudice
rimettente -  la  variazione della destinazione d'uso degli immobili,
se eseguita senza opere edilizie, puo' essere soggetta, tutt'al piu',
a semplice autorizzazione";
        che  il  giudice  rimettente afferma che la questione sia non
manifestamente   infondata   e   rilevante,  atteso  che  "dalla  sua
risoluzione   dipende   la  legittimita'  o  meno  del  provvedimento
ripristinatorio   impugnato  nel  giudizio  di  merito,  che  sarebbe
precluso se l'intervento non puo' effettivamente ritenersi soggetto a
concessione edilizia";
        che  nel  giudizio  e' intervenuto il Presidente della Giunta
regionale  del  Piemonte deducendo l'inammissibilita' della questione
sia   per   difetto   di   motivazione   sulla  rilevanza  attesa  la
"sommarieta',  incertezza  e  contraddittorieta'  sugli  elementi  di
fatto"  della  motivazione  stessa; sia per omessa considerazione che
l'art. 25  della  legge  n. 47  del  1985  sarebbe  stato  modificato
dall'art. 4  del  decreto-legge  5 ottobre 1993, n. 398 (Disposizioni
per  l'accelerazione degli investimenti a sostegno dell'occupazione e
per   la  semplificazione  dei  procedimenti  in  materia  edilizia),
convertito,  con  modificazioni,  in  legge  4 dicembre 1993, n. 493,
cosi'  come,  infine,  sostituito  dall'art. 2, comma 60, della legge
23 dicembre  1996,  n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica);
        che,  sempre  secondo  la  Regione,  il  "nuovo" ultimo comma
dell'art. 25    attribuirebbe    alle    Regioni    piena   autonomia
nell'individuazione  di quali mutamenti di destinazione d'uso debbano
essere  subordinati  a concessione e quali ad autorizzazione, siano o
meno esistenti opere edilizie.
    Considerato che, a prescindere dagli eventuali effetti innovativi
sulla  ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni ordinarie in
materia   urbanistica   per   effetto  delle  sopravvenute  modifiche
dell'art. 117  della  Costituzione  (legge  costituzionale 18 ottobre
2001,  n. 3, recante "Modifiche al Titolo V della parte seconda della
Costituzione"),  e'  preliminare  l'esame  dell'ammissibilita'  della
questione alla luce di una delle eccezioni proposte dalla Regione;
        che  e'  pienamente  fondata  l'eccezione di inammissibilita'
sollevata  sotto il profilo della omessa considerazione, da parte del
giudice  a quo, che l'art. 25 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 era
stato  oggetto  di  modifiche  sostanziali  ad  opera dell'art. 4 del
decreto-legge  5 ottobre  1993,  n. 398 - convertito con modifiche in
legge 4 dicembre 1993, n. 493 - nel testo (comma 20) risultante dalle
modifiche ulteriormente introdotte dall'art. 2, comma 60, della legge
23 dicembre 1996, n. 662;
        che,  pertanto, anteriormente alla legge regionale denunciata
e alla ordinanza di rimessione, e' intervenuta una modifica del testo
dell'art. 25,  ultimo  comma, della legge 25 febbraio 1985, n. 47, il
quale  nella originaria formulazione affidava alla legge regionale la
determinazione  dei criteri e delle modalita', cui i Comuni avrebbero
dovuto  attenersi per l'eventuale regolamentazione delle destinazioni
d'uso,  nonche'  dei  casi  in  cui  per le variazioni delle predette
sarebbe stata necessaria la preventiva autorizzazione;
        che,  infatti, con la legge n. 662 del 1996, si e' passati ad
una  previsione  di rinvio completo alle leggi regionali, cui compete
stabilire  "quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni
fisiche,  dell'uso  di  immobili  o  di  loro  parti"  debbano essere
subordinati a concessione o ad autorizzazione;
        che,    stante   la   mancanza   di   qualsiasi   riferimento
nell'ordinanza  di  rimessione  al  testo normativo vigente (sia alla
data  di  emanazione della legge regionale denunciata, sia al momento
della  rimessione  della questione) dell'art. 25, ultimo comma, della
legge  28 febbraio  1985, n. 47, invocato come norma interposta, deve
essere dichiarata la manifesta inammissibilita' della questione.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
avanti alla Corte costituzionale.